la gigantesca scritta LOAL

in un mondo perfetto i Sepultura si sarebbero sciolti e avrebbero fatto uscire Roots postumo. Così non è stato. Credo di aver già fatto un racconto in linea di massima di quello che è successo dopo, non che fossero cose avvenute nell’oscurità, ma suppongo che se Max Cavalera non fosse mai uscito dalla formazione la qualità dei loro dischi non sarebbe molto migliore. È abbastanza sorprendente, tuttavia, il fatto che l’ultimo disco dei Sepultura sia -in un’ottica piuttosto limitata e priva di prospettive temporali di medio periodo- un buon disco. Quantomeno, forse per la prima volta, più un disco di un gruppo nuovo che il disco di una cover band dei Sepultura che prova a buttar fuori pezzi decenti alla Sepultura con scarsissimo successo.

L’unico problema sono le cover. A parte una terribile rendition di Just One Fix a metà disco, tra le bonus track è possibile trovare nientemeno che una versione aggro di Firestarter. La quale, sia ideologicamente che musicalmente, vola tranquilla nella top ten delle cose peggiori fatte dai Sepultura post-split. Buon fine settimana.

la gigantesca scritta LOAL

(immagine presa dal facebook del gruppo; il genio che volesse reclamarne la paternità è più che benvenuto)

Dopo 15 anni di amicizia, impegno e grande passione, nella creazione di musica sinfonica e una saga epica che rimarrà nella storia dell’heavy metal, Alex Staropoli e Luca Turilli hanno deciso di separarsi amichevolmente.

10 album pubblicati e la fine di una saga rappresentano, musicalmente e liricamente, un importante traguardo artistico, sottolineato dal successo del nostro ultimo album From Chaos To Eternity per il quale vogliamo ringraziare i nostri meravigliosi fans in tutto il mondo.

Ora è giunto il momento di trovare nuovi stimoli artistici per rispetto delle visioni e delle prospettive di entrambe le parti e della nostra vecchia amicizia

Grazie agli ultimi accordi legali attualmente in vigore, Alex Staropoli andrà avanti con RHAPSODY OF FIRE insieme a Fabio Lione, Tom Hess e Alex Holzwarth.

Per gli stessi accordi e la proprietà comune il nome originale, Luca Turilli rilascerà le sue opere futuro con una band chiamata RHAPSODY, tra cui i membri faranno parte i fedeli Dominique Leurquin, Patrice Guers e Alex Holzwarth.

cioè a dire che la rispettabilità dell’unica metal band italiana rispettabile anche oltreconfine è andata infine a puttane. Di cazzate nella loro carriera ne avevano fatta una sola: un agghiacciante comizietto propagandistico a sostegno della candidatura di non so chi a non voglio ricordare quale stronza carica politica tra un cambio palco e l’altro nel pomeriggio del secondo giorno del bollente Gods of Metal 1999. Una sola cazzata in quindici anni di carriera, talmente isolata e lontana che se n’erano dimenticati quasi tutti, per tutto il resto professionalità, etica del lavoro e attenzione a non calpestare la merda impensabili a queste latitudini, oltre a una visione della musica – e chi pensa il contrario è sordo o in malafede assoluta – nel bene e nel male unica e irreplicabile dal primo album in avanti, una visione degna del massimo rispetto anche se di elfi e saghe infinite e deliranti sulla battaglia tra Bene e Male e spade di fuoco e cavalieri asessuati non poteva fregarvene di meno. Nel 2006 il cambio di moniker da Rhapsody a Rhapsody Of Fire per motivi ad oggi mai chiariti; si sospettò di porcate avvocatesi e/o strascichi legali dovuti alla scissione dalla Magic Circle del mafioso Joey DeMaio, ma finora nulla è stato detto da entrambe le parti. Ora la barzelletta della ‘separazione amichevole’ in due gruppi dal nome identico e con lo stesso batterista. L’ipotesi che si tratti di un raffinato, enorme giochino situazionista alla Residents o KLF dei tempi d’oro va a farsi fottere una volta considerati i soggetti in questione; restano il disgusto, infinito, e un paio di proposte da inoltrare a questi geni del marketing:
Tutti i membri ed ex-membri del gruppo (incluso il batterista-fantoccio Daniele Carbonera dei primi due album) formano il proprio Rhapsody Of-qualunquecosa (comunque sempre con Alex Holzwarth alla batteria, s’intende)
– Alex Holzwarth licenzia in blocco entrambi i gruppi e si dedica al proprio progetto personale in cui suona tutti gli strumenti. Il nome? Ma Rhapsody, ovviamente…

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fonte: cinematografo.it E adobe photoshop.

