SUONARE A GRATIS [gentilmente ospitato in LA PESANTATA DEL VENERDÌ]

fugazi definitiva (1 di 1)

Se ancora non si è capito, quando un musicista si lamenta su fb di qualcosa che è andato storto in una qualche data UGUALE cagare il cazzo.
Già la parola musicista spesso fa rabbrividire, ma ne parliamo più sotto.
Per quanto uno abbia ragione, nel momento in cui si lamenta, anche coi toni più sublimi e sinceri, l’effetto che fa è quello.
Più in generale, devo ammettere che personalmente tutti quelli che si lamentano un po’ mi stanno qua. L’altra sera c’era questo programma con degli scrittori in tv, l’ho scoperto perché su Twitter tutti un po’ a sfavare, molto per il lol, ma anche per cagare il cazzo. Se una roba non puoi digerirla, non la mangi. Ma davvero non è obbligatorio che stai lì a menarla. Sarà per altri. Il target sono altre persone che non sei tu. Se anche le altre persone verranno a mancare, allora quella roba finirà.
Dall’altra parte, ci sta anche questa cosa che sfava parecchio, ovvero che se sei un musicista (sic) scatta subito l’obiezione: Vai, suona e taci.
Me lo dicevano a vendemmiare: “Vindemia e tes” (trad: Vendemmia e taci. Grazie boss)
Che ha anche una sua verità: piuttosto che, meglio tacere.

Ora però cago il cazzo per 3 righe.
Una delle ultime date con la mia banda è andata a finire che non ci volevano pagare. Tutti hanno i loro buoni motivi, sia per chiedere soldi che per non darli. Alla fine ci hanno pagato 1/3 del pattuito e pochi complimenti. La tentazione di mettersi lì la mattina dopo e fare il GRANDE SPUTTANAMENTO è forte, ma dopo un po’ te la tieni per te. Si scrive alle band che devono suonare là, ad amici del posto, glielo si dice, lo si dice alle agenzia di booking, fine. Quello che dovevamo dire a loro l’abbiamo fatto la sera stessa, tra l’1.00 e le 2.30. Alla loro domanda “ma io faccio il dog-sitter, dove li trovo i soldi?”, la nostra risposta è stata “e noi suoniamo, dove li troviamo i soldi?”. Ma i soldi, ahitutti, non c’erano. Fine.

Foto di Francesca Sara Cauli | utilizzata da R. P. Sheppard (cantante dei Sophia) per copertina cd e tshirt delle acoustic sessions, con la seguente proposta economica: “And how would about 25€? Is that symbolic enough for you? I can PayPal it to you once I transfer some money back into my account, Ok?”. Mai arrivati. Come non arrivò né il cd né la maglietta.

Quando non ti pagano per una roba che hai fatto è brutto.
Ma quando non ti pagano per una roba che hai fatto apostrofandoti che quello che hai fatto è: suvvia, cosa vuoi che sia stato chiuse virgolette, è frustrante. Quanta saggezza in un tweet, eh?
Ma saremo milioni quelli che negli ultimi anni non sono stati pagati per dei lavori che avevano fatto. Ergo puppare, si ama ripetere. Puoi fare la pletora di argomentazioni che vuoi, ma ad un certo punto, per motivi che spesso è meglio non sondare, chi ti doveva pagare non ha più un ghello, e di conseguenza neanche ciò che ti doveva. Quanta saggezza. Poca. E infatti non è di questo che voglio parlare.

OBIEZIONE:
Se parli contro i centri sociali non hai capito niente dei centri sociali.
A parte che non ho ancora detto nulla contro i centri sociali, anche quando lo dirò non parlerò contro i centri sociali. Ho insegnato italiano agli immigrati in un centro sociale, mia moglie non avrebbe un lavoro se non esistessero i centri sociali, ho suonato e continuerò a suonare nei centri sociali, il concerto più bello della mia via l’ho fatto in un centro sociale. Fine.
La coincidenza sfigata è stata che la data andata male è capitata in un centro sociale, dove però c’erano delle persone che non avevano nessuna idea di cosa significasse andare in giro a suonare. Forse è di questo che voglio parlare. Del fatto che stai provando a fare di quello che ti piace un mestiere, ed è difficile semplicemente farlo capire. Non intendo la zia di Agnese, che ancora mi chiede se sono senza lavoro. Intendo qualcuno che ti chiama a suonare. Che ti chiama LUI a suonare.

OBIEZIONE:
Se diventa un lavoro si perde tutta la poesia.
Questa è una cosa che avevo detto anche io. In realtà mi devo smentire.
Consideriamo anche che una bella fettona della musica che ci fa smaialare ogni giorno è fatta da gente che fa il musicista di professione. Che tremenda endiadi: Musicista + Professione. Farsene una ragione.

L’avete visto questo documentario sui Fugazi? È una roba abbastanza totale. Andrebbe visto ogni 4 mesi. Le avete viste le parti in cui Ian McKeye se ne sta a contare i dollaroni dopo i concerti? Io sì. Perché senza quei dollaroni Ian McKeye e soci forse non avrebbero fatto nulla dopo Red Medicine. Buttali via.

