Gap Dream – Shine a Light (Burger Records)

Gap-Dream-Shine-Your-Light2

Suona solo in parte come la merda che è, cincischiante con l’idea di droga che può averne uno al gusto di Beach Boys e Animal Collective, senza avere in casa i pezzi o gli arrangiamenti, ma con la scimmia vera segreta nascosta di essere suonati al Covo mentre la gente limona.

MTG

Due seghe di quelle buone a venire sopra mucchi di parole da vocabolario aperto a caso e a caso restituito. La logorrea di Zona Mc e intel-hop vario tipo Napo in Uochi Toki che si fa giovanissima disanima di non ho capito cosa epperò rende di un bene ma talmente bene che suona come il miglior parto neoclassicista riuscissi a immaginare essere cagato fuori oggi, dalle nostre parti. Basi che c’hanno eleganza ed equilibrio e io ringrazio per la speranza imposta. QUI

Stranger by Starlight – Chalk White Nights (Bad Paintings)

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Non che stare con le braghe calate un sabato sera qualunque, mezzo panetto di margarina, due settimane di astinenza, qualsiasi cosa usino i giovinastri oggi al posto del popper, sia discutibile. Cioè, sì: però la combo Stray Ghost e Eugene Robinson – negro vero – è ‘na mezza sola  con i pezzi che no dai, il raccontino scuro di smegma e tristezze varie, l’atmosfera che butta figa presa triste e la voglia di vivere che ciao. Bello, eh. Però anche no.

Hotline Miami 2

Siccome che NON ci piace la violenza NON aspettiamo sbavando il prossimo passo di questo gioco mastodontico che almeno al primo giro aveva una colonna sonora che ciao nonché tanto così più in alto di Drive (film e colonna sonora e NWRefn). Io aspetto, deh.

La morte grippa, di musica non è bello parlare e altre cose del genere

nigga presi bene dalla vita

A sentirlo così, pare giusto infilarlo a forza nel mucchio dei nigga veramente incazzati  e con qualcosa più che il pregiudizio di un bianco merdoso qualsiasi a stanarlo fuori dal merdaio circostante. Fatto sta che davanti a obiettivi definibili meno che miseri (Mi Ami, Litfiba, Rolling Stone rivista, Sanremo) si sente il dovere e il bisogno di guadagnarsi il cumulo di droghe ed elettroshock mensili per, tipo, tre post in tre anni, e spargere violentemente i semi dell’odio. Da cui il fatto che, messa da parte la speranza di NON sostenere la campagna abbonamenti del Mucchio (né di Rumore, Blow Up o alcuna altra roba del genere), urge riconoscere che si è finiti sul pezzo  anche da queste parti. Il prossimo passo alla riconoscibilità totale del volemose bene nel volemose male sta forse nella forgiatura di una statua a grandezza naturale di – cazzoneso – Zach Hill, o uno qualsiasi del genere.
(E no, non c’è nessun insidejokes perché non siamo amici, non frequento i tuoi giri e non ti capisco quando parli)