Questo post serve a togliermi un sassolino dalle scarpe. Trovo giusto oggi, linkato sul forum del mucchio, un editoriale di Alberoni sul corriere nel quale (spinto da numerose telefonate di persone addolorate) il Nostro decide di dare un parere ragionevole in merito al sempiterno legame tra morte per overdose ed essere rockstar. Nella fattispecie, il pezzo contiene il passo seguente:

Tutta la musica italiana, anche negli anni Sessanta, da Modugno a Endrigo a Mina a Battisti, esprime i sentimenti abituali, l’amore. Il rock no. È americano, nasce dall’espansione di sé, dal superamento delle emozioni normali. È espressione di esperienze parossistiche possibili solo con la droga.

Ecco, volevo solo rassicurare i miei genitori (tra i più grandi e devoti fan sia di Alberoni che del blog Bastonate) delle seguenti cose:

1 personalmente non ho mai telefonato addolorato a Francesco Alberoni per chiedergli un parere in merito alla morte delle rockstar sotto i trent’anni, e se questa cosa dovesse mai uscir fuori dalle intercettazioni sapremo per certo che questo paese è in mano alle toghe rosse. A questo proposito, tra l’altro, rosico molto: nessuno mi telefona da settimane, e nemmeno via mail mi arrivano mai richieste acchè io esprima un parere a casaccio su un qualsiasi argomento di cui non so cose. Abbiamo anche chiuso l’apposito blog, due giorni dopo l’inaugurazione.

2 non faccio uso di stupefacenti. la ragione è che non posso economicamente permettermi una tossicodipendenza da eroina. tutti i soldi che non spendo per comprare dischi rock che supportano le droghe pesanti, Lucifero, la pulizia etnica e l’odio per gli animali sono deputati al sostenimento dell’abbonamento all’app Corriere.it per iPhone.

Grazie mille.

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L’unica cosa da dire sui Dillinger Escape Plan l’ha detta con una certa verve il nostro m.c. ai tempi dell’ultimo disco: “Fanno talmente schifo al cazzo i loro dischi che ormai si aspetta quello nuovo con la perversa curiosità di misurare quanto ancora avanti abbiano spostato l’asse del pessimo senza possibilità di redenzione, del paradossale, del tragicomico, del gratuito.” Da questo punto di vista c’era quantomeno da aspettarsi qualcosa di ORRENDO. Ma vederlo arrivare sotto forma di cover di Fight The Power, per giunta con Chuck D in persona a fare da guest-star, è davvero una cosa da non credere ai propri orecchi. Nondimeno.

PS: se dobbiamo essere brutalmente sinceri non è nemmeno un problema dei soli DEP. Il disco che la contiene, la OST di un videogame di cui non so nulla (andate a chiedere info a quelli di giocagiue, magari), consta di una manciata di inqualificabili cover a tema guerra, con aborti tipo gli As I Lay Dying che si permettono di riproporre War Ensemble in salsa pro-tools-core, anche se probabilmente è più dura da accettare la rendition di War Pigs firmata Acacia Strain. Da un punto di vista critico in certi casi è difficile riuscire a distinguere tra onestà intellettuale e quaranta righe di insulti alle madri dei musicisti.

la gigantesca scritta LOAL

ricevo via newsletter la seguente:

3 luglio 2011 – Ferrara – Piazza Castello
e Cortile del Castello Estense

Un giorno del tutto differente:

VERDENA

DINOSAUR jr performing BUG in its entirety
Jennifer Gentle feat. Alberto e Luca Ferrari,
Aucan, Iosonouncane, Spread, Sakee Sed and more…

Apertura porte: Ore 18,00
Inizio Concerti: 18,30
Biglietto: 15 euro+d.p.

Magari ho frainteso, ma suppongo significhi che il 3 luglio i Dinosaur Jr suonano a Ferrara DI SPALLA AI VERDENA.

J Mascis, interpellato, risponderebbe qualcosa tipo

La gigantesca scritta LOAL: Dez Fafara, una cover dei 16 Horsepower e tutto quel che è andato di merda negli ultimi dieci anni di metal.

