una per il Record Store Day

 

Quando facevo le elementari passavo almeno due volte al giorno davanti alla vetrina di un negozio di dischi in via Giuseppe Petroni. Non ricordo come si chiamava, ricordo soltanto che dentro era buio e scuro e i commessi erano antipaticissimi. Non volevano vendermi “Fear of a Black Planet” dei Public Enemy; mi han detto qualcosa del tipo “ma non sei un po’ troppo piccolo per questa roba?”, poi però i soldi li hanno presi. Dopo quella volta non ci sono più entrato. Però continuavo a passarci davanti ogni giorno, all’andata e al ritorno da scuola. In vetrina c’era la copertina di un vinile che mi ossessionava: la foto di un tizio nudo che si strappava via un lunghissimo filamento di carne da un orecchio sanguinante. Niente titolo o autore, solo la foto. Non sono mai riuscito a scoprire di che disco si trattasse; il ricordo di quella copertina è ancora adesso estremamente vivido in me, e non sapere che disco sia è qualcosa che ancora mi tormenta, vai a capire perchè. Ha chiuso presto quel negozio; ora al suo posto probabilmente c’è il minimarket di qualche pakistano o un bar o un kebabbaro che vende il piatto negro nazionale agli studenti fuorisede. Si fa presto a confondere gli esercizi commerciali in via Petroni ora.
Su via San Vitale, ad andare verso la porta, si incrociava la vetrinetta di un angusto bugigattolo pretenziosamente battezzato “Important Records” o qualcosa del genere; la sfolgorante insegna in technicolor mi ipnotizzava, ma dentro non avevano quasi un cazzo che attirasse il mio interesse. Mio zio però ci comprava un sacco di vinili; Ellis, Beggs & Howard, i Double, robaccia pop coi sassofoni che tirava ai tempi. Ce ne voleva di fegato a smazzare quella merda. Facevano anche la prevendita dei concerti, mi pare di ricordare. Non durarono molto neanche loro; la cosa strana è che nessuno da allora ha più occupato quello sgabuzzino, saranno vent’anni ormai che la serranda rimane abbassata e sulla vetrina si accumulano flyer e manifestini di eventi passati, mai più rimossi.
Scendendo da via del Borgo, poco dopo l’angolo con via Irnerio c’era “Gospel Music Shop“, uno dei negozi di dischi più grandi che avessi mai visto; era immenso, un’unica enorme sala che si sviluppava in lunghezza e alla cui estremità avevano costruito un palchetto di legno dove ogni tanto si tenevano concerti gratuiti (ci vennero a suonare i Dhamm pre-Sanremo, tra quelli che mi ricordo). Sembrava davvero non finire mai. Per anni è stata la mia Shangri-La uscito da scuola; ci passavo le ore, a scartabellare tra pile di CD e LP organizzate in piccoli mucchietti in verticale uno sopra l’altro. Le novità avevano prezzi proibitivi ma il reparto usato era immenso e fornitissimo; ti tiravano dietro chicche come Twinaleblood dei Pyogenesis, Vittra dei Naglfar, Static dei Joykiller e tutta, ma proprio tutta la feccia italiana che neanche nei cestoni degli autogrill, da Andrea Liberovici ai Baraonna fino alla più invereconda delle nefandezze da fare arrossire di vergogna l’ultimo degli uscieri del Teatro Ariston. Questo resistette fino alla seconda metà dei novanta mi pare, poi si spostò in un localino su via Irnerio che era un ventesimo dell’hangar di prima; non tenevano più l’usato e il nuovo stava a prezzi da seconda ipoteca sulla casa. Hanno chiuso definitivamente intorno al 2003; al posto della vecchia sede c’è un localaccio dove mettono la musica latinoamericana, in via Irnerio c’è una prosciutteria trés-trés chic.
Meta obbligata per ogni testa metal che potesse considerarsi tale era “Rock Hard” in via Galliera, una stanzetta dalle pareti grigio fuliggine con espositori da colpo della strega fulminante che tenevano un centinaio di CD in tutto a dire molto, la parete di fronte all’entrata tappezzata di poster dei Therion e altri gruppi similari della vecchia scuola, dallo stereo sempre acceso colate di metallo fumante e alla cassa il padrone, un sosia di Dave Mustaine gentilissimo e disponibilissimo. I prezzi erano tutto sommato abbastanza onesti, e ogni volta che qualche gruppo metal veniva a suonare in città l’intraprendente sosia di Mustaine organizzava nel pomeriggio simpatici meet & greet con i musicisti, con tanto di sessions moleste di autografi con dedica, foto e quant’altro. L’avvento del Virgin Megastore (che aveva la stessa roba e molto altro a prezzi minori) gli tagliò le gambe; Mustaine passò la mano a un energumeno pelosissimo con gli occhiali a culo di bottiglia e la felpa dei Therion che tenne botta per un altro annetto prima di alzare bandiera bianca. Al suo posto c’è una “galleria d’arte” sempre deserta che espone croste di scalzacani.
Ma il negozio di cui conservo i ricordi migliori è “Flipside“, un antro umido nelle viscere di via del Pratello gestito da uno gnomo saettante forse napoletano che aveva tappezzato le pareti e il soffitto di cartelli scritti a mano con su frasi del tipo “Gradisco il saluto all’entrata e all’uscita“, “Non si regalano sconti“, “Se ti pesco a rubare nel mio negozio qualcosa di molto negativo ti accadrà“. Dentro c’era quasi solo roba usata, moltissimo vinile riesumato da chissà quali cantine che puzzava ancora di chiuso e di funghi, caterve di riviste (perlopiù vecchi numeri di “Rockstar” e “Rockerilla”) e qualche pila di CD a prezzi assurdi, o altissimi o bassissimi e assegnati apparentemente a random. Nei primi anni andava alla grande, il che gli permise di trasferirsi in un antro leggermente più spazioso a una cinquantina di metri dal vecchio; aveva messo una brandina dietro una tenda, c’erano anche il cesso e un cucinino ed era chiaro che lo gnomo viveva lì dentro. Gli orari di apertura erano dalle quattro del pomeriggio a mezzanotte; un giorno entrai che era in canottiera che si stava lavando i denti. Un posto commovente. Dopo anni di stoica resistenza ha abbassato definitivamente la saracinesca nei primi mesi del 2003; al suo posto c’è il miminarket di un pakistano diffidente che non ti vende la birra nemmeno sottobanco.

Oggi è il Record Store Day, una giornata dedicata a tutti i pazzi temerari romantici eroi di ieri e di oggi che hanno deciso di guadagnarsi da vivere smerciando dischi. Celebriamo.

7 pensieri su “una per il Record Store Day

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