Nannucci ha chiuso esattamente due anni fa. Dal 1992 fino a tutto il 2000 ho passato lì dentro più ore della mia vita di quanto fosse ragionevolmente lecito ipotizzare. È stato lì che ho ricevuto il mio battesimo del fuoco, davanti al bancone del reparto musicassette, un pomeriggio dei primi di giugno del ’92; la scuola stava per finire e per festeggiare avevo il permesso di comprarmi una cassetta originale. I miei mi avevano dato venti carte ma io non ero ancora del tutto sicuro su come investirle: Hanno Ucciso l’Uomo Ragno, primo album degli 883 che già mi era stato somministrato più volte via etere courtesy of una programmazione su Radio Deejay da esperimento nazista sul sistema nervoso (da settimane andavano avanti a trasmettere qualsiasi pezzo del disco praticamente ad ogni ora del giorno e della notte), oppure Fear of the Dark, ennesimo album degli Iron Maiden preannunciato da un singolo apripista veramente arrogante, Be Quick or Be Dead, intercettato sempre su Radio Deejay grazie a Nikki, titolare dell’unico programma rock dell’emittente (programma che peraltro andava in onda subito dopo il Deejay Time e quindi ascoltarlo era praticamente automatico)? Il commesso dall’altra parte del banco, un ciccione pelato a cui sarò debitore per il resto dei miei giorni, non aveva dubbi: “prendi questo, è doppio, dura di più”. Mezzo secondo più tardi stavo già trotterellando verso le casse felice come una pasqua, a pagare un album che addirittura era doppio. E in effetti Fear of the Dark durava uno sproposito, ci avrei messo mesi a metabolizzarlo. All’inizio mi piacevano soltanto i primi due pezzi, Be Quick or Be Dead e From Here to Eternity, e il brano in assoluto più demenziale e bamboccesco mai scritto dal gruppo (ma allora non lo sapevo), Weekend Warrior, una porcata sugli hooligans che neanche la più scalcinata delle cover band dei Poison, l’ideale per infiammare i miei basici entusiasmi di bimbo; poi cominciarono a piacermene anche altri di pezzi, tipo The Fugitive, bella ignorante, o Chains of Misery, e perfino la ballatona strappamutande Wasting Love, fomentato dal video su Videomusic che mi era subito sembrato la cosa più blasfema della Terra (e quindi da amare senza riserve). Ma la vera chiave di volta è stata Afraid to Shoot Strangers, una spettacolare cavalcata epica che, chissà come mai, all’inizio non mi diceva un cazzo; quando finalmente mi entrò nel sangue e mi fece drizzare i peletti sulle braccia dall’emozione ero ormai definitivamente preso. Ne volevo ancora. Dovevo prenderne ancora.
Il periodo 1993-95 è stato il cuore della mia educazione sentimentale: occhi e orecchie spalancate, Videomusic e Radio Deejay a palla, l’“Intrepido” e “Dylan Dog” in edicola, e quando ero particolarmente ricco anche “Cyborg” e “Rockstar” (Max Prestia è stato il mio Lester Bangs), Last Action Hero e Il Corvo al cinema, le partite dell’NBA su Telemontecarlo con le telecronache di Guido Bagatta e Ugo Francica Nava, “Talk Radio” su Italia1, il Super Nintendo, le riviste di videogiochi scroccate dal compagno di banco ultraviziato che ovviamente aveva già il Super Nintendo in casa, i videogiochi della Simulmondo, le Nike Air Max, la pubblicità delle Nike Air Max con Charles Barkley che parlava in italiano, il Bologna in serie C1, Eric Roberts praticamente in ogni film al videonoleggio di fiducia… In tutto questo, Nannucci era il passaporto per i miei anni novanta: ci passavo davanti praticamente tutti i giorni, ogni pretesto era buono per entrare anche solo a dare un’occhiata o fermarsi fuori davanti alla vetrina a leggere la lavagnetta degli ‘ultimi arrivi’ scritti a pennarello in tre colori, rosso-verde-blu. Dopo la scuola, con lo stomaco che urlava dal digiuno, restavo per ore compulsivo e semiautistico a setacciare con la tenacia e il puntiglio dell’archivista fino all’ultima delle vaschette dei “fondi di magazzino” in cerca di chicche nascoste e offerte irripetibili, e in questo Nannucci – contando anche che non trattava l’usato – è sempre stato imbattibile. Avrei potuto mandarle a memoria quelle scansie; ero arrivato a conoscerne ogni singolo anfratto, e quanta roba trovavo e continuavo a trovarci! Dai vinili della Contempo a 1.950 lire a Skyscraper di David Lee Roth a 1.500 lire, dai CD sampler della Metal Blade e della Victory e pure della Discipline di Robert Fripp a – letteralmente – una manciata di spiccioli a relitti pop dell’Era della Cattiva Musica come gli A Flock of Seagulls o i D:Ream, dagli stock di forati con caterve di Songs of Faith and Devotion e Without a Sound e Five Dollar Bob’s Mock Cooter Stew che non si vendevano manco a piangere, ai gruppi metal più sfigati e improponibili sulla faccia della Terra (ricordo in particolare tali Warpath, facce da spacciatori meticci e fisico da scaricatore di porto, con una foto di copertina che li ritraeva probabilmente sul posto di lavoro, e la discografia completa dei thrashers Cold Steel con foto e disegni da far scappar via ridendo anche un bambino di sei anni). E i Cataloghi, anche. Una volta ogni sei mesi circa usciva il Catalogo di Nannucci, un malloppo fittissimo di nomi titoli e prezzi da cavarsi gli occhi anche solo a pensare di sfogliarlo: dentro c’era tutto quel che vendevano, anche la roba che non tenevano in negozio ma soltanto nei magazzini, e per me (e tanti altri matti evidentemente, visto che le migliaia di copie tirate ogni volta sparivano nel giro di pochi giorni) quel catalogo era come la Bibbia per uno studioso ortodosso.
