TIGRE CONTRO TRIGHE (QUELLI BRAVI endorsing IL NIENTE ne I Giorni de #CIGLIONENO)

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Internet è una corsa, dovete immaginarla così, uno spara la cazzata e tutti i negroni partono velocissimi per esprimere il proprio parere entro dieci secondi. Bastonate è una specie di ciccione, grasso e sudato, che arriva un minuto e mezzo dopo, con l’asma, quando non c’è più nessuno ad accoglierlo. Tutto questo è per dire che ce l’abbiamo fatta, ecco il nostro parere sulla campagna #COGLIONENO: non ce ne frega un cazzo.

Non ce ne frega un cazzo dei giovani creativi, dei prodotti culturali, dei videoclip e della condivisione sui social, ma ancor meno ce ne sbatte del chiacchiericcio, dei pareri, delle non-argomentazioni prodotte dalla rosicanza generale suscitata, la tesi è questa (ed è anche corretta), dal fatto che due stronzi di video carini hanno avuto successo e si sono beccati un sacco di MI PIACE.

Mi ammorba la sociologia, mi ammorbano le scienze politiche (e, prima di continuare, vi faccio notare che sono passato alla prima persona, ma prima di puntualizzare con pignoleria come farebbe quel fascistone del vostro mito Travaglio, vi segnalo che lo fa anche Dino Campana nei Canti orfici e quindi potete andarvene affanculo perché lui è più hipster di voi – lui io, intendo), mi ammorbano il gender, il femminicidio, eccetera. Mi ammorbano in sostanza tutte le fregnacce che vi mettono nelle condizioni, assieme alla lettura di alcuni romanzetti alla moda, di ritenervi illustri sociolog(h)i che utilizzano la propria sociologia e vecchi e triti concetti marxisti (marxiani) PE DISCUTE SUI BLOG, pe avecce raggione.

Andate un po’ affanculo. Ma andateci, ve ne prego. E se vi chiedete en passant quale sia la nostra opinione sui creativi e i non creativi, non riusciamo davvero ad andare oltre l’abbacinante verità che il punto non è questo, il punto è che #nonavretemaisuccesso e quelli che hanno fatto i video ve l’hanno dato in culo (anche questo lo dice Campana da qualche parte, #quindisipuo) e a voi non rimane che simulare allarme democratico spendendovi citazioni troppo dotte e noiose perché qualcuno lo capisca, ma questo voi lo sapete, non volete esse capiti, volete esse ritenuti QUELLI BRAVI tipo su minimamoralia der cazzo (che poi che voglio pure io, minima moralia se chiama, mica FORZA LAZIO, cose ragionevoli e DEL BENE io non penso di trovarcelo), in una terribile, allucinante guerra tra pezzenti – tutti quelli che, per nascita, non fanno parte dell’aristocrazia e magari cercano di ricrearsi una cricca di INTELLETTUALI, un piccolo circolo degli artisti, però minore, che dall’aristocrazia vera verrebbe invitato giusto ad ammirare il giardino restando però fuori dai cancelli.

La creatività, il marketing, la condivisione in senso internet, gli intellettuali che discutono con facce miti e concentrate e parole un po’ desuete al chiarore di una lampada d’olio in pieno 2014, sempre accigliati, con la montatura degli occhiali spessa: queste cose non esistono, e se sembrano esistere, è un inganno del demonio. Il Circolo degli Artisti non esiste più, o meglio esiste, ma riconvertito in locale di merda e boro dove risuonano i DAJE* e gli studenti si accoppiano con quel loro look da Richard Hell & the Voidods che una volta, quando eravamo piccoli, era garanzia di aver trovato perlomeno un’altra persona sveglia e oggi, nel triste oggi, è solo un altro inganno, vestono così le debosciate e i cafoni delle periferie, vestono così gli avventori di locali di merda in quartieri di merda dove i Cani, peraltro, fanno sold out.

Così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato.

 

 

*Di prossima pubblicazione, “CONTRO IL DAJE” e la romanità in generale.

Addio vecchio 2013, ciao 2014! Il libro dei fatti 2013: dischi, persone, golosità, stronze, chiesa di † SHAYTAN †

#IOSTOCONSATANA

#IOSTOCONSATANA

Firenze mare/Ridin on a wet night. Il 2013 è l’anno in cui sono diventato padre. È inoltre l’anno in cui ho perso un caro amico, e indossato per la prima volta i vestiti che avevo voglia di indossare, senza sentirmi giudicato. Tutte queste cose rendono il mio punto di vista avveduto e corretto, e a tutte queste cose sono ispirate le considerazioni di fine anno che ho condiviso con gli altri tizi di Bastonate (ho mandato una mail trenta secondi fa a FF dicendo che avrei pubblicato questo pezzo, senza specificarne il contenuto, e poi facendo gli auguri di buon anno), e che ho sviluppato partendo dalla frase

Il depressive black fuso col funeral doom

Che ho letto su Wikipedia oggi pomeriggio.  Considerazioni sull’anno appena trascorso.

 Evento morte-male dell’anno: probabilmente c’è stato di peggio, è vero, ma un po’ per pigrizia, un po’ per sincera indignazione, io voto per la stronza che ha scritto che è ok far male ai gattini per sperimentare le stronze medicine che l’avrebbero salvata, come se le vite umane valessero più di quelle animali, come se quella vita in particolare fosse rilevante, in qualche senso. Ok, ho detto qualcosa di pesante, ho detto che la vita umana non ha valore: ma a parte che

Il depressive black fuso col funeral doom

c’è anche da dire che io sono cattolico, e inoltre ho letto 143 libri dal 1993 a oggi, e quindi certe cose posso permettermi di dirle; voi, che cazz’è, siete comunisti e disprezzate tutto, vi mandate i gattini via facebook tutto il giorno, e d’improvviso vi sentite le lacrime agli occhi per una vita, una vita salvata, e soprattutto vi sentite pronti a prendere parte a un dibattito il cui senso profondo non è altro che

Il depressive black fuso col funeral doom,

o forse sì, c’è dell’altro, ed è il disperato bisogno di esistere in questo bacato mondo social che fa twittare per essere viral anche nel peggiore dei momenti. Esco fuori dalla metafora (perché non la capite; sempre che io abbia fatto una metafora, perché non ne sono certo) e dalla scrittura creativa di alto livello (perché non la meritate; a proposito, ho lasciato per ora a metà Doctor Sleep di Stephen King, se no stavamo a 144) e dichiaro che il punto non è neanche prendere una posizione – la questione è ovviamente controversa, piena di contraddizioni, amo le mucchine ma a mio figlio do gli omogeneizzati e altre banalità -, ma soltanto esprimere disprezzo e valanghe di merda per una sciocca provocazione. La RICERCA. Ma annate affanculo.

(Il depressive black fuso col funeral doom)

Insulto dell’anno: “cane fascista” detto al povero FF/kekko per aver scritto che il Criber è “brutto e stupido come suo padre” (cioè come il Faber). TROLOL dell’anno: l’avevo scritto io.

Genere musicale morte-male dell’anno: non so se è propriamente “dell’anno”, ma sto faticando a venire a patti con questa storia che il black metal sta diventando pian piano un genere per ragazze, prendi i Liturgy, prendi i Deafheaven che spopolano nelle classifiche di fine anno e osano addirittura una copertina rosa, con la parola “SOLE” dentro. La cosa che mi turba non è tanto il fatto in sé – la moda prima o poi si porta via tutto -, quanto il fatto che, così facendo, il black metal ne beneficia grandemente, così come il post-rock, così come lo shoegaze, tutti generi morti e senza speranza da dieci anni almeno, che adesso messi tutti insieme tutto sommato fanno dei bei dischi. Lo so, i veri duri non lo ammetteranno mai, black metal ist krieg ecc., e pure a me piacciono le bottone tranvatone tipo i grandiosi Black Faith che – lo ricordo, perché ai più giustamente è sfuggito, mi hanno sfanculato su queste pagine perché volevo scriverne bene (avevano ragione loro: io sono un cazzone coi chinos che abbina i colori, e bestemmiare la Madonna non mi renderà una persona migliore) -, ma in fin dei conti, questa è grande musica, nonostante i tagli di capelli, nonostante

Il depressive black fuso col funeral doom.

