TIGRE CONTRO TRIGHE (QUELLI BRAVI endorsing IL NIENTE ne I Giorni de #CIGLIONENO)

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Internet è una corsa, dovete immaginarla così, uno spara la cazzata e tutti i negroni partono velocissimi per esprimere il proprio parere entro dieci secondi. Bastonate è una specie di ciccione, grasso e sudato, che arriva un minuto e mezzo dopo, con l’asma, quando non c’è più nessuno ad accoglierlo. Tutto questo è per dire che ce l’abbiamo fatta, ecco il nostro parere sulla campagna #COGLIONENO: non ce ne frega un cazzo.

Non ce ne frega un cazzo dei giovani creativi, dei prodotti culturali, dei videoclip e della condivisione sui social, ma ancor meno ce ne sbatte del chiacchiericcio, dei pareri, delle non-argomentazioni prodotte dalla rosicanza generale suscitata, la tesi è questa (ed è anche corretta), dal fatto che due stronzi di video carini hanno avuto successo e si sono beccati un sacco di MI PIACE.

Mi ammorba la sociologia, mi ammorbano le scienze politiche (e, prima di continuare, vi faccio notare che sono passato alla prima persona, ma prima di puntualizzare con pignoleria come farebbe quel fascistone del vostro mito Travaglio, vi segnalo che lo fa anche Dino Campana nei Canti orfici e quindi potete andarvene affanculo perché lui è più hipster di voi – lui io, intendo), mi ammorbano il gender, il femminicidio, eccetera. Mi ammorbano in sostanza tutte le fregnacce che vi mettono nelle condizioni, assieme alla lettura di alcuni romanzetti alla moda, di ritenervi illustri sociolog(h)i che utilizzano la propria sociologia e vecchi e triti concetti marxisti (marxiani) PE DISCUTE SUI BLOG, pe avecce raggione.

Andate un po’ affanculo. Ma andateci, ve ne prego. E se vi chiedete en passant quale sia la nostra opinione sui creativi e i non creativi, non riusciamo davvero ad andare oltre l’abbacinante verità che il punto non è questo, il punto è che #nonavretemaisuccesso e quelli che hanno fatto i video ve l’hanno dato in culo (anche questo lo dice Campana da qualche parte, #quindisipuo) e a voi non rimane che simulare allarme democratico spendendovi citazioni troppo dotte e noiose perché qualcuno lo capisca, ma questo voi lo sapete, non volete esse capiti, volete esse ritenuti QUELLI BRAVI tipo su minimamoralia der cazzo (che poi che voglio pure io, minima moralia se chiama, mica FORZA LAZIO, cose ragionevoli e DEL BENE io non penso di trovarcelo), in una terribile, allucinante guerra tra pezzenti – tutti quelli che, per nascita, non fanno parte dell’aristocrazia e magari cercano di ricrearsi una cricca di INTELLETTUALI, un piccolo circolo degli artisti, però minore, che dall’aristocrazia vera verrebbe invitato giusto ad ammirare il giardino restando però fuori dai cancelli.

La creatività, il marketing, la condivisione in senso internet, gli intellettuali che discutono con facce miti e concentrate e parole un po’ desuete al chiarore di una lampada d’olio in pieno 2014, sempre accigliati, con la montatura degli occhiali spessa: queste cose non esistono, e se sembrano esistere, è un inganno del demonio. Il Circolo degli Artisti non esiste più, o meglio esiste, ma riconvertito in locale di merda e boro dove risuonano i DAJE* e gli studenti si accoppiano con quel loro look da Richard Hell & the Voidods che una volta, quando eravamo piccoli, era garanzia di aver trovato perlomeno un’altra persona sveglia e oggi, nel triste oggi, è solo un altro inganno, vestono così le debosciate e i cafoni delle periferie, vestono così gli avventori di locali di merda in quartieri di merda dove i Cani, peraltro, fanno sold out.

Così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato.

 

 

*Di prossima pubblicazione, “CONTRO IL DAJE” e la romanità in generale.

Ars Goetia – La fotografia come arte del maligno

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Siete solo degli sporchi hater, la striscia gialla c’era davvero al momento in cui venne scattata questa foto rubata a me, proprio a me, povera me, che guardacaso ero nuda sulla riva di quel lago vulcanico in Tozandia

    Cominciò con funesti segni nel cielo, la luna color del sangue, una cometa con due code, ma nessuno dette ascolto agli astrologi. Poi iniziarono le nascite prodigiose, poi si ritirò il mare. Il terzo giorno si oscurò il sole, e a sera ci venne la zeppola a tutti: la fotografia digitale era arrivata tra noi, e non se ne sarebbe andata mai più.