Poi non so cos’è cambiato, forse il tempo che è passato (per citare il poeta). So solo che da qualche parte intorno al 2001 l’incantesimo si è rotto, la magia di quel posto scomparsa chissà dove; sarà perché nel frattempo era sorto il Virgin Megastore, con dentro molta più roba, un reparto metal da perderci la testa e prezzi assolutamente concorrenziali (oltre – ed era la fatality per me – alla possibilità di ascoltare gratis e ad libitum una serie di dischi di qualsiasi genere), sarà perché da anni frequentavo più che altro Underground e il reparto degli usati al Disco D’Oro (dove, timidissimo e spaurito, ero entrato per la prima volta per chiedere una copia di Revenge dei Kiss sempre nel 1992), sarà perché di soldi per comprare dischi nuovi ce n’erano anche allora sempre meno. O forse perché Nannucci nella mia testa era (ed è) il luogo della tarda infanzia-prima adolescenza, un posto da non sporcare con l’abissale malvagità del quotidiano, da preservare incontaminato e cristallino nei ricordi. Ora al suo posto c’è un outlet di libri usati; hanno anche un reparto musica, soprattutto vinili di vario genere, da Fausto Papetti ai King Crimson. Non ci entro quasi mai. Ho fatto un’eccezione qualche giorno fa; prima che la nostalgia mi prendesse alla gola sono riuscito a portarmi dietro un paio di CD, il primo Birch Book e un Amphetamine Reptile che mi mancava. Totale dieci euro, dalle mie tasche alla cassa. Niente carta di credito, niente account su PayPal, niente contrattazioni su eBay con uno scoppiato in Arkansas, niente giorni di attesa che arrivi il pacco, niente tasse o shipping costs, manco mezzo secondo a rovinarmi gli occhi davanti allo schermo del pc a scrutinare miliardi di pagine per trovare l’offerta più conveniente che ti fa risparmiare sessanta centesimi al cambio col dollaro. Forse domani ci torno.
afraid to shoot strangers inno alla gioia di noi 14enni nel ’90.. e Childhood’s End il pezzo da mettere nelle compilation alle sbarbe per iniziarle all’heavy rock
Fear of the Dark fu il primo compact disc che mi comprai il giorno in cui i miei mi presero un lettore compact disc. Entrai da Tosi Dischi, vidi il prezzo a 32.000 lire e pagai sussurrando tra me e me “ladri”. Povero ingenuo che ero.
Lacrime.
Più lo leggo/sento citare in giro più mi convinco che Max Prestia sia stato il Lester Bangs di una generazione.
quanti ricordi…
Trovo un modem 56k, mi riscarico napster limewire e kazaa e passo il pomeriggio sulle rispettive chat.
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Io ricordo come se fosse ieri la gita di primo liceo a Bologna (vivevo in Abruzzo). Nemmeno San Petronio andai a vedere, subito da Nannucci, e acquistai il mio primo cd originale: Birds of fire della Mahavishnu Orchestra…
Viva i negozi di dischi e i negozi di dischi negli anni ’90 (il mio è stato Rinascita a Via delle Botteghe Oscure, a Roma), però non so se devi essere grato al tizio che ti ha ammollato Fear of the Dark distogliendoti dal ben più geniale e ficcante Hanno Ucciso l’Uomo Ragno. Ieri, scaldando i motori per il Record Store Day, ho comprato l’intera discografia degli 883 a 23 euro e Albachiara di Vasco a 5.90. Il primo dei due l’ho dissimulato da regalo a mia moglie, il secondo senza ritegno, amo Vasco.
Il secondo appunto a quanto scrivi è che gli archivisti non sono puntigliosi e precisi, bensì svogliati arruffoni approssimativi e peracottari.
Viva la vynil.
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