Dio non me la ricordo neanche più la prima volta che ho visto e sentito gli Altro ma erano dei matti e la musica ha continuato a essere sempre quel punk pop così un po’ scrauso e di cuore, no, più cuore, tipo CUORICIONI. Da allora tre dischi lunghi (si fa per dire) e più o meno tutta la roba di contorno, tutta ascoltata, quando possibile vista dal vivo, lo so, quando racconti queste storie non c’è mai la sfumatura giusta. Il nuovo disco esce tra una ventina di giorni. Ho debolezze.
Archivi categoria: FOTTA
DISCO DELL’ANNO 2014
Il disco di Neneh Cherry con The Thing era il disco più bello del 2012. A un certo punto Four Tet ha sparato un remix, e immagino che non nascesse da lì ma la prossima cosa più bella di tutti i tempi nel mio calendario è il disco nuovo di Neneh Cherry prodotto da Four Tet. A un certo punto ho pensato “ma no ma dai ma vedrai che non è niente di che, abbassa le aspettative, non fare il quindicenne, e via di quelle. E poi succede che un pomeriggio tipo oggi Neneh Cherry spara la prima anteprima dal disco e adesso sono qui a pensare CRISTO DI UN DIO ORA MI SCOPPIA IL CUORE ORA SI FERMA ORA MUOIO. Vaffanculo. Già disco dell’anno. quello nel riquadro sopra è davvero un tentativo di ritrarre Neneh Cherry.
Blank Project, 26 febbraio 2014 su Smalltown Supersound. Sempre via umanuvem.
FOTTA – Arve Henriksen – Solidification
Un box con sette LP che comprendono i tre dischi già editi su Rune Grammofon, alcune bonus track e un disco nuovo di zecca buttato lì in mezzo assieme a un booklet bello sugoso e -incidentalmente- due DVD. Se mi avessero mandato la mail quando è uscito ci avrei buttato la tredicesima, quindi forse è un bene. MASTODONTO, dissero una volta i motorpsycho citati anche dai Marta Sui Tubi a Sanremo nel box quadruplo di Timothy’s Monsta.
FOTTA: Bachi da Pietra – Quintale (La Tempesta)
Ci sono giorni in cui le cose vanno semplicemente troppo bene: non ti hanno licenziato, non sei stato scaricato dalla fidanzata, non sei stato pestato da gente schierata politicamente lontano da te o tifosi di una squadra ostile, non sta piovendo, non è freddo, non hai sonno da recuperare, leggi il giornale e ti rimbalza tutto. Ci sono giorni in cui succede una delle cose di cui sopra, o ti sei semplicemente svegliato male o hai attacchi di panico immotivati, e allora è sempre un bene essere fan dei Bachi da Pietra. Sembrava una corsa a termine, stritolata in malo modo nel presomalismo un po’ accademico e post-rock di Quarzo, di cui il collega m.c. scrisse giustamente, e vado a citare per filo e per segno,
l’album easy listening dei Bachi da Pietra. Waitsiano, verrebbe da dire, ma del Waits post-nozze con Kathleen Brennan: melodie a più ampio respiro, la voce perfino comprensibile rispetto all’inesausto biascicare dei dischi prima, arrangiamenti curati, perfino un pianoforte che spunta di tanto in tanto. Il rischio – ed è la prima volta – è che il rigore diventi maniera di rigore (che è una bella differenza), soprattutto nella parte centrale dove la tensione si respira a momenti alterni (Zuppa di Pietre, Notte delle Blatte, Pietra per Pane), cedendo spesso il terreno a un autocitazionismo rassicurante nella sua solida funzionalità che però proprio per questo appassiona un po’ meno rispetto allo stato d’assedio totale fino ad ora permanente.
Quintale esce tra qualche settimana e sembra tutto un altro cazzo, comunque. Ne conosciamo per ora una canzone, messa in streaming su Soundcloud ed intitolata Paolo il Tarlo. Nel titolo un omaggio immaginiamo volontario al terzo disco, ma dentro la traccia tira tutta un’altra aria: non fossero i Bachi i Bachi, verrebbe da accostare il ritmo incalzante e il tono delle liriche a certi Big Black, persino a certo metal-accacì esistenzialista alla New York (Pist*on, Carnivore) sul finale. Non è tanto, e potrebbe essere il preludio ad un disco-sconfitta di banalità cock-rock da stadio. Ma per il momento sembra più di no, sembra anzi che Succi e Dorella non siano mai stati così in botta e pronti a lanciare il cuore oltre la palizzata, e non dubitiamo che arriveranno altri scaricamenti, pestaggi, lune storte e attacchi di panico, e insomma momenti in cui avremo bisogno di farci un tuffo nei miasmi e ci serviranno dei Bachi in forma e nuovi di zecca. Teniamo le dita incrociate, e se andrà male, insomma. Dovevamo pure ricominciare ad aggiornare il blog, in qualche modo. La traccia:
FOTTA: Riflessioni intorno al prossimo disco dei Deftones, senza necessariamente entrare in merito al disco.