Voglio dire: non stiamo certo qui a farci le pippe come quel coglione di Benjamin sull’arte e la facilità del farla, se non altro perché non l’abbiamo letto né abbiamo l’intenzione di farlo [una parentesi: sapete qual è oggettivamente il libro più coglione del mondo, intendo dire, dopo Infinite Jest? Ma naturalmente è Il narratore di Walter Benjamin nella preziosa edizione Einaudi con annotazioni di Alessandro Baricco, Alessandro Baricco del cazzo che nel sottobosco della sua cazzo di scuola Holden, intitolata ora che ci penso al protagonista da cazzo di un altro libro coione non da poco, e su dai, e dìmolo, in questo ambiente velleitario e insopportabile ha – immagino – idolatrato oltre ogni ragionevole dubbio questo scritto minore dedicato a uno scrittore minore da un pensatore tutto sommato minore, e ha brigato (=rottercazzo) per farlo ristampare con tanto di sue osservazioni a margine che sono tipo del livello “Cantagliene quattro, Walter!”. Da avere!], non siamo qui, dicevo, a fare filosofia, ma non c’è dubbio che quando il gusto non esiste, e la cultura non c’è, e l’ignoranza ricopre tutto e tutti col suo nero manto d’oblio; e quando insomma un po’ ovunque il disastro avanza, le inquadrature de sbieco sono scambiate per Arte, e come se non bastasse il delirio tecnologico ha messo alla portata di chiunque la possibilità di scattare e post-produrre (manco sempre, manco troppo) fotografie  – ecco che arriva per noi una suprema ragione di fastidio, e forse, finalmente, una non dovuta al nostro complesso di inferiorità.

Sto parlando, se non si è capito, della fotografia demmerda, di flickr del cazzo, e di un mondo fatto di cappelli di peluche e scampoli di infantilismo e computer grafica 8-bit  e un tocco di Preraffaelliti (ma appena appena, diciamo un superficiale apprezzamento delle donne coi fiori in testa); sto parlando di donne magre, a volte non magre, a volte uomini, che si vergognano di sé, eppure sentono forte il bisogno di esprimere questo minuscolo sé, e offrono perciò a tutto il mondo fugaci visioni dei loro piedi, delle loro scarpe, delle loro mezze facce e dei loro abbigliamenti bizzarri. A volte si intravede una stanza, e se si intravede c’è da qualche parte un antico cavalluccio a dondolo, o dei fiori morti, o delle cornici vuote o tutte e tre le cose, uno scenario manco da film horror che a un certo punto, pare, abbiamo deciso faccia tanto romantico abbandono artistico e nonchalance, piuttosto che oddio, quel vecchio pupazzo si animerà e prenderà la mia vita nel punto più buio della notte.

Io non lo so da dove arriva questa cosa, chi sono stati i cattivi maestri, e chi i pubblicitari di questa estetica. E se ho dei sospetti ben fondati in letteratura (il pedofilo Salinger e, giù di lì, il nullatenente Carver e via via praticamente tutto ciò che ha pubblicato Minimum Fax nei suoi anni ruggenti) e tutto sommato anche in musica (lì il problema fondamentale è stato l’indie-rock dei tardi anni ’80, per non dire Neil Young), mi sfugge ancora chi e cosa e su quali basi abbia convinto una manica di stronzi che la fotografia è la cosa, l’iPhone un progresso, e la loro strada nella vita sono le inquadrature bizzarre. Ho letto un libro tempo fa (solo perché era breve), Ways of Seeing di John Berger, che teorizzava tutta una pippa marxista sul fatto che i quadri servono a fa’ vede che sei ricco, e da qualche parte accennava al fatto che la fotografia è la pittura a olio del ventesimo secolo. Molto peggio John, molto molto peggio. Qui non siamo più neanche al punto di chiamare a casa un tizio, un pittore o un fotografo, che rappresenti con una certa perizia tecnica quanto sia bella casa mia. Qui siamo al fraintendimento totale del fatto che c’è un bello anche nella sottrazione, anche nel vuoto e nel poco, e alla sopravvalutazione devastante del “fare da sé”, della non-necessità di una formazione di qualsiasi tipo, anche solo di un pochino di cultura, e il lato forse peggiore è che esistono pure degli esempi di gente che in effetti ha fatto qualcosa di importante senza alcuna preparazione: ma se Steve Jobs non era laureato questo non vuol dire che chiudendovi in garage progetterete un computer tondeggiante e un telefono costoso che terranno in pugno il mondo. Voi siete i tenuti in pugno, capite? Voi siete gli acquirenti e i clienti di un sacco di cose che pagate un sacco di soldi che vanno a finire in operazioni trucide. Dietro a ogni multinazionale, ricordatelo bene, c’è in realtà una ditta di sterminio di cose carine. Gli schermi dei dispositivi Apple sono così lucidi perché vengono sciacquati uno ad uno nel sangue dei micetti. I cagnolini li utilizzano per rendere più scorrevoli le rotelline dei mouse. Mouse che sono veramente fatti di topo – di delizioso topo bianco, di amabile cavia, in alcuni casi, o di teneri e batuffolosi piccoli di scoiattolo.

