I National, i tempi dispari e il mito dell’androgino.

Del mito dell’androgino non si parlerà però.

Mi piacevano i National. Non sono un gruppo che mi fa venire, né li ascolterei mai due volte dietro fila. Però in auto mi garbano assai. Per la strada che collega Pavullo a Zocca sono perfetti. Mi sa che li ho ascoltati esclusivamente in auto. Ci sono alcune cose che mi piacciono più di altre. La batteria e la voce. Questa faccenda di avere la batteria in faccia che non molla mai; e la voce. Voce che scavalla le battute, che sembra far fatica a finire un verso, lasciarlo andare e riprenderlo come capita, ma non come farei io.
I National anche solo voce e batteria sarebbero ok per me.

Poi succede questa cosa, che l’ultimo disco si apre con un giro di chitarra in 9/8, e la cosa mi ferma un attimo. Secondo pezzo dell’ultimo disco: 7/8. Mi fermo di nuovo.
Fermiamoci un attimo.

Pari e dispari. Puoi fare una canzone usando un tempo pari, e lo fanno circa il 90% dei gruppi. Puoi fare un pezzo epocale usando un tempo pari. Ed è ok. Non sto dicendo che un tempo dispari sia meglio di un tempo pari. Si capisce cosa intendo quando parlo di un tempo dispari? Voglio dire: tendenzialmente una canzone ha un ritmo, che è quello che segui quando muovi la testa su e giù. Se lo fai con regolarità, dove il su e giù segue l’inizio e la fine dei giri senza intoppi, è un tempo pari. Tendenzialmente il tempo pari è il 4/4. Conti fino a 4 e il giro di basso riparte.
Pensa alla prima canzone che ti viene in mente. Molto probabilmente è un tempo pari.
Idem con patate se parliamo di battute. La maggior parte dei giri è strutturata su 4 battute, che molto spesso significa 4 note di basso. Pensa a una canzone, conta le note del basso del primo giro, molto probabilmente sono 4. Possono essere due, chiaro, oppure 3 se una nota si ripete per due battute. Esempio ad usum cazzones: Love will tear us apart, canta il ritornello, 4 note, 4 battute, tempo pari, ci siamo capiti.

Ora ascolta la seconda traccia dei National, Demons, che è pure il primo singolo uscito, fai su e già con la testa, e a un certo punto zoppichi, il giro va per i fatti suoi, devi riprenderlo, è un 7/8.

Fare un pezzo dispari è più difficile. È come far stare in pari un tavolo in cui metti gambe di diverse altezze. No, ho sbagliato, mi spiego meglio: è più difficile fare un pezzo pop con un tempo dispari.  Perché per un certo verso spiazzi l’ascolto, lo decentralizzi, il battito del cuore è regolare, le pause durano sempre lo stesso tempo, il battere idem, un tempo dispari è un’extra sistole, destabilizza qualcosa, non fa chiudere il cerchio del ritmo nella maniera che ti aspetteresti. Se ascolti prog questi problemi non sussistono. Ma stiamo parlano dei National. E mi viene da pensare che non ci sarebbe nessun motivo per i National di far partire l’ultimo disco con dei tempi dispari. Di fare dei pezzi con dei tempi dispari.

Ma il disco si apre con questo pezzo, che si chiama I should live in salt

Il giro di chitarra è fatto da una prima parte in 9/8 (che è un tempo assurdo, è come aggiungere della pasta cruda a un piatto di pasta già in tavola, aggiungi un colpo ad un giro che era a posto così) e da una seconda parte in 8/8. Poi parte il ritornello che invece è pari.
Perché?, mi chiedo. Non so. Però è figo. Cioè, voglio dire: i National, aprono l’ultimo disco, il pezzo in realtà stava in piedi tranquillamente senza quel 9/8, senza quel giro sghembo che non sembra tale – perché quando usi i tempi dispari con un po’ di manico non li fai sentire, li amalgami e quasi li nascondi, ma ci sono -, e non è una cosa basilare, e certamente non è una cosa che trovi spesso in un gruppo di quel livello, eppure.
Eppure, dici, è un caso?
No: al quinto posto in scaletta arriva Sea of love, nonché secondo singolo del disco:

Qui il tempo è pari (la batteria, infatti, è drittissima, e non salta mai un colpo), ma il giro della prima strofa non è su 4 battute, ma su 5: la quarta nota del giro si ripete per una battuta in più. Poi parte un ritornello, e la storia cambia ancora, la voce ritorna sulle stessa melodia ma rimbalza su 3 battute, non più su 5, e nemmeno su 4.
Stacco di basso, dove il cantato dice “Trouble will find me” e il giro di basso ripete un paio di volte lo stesso giro, poi cambia melodia, si abbassa, e il pezzo riparte ma si attacca a metà di un giro, senza lasciarlo finire. Sembra una cazzata, è una cazzata, ma stiamo parlando dei National, di un singolo mondiale. Quindi il pezzo riparte dopo lo stacco, e c’è di nuovo la strofa su 5 battute, ma a un tratto, sulla strofa, viene cantato un ritornello (quello dove dice – credo-  “but they said love is a virtue don’t they etc”), poi parte una roba come un altro ritornello, ma non più sulla strofa in 5 battute, ma su quello che avevamo sentito all’inizio, su 3 battute. Poi finisce.
Messa giù così sembra di parlare di un pezzo prog. Non lo è. È un singolo, il secondo singolo del disco, con una struttura abbastanza anomala, decisamente anomala per gli standard, e decisamente sopra le righe. La maggior parte delle canzoni pop non funziona così. Strofa-rit-strofa-rit-ponte-rit. Amen.