Non ho ancora sentitoil nuovo disco dei Deftones, che ricordo chiamarsi Koi No Yokane ma senza la E alla fine, e per non perdere il giro (quando l’avrò ascoltato ci saremo scordati tutti del disco, anche se le classifiche di fine anno incombono e qualcuno potrebbe decidere di piazzarcelo dentro) ho deciso di intervistare il collaboratore Accento Svedese in merito al disco, anche se lui non l’ha ascoltato come me.
FF – Non ho ascoltato il nuovo disco dei Deftones e per il momento non ho la minima intenzione di farlo, anche se il disco prima brutto non era (sono dodici anni che fanno dischi non-brutti, nessuno bello come Around the Fur ma comunque insomma nessuno lo butti via ma manco ti viene voglia di ascoltarlo), anzi l’avevo pure identificato ai tempi come una specie di monumento di un’epoca perduta scolpito da gente che non aveva altra scelta nella vita che andare avanti con tutta la rabbia che aveva in corpo. Non ho usato queste parole ma avrei voluto farlo, è molto pop questa cosa della rabbia in corpo. Però mi rompe il cazzo che Chino Moreno ha tipo quarant’anni e sta ancora lì a farsi le paranoie adolescenziali romanticismo pop anni ottanta applicato al metal quando alla fine dei discorsi diocristo non ha MAI funzionato a parte nel loro caso, e nel loro caso ha funzionato perchè il chitarrista obeso è il vero genio dei Deftones (non a caso si chiama Carpenter voglio dire) e gli ha sempre dato l’alt prima che Chino Moreno sputtanasse la musica rendendola appunto simile alla musica di qualsiasi altro progetto di Chino Moreno che non erano i Deftones. Quindi anche se non l’ho sentito mi aspetto che sia così come ho detto. Te l’hai ascoltato? Il progetto witch house di Chino Moreno l’hai sentito?
AS – Mai sentito ascoltato il disco witch house di Chino Moreno – non sapevo nulla di questo progetto, giuro – ma è come se lo avessi già ascoltato dato che Chino Moreno è uno dei pochi esseri umani che riescono a dimagrire o ad ingrassare a velocità supersonica. Un anno è magro, l’anno dopo è obeso – mi chiedo come faccia, credo sia questione ormonale, o magari prende alternativamente psicofarmaci e Bogumil come facevano i veri presi male anni novanta, quelli che stavano male dentro e passavano la vita guardando le televendite sulle tv private in attesa dei sexy show notturni (tra l’altro me ne ricordo uno di Selen con in sottofondo Easy rifatta dai Faith No More, probabilmente l’ha visto pure Chino Moreno ed è lì che ha avuto l’idea del progetto witch house anche se come pseudo-genere musicale non esisteva ancora. Io per la cronaca non ho mai preso psicofarmaci o Bogumil in vita mia) componendo musica alla cazzo al pc sperando che la scheda audio non saltasse mandando a puttane il lavoro di mesi e mesi. Probabilmente è un lavoro che risente di tutte queste cose di cui sopra. Dicevo, non l’ho mai sentito ma in compenso ho sentito i Team Sleep, una delle cose più brutte accadute nella musica negli ultimi 8-10 anni (pensavamo/speravamo potessero essere dei Portishead con alla voce Chino Moreno, si son rivelati roba peggiore di Billy Corgan – di lui sia artisticamente che fisicamente, intendo) e forse basta. Quanto ai Deftones, l’ultimo disco non l’ho sentito e credo non lo farò mai. A che serve ascoltare un disco nuovo dei Deftones quando hai già passato la fase di ascolto compulsivo dei primi due su cassettina copiata da un amico, hai adorato White Pony (quello sì un disco che ha senso anche dodici anni dopo), hai riso del disco omonimo, hai pensato che Saturday Night Wrist fosse non male ma che in definitiva non avesse senso nel 2007? E poi, e poi, e poiiii sarà come morire ma gira pure una raccolta di cover di brani famosi che i Deftones hanno registrato qua e là negli anni e poi hanno riunito in un unico album, per la gioia di chi in definitiva aspettava i Portishead con alla voce Chino Moreno ed invece si è trovata i Team Sleep, roba peggiore di James Iha che per pagarsi il metadone (in America la sanità è a pagamento e le cure devi sudartele, mica come qui in Italia) ha suonato negli A Perfect Circle a marchetta come quell’altro relitto anni novanta che risponde al nome di Twiggy Ramirez. Se ti chiamo amore tu non ridere, se ti chiamo amore ahahhahaa hahah ahahaha – tanto per chiudere la citazione di cui sopra degli Orgy, anzi no di Giorgia Todrani.