Detto questo, visto che anche  gente tipo Roly Porter e Jamie Teasdale ha saggiamente (stocazzo) deciso di andare ognuno per la propria strada – strada che vede per l’uno massicce dosi di oscurità, droni industrialoidi, minacce psichico-tecnologiche varie e per l’altro la lingua fuori su culi luccicanti e pop e tremendamente d’ambiente – la strada, dicevamo, che è qualcosa di inferiore alla sottrazione delle parti che componevano Vex’d, ecco, per questo una volta in più è doveroso star dietro a sobillatori d’odio e rumore che abbiano voglia di far cagnara con modi musica e livore.
Il nome è Death Grips, la miscela è acida tipo hip hop sputato fuori a raschiare ugola e rancore. I testi sono primizie tipo “In the time before time eyes ‘bove which horns/Curve like psychotropic scythes/And smell of torn flesh bled dry/By hell swarms of pestis flies/Vomiting forth flames lit by/An older than ancient force /That slays this life with no remorse” o “Tie the chord kick the chair and your dead” e ancora “Cuz all I really need is some cool shit to mob /Like driving down the street to the beat of a blow job /I own that shit /On some throw back shit /You already know that shit /You even know ‘bout how I know the man /Who grows that, bitch ” , che manco un incrocio tra Sepultura e Michael Gira prima maniera renderebbero appieno. Sotto ci sono robe a tratti semplicemente grezze e momenti fantasmatici con strascichi di quelli che chiamano Steve Albini alla produzione e cose così. A farla da maggiore, comunque, a prescindere dai campionamenti, il rumore, l’overload e l’elettronica varia (compresa qualche parentesi di dancehall meccanica e catacombale splendida), è il senso di un disagio veramente concreto. Di  quei dischi insomma che ti fanno sentire ancora più di merda quando stai di merda; di quelli che consigli a pochi, fiducioso che se lo consumeranno digrignando i denti. Con in postilla l’augurio di un remix stile Kevin Martin dei momenti migliori, scansando e fottendosene della partecipazione di Zach Hill – sempre lui – alla faccenda.  E con un calcio in faccia per successo, magari, a Tyler the Creator e sodali. I tipi comunque, nel dubbio se ne sbattono e ti regalano anche chicche tipo questa. Oltre al disco stesso, certo.

Poi, cagate a parte, viene da ripensare all’asse Def Jux/Anticon dieci anni fa, a come pareva fosse la salvezza del rap, di una certa idea militante di comunità e stronzate così.  Oggi, su quelle orbite, spuntano fuori anche IconAclass (robe post-Dalek, belle ma easy) che non mantengono nemmeno un’oncia di quanto vorremmo promettessero.

Dunque, stretta di mano su stretta di mano, è sinceramente preferibile ri-chiamare in causa accoltellamenti fraterni stile b/metal e dintorni, piuttosto che, ancora una volta, doversi sorbire impunemente schiere di tabulae rasae ambulanti, con due gambe, twitter e qualche collezione di dischi.
Fuor di metafora: le corse a condividere e condividere e condividere il nuovo FBYC a furia di like, plaudendo alla rincorsa sociale di stocazzo senza ancora averlo ascoltato, il disco: SentireAscoltare che butta fuori nomi e cognomi sull’autoreferenzialità della scena (e tra l’altro giuro ho l’impressione che prima vi fosse la foto dei tizi semi-desnudi con le loro facce disegnate sui genitali) e/o rincara la dose egotistica di casa Teatro degli Orrori: Elio Germano in combutta con Teho Teardo:  Mark Stewart pre-ritorno The Pop Group a far sboccare con Bobby Gillespie: Bugo che via twitter la conta a scribi e sodali: Bastonate che diventa paradigma per gentiluomini e via di questo passo.

Segnali precisi dal profondo: è tempo di tornare all’ostilità, pura e semplice e totale. Senza occhiolini, strette di mano, comunanze farlocche, pompini vicendevoli e null’altro. Sempre in nome dell’ODIOpuro (non sociale, non sentimentale, non politico) in quanto modello conoscitivo e mai contro un nemico specifico che non sia il tutto.
Colonna sonora: l’ossessività e reiterazione e palude cerebrale incluse nel pacchetto Death Grips.
Tanto per il resto frega un cazzo, tra un po’ esce il nuovo Disquieted By, arriva la botta Johnny Mox, è fuori Bologna Violenta, Wallace ha sfornato pure l’ultimo Miss Massive Snowflake e io  torno felice.
Benché l’odio e il disprezzo sincero per la comunità rimangano, certo.

tema: “La mia collezione di dischi”. Svolgimento:

Brucia troia brucia

Una manciata di giorni fa il peloso quadrupede a cui pago l’affitto m’ha rovinosamente ribaltato a terra un paio di colonne di cd, libretti e case vuoti. In un altro tempo e luogo l’inseguimento avrebbe assunto tinte splatterstick con derive di bestemmie, violenze sugli animali e pianti laceranti per i danni provocati.
A questo giro, invece, non è fregato un emerito cazzo.
L’epifania del momento è stata che in qualche punto non meglio precisato della strada ho cambiato corsia. In corsa e col freno a mano, l’ubriachezza molesta e il tir lanciato in fronte. Eppure sangue non ne cola: e capisco che la crescente disaffezione verso l’industria musicale-tipo (nonché, in gran parte, l’editoria musicale e culturale che la amplifica/sottende/implica/imprigiona/etc) mi s’è piantata sotto forma della mia collezione di dischi.
Complice qualche trasloco di troppo – in perenne svolgimento – quanto prima era per me un’impalcatura di senso e identità intorno a cui strutturare il resto, ricordandola a memoria in colori, nomi, posizioni e suoni, ora, semplicemente, è quasi un peso.

L’eresia è quella che è. Piuttosto davanti nemmanco tre lustri di graffi, abrasioni, case vuoti con cd disperso, vinili rosolati con sostanze non identificate più una serie di scelte deontologiche tra porta cd e fidanzate, ecco, davanti a questi tre lustri rimane la voglia e il desiderio per quei suoni e quelle qualità, non per i supporti materiali che se li portano dietro. Mai d’altronde ho capito la collezione (ma sempre adorato la fotta e il profumo della ricerca), desiderato il completismo (questioni di soldi, opportunità, problemi di attenzione evidenti), spinto per la bella mostra dei tesori del caso (copertine con suore impalate e Impaled Nazarene non aiutano).
La verità vera è che col tempo (e sì, diobono, internet e blabla) la fotta ossessiva di un tempo ha sparso rivoli ed energie tra dischi, cibo, pile di fumetti o urania usati, libri a cui non mi è stato dato di resistere, chimicaglie drogate varie, etc. Oh, e birra, tanta birra. Cioè, ognuno ha i suoi cassi in cui spendere soldi e vanità.

L’amore, l’ossessione: quelli mai svaniti: piuttosto in maniera più sana si sono smarcati dalla necessità di una discoteca propriamente detta in favore di quanto era sano seguire: il suono, non il possesso. In questo poi mi son reso conto star dentro la voglia di non ascoltare n-simo disco nuovo del mese, dedicarmi il mio tempo per ascolti vecchi, imbarazzanti, con o senza senso, fuori moda, inquieti, lunghi e stiqatsi.

Le collezioni di dischi non sono vita, l’etica o l’estetica che si portano appresso non sono necessariamente la salvezza o l’ancora sul quale tirare su l’anima gemella. Hornby e compagnia raccontante (dove la compagnia sta per ogni invasato di musica e affini a noialtri-chi) hanno messo fuori fuoco il senso più elementare, prima della necessità di una tassonomia specifica o delle funzionalità particolari in materia di accessibilità dei dischi, prima del packaging o del design del caso, prima ancora della voglia di finanziare o ripagare o appoggiare virgulti di varia età, eh, prima di tutto questo: l’ascolto. Semplice, elementare, quasi infantile. Se si spande merda su miliardari divisi tra quotazioni finanziarie, macchine d’alto lignaggio, collezioni di orologi preistorici, Botticelli e cose varie, non si vede perché non portare il discorso su materiali più “umili” e a noi prossimi; soprattutto quando la fotta prende la stessa piega narciso-esibizionista-materialista-feticista-spendisoldichenonho.

Le collezioni di dischi non sono la nostra vita. Al massimo possono farne parte.
Motivo per il quale combattere l’impulso subliminale che mi spinge a parlarvi dei dischi che ho, di quelli persi, dei primi arrivati, dei dimenticati, malcagati, comprati per idiozia e favorire, invece, una colossale sbronza.
E mentre vi s’attende, torna la voglia di metterli a posto, o guardarli in faccia, quei gran bastardi.