Altri dischi dell’anno (tutti grossomodo ascoltati tra Santo Stefano e oggi): il disco dei Lumbar, dummone così dummone che non credevo nemmeno esistesse più; Castevet, una cafonata black/hardcore; Power Trip, un’altra cafonata; direi anche The Underground Resistance dei Darkthrone; e basta, perché tutte queste cose hard-metal le sto dicendo per essere bastonatamente rispettabile, mentre la verità è che amo e adoro, sono pazzo di Muchacho di Phosphorescent, un cazzone hipster che dovrei detestare e invece amo perché, con quest’album, ha abbandonato il pallido country-folk che faceva prima, producendo un capolavoro di synth-stupid pop vendittiano, un album di ballate patetiche e strappalacrime, Ride On/Right On è la sua Comunista al sole e una canzone toccante come Song for Zula non la sentivamo dai tempi di Miraggi. Poi per quell’aria Bret Easton Ellis non mi dispiace neanche l’album di Sky Ferreira, ma non l’ho veramente sentito; e quello di Kanye West, e Lorde, e Josh Ritter, e Vanessa Paradis, e il Criber e Samuele Bersani e

Il depressive black fuso col funeral doom.

Altre categorie:

attività-morte/tristezza dell’anno: l’editoria, soprattutto in Italia, soprattutto dopo l’affermarsi della categoria “prodotto culturale”

momento-mentecatto dell’anno: l’ideazione e la messa in atto (#psicanalisi) di Masterpiece

E, per un momento di benessere e serenità:

canzone dell’anno: Kathleen di Josh Ritter nella particolare versione suonata da me con una vecchia chitarra classica scordata, che il mio figlietto di sette mesi sembra amare molto ❤

PS – No, scherzavo, Bersani non mi piace, Bersani è una mignottopalla come poche altre cose. L’ho sentito da Fazio poco fa. Che palle, ancora con gli antidepressivi, ancora con la psicanalisi. Per il 2014,  non chiedo che poche cose, la fine dei social, la fine de quelli che vanno dallo psicologo e poi dopo un po’ stanno meglio e allora vanno in botta di psicanalisi e vivono tutto psicanalicamente, psicanalizzando tutto, innamorandosi di se stessi. Chiedo cose da nulla, insomma. Magari un tour dei Lumbar.

Lou Reed, 1942-2013

Lou+Reed+reed_lou

che poi quando muore un eroe assoluto ti accorgi che, nonostante lui abbia parlato a tanti oltre che a te (non particolarmente a te), e puoi quindi essere stato geloso dei Velvet Underground ma fino a un certo punto, e ai concerti c’era il pubblico generico, e talmente tanto ne parlava addirittura Repubblica quando usciva The Raven, ed era in fondo un po’ così essere l’autore senile dell’ennesimo progetto artistico ispirato a Poe; e i greatest hits, i concerti con il pubblico generico, Antony, essere i soli ad aver davvero capito Heroin – nonostante tutto questo, quando muore un eroe il vuoto è improvviso, e più grande. Sono anni che mi dico, e cosa faccio quando muore Bob Dylan?, e in qualche modo ero pronto. Non ero preparato alla morte di Lou Reed (quanto è banale dirlo? Ma non credevo fosse possibile). Cè una foto all’interno del terzo disco dei Velvet Underground, quello omonimo, in cui lui avrà molti anni in meno di me adesso e naturalmente non sa ancora tutto quello che si scriverà e si racconterà su quello che stava facendo in quei giorni – non sa nulla di tutte le band che verranno, e gli onori – tutta quella enorme, vana influenza (nessuno arriverà mai più in alto). Non sa ancora, in quella foto, che il 2013 e lo stava aspettando, e aveva i denti.

Quello che non sappiamo noi, invece, è che cosa ci resta da fare adesso.

Who loves the sun?
Who cares that it is shining?
Who cares what it does since you broke my heart?

La pesantata del venerdì, n. 3 // Vietcong Apparel

Il comandante Giap e Karl Kraus con la maglia della Lazio (courtesy of fotomontaggifattimale.wordpress.com)

Il comandante Giap e Karl Kraus con la maglia della Lazio (courtesy of fotomontaggifattimale.wordpress.com)

Fallimento USA. Evviva, evviva! Non siamo più gli unici falliti. Oltre ogni più rosea aspettativa, quattrocentomila americani – quanti sono gli americani? – si uniscono da oggi, massimo domani, alla massa felice dei senza speranza. Felice perché il mercato della non-speranza, con tutte le sue sottocategorie, dalle principali (precari nella vita, precari nell’amore, non ci sono i soldi per il cinema, non ci sono i soldi per il teatro) alle minori (chiudono gli istituti di cultura, e ora i baroni non possono più regalare briciole di borse di studio a dottorandi senza senso), ha dato di fatto un orizzonte, una mission, una vision (l’uso di termini aziendalistici fuori contesto è fatto puramente per irritare il lettore, ndr), diciamo un senso, per essere demodé, a tante vite perdute. Gesù Cristo, ma tutto ciò è di un cinismo impressionante. Forse lo è, ma sono sottoposto, incolpevole, innocente, al fuoco di fila dei commenti sulla vicenda da parte dei rivoluzionari da internet – quelle persone, sapete, wiki-educated, facebook-wise, che straparlano di questi fatti con tono guerrigliero e antagonista, rimanendo peraltro indulgenti sulla propria ghiottoneria di consumismo. Postano, twittano, si accalorano, si piacciono (non trovate perverso il meccanismo del “mi piace”?), producendo una gran massa di contenuti che assomma ad esattamente niente. Il tutto per mezzo di canali e strumenti messi a disposizione al costo di diverse centinaia di euro, oppure del fornimento gratuito dei propri dati, da multinazionali malate e ammalanti che costituirebbero, poi, il cuore di tutto ciò a cui si oppongono, e che oggi sta divorando se stesso, in una accelerata forse definitiva verso la morte.

Ovviamente scherzo, io amo gli americani. Tutto ciò che hanno prodotto. Quasi tutto ciò che hanno prodotto. Ok, mi piacciono gli Stooges. No, ma diciamo la verità: quanto cazzo so’ stretti i vestiti di American Apparel? Ma soprattutto: quanto è ingannevole il fatto che, per venire incontro alla gente comune di norma frustrata dal vedere modelli magri e belli pubblicizzare marche che proprio per questo non verranno comprate, ha utilizzato fotomodelle pienotte? No, dico, è uno scandalo, un attentato paradossalmente quasi sovietico alle individualità e alla coscienza personale. Tu non puoi fare la cazzo di 36 stretta puttana merda, perché indossare una 36 ti fa sentire automaticamente un ciccione estromesso dalla vita contemporanea, ma come sarebbe che la 34 non mi sta, io ho lottato tutta la vita per la 34 e adesso sono costretto a tornare di là, prendere la taglia più grande, tornare in questo sgabuzzino dove un altro feroce corpo a corpo con della stoffa corduroy non servirà ad altro che a mostrarmi che anche la 36 è piccola. La 36 piccola è un crimine contro l’umanità, la 36 piccola non deve esistere, ed io piccolo Nguyen Giap del cazzo muoverò abilmente le mie pedine e i miei uomini topo finché non avrò messo in piedi un brand che umilierà il vostro. Che poi, ora che ci penso, i vietnamiti (nord e sud) probabilmente si sarebbero trovati benissimo coi piccoli capi American Apparel. Una nazione con la 29, Dio li benedica. La 38 da American Apparel non esiste proprio. Chi ha vinto, davvero, in Vietnam?