FF – C’è anche un’altra chiave interpretativa su questo che probabilmente li vede vincenti. Senti questa: Max Cavalera ha fatto un featuring sul secondo disco dei Deftones (HeadUp, a quei tempi pensavano fosse la loro miglior canzone di sempre credo, tipo fino all’Independent Days di Bologna quello in cui fecero venire una tromba d’aria sul pubblico che si vendicò due ore dopo tirando sassate ai Blink 182, anche se io ero andato via prima del tempo che i Limp Bizkit mi avevano fatto vomitare, dicevo, HeadUp era il pezzo che facevano alla fine) e poi Chino Moreno ha fatto i featuring brutti nei primi due dischi brutti (i primi due dischi, insomma, anche se ai tempi andavano di gran moda e Umbabarauma diventò una specie di inno di riserva ai mondiali del –forse- 1998) dei Soulfly. Poi c’è stato il pezzo elettronico-trip-hop-new-romantic che era tipo la 5 o la 6 di White Pony, quella che si skippa tutte le volte, e Chino Moreno ha iniziato a far girare la voce dei Team Sleep che erano il pezzo inutile di White Pony tirato avanti per un’ora e ancora più inutile. Poi ci sono stati tre dischi tutti uguali l’uno all’altro (dai è innegabile) e Chino Moreno ha fatto uscire un disco witch house che il nome del gruppo sono tre croci rosa uguali una all’altra. Questa è una cosa che in fin dei conti ci racconta dei Deftones come di una specie di istituzione dell’immutabilità nel crossover, cioè il fatto che siano gretti e stanchi e refrattari al cambiamento probabilmente è l’unico motivo per cui sono ancora sulla cresta dell’onda; tutte le volte che fanno un pezzo più veloce o più elettronico c’è un risultato collaterale brutto e stupido, tipo i Soulfly o i Team Sleep o il progetto witch house di Chino Moreno. Che poi voglio dire, che senso ha fare progetti di musica elettronica da solo quando già nel gruppo hai un dj che meno lavora e meglio stai? ti ricordi quando i Deftones si sono ripresentati con un nuovo dj in formazione? ti ricordi I DIGEI nei gruppi crossover? copio da un post che ho scritto questa settimana: “Dj Lethal entrato in forze a degli ancora sconosciuti Limp Bizkit, il cui contributo fu giustamente ridotto ai minimi termini al fine di rendere il gruppo una potenza economica”. Poi c’era il dj vecchio degli Incubus che dicevano somigliasse esteticamente a Jimmy il Fenomeno, immagino per questo motivo purgato senza clamore nè onore, e se la fai sedimentare un po’ va a finire alle solite, vale a dire i Korn che si fanno fare un disco da Skrillex e il figlio più giovane di Morandi che è un fan di Skrillex anche lui. Poi chi c’era? La colonna sonora di Spawn con gli Slayer assieme agli Amari Teenage Riot. I tempi sono cambiati, forse non in meglio ma oggi Kerry King o Stephen Carpenter non permetterebbero questo genere di svacco, quindi forse il nuovo Deftones va ascoltato in quanto gruppo e disco puro e senza compromessi che non lasciano spazio di espressione al dj in formazione.