Ma non ho smesso di insultarvi. Voi fotografi amatoriali, voi attrezzi che infestate le bancarelle del mercatino del Pigneto manco pe comprà, ma per fotografare le bancarelle con effetti rétro, voi siete l’incolta, orrenda stirpe figlia di questo mondo di dolore, andato completamente in rovina perché si è auto-educato su internet, si è informato su twitter, e si è sfondato di telefilm americani autoconvincendosi che tutto questo sia importante, significativo in qualche modo, “le serie tv sono l’equivalente contemporaneo della pittura nella Firenze del Rinascimento” è il sottotesto di un recente articolo apparso su Esquire.

Ed ecco per voi una serie di cose che non servono a un cazzo, non interessano a nessuno o forse sì (a voi stessi), ma mai e poi mai e ancora mai vi qualificheranno come artisti, o anche solo come persone: Parigi; Parigi e i suoi vecchi negozi; Parigi e un bicchiere di pastis in un vecchio locale dal tavolaccio di legno, come quello della famosa foto di Verlaine vecchio rincoionito; gli stivaletti da educatrice di Lovely Sara; Lovely Sara; il recupero dei cartoni animati in chiave non fuorisede-Toretta ma gnìgnì-gnègnè; le serie tv; i vecchi apparecchi televisivi; i registratori fisherprice; i mangianastri; i mangiadischi; Susan Sontag; Susan Sontag e i suoi capelli da puzzola; Susan Sontag e la bellezza e la fierezza di non essere belle bensì fiere e perciò belle; il vinile fine a se stesso tipo: il nuovo dei Knife in vinile; la magrezza maschile; le magliette aperte sul petto; il vestirsi come un barbone e illudersi di non sembrarlo in zone altre dal piccolo tratto pedonalizzato di Via del Pigneto; il Pigneto; le parole off e hip; il dialetto romano; i ghirigori fatti col pc; le strisce di colore insensate; gli effetti di Instagram; Instagram; tutta la musica, tranne che quella che non vi andebbe mai di sentire. Ora, che di tutto ciò non vi importi nulla ne sono più che certo – in centoquaranta battute non avevo detto ancora neanche solo una parolaccia. Il bene ha perso di nuovo. Gli occhietti degli ex-scoiattoli vi guardano dalla plastica bianca del vostro mouse e, come al solito, non c’è nulla che si possa fare.

Ecco la fotografia che ci piace a noi, tutte persone ciccione e tornite, tutti colorati di colori pacchiani, coi putti nudi sullo sfondo e la cornice d’oro zaura

VAFFANCULO TE E I BLOODY BEETROOTS

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Io li odio, i Bloody Beetroots. Va bene? LI ODIO. Li detesto. vanno bene per le feste degli hipster che prendono droghe e fanno finta d’essere punk. LI ODIO di quell’odio profondo che si riserva a tutti i generi di musica che potremmo definire PROTOFASCISTA, ok, completamente a caso, e prevedono situazioni di abbandono e pestaggio ma non auto-pestaggio, ecco. Dicevo: LI ODIO. I Bloody Beetroots LI ODIO anche se Romborama era molto meno brutto di quello che credevo sarebbe stato, pur non essendo un disco -a qualsiasi titolo- divertente e da ascoltare. E LI ODIO perché cazzo credi, che non mi sono accorto che a un certo punto han smesso di cazzeggiare con Steve Aoki e al posto suo hanno portato in giro Justin Pearson e poi diocristo tanto per stare bassi Dennis Lyxzen, poi tutta quella minchiata della Death Crew 77 o come si chiamava e dei BB ripropostisi come live band che i BB sono PENOSI e hanno un pubblico di hipster drogati e suonavano con Jacopo Battaglia alla batteria, e poi DIO CRISTO CHE MERDA quando saltò fuori che Glen Friedman fece il primo servizio fotografico da tipo dieci anni a un gruppo che suonava e lo fece ai Beetroots e quella MERDA SENZA PARI del disco finto-punk di Rifoki che lo cantavi e ti fomentavi anche solo per quanto era stupido il nome ma diocristo a che prezzo, voglio dire, possiamo dire che fosse roba sincera?, e ODIO che la copertina di Romborama fosse di Liberatore, cioè, ma ti pare, CHE CAZZO C’ENTRA LIBERATORE MA COME TI PERMETTI, brutte merde col viaggettino del punk, diceva bene quel tizio, OK VIENI DAL PUNK, STIMATI, GUARDA DOVE CAZZO STAI ANDANDO. Dopo i vent’anni, voglio dire. Venduti. E poi quella merda atroce di Church of Noise che però dai, forse meno merda di tutto il resto, sempre con Dennis Lyxzen, e poi francamente non me ne frega un cazzaccio dei BB quindi fino a qualche tempo fa niente poi scopro che collaborano con Paul McCartney, capirai.  E ora mi passano il loro disco nuovo su Deezer (pare sia rimasto solo Bob Rifo), copertina sempre di Liberatore e un universo di distanza da Romborama. che cazzo il disco al primo ascolto è BELLO BELLO BELLO e più o meno a metà tra roba progressiva alla R.A.M. e Bloody Beetroots e certa roba tipo Chronicles of a Fallen Love che ai primi ascolti potrebbero sembrare la più bella derivazione italo-disco da un decennio, PUAH, sarà un bluff, roba che tira, roba paracula piaciona e parrucco da poveracci per pescare pezzenti. Dai. Si sgonfierà. LI ODIO. Il disco ai primi ascolti fa star male per quanto è bello, ma vedi che passa. VAFFANCULO. Il disco si chiama Hide. Potrebbero essere il mio gruppo preferito, ma COL CAZZO. Li odio. Se devo essere sincero, al momento non mi ricordo perché e mi sento un po’ come in quella storia di Zanardi in campeggio quando il marito parla con Zanardi che gli ha scopato la moglie e piange e Zanardi gli dice fai l’uomo, fai l’uomo. Mi sento il marito, dico. Il disco si chiama Hide. Ditemi che mi sbaglio. Copritemi di insulti.