Decadenza e morte. Questo rimane oggi dell’impero che produsse una sovranità mondiale così pervasiva che quando vai in Texas ti ci ritrovi meglio che alla Garbatella. E quello che è irritante, almeno per noialtri pochi reietti che ancora ci aspettiamo una qualche fioca luce dagli intellettuali, è che anche da quel punto di vista, adesso, siamo veramente a ground zero. Prendiamo per esempio l’ultimo libro di Franzen. Tutto questo post è un pretesto, volevo parlare precisamente dell’ultimo libro di Franzen, che si intitola The Kraus Project ed è un’insopportabile riscoperta-appropriamento-riproposizione degli scritti di Karl Kraus tradotti e commentati da Franzen stesso, che in questo modo li dona finalmente agli americani, e per mezzo degli americani a tutti gli americani di provincia, compresi noi stronzi buoi con la nostra editoria stronza e buoa che probabilmente in questi giorni si sta accaparrando i diritti d’autore per proporre più in là una costosa edizione italiana del libro, già me la vedo, Stile Libero Einaudi Big, costina gialla antiestetica e carta da culo usata per l’interno. Una collana capace di rendere brutto qualsiasi libro pubblicato all’interno. Venticinque euro. Qualche mese dopo l’edizione nei supertascabili. Dio maledica l’Einaudi colorata. Affanculo l’Einaudi colorata e l’influenza del book design anglosassone. Ma dicevamo del Kraus Project. Non ho nulla contro Karl Kraus e in generale contro l’entusiasmante Vienna in cui viveva – tra l’altro, avete mai riflettuto sul come la città più straordinaria della modernità si sia trasformata nel giro di pochi decenni nella più bolsa, irrilevante e noiosa meta turistica d’Europa? -, ma io odio gli intellettuali quando si innamorano di autori minori, se ne appropriano e tutti contenti come ragazzini veicolano un messaggio che ne sopravvaluta di molto la portata, e che viene a sua volta fatto proprio da un pubblico talmente ignorante da essere catturato da qualsiasi fregnaccia ben presentata e da essere privo, peraltro, di propri strumenti di valutazione. Dio che odio la copertina del libro, che sagacemente riprende questa grafica primi-900 e Die Fackel. Prepariamoci a questa riscoperta generalizzata di Karl Kraus, il povero, incolpevole, minore Karl Kraus – minore Karl Kraus?!, sì, minore puttana merda, perché anche se il nostro massimo sforzo intellettuale è Crozza, la satira è inferiore all’arte drammatica e un buon battutista, persino il principe dei battutisti, non sarà mai re nel mio cuore. Prima di dire qualsiasi cosa, prendete qualsiasi farsa o satira o commedia di tutti i tempi e paragonatela al momento in cui Ettore chiede pietà, e Achille gli risponde: muori.

Muori: ecco, in appendice, la muori-list della settimana, editata da una commissione di saggi e in uscita tra centovent’anni per Farrar, Straus and Giroux, curata e tradotta dal pronipote del pronipote stronzo di Jonathan Franzen.

–          O tu che domani sovvertirai l’ordine costituito indossando la maschera di Guido Fawkes (#respect) a Roma, riducendo perciò la tua protesta a nient’altro che esibizione (nient’altro che intrattenimento), e impedirai a me di circolare, e intanto continuerai a non leggere, o tu rivoluzionario dei miei coglioni: muori!

–          O gioventù sulla quale ha influenza ideologica non già un filosofo fedifrago o un muezzin berciante, ma un film per ragazzi peraltro brutto come V per Vendetta: muori!

–          O tu che ti spogli in piazza per mostrar che, a differenza della nostra odiosa classe politica, tu non hai niente da nascondere, non il tuo corpo imperfetto, eppure così bello, proprio perché imperfetto: muori!

E in tutto ciò l’ATAC continua a scioperare. Quattrocentomila dipendenti raccomandati e se lamentano. Sarà che gioca la Roma stasera. V per Vaffanculo. Mi incammino. Buona domenica.

NB; il pezzo contiene alcuni elementi di fiction. Del resto, si fa della letteratura, qui. Le finzioni sono le seguenti: i pantaloni di American Apparel taglia 36 mi stanno, anche un po’ larghi (beccati questa Satana). Non è vero che qualunque libro uscito per Stile Libero Einaudi, Big o non Big, sia brutto: Open di Agassi è bello. Lo stesso vale per l’Einaudi colorata, i supertascabili, come si chiamano. All’interno di quella collana, hanno avuto l’ardire di mettere Una questione privata di Fenoglio che è un capolavoro, e se ne muore più triste e solitario di Fenoglio stesso nel vedersi accanto Miyazaki (no, come si chiama quello scrittore giapponese che piace alle donne? Murakami Haruki, tipo?). Invece se non sbaglio proprio i libri di Murakami Haruki li hanno rifatti in una collana con design di Noma Bar, che è un grosso. L’ho conosciuto a Ferrara e mi ha detto di andarlo a trovare se vado a Londra. Non so se diceva sul serio, penso di sì, però nel dubbio ho deciso che non andrò mai più a Londra. Infine, non so quanti siano i dipendenti dell’ATAC, so solo che sono tanti e che l’anno scorso è uscita la notizia che era traboccante di raccomandati. Poi è finita così, scandalo scandalo, è arrivata la domenica, ha giocato la Roma, ha giocato la Lazio, e pace così. Gli autobus continuano a non passare. Quello vaga in bicicletta per i fori imperiali. Io non lo so. Forse mando il curriculum all’ATAC.

PS: la buona notizia della settimana è che ho iniziato Doctor Sleep di Stephen King e le prime trenta pagine mi hanno fatto cacare sotto. 

La pesantata del venerdì, n. 2 // I nemici di noi giovani, del popolo, del buonumore, fanculo la legge e la giurisprudenza

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§ 1 – Mettono in prigione gli artisti

Hanno incriminato Banksy. Cioè, non so se lo hanno incriminato, ma qualche cazzone social-twit gli ha fatto una foto di notte, l’ha condivisa, e ora che il mondo conosce la sua faccia, Scotland Yard è sulle sue tracce. Capite, vaffanculo. Hanno sorpreso un fiorentino, Michelangelo, che disegnava un grande vecchio nudo che toccava un giovane e… No, non è questo l’esempio giusto ma ci siamo capiti. Hanno mandato bevuto Caravaggio a Malta, per un’inezia tipo aver ucciso un uomo, quando loro stessi perpetrano un vero crimine come coprire le rovine preistoriche con dei teloni. L’arte è amica dell’uomo, l’arte non si incrimina e oserei dire, non si condivide. La legge, invece, è nemica di noi giovani, ha il palo al culo, la legge è contraria al benessere umano, qualunque legge. Tranne la Torah. Però la Torah ha la particolarità di essere una legge che rende liberi, e quindi di essere tra le cose sgradite ai più. Perché da noi, nel senso di noi società d’oggi sempre all’erta, sempre connessa, manca la libertà. Anzi, peggio: noi detestiamo la libertà, ci fa schifo al cazzo proprio, a meno che per libertà non si intenda la puerile accezione del, “se mi voglio fare le canne chi sei tu per dirmi di no”. No, noi detestiamo la libertà vera, con le responsabilità che comporta – il fatto è questo, noi detestiamo ogni tipo di responsabilità, ogni tipo di possibile fallimento che la responsabilità comporta, ogni forma di impegno, anzi chiamiamo impegno, o inseriamo sotto quella casella, devastanti spionaggi, insopportabili intrusioni nella vita altrui. Ne consegue che detestiamo anche il merito, che amiamo i cartelli, le gilde. I nemici del popolo e di noi giovani siamo noi stessi.