Ti buco le gomme

Obsolescente qual sono e fui, meno che prodigo di benemerenze per/pro chicchessia, viene da rammentarmi  solo di partenze onorarie dei neuroni che furono. Non c’ho cazzi, insomma. Ho finito davvero di domandarmi chi diavolo me lo faccia fare di sbavare dietro eterne mobili uscite discografiche/cinematografiche/[…]-iche: ché basta le ciance sul tempo che manca – o il più probabile eghezzi pensiero del “siamo noi che manchiamo al tempo” (o al tempio?) – e piuttosto ci si guardi in faccia, nostra o altrui, e si dica finalmente che, sì, cazzo, lasciate che ognuno si gratti l’emorroidi sue. Perché con la scusa dell’espressione, del abbiamo-dentro-tante-cose-universali-da-dirci, ci siam dimenticati anche solo di come parlare di un cazzo (non del) o delle gravidanze in/desiderate. E tuttavia no, giù tutti a sdilinquirsi di parole e ri-trovarsi tra gentechescrivedimusica e parlare, indovina, di musica. E se becchi chi, dottorante o scribente o stante cinema, toh, non si parla d’altro che di quello. A meno che, ovviamente, non sia il momento di dire “tette-froci-italiasuca-domenicacinquepappine” e cose così. Non un progetto coerente, completo, coeso, personale, radicale all’orizzonte; non uno, dico. Ché inevitabilmente anche la cosa migliore e davvero valevole (e ce ne sono, ah se ce ne sono) deve per forza autoriflettersi su di per zine, collettivi, scene, distro, promo, maldicenze e robe del genere. E’ un po’ il problema generale di guardare in faccia gente che, obiettivamente, spacca il culo, sia a risultati che a impegno, e finire poi per chiedersi perché anche questi non escono da una teoria dei sistemi che vede quattro culi e una capanna come limite massimo. Altresì detto, a che pro? La risposta io ho smesso di cercarla tra dischi, film, jpeg, libri, poesie e quel cazzo che volete voi. Mi son detto che effettivamente fermarsi a guardare il panorama ha più senso. Lo si dice sempre, dai, ma poi davvero chi si ferma mai a farlo? Questo nonostante il fatto che vivendo nell’anno domini xx (jamie) ci si debba forzatamente relazionare con l’ambiente para-networkista, con il disco che ancora non è ma già si sa (cfr. Accento Svedese qui), con le musiche che ci sfuggono tra i padiglioni auricolari e manco le ritroviamo più. Il messaggio, da parte di uno che vuole la luna di Gianni Togni, sogna di sodomizzare se stesso, pensa che l’hauntologia sia più cosa di un Mignola o di Bioshock (design spettacolare, gameplay noia), non riesce a finire l’ultimo Baronciani perché gli viene il magone, tenta di evocare Cerebus, è:

BASTA, più che Bastonate. Tabula rasa, Kaput, amabile Seppuku con le viscere in mano per eliminare additivi critici, chimica ricreativa, complessi narcisistici e scappatoie sonore. Che ognuno Non ascolti quel cazzo che gli pare, venendosi addosso. Come si diceva altrove: magari sto esagerando. Magari anche no.

Fino a domani, tra un’ora, un minuto, ora, quando si ricomincia con CM Von Hausswolff, Zona MC, Rival Schools, Parts & Labor..

Ipse Dixit Xidit

Prurito alle ghiandole inguinali

 

il nostro caporedattore si fuma una tromba con un giovin e disponibile virgulto

 