il disco su Deezer

Abbassare il livello: MANUEL AGNELLI E IL SUO NUOVO FESTIVALINO.

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La prima cosa che si nota è che nel servizio fotografico ultraeffettato del numero di XL uscito questi giorni in edicola, Manuel Agnelli somiglia clamorosamente a Noomi Rapace. La seconda cosa è che nell’editoriale del numero, il direttore Luca Valtorta fa riferimento a una copertina del 2009 che portava il titolo HAI PAURA DEL BUIO?, “come una delle più belle canzoni degli Afterhours“. Questa cosa (essendo la canzone Hai paura del buio? uno skit di trenta secondi di svisate sintetiche a cazzo messo all’inizio dell’omonimo disco) la dice lunga di quali e quante siano le relazioni pericolose tra la musica italiana, la mente dei direttori delle riviste generaliste di musica e la mente di persone come me (che tutto sommato sono d’accordo: quei trenta secondi sono molto meglio di quasi tutto quel che viene da lì in poi). La notizia del giorno, aspettando delucidazioni sull’ennesimo arresto di Varg Vikernes, è che tra settembre e ottobre inizierà un nuovo festival messo insieme da Manuel Agnelli. Si chiama HAI PAURA DEL BUIO?, come una delle più significative canzoni degli Afterhours, e schiera uno accanto all’altro musicisti, fumettisti, attori ed artisti di vario altro genere nella dichiarata speranza di svegliare l’Italia dal torpore culturale in cui è piombata da decenni. Non è quello che scrivono: quello che scrivono è peggio. Il sottotitolo del pezzo è

Non c’è gioia. Non c’è rabbia. Non c’è passione. Non c’è voglia di stare insieme nè di tentare strade diverse. Ecco perchè questi artisti hanno deciso di reagire. E XL con loro. Contro l’apatia e la rassegnazione.

L’articolo è molto peggio di così: una serie infinita di luoghi comuni sul fatto che la cultura viene osteggiata a spron battuto dalla politica. A dire il vero sembra più una fissa di Valtorta che di Agnelli: lui parla di altre cose, come se fosse il primo essere umano ad aver pensato di mettere musicisti e fumettisti dentro lo stesso festival. E risponde a domande un po’ tendenziose nella maniera odiosa e respingente che chiunque abbia mai letto un’intervista a Manuel Agnelli conosce abbastanza bene da non rimanere stupito, coprendo il tutto di quel manto di religiosità. Sul finale dell’intervista ad Agnelli c’è spazio perfino per una stoccata dell’uomo alla stampa musicale, la quale vive nel paradoso di essere tenuta ad informare e di scegliere di non farlo. Naturalmente ad Agnelli sfugge abbastanza in blocco il fatto che se la stampa si mettesse a fare un lavoro di informazione culturale certosino sbattendosene dei favori agli amici e del resto, probabilmente un gruppo come gli Afterhours sarebbe stato costretto a sciogliersi a calci prima che cominciasse il lato B di Non è per sempre. All’intervista segue una serie di dichiarazioni lasciate dagli artisti che aderiscono. La maggior parte sono beccamorti sul viale del tramonto, ma c’è anche spazio per qualcuno che rispettiamo: Fuzz Orchestra, Zerocalcare (che comunque dovrebbe SMETTERLA di usare la frase “vengo dai centri sociali” tutte le volte che gli chiedono di aprir bocca), volendo gli OvO. Dispiace, certo, che si siano messi al servizio dell’iniziativa.

La quale, in realtà, non è che sia chiarissima. Sarà un festival itinerante tipo Tora Tora ma non limitato alla musica, per ora ci sono tre date in posti giganteschi (Alcatraz, Auditorium Parco della Musica, il Traffic Festival a Torino), a cui parteciperanno tutti gli artisti che vorranno ma senza cachet. Le parole di Agnelli sono chiarissime:

“Non critichiamo chi non vuole esserci. Stiamo semplicemente offrendo un’occasione. Chi vorrà esserci avrà il suo spazio: non ci saranno guadagni per nessuno. Chi vorrà esserci verrà a rimborso spese: non ci interessa parlare di budget e cose simili, altrimenti diventi come tutti gli altri festival.”