§ 2 – Indossano cravatte da matrimonio

Poi c’è la storia delle cravatte da matrimonio. Quei cravattoni celesti, argentati, a volte rosa – ma grossi in ogni caso, splendenti al sole, splendenti nelle tenebre, cangianti alla luce sul fondo bianco delle camicie. E quando dico camicie intendo camicioni potentissimi, super stirati, inappallottolabili cazzo, sono loro a stirare il ferro. E quei colletti così inamidati da essere taglienti. E quegli abiti grigio chiaro, meno spesso blu o grigio scuro, più spesso in tutte le varianti del gessato. Sono gli ineleganti squadroni del potere – potere inteso nel senso, professione, avvocatura, studio notarile e giurisprudenza in generale, con ciò che ne consegue e cioè: UDC, alte cariche, bisignani (come plurale di nome comune), i salotti del potere, le banche, le fondazioni; sono le persone che hanno poi alti incarichi accademici, e sono quelli che portano la bara del papa in guanti bianchi, quando muore il papa – non tutti, in effetti. La bara del papa da quante persone sarà trasportata, da sette, da otto? Bè, tutti tranne due sono di questo tipo qui – uno è un ristoratore, non lo so perché ma i ristoratori hanno talvolta entrature in Vaticano, ma non entrature del cazzo eh, entrature che tipo poi tutta la Santa Sede è popolata da figli e figli dei figli di questi qui, che poi uno dice: ma se magnerà poi così bene?, e la risposta è NO, non si mangia bene a questi ristoranti romani del cazzo con tipo le tovaglie verdi, dei nomi tipo MASCARPONE o NAZZARENO, oppure di luoghi assurdi, tipo Giuseppe ar Maronaro, Giggetto ar Pianderculo. Non  lo sopporto, non ce la posso fare, ma perché i ricchi e i potenti, quelli con la cravatta da matrimonio ma non solo, anche tipo i calciatori della Roma o Nathalie Caldonazzo, ecco, perché questi vanno a sti posti qui, dove tipo pagano un antipastino misto, je lo faccio n’antipastino misto de tera, che poi è prosciutto e mozzarella, costa 28 euro e non è buono nel senso che se te lo fai a casa è uguale? C’è un potere che mi sfugge, e che serpeggia per le strade sconnesse di sampietrini lucidi di piscio di questa bella città, e che ne rappresenta l’anima più nera ed autentica. Buon lavoro Papa. Secondo me finiamo male. Per la cronaca, l’ottavo portantino è tipo un criminale di guerra, o un conosciutissimo sicario della malavita romana. Non so perché. E’ così.

§ 3 – Uccidono. Se ne fottono.

Il punto tre è più lieve. Che cazzo Daniè, è il fine settimana. Parliamo del fatto che sono morti quei poveracci a Lampedusa, e come premio hanno ricevuto la cittadinanza italiana (i morti, che per questo motivo in paradiso – dove peraltro avranno accesso dopo i trecento anni di purgatorio obbligatori per gli italiani, tutti gli italiani, nessun italiano, neanche se buonissimo, ha diritto all’accesso diretto – saranno guardati male e con attenzione nei negozi celesti dai morti virtuosi, tedeschi, inglesi, nordeuropei, qualche francese) oppure l’essere rispediti affanculo in Africa, con in aggiunta il marchio d’infamia della INCRIMINAZIONE. Come un Banksy qualunque, capite? Non è semplicemente un, lei torni in Africa, ci spiace, è più un, vai via negraccio. A me questa cosa fa orrore, come fa orrore la reazione isterica del bandire una legge fascista che abbiamo tranquillamente sopportato e avallato per anni, e mi fanno orrore le facce di merda compunte in parlamento, con quelli seduti dietro che non parlano che hanno la faccia ancora più compunta e stanno pensando in realtà ai loro loschi traffici, alle loro cravatte da matrimonio, a che stasera c’è la Roma e speramo che Letta la smette. Più di tutto, mi fanno orrore i giovani dei partiti politici che parlano con la stessa quieta brama di potere, con lo stesso non-linguaggio vecchio e stanco a difesa di vecchie e stanche figure che hanno trovato questa formidabile scusa che “l’Europa non ci aiuta”, il che sarà anche vero perché l’Europa è un sacco di merda pieno di disprezzo per noi, e l’estero un concetto malato a cui dedicherò una Pesantata prima o poi, nondimeno noi restiamo quelli che ributtano la gente in mare, e diciamo, almeno una volta nella vita, che però, sti stranieri…

Conclusione/Appendice – Una nota lieta

Ogni volta che muore un nazista, a un angioletto spunta un nuovo boccolo d’oro.

Vai affanculo Priebke! E buon sabato.

La pesantata del venerdì, n. 1: licenziarsi ballando, e intanto altri muoiono, e intanto tutto collassa

Balla

[“La pesantata del venerdì” è la nuova rubrica di Bastonate. Se ne prevedono uno edizioni. Parla di quanto fa schifo il mondo usando argomenti incomprensibili ai più. Chi li capisce è inevitabilmente d’accordo. Viene pubblicata il venerdì. Oggi è giovedì. Vaffanculo] [Questo pezzo è ispirato a questo video]

Arriverà un giorno, non so quando ma arriverà, che una guerra, la morte, o la peste, porranno fine a questa civiltà insulsa. Questo postaccio chiamato L’OGGI dove i Giovani hanno dai 28 ai 34 anni, una stupenda idea creativa ciascuno e un paese migliore – non il loro – dove esprimerla.  Voglio dire: ma ve ne accorgete, voi, che la pubblicità ci ha divorato corpo e anima, forse è anche peggio della “pubblicità”, è il commercio totalitario, la compravendita generalizzata e qui mi fermo prima di arrivare a dire parole tipo LA MERCIFICAZIONE che darebbero a quanto scrivo l’aspetto fastidioso di una di quelle stronzate che scrivono quelli che sono stati all’università. L’università, bòni quelli: saprebbero spiegarti perché i social network distruggono le relazioni sociali, descriverti che la mancanza di credenze religiose disgrega una società, o dimostrarti  come e perché – in quali punti esatti, da quali fonti – le opere di Shakespeare siano tutte scopiazzate, ma non sarebbero mai e poi mai capaci di assumersi la minima responsabilità intellettuale, dire, che so, che i social network sono una stronzata propagandata dal demonio, che Dio esiste, e che questo è dimostrato dalla ineguagliabilità delle opere di Shakespeare .

Ma tornando al punto, se mai lo ho toccato: possibile che ci siamo davvero ridotti a questo, a una paralizzante ossessione per noi stessi e per l’intrattenimento e per il modo migliore di farci vedere, propagandarci, venderci, equivocando come Geniali e Rispettabili questi sporchi trucchi da mercante   – ci potete mettere tutti i NEURO che volete, ma l’essenza principale delle povere discipline che studiate è vendere quanta più roba potete a persone che in linea di principio non la vorrebbero.

