Rozzemilia issue #3: STARFUCKERS

Una delle riviste che più hanno condizionato la mia vita di ascoltatore era la seconda serie di Cyborg (la prima non sono arrivato in tempo a leggerla), che acquistavo regolarmente da Alessandro Distribuzioni; a pubblicarla era la Telemaco di Daniele Brolli, neonata casa editrice con sede a Bologna, dalla sfortuna imprenditoriale pari almeno alla lungimiranza. Tra le altre cose, stampavano anche uno dei fumetti più belli che avessi mai letto: “Le avventure di Luther Arkwright” di Bryan Talbot. Quella serie, come del resto tutte le pubblicazioni Telemaco, rimase monca in seguito al tracollo finanziario del marchio, sopravvenuto dopo poco più di un anno di esistenza. Raramente ho provato altrettanto dispiacere per la fine di qualcosa. Cyborg, se non ricordo male, non arrivò al decimo numero; ma intanto la mia mente era già segnata. Parlavano di filosofia e letteratura cyberpunk, di piattaforme e supporti allora al massimo dell’avanguardia come la 3DO o il CD-I, ospitavano (a puntate) fumetti che erano fumetti, naturalmente, non mancavano pagine dedicate alla musica. Erano gli anni delle posse, di Stop al panico, Slega la lega e, pochissimo più tardi, Fight da faida; ma anche l’unico momento in cui il noise rock abbia mai goduto di effettiva popolarità ad ampio raggio. Oggi sembra incredibile, ma immediatamente prima dell’invasione del grunge c’è stato un periodo in cui, per la prima e unica volta nella storia dell’umanità, ascoltare gruppi newyorkesi impresentabili e tentare di decifrare i testi dei dischi AmRep (nel cui libretto di due pagine era stampata a malapena una foto in bianco e nero sgranatissima) non erano operazioni ad esclusivo appannaggio di qualche decina di irrimediabili dissociati sparsi in giro per il mondo; ricordo benissimo i video degli Helmet al pomeriggio su Videomusic, le locandine del concerto dei Cop Shoot Cop affisse sui muri del centro, il clangore di chitarre taglienti come lame, bassi squadrati e tempi di batteria ossessivi, da catena di montaggio, che a volte facevano capolino perfino dalle radio nazionali. Sulle pagine musicali di Cyborg parlavano soprattutto dei ClockDVA e di altre band dai nomi esotici, a me totalmente ignote, le cui descrizioni mi catturavano come fiabe magnifiche, stimolando la mia eccitabile fantasia di bimbo: Laibach, Transmisia, gli stessi Cop Shoot Cop. C’era anche una rubrica dedicata alle autoproduzioni, ed è lì che ho sentito nominare per la prima volta gli Starfuckers; ne parlava in un’intervista Umberto Palazzo, allora leader dei Massimo Volume, interrogato a proposito della nuova scena rock bolognese, accostandoli a Splatterpink e Disciplinatha. Gli Starfuckers avevano da poco pubblicato il mini Brodo Di Cagne Strategico.

Alcuni anni più tardi, da qualche parte nei novanta. Il tunnel che separa l’anticamera di Underground dal negozio vero e proprio è il mio personale ingresso per il Paradiso; mi fermo in anticamera a leggere gli annunci, “cantante cerca gruppo”, “bassista alle prime armi ma molto motivato cerca elementi per formare band stile Crass/UK Subs/Buzzcocks”, “vendo discografia dei Cult ottimo stato solo in blocco telefonare ore pasti”, pregustando il momento in cui tornerò a scartabellare tra gli scaffali di vinili, cassette, CD e fanzine, un serbatoio inesauribile di nuove scoperte. Ho da poco acquistato Scum, sono in piena fase grind e per comprare i dischi risparmio sulle merendine; da qualche giorno tra gli usati ho puntato l’LP delle “Peel sessions” degli Extreme Noise Terror e sono certo che valga tutte le 7.500 lire che costa. Sulla parete a destra, quella degli “ultimi arrivi” in CD, campeggia una copertina che mi attrae come un magnete attrae la ferraglia, il disegno in bianco e nero di un orecchio umano scomposto in tanti piccoli tasselli quadrati, a margine il titolo: Infrantumi.

Non molto tempo dopo mi rendo conto che devo avere anche Sinistri. Ed è un’altra epifania.

Difficile sopravvivere nei duemila per un gruppo la cui stessa ragione sociale sembra urlare anni novanta da ogni parte; Internet, downloading, legioni di nuove band dai nomi irritanti e il vuoto pneumatico al posto del cuore. Gli Starfuckers si spengono nel silenzio, scompaiono in punta di piedi per riconfigurarsi come Sinistri; un’altra storia, interrotta brutalmente dalla scomparsa di Dino Bramanti (elettronica e real time processing). Fantasmi che si inseguono: il bassista Paolo Casini, uscito dal gruppo poco dopo la pubblicazione di Brodo Di Cagne Strategico, era morto durante la lavorazione di Sinistri (l’album). Raramente un cortocircuito può essere altrettanto beffardo nel perpetrarsi della disgrazia.

Il nucleo principale degli Starfuckers da sempre è costituito da Manuel(e) Giannini (voce, chitarra, amplificatori, elettronica, testi) e Roberto “Chicco” Bertacchini (batteria), amici fin dall’infanzia e forse anche per questo gli unici a resistere a tutte le incarnazioni del gruppo; dal 1991 entra in formazione Alessandro Bocci (elettronica e samples), che per apporto compositivo e durata della militanza è da considerare il terzo Starfuckers “storico”.
Terminata l’esperienza Sinistri, Starfuckers torna a esistere come trio Giannini-Bertacchini-Bocci soltanto in tempi recenti. Lo scorso 30 aprile hanno suonato al Locomotiv in un concerto commovente per trasporto e rigore, non meno che “proustiano” per chi c’era in quegli anni. È recente l’emissione di Ordine: ‘91/’96, ristampa con inediti di Brodo Di Cagne Strategico (mai stampato su CD prima d’ora) e Sinistri. Loro torneranno a esibirsi dal vivo in autunno; speriamo che possano tenerci compagnia per molto altro tempo ancora.

6 pensieri su “Rozzemilia issue #3: STARFUCKERS

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