Ok, basta, no? No. Pezzo successivo. Heavenfaced.
Un classico giro in 4 battute/4 note. Ma il tempo è un 3/4.  Che è un altro tempo dispari – anche pari nel cuore.

Per dire, è lo stesso tempo di Fake Empire, uno dei loro pezzi più significativi, e direi l’unico, nei dischi precedenti, a usare una disparità nel ritmo.
Io la finirei anche qua. Ma la penultima dell’ultimo disco si chiama Hard to find, ed è un altro tempo curioso, un 5/4, con un gioco di battere e levare dei colpi del piano abbastanza insolito, ascoltare e poi parlare:

Quel che mi è venuto in mente questa mattina, mentre ero per strada (Zocca-Pavullo/Pavullo-Zocca) e davo un rapido ascolto ai due dischi precedenti (Boxer e High Violet), è che nei lavori precedenti non c’è questa ricerca di fare dei pezzi irregolari, meno tracciabili. Nell’ultimo disco sì: sicuramente per alcuni dei brani migliori e sicuramente con più cognizione.
Può essere una cazzata, o una cosa che non frega a nessuno (non credo freghi granché a una buona fetta dei fanz della band), ma non è una cosa da niente, pensando a cosa sono diventati, a quanto meno avrebbero potuto fare, e invece non hanno fatto.
È una questione di complessità. E complesso non significa difficile. Significa uno spettro di possibilità più vario, più vasto, significa maggiore ampiezza di interpretazioni. I pezzi dei National non sono difficili, non ti depistano, non te ne accorgi neanche, ma sotto c’è un’articolazione che non sospetti, e in un contesto, quello mainstream, assolutamente non richiesta.
Fare un pezzo con un tempo dispari, con una modalità di composizione che ti rende tutto più difficile, meno immediato, con un tasso di rischio di suonare macchinoso molto più alto, è una scelta di campo. In un libro che si chiama La voce delle passioni J.L. Charvet ad un certo punto si sofferma sull’utilità o meno dei vocalizzi nell’opera barocca, su questo concentrarsi sulla forma senza una sostanza alle spalle, questo fraseggiare con la voce come puro esempio di capacità, di virtuosismo, di ornamento portato all’estremo. Ma ne ribalta il significato: «Non si orna per ornare, non si orna quando non c’è nulla da dire, si orna solo quando c’è esattamente qualcosa in più da dire». È un’idea.
Ecco, niente, volevo dire questa roba qui. Volevo dirla gratis e senza che nessuno me l’avesse chiesto.
Ora l’ho fatto e posso andare affanculo.
Poi
È CHIARO
che se mi chiedi un pezzo con un giro sghembo che non sta nei 4/4, mica ti metto su i National.
Però dai, ci siamo capiti.

11 pensieri su “I National, i tempi dispari e il mito dell’androgino.

  1. once upon a time on bastonate: i pezzi sulla schiuma sottopalla del bassista dei napalm death

    2013: i tempi dispari dei national wow oddio la pasta cruda cotta il pop sbilenco che novità subdola ora vi spieco la musica teoria vocalizzi barocchi ho letto un libro

  2. Mi sento un coglione.
    Perché ho sempre avuto questo tic del “non amare i gruppi che fanno canzoni”: per “gruppi che fanno canzoni” intendo tutti quelli che potrebbero benissimo scrivere un brano a casa loro con la chitarra acustica e poi arrangiarlo con la band, o infilare un fraseggio di tastiera in studio. Mi rendo conto che questo non-apprezzamento, formulato così, sembri una stronzata e un manifesto contro la musica. Ma se devo scegliere il piatto della bilancia mi butto sui riff, sulle strutture ecc, piuttosto che sul songwriting. Il songwriting mi pare sempre inaffidabile, sospeso tra il genio e la botta di culo: può darti la canzone della vita ma anche un disco di tracce da skippare; al contrario, preferisco l’elemento a esso complementare, che può essere l’energia, il groove, I TEMPI DISPARI o qualsiasi altra cosa.
    Ecco: ultimamente ho spesso usato i The National come esempio per attestare questa mia preferenza, dicendo antipaticamente cose come “sono un gruppetto che fa canzoni, senza grandi arrangiamenti e senza manco grandi canzoni”. Dopo il tuo articolo mi sovviene il pensiero che, se mentre ascoltavo Trouble will find me non avessi aggiornato facebook guardato i porno e letto Repubblica, forse avrei capito qualcosina in più.
    Stefano

  3. @Capra, peraltro secondo me dal vivo ti piacerebbero un pacco: io li ho visti un paio di volte e hanno un gran tiro, oltre ad una bella dinamica generale nell’interagire tra di loro e col pubblico.
    a berlino erano nel nostro stesso hotel e abbiamo scambiato 4 chiacchiere con matt, sembrava di parlare con l’amicone della porta accanto, molta americana umiltè e una bella coscienza di quanto sia figo fare la rockstar, tutto sommato.

    comunque secondo me questo è il loro disco migliore, anni luce da high violet che era un mezzo passo falso, sicuramente all’altezza di alligator e boxer.

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