Ossia: vaffanculo! Che non è molto social strategy planner designing viral manager da dire, ma è tutto quello che in sostanza si può commentare se vedi che siamo ridotti a un tale amore di noi stessi, a una tale autoreferenzialità per così dire sociale (“me stesso me stesso me stesso” e “questo lo metterò su facebook” sono in sostanza i due pensieri nascosti nel retro di pressoché tutte le nostre azioni) da progettare in modo cool-viral un auto-licenziamento dovuto principalmente alla scoperta che il mondo del lavoro è piuttosto duro (questo almeno a giudicare dal “lancio” di questo video, poi non so: è vero, non dovrei giudicare senza conoscere le situazioni a fondo, ma è vero anche, credo, che non mi si dovrebbe ballare in faccia per così puerili ragioni) e non è hip-social-fico-tuttoungioco come ce lo hanno/ce lo siamo raccontato. Ragazzi è così: è una merda. Nel mondo del lavoro, potrei dire nel mondo, contano non-valori di taglio esclusivamente commerciale, e non ne sarete esclusi proprio voi, perché seguite gli stessi schemi. Seguiamo, se volete. Abbiamo lo stesso approccio, la stessa impostazione, usiamo la stessa accezione pubblicitario-effimero-antropologica di “cultura” intesa come “tutto ciò che facciamo e ci sollazza”; usiamo il termine PRODOTTO in modo non dispregiativo, guardiamo Mad Men (“le serie tv sono cultura”) che ci rassicura ancora di più che la pubblicità sia cultura, la vendita sia cultura, fare soldi sia un’attività che se fatta con dei bei vestiti addosso diventa nobile – oltre che divertente e spendibile in società, cosa che poi è il requisito minimo. E il motivo per cui la tizia si è licenziata. Si è sentita di non star facendo niente di particolarmente Williamsburg. Deve essersi sentita non cacata. Non connessa. Non viral. Così si è twittata, si è condivisa. Ha cercato di mettersi carina prima  – ci ha pensato bene, per via della spendibilità in società, capite. Che poi vuol dire in gran parte “sesso” ma non ho voglia di discutere questo punto non tanto perché è banale, ma quanto perché la cosa – finalizzare ogni singolo gesto, pensiero, ogni azione all’accoppiamento e ritenere la cosa giusta e santa – rappresenta un così gran valore, uno scopo così totalizzante per quasi tutti che cercare di proporre un’altra visione della cosa sarebbe del tutto sterile.

Ma insomma, dicevo. Ti vuoi licenziare, e per farlo  you go viral. Sapete cosa farebbe una persona seria se volesse licenziarsi? Cosa farei io. Io andrei lì dove lavoro, armato, e ne chiuderei dentro con me dieci o quindici. Poi aspetterei che si creasse tutto lo psicodramma, il matto chiuso dentro, le forze dell’ordine, e ne ha liberato uno, due, gli ostaggi liberati ad ora sono quattro, alla fine tutti, e poi una volta rimasto solo, quando ormai col megafono sono certi di convincermi a cedere, da dentro un urlo – sono io che urlo -, non s’è capito bene cosa urlava il pazzo ma è sembrato AMLETO IN PURGATORIO, e poi l’esplosione, lo schianto, le fiamme contro il cielo notturno. Viva le forze di polizia, viva i nostri eroi che hanno circoscritto l’incendio e salvato quasi tutto (87,34 euro di danni alla fine, che saranno mandati alla vedova).  Era normale, dicevano i vicini. Un po’ cupo, a volte. I bambini avevano paura quando usciva con quel cagnaccio nero. Una bestiaccia feroce, sporca. Mica tanto normale alla fine: nel suo laptop aveva diciotto giga di mp3 musicali tra cui il disco di ICONA POP scaricato tre volte (una nella cartella INCOMPLETE). I giornalisti scopriranno questo blog e con pathos e spettacolarizzazione diranno: lo aveva annunciato su internet! E insomma così. Dove eravamo rimasti?

Eravamo rimasti a che stavamo per dire che Kurt Cobain, il più grande autore rock insieme a Dylan, ha detto sul tema che “non puoi licenziarmi, sono io che me ne vado”, che è un po’ la versione sana della disperazione, è un po’ lo stesso modo di fallire, senza però l’arroganza dei giovani (28-34) iperconnessi di oggi. No, non è vero, è tirata per i capelli: volevo solo dire da qualche parte che il box di In Utero sarebbe davvero da comprare, se compraste dischi. Come non detto. E’ uscito il nuovo iphone, affrettatevi!

Tutto quanto ho scritto, si potrebbe sostenere, è perfettamente inutile, se non altro perché è già stato detto e ripetuto mille volte, la più recente di cui ho notizia in occasione del saggio di Vargas Llosa, La civiltà dello spettacolo. Ma il fatto è che Mario, non c’è un cazzo da fa’: non li comprano i libri, non li leggono. Proviamo con mezzo blog. Proviamo, proviamo…

“This Is…Icona Pop” [is] a collection of cranked-up, EDM-influenced pop that sounds like a cross between ABBA’s Gold and Andrew WK’s I Get Wet. “Then We Kiss” is a perfect closer– the kind of song to the tune of which balloons and confetti fall out of rafters– and its final, chanted lines (“All I wanna do is have a good time”) serve as a succinct summary of the 32 minutes that have come before. The only thing Icona Pop take seriously is fun, which is to say that they don’t take anything very seriously at all [da http://www.pitchfork.com]

Ars Goetia – La fotografia come arte del maligno

01_Striscia gialla

Siete solo degli sporchi hater, la striscia gialla c’era davvero al momento in cui venne scattata questa foto rubata a me, proprio a me, povera me, che guardacaso ero nuda sulla riva di quel lago vulcanico in Tozandia

    Cominciò con funesti segni nel cielo, la luna color del sangue, una cometa con due code, ma nessuno dette ascolto agli astrologi. Poi iniziarono le nascite prodigiose, poi si ritirò il mare. Il terzo giorno si oscurò il sole, e a sera ci venne la zeppola a tutti: la fotografia digitale era arrivata tra noi, e non se ne sarebbe andata mai più.

Voglio dire: non stiamo certo qui a farci le pippe come quel coglione di Benjamin sull’arte e la facilità del farla, se non altro perché non l’abbiamo letto né abbiamo l’intenzione di farlo [una parentesi: sapete qual è oggettivamente il libro più coglione del mondo, intendo dire, dopo Infinite Jest? Ma naturalmente è Il narratore di Walter Benjamin nella preziosa edizione Einaudi con annotazioni di Alessandro Baricco, Alessandro Baricco del cazzo che nel sottobosco della sua cazzo di scuola Holden, intitolata ora che ci penso al protagonista da cazzo di un altro libro coione non da poco, e su dai, e dìmolo, in questo ambiente velleitario e insopportabile ha – immagino – idolatrato oltre ogni ragionevole dubbio questo scritto minore dedicato a uno scrittore minore da un pensatore tutto sommato minore, e ha brigato (=rottercazzo) per farlo ristampare con tanto di sue osservazioni a margine che sono tipo del livello “Cantagliene quattro, Walter!”. Da avere!], non siamo qui, dicevo, a fare filosofia, ma non c’è dubbio che quando il gusto non esiste, e la cultura non c’è, e l’ignoranza ricopre tutto e tutti col suo nero manto d’oblio; e quando insomma un po’ ovunque il disastro avanza, le inquadrature de sbieco sono scambiate per Arte, e come se non bastasse il delirio tecnologico ha messo alla portata di chiunque la possibilità di scattare e post-produrre (manco sempre, manco troppo) fotografie  – ecco che arriva per noi una suprema ragione di fastidio, e forse, finalmente, una non dovuta al nostro complesso di inferiorità.

Sto parlando, se non si è capito, della fotografia demmerda, di flickr del cazzo, e di un mondo fatto di cappelli di peluche e scampoli di infantilismo e computer grafica 8-bit  e un tocco di Preraffaelliti (ma appena appena, diciamo un superficiale apprezzamento delle donne coi fiori in testa); sto parlando di donne magre, a volte non magre, a volte uomini, che si vergognano di sé, eppure sentono forte il bisogno di esprimere questo minuscolo sé, e offrono perciò a tutto il mondo fugaci visioni dei loro piedi, delle loro scarpe, delle loro mezze facce e dei loro abbigliamenti bizzarri. A volte si intravede una stanza, e se si intravede c’è da qualche parte un antico cavalluccio a dondolo, o dei fiori morti, o delle cornici vuote o tutte e tre le cose, uno scenario manco da film horror che a un certo punto, pare, abbiamo deciso faccia tanto romantico abbandono artistico e nonchalance, piuttosto che oddio, quel vecchio pupazzo si animerà e prenderà la mia vita nel punto più buio della notte.