Dez Fafara esordì nel 1997. Il suo gruppo si chiamava Coal Chamber ed aveva fatto uscire un disco senza titolo su Roadrunner. Conobbi prima i Coal Chamber di un sacco di gruppi fighi usciti nello stesso momento, tipo i 16 Horsepower. La scusa è che non cagavo per niente il folk, ero più fanatico di crossover e simili e la gente con cui uscivo non si perdeva un disco. Arrivò fuori ‘sto coso su Roadrunner e la gente ci andò discretamente sotto -era una scopiazzatura dei Korn che anche un ventenne com’ero allora poteva etichettare senza problemi come dozzinale. Un paio d’anni dopo fecero uscire Chamber Music, il disco con cui -a detta di chiunque- si smarcarono dalle ombre korniane (ombre con cui nel momento in cui usciva il primo disco nessuno sembrava avere problemi) per andare incontro ad un glorioso futuro artistico fatto di rivisitazioni gothic metal in salsa crossover (di lì a poco si iniziò a parlare di nu metal). Nelle interviste di quel periodo Dez Fafara continuava a ripetere senza problemi di avere inventato il suono del primo disco dei Coal Chamber (cioè il suono dei Korn) di sana pianta, e di essere stato fregato dal fatto che la band non sia riuscita a fare uscire il disco d’esordio prima dei Korn (e GRAZIE A DIO, vorrei aggiungere). Chamber Music guadagnò alla band ulteriore credito musicale nonostante il disco in sè fosse una gran martellata sui coglioni. Il punto è che in quel periodo il crossover era davvero alla canna del gas: i gruppi non sapevano più cosa inventarsi e la critica continuava a promuovere eccitata gli incroci più assurdi e balzani tra generi (i Puya, diocristo. In quegli anni non si faceva altro che parlare dei Puya, ve li ricordate?). I Coal Chamber erano truccati, gotici e con una bassista carina. Bastava e avanzava per avere una messe di recensioni positive nell’epoca di Spineshank e Static X.
E niente, dopo qualche anno i Coal Chamber erano alla frutta. La band si sciolse poco dopo la pubblicazione del suo disco più brutto, Dark Days (in realtà era brutto come gli altri, ma con meno scuse). Dez Fafara fondò i Devildriver, che erano una specie di declinazione aggro dei Coal Chamber. Quasi dieci anni dopo mi ritrovo ad ascoltare un disco della band per la prima volta dall’esordio. Non ho idea da chi sia composta, fermo restando che il cantante è sempre Dez (struccato, grazie a dio); la musica è una terribile -e per certi versi esaltante- metafora di tutto quel che è andato storto in questo genere dal 2000 in poi: becerissimo groove-metal tastierato con produzione ultra hi-fi e nessun pezzo, su cui il cantante urla come un ossesso alla disperata ricerca di una personalità inesistente (abbastanza paradossale se parli di uno che sta dentro a dei gruppi metal da vent’anni). Naturalmente tutto questo astio critico da parte di chi scrive tradisce un terribile e fastidiosissimo gap generazionale, dieci anni di cultura che pensavo di aver vissuto in diretta mentre ero più occupato a bere birra, cucinare, fidanzarmi e mettere insieme qualche ora di sonno. In buona sostanza sono diventato mio padre come in quella canzone del FABER, solo che invece di dar fuoco ai quadri di Guttuso preferisco andare in giro a rompere i coglioni ai ragazzetti chedendo come cazzo fanno a distinguere un gruppo dall’altro. La cosa non mi fa onore, ma non credo di essere l’unico essere umano al mondo così preso male da questa orribile trasversalità metal/HC che da adesso in poi, per comodità, chiameremo Pro-Tools-core. Non la voglio fare lunga, ma sono assolutamente convinto che Tomas Lindberg brucerà all’inferno per il solo fatto di aver concepito questo suono in tempi non sospetti -e probabilmente a tutti noi toccherà qualche anno di purgatorio per averla menata così tanto con Slaughter Of The Soul, ma chi se l’aspettava?
Comunque non è che sto parlando male di Dez Fafara per sport. Cioè, un po’ sì, ma il problema VERO è che nell’ultimo disco i Devildriver hanno deciso di fare le cose in grande e ha infilato nella scaletta una cover dei Sixteen Horsepower, nella fattispecie Black Soul Choir. Mi rendo conto che la cosa potrebbe non far girare le palle a nessuno dei presenti, naturalmente. I Sixteen Horsepower erano il gruppo di David Eugene Edwards prima di Woven Hand. Hanno registrato una manciata di dischi, tutti bellissimi -come quelli di Woven Hand, d’altra parte. Black Soul Choir è sostanzialmente il primo singolo del primo disco, quindi per certi versi il calcio d’inizio di una delle carriere artistiche più incredibili -forse la più incredibile di tutte, se togliamo i musicisti che non credono in Dio. La parte di banjo dell’originale è suonata come se fosse un riff degli Iron Maiden ed incollata a cazzo su un pezzo uguale a tutti gli altri del disco -rullate, blast beats, voce bruciata e tutto il resto. Ve lo sto segnalando nel caso in cui siate appassionati di rock pesante e vogliate compilare una playlist delle idee più stupide, fastidiose e genericamente SBAGLIATE dell’anno in corso.

La gigantesca scritta LOAL

Mi stavo riascoltando Lick* e ho pensato “cristo, guardiamo se c’è una cosa tipo Evan Dando che suona Cazzo di Ferro dal vivo.

Questo è il primo risultato se cerchi CAZZO DI FERRO sul Tubo.

Sono FELICE. Buona settimana.

*è un disco dei Lemonheads dell’88: lo so che ne sapete a pacchi, ma cercare lick su google vi potrebbe far prendere qualche virus al PC.

PS: volevo fare una gigantesca scritta LOAL sul fatto che Gianna Nannini è al quinto mese di gravidanza. Nel lungo periodo mi dava idea di una cosa sciatta.