Rimane da capire cosa significhi “non ci saranno guadagni per nessuno” in una situazione pubblica che potrebbe ospitare, boh, quattromila persone a data che poniamo non paghino un biglietto d’ingresso ma porca eva berranno birre, giusto? Non verranno servite birre? Verranno spinate birre al costo? Verranno spinate birre a cinque euro il bicchiere? A chi verranno devoluti i soldi che rimangono? Ai bambini poveri? Alla ricerca contro gli inestetismi della pelle? Ai gestori del locale? Difficile a dirsi. Naturalmente non attaccheremo nemmeno la pezza su quanto sia stupido lamentarsi del fatto che non ci siano “gioia/rabbia/passione” e “voglia di stare insieme” in piena stagione di festival e negli anni in cui (credo sia evidente a chiunque) è più facile uscire di casa e beccarsi una roba interessante senza manco prendere l’auto. Dispiace che Agnelli continui a volerci “mettere la faccia”, questo sì: basterebbe l’esperienza de Il paese è reale per mandarlo in pensione a calci. Ve lo ricordate Il paese è reale? Una compilation degli artisti indipendenti più interessanti d’Italia trainata dalla partecipazione degli Afterhours a Sanremo. Tutti i nomi realmente interessanti (Zu, Settlefish, Disco Drive) si sono sciolti, alcuni sono spariti dai radar (Benvegnù), altri hanno iniziato a fare schifo due minuti dopo l’uscita della compilation (TdO). Gli altri stanno più o meno prosperando nella loro inesistenza artistica.
Alla fine non mi disturba l’idea di mettere insieme l’ennesimo festival di roba triste e italiana come tanti ne succedono in giro per l’anno. Non mi disturba nemmeno l’idea che questi rottinculo dichiarino senza problemi che non ci siano coraggio e “voglia di stare insieme” buttando evidentemente nel cestino i NoFest, gli Handmade, gli Abbassa, i Soglianois, i Summer Days, gli AntiMTVday,  gli Indierocket e tutti i festival a cui questi qua non partecipano per motivi che vanno dal non essere invitati al cachet irragionevole. Non Non mi disturba neanche che i fan andranno in massa all’Hai Paura del Buio? Fest credendo di essere parte di qualcosa. Mi dà fastidio invece che esista una situazione culturale di stallo che riguarda quasi esclusivamente questi beccamorti e la loro cricca di amici, che qualcuno di quelli che ascolto abbia un qualsiasi desiderio di farne parte, che questa gente trovi ancora un appiglio qualsiasi nella stampa e nelle istituzioni e che tutto questo venga fatto lamentandosi di quanto la cultura in Italia sia retrograda, osteggiata dai potenti e bisognosa di atti politici. Sulle spalle di decine di migliaia di persone che tutti i giorni si svegliano e fanno qualcosa di buono (postare sul loro blog, disegnare un fumetto, mettere in fridaunlò il loro disco, organizzare un concerto dietro casa) senza sognarsi di chiedere un euro in cambio che sia uno e senza che nessuno si prenda il disturbo di parlare di loro. Volendo dirla in modo più chiaro, il manifesto pubblicato su XL è
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ma in qualche modo mi sembra più chiaro questo montaggio sulla copertina fatto da Ivan Caputo.
xl

Cavalli morti e teste incorrotte: Siena come l’inferno (Un pezzo contro il Palio)

AC Siena v S.S. Lazio - Serie A

La testa incorrotta di Santa Caterina dribbla e umilia la Lazio (courtesy of fotomontaggifattimale.wordpress.com)