Io non lo so da dove arriva questa cosa, chi sono stati i cattivi maestri, e chi i pubblicitari di questa estetica. E se ho dei sospetti ben fondati in letteratura (il pedofilo Salinger e, giù di lì, il nullatenente Carver e via via praticamente tutto ciò che ha pubblicato Minimum Fax nei suoi anni ruggenti) e tutto sommato anche in musica (lì il problema fondamentale è stato l’indie-rock dei tardi anni ’80, per non dire Neil Young), mi sfugge ancora chi e cosa e su quali basi abbia convinto una manica di stronzi che la fotografia è la cosa, l’iPhone un progresso, e la loro strada nella vita sono le inquadrature bizzarre. Ho letto un libro tempo fa (solo perché era breve), Ways of Seeing di John Berger, che teorizzava tutta una pippa marxista sul fatto che i quadri servono a fa’ vede che sei ricco, e da qualche parte accennava al fatto che la fotografia è la pittura a olio del ventesimo secolo. Molto peggio John, molto molto peggio. Qui non siamo più neanche al punto di chiamare a casa un tizio, un pittore o un fotografo, che rappresenti con una certa perizia tecnica quanto sia bella casa mia. Qui siamo al fraintendimento totale del fatto che c’è un bello anche nella sottrazione, anche nel vuoto e nel poco, e alla sopravvalutazione devastante del “fare da sé”, della non-necessità di una formazione di qualsiasi tipo, anche solo di un pochino di cultura, e il lato forse peggiore è che esistono pure degli esempi di gente che in effetti ha fatto qualcosa di importante senza alcuna preparazione: ma se Steve Jobs non era laureato questo non vuol dire che chiudendovi in garage progetterete un computer tondeggiante e un telefono costoso che terranno in pugno il mondo. Voi siete i tenuti in pugno, capite? Voi siete gli acquirenti e i clienti di un sacco di cose che pagate un sacco di soldi che vanno a finire in operazioni trucide. Dietro a ogni multinazionale, ricordatelo bene, c’è in realtà una ditta di sterminio di cose carine. Gli schermi dei dispositivi Apple sono così lucidi perché vengono sciacquati uno ad uno nel sangue dei micetti. I cagnolini li utilizzano per rendere più scorrevoli le rotelline dei mouse. Mouse che sono veramente fatti di topo – di delizioso topo bianco, di amabile cavia, in alcuni casi, o di teneri e batuffolosi piccoli di scoiattolo.

Ma non ho smesso di insultarvi. Voi fotografi amatoriali, voi attrezzi che infestate le bancarelle del mercatino del Pigneto manco pe comprà, ma per fotografare le bancarelle con effetti rétro, voi siete l’incolta, orrenda stirpe figlia di questo mondo di dolore, andato completamente in rovina perché si è auto-educato su internet, si è informato su twitter, e si è sfondato di telefilm americani autoconvincendosi che tutto questo sia importante, significativo in qualche modo, “le serie tv sono l’equivalente contemporaneo della pittura nella Firenze del Rinascimento” è il sottotesto di un recente articolo apparso su Esquire.

Ed ecco per voi una serie di cose che non servono a un cazzo, non interessano a nessuno o forse sì (a voi stessi), ma mai e poi mai e ancora mai vi qualificheranno come artisti, o anche solo come persone: Parigi; Parigi e i suoi vecchi negozi; Parigi e un bicchiere di pastis in un vecchio locale dal tavolaccio di legno, come quello della famosa foto di Verlaine vecchio rincoionito; gli stivaletti da educatrice di Lovely Sara; Lovely Sara; il recupero dei cartoni animati in chiave non fuorisede-Toretta ma gnìgnì-gnègnè; le serie tv; i vecchi apparecchi televisivi; i registratori fisherprice; i mangianastri; i mangiadischi; Susan Sontag; Susan Sontag e i suoi capelli da puzzola; Susan Sontag e la bellezza e la fierezza di non essere belle bensì fiere e perciò belle; il vinile fine a se stesso tipo: il nuovo dei Knife in vinile; la magrezza maschile; le magliette aperte sul petto; il vestirsi come un barbone e illudersi di non sembrarlo in zone altre dal piccolo tratto pedonalizzato di Via del Pigneto; il Pigneto; le parole off e hip; il dialetto romano; i ghirigori fatti col pc; le strisce di colore insensate; gli effetti di Instagram; Instagram; tutta la musica, tranne che quella che non vi andebbe mai di sentire. Ora, che di tutto ciò non vi importi nulla ne sono più che certo – in centoquaranta battute non avevo detto ancora neanche solo una parolaccia. Il bene ha perso di nuovo. Gli occhietti degli ex-scoiattoli vi guardano dalla plastica bianca del vostro mouse e, come al solito, non c’è nulla che si possa fare.

Ecco la fotografia che ci piace a noi, tutte persone ciccione e tornite, tutti colorati di colori pacchiani, coi putti nudi sullo sfondo e la cornice d’oro zaura

Tema: IL MIO PRIMO CONCERTO. Svolgimento:

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Loreto impagliato e il busto d’Alfieri, di Napoleone,
i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto!)

(Guido Gozzano)