AS – Hai fatto bene a citare l’Independent 2000. Io quel giorno c’ero, avevo scavalcato per entrare senza pagare come facevano tutti e per poco non lascio un testicolo nelle transenne in nome della militanza. Esperienza formativa comunque e nonostante l’alto rischio corso, dato che dodici anni dopo posso dire di aver visto la prima esibizione italiana dei Muse (c’è in giro gente che pagherebbe per una cosa del genere, tra l’altro suonarono alle due del pomeriggio con 45 gradi e mi piacquero assai), i No Use For A Name (Tony Sly R.I.P., ci manchi molto), i Millencolin(all’epoca piacevano a tutti, ora non li caga più nessuno – meglio così), i Verdena (quando dopo Valvonauta stavano tentando una improbabile svolta stoner strumentale, mi fecero schifo come le altre due volte in cui ho provato a vederli dal vivo) ed appunto i Deftones (Limp Bizkit persi perché ero già andato a casa, peccato perché avrei partecipato volentieri alla sassaiola ai Blink 182). Dicevo, i Deftones quel giorno spaccarono e finii pure per essere inquadrato dalle telecamere di Videomusic per lo Sgrang! speciale Independent Festival, roba che su YouTube c’è ancora in giro il filmato in cui si può vedere un me stesso con zaino Invicta, maglietta dei Pennywise e bermudone militari comprate in un negozio di Lido degli Estensi (FE, ma tra poco RA visto che Comacchio vuol passare sotto Ravenna) che salta e poga inquadrato per alcuni secondi che paiono secoli o un decennio di evoluzione socio-musical/concertistica. In quell’Independent c’è dentro un mondo intero, soprattutto se lo confrontiamo quella mezza chiavica dell’iDay Festival (nuovo nome dell’Independent, tristezza questo modernismo a tutti i costi) al quale son stato a settembre 2011. A quell’iDay la gente non cagava nulla del concerto e passava il tempo a far foto con lo smartphone (i più arditi avevano l’iPad e lo alzavano al cielo tipo le ragazze che negli incontri di boxe annunciano il nuovo round), a twittare e/o a postare cazzate fasciste su Facebook, mentre ai tempi dell’Independent ai concerti si cagava solo la musica perché non esistevano manco gli smartphone (se fossero esistiti sai come ci si sarebbe organizzati meglio per la sassata ai Blink) e la tecnologia non era così avanzata. Ecco, questo forse può servire a spiegare il perché di questo rifiuto della figura del dj come parte integrante di un gruppo: puoi far tutto con un telefonino, ed allora che te ne fai di uno che scratcha e/o mette suoni alla cazzo che non danno nulla al pezzo che vuoi suonare e all’emozione che vuoi trasmettere all’ascoltatore? E questo i Deftones lo sanno, perché Chino Moretti c’ha il baffo doro ed è attento a questo genere di cambiamenti.Tra l’altro a proposito di questo genere di concerto, mi son sempre chiesto una cosa – anzi 2:
1) perché all’entrata ci son venditori abusivi (sempre gli stessi che si spostano da concerto a concerto, direi) che vendono magliette tarocche praticamente uguali (sempre le stesse che si spostano da concerto a concerto, direi) che differiscono solo per il logo del gruppo (chessò, una maglietta a righe orizzontali rosse e nere che può avere indifferentemente il logo dei Kasabian, dei Muse, dei 30 Seconds To Mars, dei Green Day o di Gabriele Cirilli che imita PSY cantando Gangnam Style al Tale e Quale Show un venerdì sera su Raiuno)?
2) perché fra il pubblico ci sono venditori abusivi che vendono birre e ed acqua in ghiaccio mentre quando entro io mi fanno la perquisa per evitare che porti dentro oggetti contundenti ed una volta mi han pure sequestrato una mela?
2 bis) come facevamo a farci piacere un gruppo come gli Hed (PE), una roba che ai tempi del primo disco pareva una figata totale (Rumore ci aveva perfino detto che erano i Dead Kennedys in salsa crossover) ed ora esiste solo al Rock Planet di Pinarella di Cervia e forse alla Taverna Bukowski di Marina di Ravenna?
Probabilmente la risposta saprà darcela Roberto Saviano col suo prossimo libro-inchiesta.