C’è una città moderna dove, due volte all’anno, si tiene una giostra medievale nel corso della quale muoiono i cavalli. Mi riferisco, come è ovvio, al Palio de Siena demmerda dove, in nome del travestitismo – “Vestimose da medievali!” – i poveri animaletti vengono costretti a un’inutile, folle corsa, con loro che, montati da fantini sardi, rischiano le zampe e con esse la vita. Ma vi pare giusto? No, dico, così, senza troppe elucubrazioni, senza voler per forza parlare dei “diritti degli animali” di cui parlano tanti illustri filosofi politici, a cui non farò riferimento non tanto per ignoranza, quanto per mio profondo e sincero disprezzo per tutte le facoltà di Scienze Politiche, ossia quei luoghi di elaborazione di strampalate teorie alla moda (“facciamo un carcere rotondo con un solo guardiano che controlla tutti!”, “vietiamo di indossare simboli religiosi!”, “il terrorismo islamico non esiste!”, e così via) che conducono inevitabilmente a guerre e ghetti del cazzo e, il che è molto peggio, a discussioni intelligenti su guerre e ghetti del cazzo, discussioni che portano ad altre teorie ancora più bizzarre e ad altre guerre, e così via in un folle loop, mentre ormai da quattromila anni il Palio si continua a correre, e dei cavallucci infortunati se ne sbattono tutti le palle. Che a Siena ci fosse qualcosa di sbagliato, del resto, me ne accorsi fin da bambino, quando entrando in una chiesa mi ritrovai di fronte all’orrida testa mozzata di Santa Caterina, realizzando che dopo soli nove o dieci anni avevo visto il mio primo cadavere, il mio primo ghignante e scheletrico cadavere, a porre per sempre fine alla mia infanzia (doveva essere un Almanacco della Paura di Dylan Dog il libro dove avevo letto una riflessione il cui senso era grossomodo questo, che nel corso della vita fino a un certo punto ignori l’esistenza della morte, poi lo scopri, e va tutto in merda. C’è anche da dire che se non fosse stato per Santa Caterina, nel 1992 mio padre – dalla psiche evidentemente intasata di bruchi – mi avrebbe portato a visitare la Cripta dei Cappuccini di Palermo. Io a mio figlio non farò mai vedere dei corpi mummificati, ma soltanto Mini Pony, Mini Pony che non correranno nessun palio ma sfrecceranno leggiadri su grandi prati arcobaleno). Che poi, se non ricordo male, questa chiesa, che sarà il Duomo o che ne so, era praticamente di fronte allo stadio di Siena, e la testa incorrotta della Santa è tutto ciò che vedo ogni volta  che, da quando il Siena è arrivato in serie A, la Lazio perde rovinosamente in quello stadio (sempre). Insomma, torniamo ai cavalli, cos’è che diceva Pessoa sui cavalli? No, mi sa che mi confondo con una marca di finimenti. Che qualcuno, al mondo, i finimenti per cavalli deve pur produrli: ma dove vanno a finire, tutti questi finimenti? Sepolti assieme ai cavallucci che hanno ornato nelle matte corse senesi, Gesù, ma perché hai abbandonato Siena, una città anche graziosa ma esclusiva preda di banchieri corrotti, assassini di cavalli e teste mummificate che assaltano i bambini ignari. E la smetto qui perché sono troppo elegante per aggiungere alla lista di nequizie anche LA GIANNISSIMA, che ha aggiunto satana a satana pretendendo un figlio a cinquantaquattro anni. Come se la dannazione eterna non se la fosse già guadagnata coi suoi dischi. Ho un sogno, ed è questo, cioè vedere tutti i contradaioli dell’OA e del BRUO, e anche di tutte le altre contrade se è per questo, la TORRE, la SOLA, L’AQUILA e la MINCHIA, costretti a correre fino alla morte su una strettissima piazza, incalzati da cavalli di incubo pronti a travolgere i più deboli, ma alla fine anche i forti, mentre io mi godo lo spettacolo dalla torre del Mangia. Bastonate appoggia l’abolizione del Palio di Siena, che rimane peraltro l’ultimo piccolo scoglio per poter guardare negli occhi gli spagnoli e dirgli, senza complessi: siete inferiori.

Una per Fabri Fibra cacciato a pedate dal concertone del Primo Maggio

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Fabri Fibra è stato cacciato via dal concertone del primo maggio in quanto i suoi testi sono pieni di roba sessista. Verrebbe in mente di fare un listone con i dieci-dodici pezzi più sessisti della storia del pop sessista. Mi dispiace che Fibra non sia al concertine del primo maggio, dico sul serio. Perché dato che il primo maggio non ne avrò mezza di vedermi né il concertone del primo maggio né tantomeno Fabri Fibra, e se fossero stati nello stesso posto avrei dovuto evitare un posto solo, diciamo. Stando così le cose, invece, capace che Fibra mette insieme un contro concerto del Primo Maggio in piazza Baracca a Ravenna, che è il posto dove vivo (Ravenna, non piazza Baracca a Ravenna) assieme a tutti gli altri rapper sfigati della sua epoca. A proposito, sapete quante volte ho non-pubblicato su Bastonate un pezzo sul fatto che il nuovo rap italiano fa vomitare? Almeno quattro. Un pezzo non-pubblicato è quando raccogli materiale e inizi a prendere appunti per farci su un pezzo decente. Le prossime cinque-dieci righe passeranno descrivendo analiticamente come faccio a scrivere un pezzo di Bastonate, il che potrebbe senz’altro annoiarvi a morte. Nel caso metto un marcatore: potete saltare tutto quello va dal prossimo punto a quando scriverò la parola CARDO in maiuscolo. Generalmente parto a scrivere un’introduzione di cinque o sei righe perché la cosa più dura da scrivere per me sono l’inizio e la fine del pezzo, non riesco mai a infilare un inizio e una fine convincenti, quindi le prime due o tre righe della prima bozza sono fatte da me che mi infilo a metà di una discussione tra me e me (a proposito, ieri su Facebook sono diventato amico di un tizio col mio stesso nome e cognome). Dopodiché inizio a capire un po’ così ad cazzum di cosa vuole parlare il pezzo che sto scrivendo perché io di per me non so mai bene di cosa voglio parlare. Di seguito stilo una lista di dieci punti (sono quasi sempre dieci ma in realtà i punti che fisso non sono mai più di tre o quattro), nel caso dei pezzi sul nuovo rap italiano di merda i punti erano più o meno

–         La gente si guarderà fra sette anni e vedrà dei dementi con il piumino smanicato fosforescente che cantano quanto le donne siano troie poco prima che entri un ritornello col vocoder;