Quanto racconterò nelle prossime righe sembra tanto falso quanto è in realtà follemente vero. In ogni dettaglio, a cominciare dal principale, ossia che il mio primo concerto è stato un concerto dei PINK FLOYD. Nel senso: non è strano che io sia vecchissimo, quanto il fatto che un fico totale e assoluto come me abbia iniziato la propria carriera con gli Alfieri supremi del riccardonismo. Anyway. Il ventuno settembre del millenovecentovantaquattro, tre giorni dopo l’inizio dell’anno scolastico (questo è abbastanza rilevante nell’aneddotica legata a questa storia: probabilmente, il tempo di finire il pezzo e me ne sarò dimenticato, ma qualora me ne ricordassi, tornerò su questo punto più in là), i Pink Floyd, freschi del loro anti-capolavoro The Division Bell (un disco in seguito assurdamente popolare, una vera hit delle persone di cattivo gusto, delle persone che non conoscono nient’altro dei Pink Floyd tranne questo e The Dark Side of the Moon, ma amano i Pink Floyd per questo e per The Dark Side of the Moon, il The Dark Side of the Moon degli anni ’90, dunque, nel senso di disco pessimo da qualunque lato lo si prenda, cacofonico e anticanonico nel più selvaggio dei modi), suonarono a ROMA. Io venni a sapere della cosa dalle pagine della rivista ROCKSTAR, all’epoca la mia preferita, e in un giugno o luglio TORRIDO mi feci portare da mio padre a comprare i biglietti alla STEFANEL di VIA COLA DI RIENZO. Tutto quello che ho scritto in stampatello, è in stampatello a indicare assurdità e incredulità: ROMA, cioè, Roma non è mai la sede di concerti; ROCKSTAR, cioè, Rockstar!?; TORRIDO, cioè, e quando mai fa caldo a Roma?; STEFANEL, cioè, perché vendevano i biglietti in un negozio di vestiti?; e VIA COLA DI RIENZO, perché sebbene di fatto io debba essere pur andato a Via Cola di Rienzo nei primi quindici anni di vita, tuttavia non ho alcun ricordo di Via Cola di Rienzo prima di quel giorno, a cui ripenso ancora ogni volta che passo per Via Cola di Rienzo, di norma oggi per acquistare CIBI DI LUSSO da Castroni, perché oggi la musica è finita, Stefanel si è convertito in un negozio di vestiti, e a noi, che non proviamo più piacere in nessun altro modo, perlomeno sono rimaste le MOSTARDE. Comunque: io e mio padre comprammo due biglietti per il concerto, non perché mio padre ci venisse ma perché uno era per un mio compagno di classe. Il commesso pensò chiaramente che ci andassimo io e mio padre, lo so non perché leggo il pensiero (cioè, in genere sì, ma quella volta non lo feci), ma perché disse qualcosa al riguardo. A me sembrò folle la sua idea, in realtà era normale pensarlo perché lì lo strano ero io porca troia, Kurt Cobain era praticamente ancora vivo e io mi andavo a vedere i PINK FLOYD, io, insomma, proprio io e non quel riccardone di mio padre che all’epoca aveva un’età vertiginosamente bassa, tipo QUARANTASEI anni (la cosa degli stampatelli è ancora in atto), e oggi che ogni giorno mi sveglio pensando al suo funerale, bè, oh, what a feeling, come direbbe Lou Reed, anche lui all’epoca giovane promessa, e oggi vecchio carampano triste. Ma vediamo di stringere. I biglietti costavano cinquantamila lire (un BOTTO!, però se si pensa che 50.000 lire erano tipo due cd scarsi, ne deriva che è come se i Pink Floyd oggi costassero 43 euro, il che è falso, perché i Pink Floyd oggi costerebbero 146 euro, tipo, ma questo discorso tra parentesi è ininteressante al massimo, dunque lo cesserò), erano sponsorizzati da una marca di auto che per non far pubblicità chiamerò WOLKS VAGEN e che all’epoca se ne uscì con un’utilitaria chiamata appunto “Pink Floyd” (true story), e uno era per me, uno per un mio compagno di classe che non nominerò per rispetto della privacy  – anzi, lo chiamerò col nome fittizio di PUIDO GANVINI. Più in là, si sarebbe aggiunto a noi un altro compagno di classe, di nome inglese e di fatto semplicemente ricco, che chiamerò col nome inventato di FORLEY MLETCHER. Adesso loro insegnano tipo in due università adatte al loro rango (non lo so di preciso, ma tipo rispettivamente l’Università di Borgo Podgora e Harvard), mentre a me è andata meglio: non insegno in nessuna università, ma pulisco i cessi di una. I tre di noi, tipo in uno Stand by Me qualsiasi, si diedero appuntamento il ventuno settembre davanti al Liceo – che qui chiamerò lo SCONTIVI di Roma – fate conto non so, tipo alle tre. Alle tre sembra presto per un concerto che iniziava alle nove ma, tenete presente questo: 1) Eravamo inesperti, 2) Almeno io avevo l’ansia (non mi sarebbe mai passata), 3) Erano previste 40.000 persone, 4) I cancelli aprivano alle quattro e 5) Dovevamo arrivare a Cinecittà coi mezzi. Guardate su una cartina ndo cazzo sta Cinecittà rispetto a Piazza Venezia, da dove partivamo. In tutto ciò, il mondo era un posto più bello e appena all’inizio del suo decennio migliore, perciò non esistevano ancora i cellulari. Alle quattro e mezza, di FORLEY non c’era traccia, non avevamo modo di contattarlo, e vigendo allora il normale raziocinio, non controllammo se era on line su Facebook o su Whatsapp, e semplicemente lo mandammo affanculo andando noi due soli, io e Puido, intendo. Andammo, dunque, e arrivammo, e il tempo che acquistammo due brutte magliette (la mia troppo piccola: la indossai solo un paio di volte, anni dopo, in una botta di magrezza inattesa), entrammo. Credeteci o no, ma non vedo perché no, il posto era già pieno di gente, accampata per terra nella polvere come da miglior tradizione da CONCERTONE. Vicino a noi, un gruppo di fan MALTESI, inizialmente amichevoli e via via sempre più minacciosamente infastiditi dal fatto che io e Puido parlassimo tra di noi. Alla fine, arrivò l’ora del concerto. In un tripudio di ADULT CLASSIC ROCK, i Fink Ployd attaccarono con Shine On You Black Emperor (canzone che tutti i fan italiani che io abbia mai conosciuto chiamano con un punto esclamativo dopo lo You, cioè Shine On You!, Crazy Diamond, fraintendendo e sgrammaticando il titolo che naturalmente va letto Shine On! You Crazy Diamond ossia “Brilla che ti ribrilla! O Fanciullo adamantino”, traduzione eseguita con il mio Babelfish mentale); alle spalle della band, un enorme schermo su cui venivano proiettati film atti a distrarti dal concerto. Ricordo inoltre: David Gilmour con un’orrenda maglietta bianca, il pubblico che va fuori di testa per quel loro famoso pezzo strumentale di cui ora mi sfugge il nome e per Another Brick in the Wall, e ancora: The Dark Side of the Moon eseguito per intero (!) nella seconda metà del concerto, prima dei bis che, ci potrei giurare, furono Wish You Were Here (trattenni a stento un gridolino eccitato), Run Like Hell, Comfortably Numb. In mezzo, maiali gonfiabili, aerei in fiamme che si schiantavano sul palco, brutta musica e virtuosismi, insomma, proprio quello che ci si aspetterebbe da un concerto dei Pink Floyd. E siccome tutto ciò che ha a che fare con l’adolescenza e il rock, in fin dei conti, è una favola, dopo il concerto, tra quarantamila persone, incontrammo in metro proprio Forley, che alla fine, non trovandoci all’appuntamento, era andato da solo e ci aveva odiato tutto il tempo, che poi alla fine lo stronzo era lui, cosa che avrebbe dimostrato appena quattro anni e mezzo più tardi quando, dopo l’esame di maturità… Ma questa è un’altra storia. Scendemmo a Piramide, dove i genitori di qualcuno (in fin dei conti i miei o quelli di Puido, non ricordo), ci accompagnarono tutti a casa. No, credo fossero i miei, e ricordo la presa a male dell’andare a scuola il giorno dopo (mica era normale uscire la sera avendo qualcosa da fare il giorno dopo). E ricordo Forley che disse qualcosa tipo, ‘Sta settimana ancora ok, ma la prossima è dura, inizia le verifiche la Foralosso. La FORALOSSO. E’ tutto vero, si chiamava così l’insegnante di inglese, la terribile, feroce insegnante di inglese che ci terrorizzò per cinque anni, ma alla fin fine ci insegnò qualcosa, e la ricordo oggi il giorno che andò in pensione, proprio quando noi facemmo la maturità, e lei che pianse mentre tutti i regazzini la festeggiavano e ringraziavano cercando di renderla più mansueta (invano: steccò tutti, impietosamente, impartendoci una grande lezione, ossia che un bastardo commosso è commosso, ma è anche, e pur sempre, un bastardo). Foralosso, dove sei adesso, quanti anni hai. Tutto quello che mi è servito nella vita (HOW MUCH + faccia da cazzo, rivolto a commessi di dischi in Inghilterra e negli Stati Uniti) lo devo a te. Alla fine, che cosa resta di un’adolescenza, se non rancore per i vecchi amici, e una lingua straniera in più? THANKS YOU VERY MUCH!

DISCONE: Boniface – Christianity (Mass Suicide Cult)

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Oh comunque alla fine il nuovo Papa ha messo d’accordo tutti tranne gli haters, l’unico leader del mondo è in effetti Francesco (Papa Kekko) che, con le recenti prese di posizione umili e Cristiane nel senso più evangelico del termine ha restituito alla Cristianità il ruolo di Forza Positiva e Guida per l’Umanità Intera, non più istituzione chiusa in se stessa e lontana, ma di nuovo Madre che abbraccia e accoglie i peccatori, soprattutto i peccatori, nella luce della fede.

VAFFANCULO!

