VIA
Sarebbe anche un MATTONE, non fosse che il disco è diviso in otto “momenti” senza titolo; il regazzino che già ci aveva abbondantemente sfracellato i coglioni con lunghissime suite tra fingerpicking ipnotico di stretta osservanza Fahey e inserti di effettistica alla buona si lascia prendere da manie di grandezza (voglio dire, ancora più del solito) e gioca la carta del minimalismo orchestrale con (tra gli altri) violini, flauto, sax, voce e violoncello. L’effetto globale oscilla tra lo stucchevole, il patetico e il so bad it’s good, anche se l’ultima traccia è molto bella (ma sono solo otto minuti su un totale di 45). Verrebbe da dire: un po’ come l’ultimo degli Swans, ma poi
STOP
L’ipotesi è che Gira ultimamente rovini un po’ tutto quello che gli capita la mattina sotto mano, poi non so. Blackshaw aveva tirato fuori The Cloud of Unknowing e Litanies of Echoes che erano miracoli di fingerpicking ricorsivo, poi Gira e David Tibet l’hanno bruciato – forse sfruttandolo analmente anche, dati gli ultimi commenti di Tibet in merito.
dici che gli hanno estratto la creatività fuori dal culo? no, dai. comunque secondo me almeno fino al disco prima è tutta roba buona o quasi. però sicuramente come giro è sbagliato, in qualche modo.
Sì o che gli hanno infilato qualcos’altro, dipende.
“James Blackshaw’s haircut is VERY cute. I saw it yesterday, and coupled with his sleeplessness it makes him dangerously attractive to all.” – David Tibet
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