–         Qualcuno ha potenziale accesso a tutta la musica del pianeta terra e sceglie di mettere mano al portafogli per acquistare questa merda;

–         La maggior parte di questa gente mi sta sui coglioni a pelle solo a vederne le foto e questo della pelle è un argomento critico troppo spesso sopravvalutato nel mix finale delle riviste musicali;

–         Non credo che se il più artisticamente rilevante (boh, dargen d’amico?) di questi nuovi tizi facesse musica per il tempo che l’ha fatta dj Gruff riuscirebbe ad arrivare a fare qualcosa degno di dj Gruff

–         Questa gente ha una madre

–         Il peggior spokesman della vecchia scuola è Esa, in quel video che uscì fuori durante la querelle anni novanta contro anni 2010; il peggior spokesman della nuova scuola è una bella gara ma probabilmente sceglierei Wad Caporosso, che comunque come giornalista ha avuto il coraggio di dissipare tutto il suo genio in pochi pezzi e tutti risalenti a diversi anni fa;

–         Bisognerebbe impedire a chicchessia di fare video musicali preceduti da quaranta secondi in cui passano in rassegna i logo di duecento studi di produzione,

–         Conosco qualche nuovo rapper italiano figo, non faccio di tutta l’erba un fascio ma in quel fascio sono comunque la maggioranza ecco

–         Ringrazio chiunque mi abbia impedito di tatuare alcunché sul mio corpo quando ancora ero suggestionabile: non gli avessi dato ascolto oggi passerei per un fan di Fedez.

–         Gesù non si è fatto mettere croce per questa gente

E insomma, robe simili. Poi le rileggo e ne scremo una grassa metà perché non è roba a cui credo e a cui voglio dare seguito. Rimangono tre o quattro punti fissi, per i quali allungo un po’ il brodo fino a renderli dei paragrafi/monoblocchi da tremila battute l’uno. Tra l’altro la moda tipica dei blogger di dividere un pezzo di ottomila battute in dieci paragrafi aumenta la leggibilità ma contraddice una delle pochissime regole fisse rimaste alla nostra grammatica, e cioè che si va a capo per parlare di qualcos’altro. Quando rileggo i tre paragrafi di cui sopra mi ritrovo a pensare che la roba che ho scritto per allungare il brodo sia più buona della roba che avevo fissato nei dieci punti iniziali, i quali a conti fatti a questo punto hanno smesso di esistere e si sono mischiati in un flusso unico a cui evidentemente mancano dei pezzi che può essere chi legge (o no) ad inserire per completare il ragionamento e darmi modo di dire che sono stato frainteso. A volte naturalmente questo ragionamento non si applica, e rimango semplicemente ad espandere le due righe iniziali fino a farle diventare sessanta o settanta e passando il grosso del tempo a mettere una frase iniziale e una finale. Il tutto è sottoposto a un ultimo criterio di massima secondo il quale se nell’insieme viene fuori roba secondo la quale tutto quello che ho scritto è già stato scritto bene o male da qualcun altro, mi tiro indietro volentieri. A capo, senza nessun motivo.

Un pezzo non-pubblicato su Bastonate può essere un pezzo per cui il listone non è venuto bene, oppure non ho trovato un inizio e una fine, oppure conteneva roba già scritta da altri. L’altra settimana è uscito un pezzo su Stereogram che parla molto bene male di Fedez, nel senso che ne parla male ma è bravo a parlarne male. Vorrei che il punto fosse più complesso di così, ma non lo è: il rap italiano che va per la maggiore (RICVPM) si basa su un assunto di base secondo cui culturalmente siamo più preparati ad accettare la differenza tra Kanye West e Fedez che a comprenderla. Potrei aggiungere motivazioni etiche alla cosa, nel senso che a scrivere certi pezzi di Marracash, Emis Killa o Fabri Fibra si dimostra quantomeno di aver poca vergogna –e la poca che si ha viene usata quasi tutta per sciacquarsi bocca e culo in una serie di processi pubblici pro/contro l’arte il cui livello morale medio quando va bene è Paolo Bonolis, ma sarebbe una ridondanza. CARDO. Dicevo, Fabri Fibra cacciato a calci dal concerto del primo maggio. Intanto ci servirebbe di capire se il manager di Fibra ha avuto l’intelligenza di inserire una clausola anti-idiozia sul contratto (tipo “l’Artista verrà pagato anche in caso di annullamento del concerto per cause legate all’indignazione di qualche lobby del cazzo”), cioè cash in tasca più il lustro di una settimana di polemiche tra idioti di centrosinistra e idioti di estrema sinistra E senza la scocciatura di dover far esibire Fabri Fibra in un concerto che dalla TV si sente sempre di merda (almeno a quanto ricordo, c’è del buono nel non avere la TV in casa insomma). La cosa più terribile, comunque, è dover capire se considero più ignobile l’ultimo album di Fibra, che si chiama Guerra e pace e contiene liriche che non ci si crede, o l’idea che qualcuno metta in piedi una campagna per impedire a Fibra di esibirsi al concerto del primo maggio. La risposta che mi sono dato, quanto mai democristiana, è che se le cose fossero andate come dovrebbero andare (non dico in un paese civilizzato, ma almeno in Gran Bretagna) e le associazioni mobilitatesi in tal senso sarebbero state costrette al silenzio a furia di risate popolari, considero molto più ignobile l’ultimo disco di Fabri Fibra. Essendo uscito un comunicato stampa comicissimo che ufficializza l’assenza di Fibra (il comunicato degli organizzatori sembra che dica grossomodo “ce l’ha detto il sindacato che gliel’han detto le femministe, dispiace, che dovevamo fare voio dì”), a questo giro ci tocca in qualche modo solidarizzare con Fabri. Bella Fabri. Domanda a supporto della precedente: il fatto che considero tra le massime manifestazioni di idiozia il fatto che l’associazione Donne in Rete contro la Violenza abbia impedito a Fibra di suonare al Concertone vuol dire che odio le donne e promuovo lo stupro come panacea di ogni male dello scontro tra i sessi? Risposta: no, ho visto almeno tre stagioni intere di Sex&TheCity (mi ha passato i DVD la mia amica Elena). Ultima cosa, forse la peggiore di tutte, tra i vari litiganti esce fuori il vincitore più grottesco di cinque anni d’italietta: il concertone del Primo Maggio. Smerdato a sinistra da quei guitti degli Elio, che ovviamente si esibiranno, e a sinistra dalle femministe che impediscono di praticare IL RAP in piazza San Giovanni, finisce immantinente tra i superfavoriti per il Premio Simpatia ai Bastonate Awards 2013. Vai a capire come funziona la mente umana, e la mente umana italiana di rimando.