FF – A me gli (Hed)PE piacciono ancora molto, non è vero, l’unico disco che mi piace davvero è il primo e non so se mi piaccia davvero perché sono tipo otto anni che non lo ascolto, mi ricordo che andava molto la traccia n.3, ma più di lì non vado. Comunque dici bugie perché i Muse suonarono anche prima dell’Independent Days in Italia (ora non si può più dire IN ITALIA senza pensare a Fabri Fibra, prima dicevi ITALIA e dicevi mandolino, poi dicevi ITALIA e dicevi mafia e ora non han trovato niente di meglio per degradarci ulteriormente come cultura che legare il concetto di Italia al concetto di Fabri Fibra epoca coscienza politica feat. Gianna Nannini epoca voler diventare madre a 50 anni), e cioè l’Heineken Jammin’ Festival dello stesso anno che si tenne qualche mese prima, lo so perché c’ero –suonarono prima dei Punkreas, per dire, io li detestai sul canovaccio “cloni dei radiohead di merda” e i miei amici dissero che erano stati bravissimi e che ne avremmo sentito parlare in futuro. Ora i miei amici si fanno di matrimonio e prole e reality show e io continuo a farmi di dischi e alcolico, ma è evidente che loro già ai tempi sapevano qualcosa che io non sapevo e che non mi sono ancora fatto pari. Alla fine comunque il senso è tutto qui: non vogliamo ascoltare ancora il nuovo disco dei Deftones per paura che non ci sia nient’altro in ballo che quello che c’era già in ballo 12 anni fa, che i RATM si siano sciolti invano e che tutto sommato il bassista sia anche lui in coma inutilmente -non è che non mi dispiaccia che il bassista sia in coma, mi dispiace molto, ma se vogliamo separare gli uomini dagli artisti poi ti capita che ascolti i dischi e quelli con e senza bassista suonano identici e quando dico identici intendo grosso eufemismo. Naturalmente il disco lo ascolteremo, in parte perché siamo dei debosciati in parte perché su internet si trova e dato che siamo debosciati e odiamo internet la prima volta che andremo nei negozi vedremo quella orribile copertina con grafica computerizzata e compreremo il disco anche a 22 euro perché sappiamo che due ascolti non vanno mai invano. Non lo so com’è la grafica, magari è un dipinto ma voglio dire, i dischi dei Deftones da White Pony hanno tutti quella grafica un po’ così molto DESIGN anni novanta come le locandine del Vidia e del Rock Planet e della Taverna Bukowski che sono più o meno uguali a quelle che stampavano quando i ci vestivamo come gli (Hed)PE e ci mettevamo la parrucca con i dreadlock e il fondotinta nero per somigliare a MCUD come Luisa Corna che imita Whitney Houston in Tale e Quale, ora vedo la copertina e confermo sia ORRIBILE che COMPUTERIZZATA, non sono un mago, ma a questo punto della faccenda è che c’è più eccitazione e fotta di scoprire cosa s’inventeranno a questo giro intorno al nuovo Rolling Stones più che al nuovo Deftones. Ecco perché, dico, non ha senso mettersi a fare il gioco del piccolo poliziotto sui pezzi del nuovo disco nè tantomeno sentirli, i pezzi, che tanto questa di comprare a scatola chiusa conoscendo già il contenuto della scatola chiusa e scatola cinese al contempo, con un margine d’errore dello zero virgola un cazzaccio per cento, è una cosa vuota e triste che uccide la musica qui e ora. Cordiali saluti e grazie,
FOTTA: Swans – The Seer (Young God)
[17.19.14] francesco
ma te l’hai sentito il nuovo Swans?
[17.20.12] Reje
No. Manco Ho seguito se nella lineup è tornata j.
[17.20.17] Reje
ci sta?
[17.20.21] francesco
non credo
[17.20.45] Reje
Beh allora metti 6,5.
[17.20.53] Reje
sicuro.
[17.21.05] francesco
oh my, metto la recensione così.
[17.21.38] Reje
Tanto quello è.
Pellegrinaggio
Scusa se ti chiamo amore.
L’originale è uno dei miei pezzi preferiti di sempre, una specie di svuotapiste perenne che mi riempie la mente e mi disegna istantanee di fricchettoni che scopano come dei ricci in mezzo a una strada coi celerini che caricano e Martin Rev che si beve il quattordcesimo cocktail mentre la Casio fa tutto il lavoro al suo posto. La cover (ad opera di Neneh Cherry & The Thing, i secondi uno spettacoloso gruppo avant-jazz con Mats Gustafsson e Paal Nilssen-Love) è semplicemente la cosa più lontana si possa concepire dall’originale, e comunque un pezzone della stramadonna. Il disco lo aspetto col cazzo in mano. Steso in mezzo a una strada. Coi celerini che caricano, e hanno pure le loro buone ragioni insomma.