Direttamente da un posto migliore, cioè un Inferno lisergico e violaceo (come avrebbe scritto Metal Shock negli anni ’90), il probabile gruppo-scherzo Boniface (perché sì, è uno scherzo, lo si capisce dalle foto in cui quello dietro so’ chiaramente io. Mindfuck. Io comunque scrivo qui questa eventualità, così non potrò essere troppo lollato dai metallari sgamati) viene in un colpo a far piazza pulita di: quanto di buono fatto dalla Chiesa in questi mesi; i Liturgy e la nuova tendenza dell’hipster-black metal; Miley Cyrus e le sue stronzate pedofile; le nostre vite in generale.

Che alla fine, poi, il disco è (non) uscito in gennaio: ma noi non facciamo compromessi, per niente e per nessuno, disprezziamo la quotidianità, l’ordinario e, come Famine dei Peste Noire (a proposito: altro DISCONE di cui parlerò se mai dovessi scendere al compromesso di mitigare la mia elitaria misantropia parlando di qualcosa a qualcuno), tutte le reti sociali di internet. E quindi, a spiegare alle merde che osano chiamare se stesse UOMINI perché Christianity dei Boniface è un discone ci arriviamo soltanto oggi.

I Boniface hanno le intro. La copertina bianca e nera. Un nome che si fa beffe della cristianità, le outro, e soprattutto hanno magnato durante il digiuno di papa Francesco, con il disperato (ma disperato in modo glaciale e trattenuto) scopo di mandare in merda i tentativi della Madonna di evitare la guerra in Siria. Ogni oliva ascolana, una bomba in più sugli innocenti. Morte, distruzione, male. Per ora, hanno evitato la liberazione del prete . No, davvero, che mostro che sono: ho un senso di colpa grande come una casa. Sabato avevo deciso di digiunare, ma poi alle sei e mezzo-sette fingendo di dover bere (bere si poteva) ho voluttuosamente aspirato un cocktail di frutta. Lussureggiante, tipo con le frutte sopra, coi cocchi, co l’OMBRELLINO! Poi uno dice che Satana non esiste e non ti tenta. Così, ho mollato il patetico tentativo di cristianità – ne esistono di non patetici? – e ho digitato di nuovo

BLACK METAL

nella barra di ricerca di Google Chrome.

Boniface, grazie di esistere, Lucifero, grazie di aver indirizzato le mie ricerche, Lucifero, grazie di esistere. Che poi, in questi giorni, tutto per me sta convergendo nel diavolo, Horns! I see horns!, come dice quella canzone dei Watain (che se fossero napoletani direbbero “Cuorn! Veco e ccuorn!”), i gusti nel vestire, nel mangiare, un po’ tutto il mio modo di essere, dunque perché non perdere l’anima del tutto.

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Vedete, l’altro giorno questo ragazzo gentile dall’aria di un mezzadro ha superato una linea di confine che, forse, non doveva essere superata  – e non mi riferisco a quando mi sono informato del prezzo di una bicicletta arrivando quasi a introdurmi in un ben noto negozio hipster di biciclette hipster. No, alludo a quando sono andato a fare colazione da quei burini di Rosti indossando una maglietta dei Bathory, e l’ho fatto tranquillamente perché tanto tutti ritenevano che fossi solo un altro alternativo spiritoso. Il più grande inganno che il diavolo abbia mai fatto all’uomo è fargli credere di non assumere mai l’aria di un tranquillone: ma siamo in molti, qui dentro, e stiamo già affilando le forchette per il prossimo digiuno.

Cavalli morti e teste incorrotte: Siena come l’inferno (Un pezzo contro il Palio)

AC Siena v S.S. Lazio - Serie A

La testa incorrotta di Santa Caterina dribbla e umilia la Lazio (courtesy of fotomontaggifattimale.wordpress.com)

C’è una città moderna dove, due volte all’anno, si tiene una giostra medievale nel corso della quale muoiono i cavalli. Mi riferisco, come è ovvio, al Palio de Siena demmerda dove, in nome del travestitismo – “Vestimose da medievali!” – i poveri animaletti vengono costretti a un’inutile, folle corsa, con loro che, montati da fantini sardi, rischiano le zampe e con esse la vita. Ma vi pare giusto? No, dico, così, senza troppe elucubrazioni, senza voler per forza parlare dei “diritti degli animali” di cui parlano tanti illustri filosofi politici, a cui non farò riferimento non tanto per ignoranza, quanto per mio profondo e sincero disprezzo per tutte le facoltà di Scienze Politiche, ossia quei luoghi di elaborazione di strampalate teorie alla moda (“facciamo un carcere rotondo con un solo guardiano che controlla tutti!”, “vietiamo di indossare simboli religiosi!”, “il terrorismo islamico non esiste!”, e così via) che conducono inevitabilmente a guerre e ghetti del cazzo e, il che è molto peggio, a discussioni intelligenti su guerre e ghetti del cazzo, discussioni che portano ad altre teorie ancora più bizzarre e ad altre guerre, e così via in un folle loop, mentre ormai da quattromila anni il Palio si continua a correre, e dei cavallucci infortunati se ne sbattono tutti le palle. Che a Siena ci fosse qualcosa di sbagliato, del resto, me ne accorsi fin da bambino, quando entrando in una chiesa mi ritrovai di fronte all’orrida testa mozzata di Santa Caterina, realizzando che dopo soli nove o dieci anni avevo visto il mio primo cadavere, il mio primo ghignante e scheletrico cadavere, a porre per sempre fine alla mia infanzia (doveva essere un Almanacco della Paura di Dylan Dog il libro dove avevo letto una riflessione il cui senso era grossomodo questo, che nel corso della vita fino a un certo punto ignori l’esistenza della morte, poi lo scopri, e va tutto in merda. C’è anche da dire che se non fosse stato per Santa Caterina, nel 1992 mio padre – dalla psiche evidentemente intasata di bruchi – mi avrebbe portato a visitare la Cripta dei Cappuccini di Palermo. Io a mio figlio non farò mai vedere dei corpi mummificati, ma soltanto Mini Pony, Mini Pony che non correranno nessun palio ma sfrecceranno leggiadri su grandi prati arcobaleno). Che poi, se non ricordo male, questa chiesa, che sarà il Duomo o che ne so, era praticamente di fronte allo stadio di Siena, e la testa incorrotta della Santa è tutto ciò che vedo ogni volta  che, da quando il Siena è arrivato in serie A, la Lazio perde rovinosamente in quello stadio (sempre). Insomma, torniamo ai cavalli, cos’è che diceva Pessoa sui cavalli? No, mi sa che mi confondo con una marca di finimenti. Che qualcuno, al mondo, i finimenti per cavalli deve pur produrli: ma dove vanno a finire, tutti questi finimenti? Sepolti assieme ai cavallucci che hanno ornato nelle matte corse senesi, Gesù, ma perché hai abbandonato Siena, una città anche graziosa ma esclusiva preda di banchieri corrotti, assassini di cavalli e teste mummificate che assaltano i bambini ignari. E la smetto qui perché sono troppo elegante per aggiungere alla lista di nequizie anche LA GIANNISSIMA, che ha aggiunto satana a satana pretendendo un figlio a cinquantaquattro anni. Come se la dannazione eterna non se la fosse già guadagnata coi suoi dischi. Ho un sogno, ed è questo, cioè vedere tutti i contradaioli dell’OA e del BRUO, e anche di tutte le altre contrade se è per questo, la TORRE, la SOLA, L’AQUILA e la MINCHIA, costretti a correre fino alla morte su una strettissima piazza, incalzati da cavalli di incubo pronti a travolgere i più deboli, ma alla fine anche i forti, mentre io mi godo lo spettacolo dalla torre del Mangia. Bastonate appoggia l’abolizione del Palio di Siena, che rimane peraltro l’ultimo piccolo scoglio per poter guardare negli occhi gli spagnoli e dirgli, senza complessi: siete inferiori.