Faccia giù a rovistare in merda e subprodotti culturali, non manca né l’aria né il colore. Più di sessant’anni di classe diligente nell’essere falsamente sobria e realmente idiota ci hanno fatto il culo a tag e strisce; il mondo, intanto, andava avanti. Quindi bestemmi, per scoprire poi di avere ascoltato in un mese più la colonna sonora di Samurai Champloo che le mille musiche del dopo-qualcosa, farsi una porra su One Piece, o Naruto, o altra troiata del genere, uscendone fuori di testa e piangendo l’italica sorte. Sta gente è omericamente in grado di catalogare quello che produce nel senso del percorso esperienziale stesso del tipo protagonista, da imberbe impotente imbecille a modello di perfezione transumana da imitare: ognuna di queste narrazioni un’epica del 8===D da esportare, progettando universi, architettando psicologie e setting storico-psichici. Dunque perché fottere nel culo gente tipo Warren Ellis o Moon Wiring Club o Kentaro Miura in Berserk (che grazie a dio dopo le ultime troiate fantasy power metal è tornato a sburare orrori chtulhuiani) o Warhammer 4000 (ché ha i Noise Marines e il Kaos e i cloni genetici di colui che è l’incarnazione di tutti i mistici – e per! Bacco! è tutto vero – e ancora non ho capito il tipo d’aritmia psichica nel collezionare e dipingere miniature) o il Neonomicon di Alan Moore (lui, la divina sublimazione spirituale di ogni vero fattone di ogni tempo) con chili di sesso e Lovecraft o Boris Vian che pubblica post-mortem con Stampa Alternativa o Mattin che insieme ad altri si spara dalla terra Basca (per dire, eh..) pose escatologiche su noise e dintorni, risultando tipo in tafferugli e barricate mentali da esportare. E potremmo finirla qui, ma anche no, perché in Berserk esiste un capitolo nascosto, dove Dio risulta essere semplicemente l’aggregato di tutte le energie psichiche negative esistenti nell’esistente; l’entropia, il caos, il male informe e tutte quelle così lì, che è (Lui) letteralmente il motore oscuro immobile della faccenda, ecco. Poi ci sono i dischi nuovi o semi-nuovi o malcagati tipo Residents, Legendary Pink Dots, Ramleh, Grey Wolves, Foetus (e Manorexia da camera), The Ex, Brian Eno, The Body, Monte Cazazza (cfr qui), The Secret, Uochi Toki, LeLucidellaCentraleE (cfr qui), Meat Beat Manifesto, Circle, Pain Jerk e John Wiese, GZA (con Liquid Swords 2: The Return of the Shadowboxer che non so se farà cagare ma solo a sentire liquidswords), Zola Jesus, Arp, AA.VV. Future Bass, K-X-P, eccetera, etc. Ed essendo questione di intel-design tutto interno al costruire livelli e universi e  textures e colonne sonore che siano, ecco, belle colonne sonore, allora mi val la pena di pipponi su Miike Takashi che fa Sukiyaki Western Django [guardare qui per un cappello introduttivo che riassume lo Stivale tricolore  ndcazzaro] e mi ricorda perché cazzo l’ho amato in the first place, su Spore che non ho ancora giocato e Peter Molyneaux e fLOW o Bioshock o Inception che è il più bel videogioco che abbia giocato ultimamente. Rimane sul limite della scarsa coscienza che si è bloccata la lavastoviglie e ha quasi finito di girare The Mouse and the Mask, dunque cadere a pesce sugli Eterni di Kirby, un Chiarelettere a caso, C. Govoni, un Urania, D. F. Wallace, G. Genchi, i Tarocchi di Crowley o A. O. Spare è in ogni caso una scusa per poltrire. Quindi o continuiamo a ridere vedendo The Big Bang Theory (in originale, va da sé), congratulandoci con noi stessi per come abbiamo sdoganato bene il non sapere stare al mondo – al prossimo che si vanta di essere un nerd offro una cagata in bocca gratuita -, oppure pensiamo che in Francia brucia il culo a un sacco di persone, e lo danno a vedere, e a noi brucia giusto la monnezza a Terzigno. Non avendo io mai cominciato a radermi petto o sopracciglia, pur avendone bisogno, né tantomeno a profumare come una regina moldava del marciapiede, mi permetto di dire comunque che la soluzione quasi sicuramente non sta in quattro puntate di Vieni via con me (ché Saviano se conferma la retorica della comparsata berlinese via Annozero è questione di narcotici, piuttosto che di racconto di) né di Santoro, ma piuttosto in un LHC a caso, perché la risposta forse sta davvero nella outer-fisica dei quanti.

 

Il nostro squat redazionale assalito da uno squadrone Ultracorps