FOTTA: Disquieted By – Lords of Tagada
Qualora non sappiate come stanno le cose, i Disquieted By sono il nostro gruppo preferito in attività e quello che più da vicino rappresenta la musica che piace a noi e a quelli che ci leggono, anche per caso. Questo sopra è il trailer del disco nuovo. Vi voglio bene e vi abbraccio uno per uno.
STREAMO: 16 – Deep Cuts from Dark Clouds (vedere anche alla voce DISCONE e TRUE BELIEVERS e FOTTA)
“Sixteen.”
(Mark Lanegan, Hospital Roll Call)
Qualcuno dei presenti si ricorda senz’altro di un’epoca in cui un gruppo come i 16 aveva la possibilità di finire dentro una selezione dei gruppi più interessanti in attività, nonostante il suono del gruppo sia sempre stato tra le cose più monotone e impersonali del sistema solare. Qualcun altro ha ben presente la cosa perché essendo tutti quasi o ultratrentenni abbiamo cagato il cazzo in più occasioni con i 16 e lo sludge metal ed una fantomatica era delle chitarre e degli amplificatori, roba sparita dal radar della musica indipendente quando sono sparite le macchine fotografiche (per le macchine fotografiche è stata fatale l’immissione sul mercato delle digitali, per le chitarre è un discorso più ideologico, e comunque l’idea di far suonare pesante e chirurgico ogni disco uscito fuori dal2003 inpoi non ha aiutato lo svilupparsi del suono). E comunque per capire i 16 è molto importante avere presente quell’epoca passata, oltre che non avere manco un’idea vaga di quale sia il presente dell’heavy metal, ammesso che ne esista uno al di là di tre etichette che conoscono anche quelli che comprano i biglietti del Primavera il giorno che escono.
Il nuovo disco dei 16 è di una noia mortale. Consta di dieci pezzi tutti identici l’uno all’altro, nei quali non si riesce a distinguere una linea vocale o una svisata di chitarra che sia una, cioè una canzone si differenzia dall’altra perché il groove di chitarra fa TA TA invece di TATA TATA TATA e in quell’altro pezzo a un certo punto il basso sembra fare un saltino un po’ più in alto rispetto alla chitarra. Rispetto ai massimi storici del gruppo, diciamo l’accoppiata Drop Out/Blaze of Incompetence, il suono è talmente sulfureo e monolitico che per i primi tre o quattro passaggi viene l’impulso di gettare il CD fuori dal finestrino dell’auto al terzo pezzo. Al quinto passaggio inizi a stilare mentalmente la lista dei gruppi più concettualmente impersonali di cui possiedi almeno un album. Al settimo li paragoni a una compilation crust-sludge-grind con trenta gruppi uno irriconoscibile dall’altro. Verso il ventitreesimo è una roba da dipendenza, inizi a pensare che questa traccia è proprio figa e inutilmente violenta, se non sbaglio è la terza e invece è l’ottava o la nona e ti sei passato venti minuti di incazzo senza manco accorgertene. Dopo i ventisei ascolti inizi a comprendere qualche brandello di parola nelle parti vocali di Cris Jerue, anche se in realtà fino al quarantesimo o cinquantesimo (sto ipotizzando) i testi saranno sostanzialmente indistinguibili e a me piacerà immaginare che Cris Jerue continua a ripetere LIFE SUCKS LEAVE ME ALONE da vent’anni a questa parte. La fotta per il nuovo disco dei 16 è il frutto di un processo creativo dell’ascoltatore assolutamente random, d’altra parte: se il disco fosse stato pensato e realizzato identico da un gruppo di ventenni di terza o quarta levatura tipo quelli che mettevano su Sludge Swamp, probabilmente non avrebbe superato il secondo o terzo ascolto e sarebbe stato bollato come una martellata sui coglioni che sono buoni tutti a darti. Riascoltato una quantità vergognosa di volte inizia a suonare come l’unica musica necessaria oggigiorno a parte UNSANE e Melvins e pochissimi altri, oltre che la più grande dichiarazione politica in seno al suono dei nostri tempi. E posso senz’altro capire che dal vostro punto di vista perdere venti ore della propria vita a riascoltare un disco come Deep Cuts From Dark Sides sia sostanzialmente perdere tempo che nessuno ci ridarà mai più e che potremmo passare lo stesso lasso di tempo ad aggiornarci su cosa abbiano prodotto Kurt Ballou o Greg Anderson questo mese, ma in parte credo sia una colpa. Ops, il disco è in streaming.