DIME CAN MA NO ITALIAN | SPECIALE GEOGRAFIA SBAIA’: CLASSIFICHE DEL CASSO SUL ROCKIT

MA XE' MAI POSSIBILE CHE I VOTI I RIVI SEMPRE DALLA PROVINCIA BRUTTA D'iTALIA?

MA XE’ MAI POSSIBILE CHE I VOTI I RIVI SEMPRE DALLA PROVINCIA BRUTTA D’iTALIA?

Eora i me ga dito che su Rockit, el sito dove che per scoltare na roba tocca vardare el video della pubblicità dei goldoni, xè stà fatta a suffragio universale na classifica inutile sui meio dischi italiani dei ultimi 15 ani (1997-2012). Lassando perdare considerasion sul fatto che tra i primi venti ghe xè soeo dischi de Afterhours, Verdena e Teatro Dei Orori, i potenti mexi pagai dalla suddetta pubblicità dei goldoni ga permesso da raccogliere e pubblicare dati incredibili, per esempio quai xè i dischi meio secondo i abitanti de diverse città italiane. No ghe xè nisun rappresentate dal veneteo e qua me ga girà i coioni quindi bisogna porre rimedio.
Grassie alla visibilità e all’attension che Bastonate dà aea realtà veneta e grassie al nostro sponsor, le cartucce nichelate da caccia della IMBALINABEN (te poi spararne anche una e le copa tuto queo ca se move, consigliate per andare a caccia de lievri o sindacalisti) ecco la classifica dei meio dischi italiani (no solo veneti, semo xente ca ne piase anche la roba esotica) dai paesi ca cunta in Veneto.

CONTARINA (detta Porto Viro):
1) Rotten Victims (grind crust da festa de l’unità, i ga na version growl della mazurka)
2) Porto Viro is Burning in loop per 13 volte come sa fosse un disco
3) Three Second Kiss – Music Out Of Music

ARIANO NEL POLESINE:
1) Samsara – Microkiller
2) Maisie – Morte a 33 giri
3) Morkobot -MoStRo

FASANA:
1) Canadians – A Sky With No Stars
2) Ohuzaru – S/T
3) Titti Bianchi / I Bagutti a pari merito

LOREO:
1) Lento – Earthen
2) Shizune – S/T
3) Uno qualsiasi dei Raein

CAVANELLA D’ADIGE:
1) Vernice – Stefano D’Orazio
2) Dead Elephant – Lowest Shared Descent
3) OvO – Cicatrici

ROSOLINA:
1) The Secret – Solve Et Coagula
2) I camion che i passa in Romea
3) Miss Violetta Beuregarde – Evidentemente non abito a San Francisco

BELLOMBRA:
1) Claudio Lancinhouse – Hardcore for life
2) Derozer – Alla nostra Età
3) L’Odore Dell’Argento – Demo

MARK KOZELEK – Like Rats (Caldo Verde)

ho mal di stomaco, la bile travasa, e me ne vado a dormire.

ho mal di stomaco, la bile travasa, e me ne vado a dormire.

 
Ennesimo cover album di pezzi scrausi riarrangiati per lagna salmodiante e chitarrina plin-plon, c’è anche Ted Nugent. Sì, il titolo è preso dalla canzone dei Godflesh. Sì, c’è anche quella canzone dei Godflesh. Preferisco il rumore del traffico.