Ma al di là dei Fugazi, a me sta benissimo che pure Al Bano, Appino e J-Ax facciano la loro musica e prendano i loro soldi. Semplicemente non mi interessa. Però sospetto sempre che quando ci sono più di 5 zeri, più ci sarà qualcuno che farà un lavoro sottopagato.

Foto di Gabriele Spadin |, sottratta senza consenso e utilizzata a scopo promozionale. Mai pagata. Vai GIANLUCA comunque.

Foto di Gabriele Spadin | Sottratta senza consenso e utilizzata a scopo promozionale. Mai pagata. Vai GIANLUCA comunque.

Sono tanti i mestieri che fanno fatica ad essere riconosciuti come tali. E la differenza che passa tra fare quello che ti piace per passione e fare quello che fai con passione per soldi è una cruna minuscola, ma che fa tanto parlare. Fai delle foto e vuoi dei soldi? Scrivi per un sito e vuoi dei soldi? Vai a suonare e vuoi dei soldi? Fai i soldi e vuoi dei soldi? Registri una band in uno studio e vuoi dei soldi? QUANDO MAI.
La zia di Agnese la pensa così, più o meno. Ma uno che ti chiama a suonare – presupponi –  dovrebbe pensarla altrimenti.
Capita che no. Amen.

Al momento quello che faccio nella vita che mi fa guadagnare dei soldi è andare in giro a fare concerti.  E devo dire la verità: la poesia non si è persa, ma è aumentata tantissimo. E le cose che mi faranno ricordare questi mesi come alcuni dei più belli della mia vita pure. Guadagno come se facessi un lavoro part-time. Ed è quello che voglio, mi va bene così, prima facevo un lavoro e andavo a suonare e la vita era molto più difficile. Mia moglie che vuole fare i conti fino in fondo, ha deciso di provare a capire quanto guadagna lei all’ora facendo quello che fa (la fornaia, in un laboratorio che abbiamo messo in piedi in quella che una volta era la stalla). A conti fatti prende circa 5.70 € all’ora. Io che non ho lo stesso zelo non farò i conti, ma so per certo che non supererei i 4€/h. Ma anche se li facessi, non ci sarebbe nulla che mi farebbe passare la voglia. Idem per mia moglie. E se tra un anno non potrò più camparci, lo farò uguale, senza camparci come ho sempre fatto finora.

Ma nel momento in cui ci campi è come se comparissero altre robe più sgodevoli, tipo il livello  del precariato in cui sei finito (non un novità), e poi il fatto che quello che fai non può fare a meno di mercificarsi un po’. Perché se chiedi tot soldi poi deve venire tot gente, o qualcuno ci rimetterà dei soldi. Se non viene tot gente poi fai la figura di quello che non vale tot soldi. E l’atmosfera di sembrare al palio del bestiame è a un attimo da lì. Fa parte del gioco, a me piace anche così. Più o meno va così per ogni questione che riguarda altra gente che ti deve venire a cercare. Ma non sto parlando di musica tout court, sto parlando di andare a suonare. E il gioco che ruota attorno a questi soldi è fatto di tre parti: 1) chi viene a vedere un concerto e paga un biglietto 2) chi organizza il concerto e paga la band 3) la band che prende dei soldi. Talvolta il concerto è a ingresso gratuito, e la gente entra a far parte del circuito monetario perché magari rifocilla le casse del bar.
Quando una data va male, quando capita il fatidico bagno di sangue, significa che con gli ingressi e/o il bar non ci sono i soldi per pagare la band, e qualcuno ci rimetterà dei soldi.
Con la mia banda è successo un paio di volte. Sono anche poche, e la cosa è splendida perché non torni a casa con la sensazione di aver rubato. Torni a casa con la sensazione che nessuno è scontento. Magari qualcuno poteva essere più contento, ma quello è sovrimpresso alla vita in genere, una serata non cambia la statistica.

Sono tutte variabili delicate. Ho organizzato tanti concerti, so cosa significa essere dall’altra parte del bancone. Trovo pure delle date ad alcune band di amici. E noleggio un furgone. Ho fatto esperienza di tutti gli ingranaggi ergo non cagare il cazzo. Tuttavia, nel gran traffico delle trattative e dei conti finali, se viene a mancare una componente, sono cazzi per tutti, e quella componente è l’onestà.
Ci sono tanti modi per andare a suonare e contrattare il tuo cachet.
Nel piccolo mondo che frequento io le modalità potrebbero essere queste:
1. Vieni gratis (variabile: vieni gratis + il bere e/o il dormire)
2. Vieni a rimborso spese
3. Vieni e vediamo come va (difficilmente andrà da re)
4. Vieni per una cifra
5. Vieni per una cifra e se con gli ingressi copriamo le spese ci dividiamo il resto
6. Vieni a produzione: ti tieni gli ingressi.

Se vengo a suonare perché mi prometti 50€, e alla fine la serata non è andata come speravi, e non hai i 50€ dagli ingressi, e decidi di non darmi 50€, allora la catena si spezza. Va a finire che tu, quella sera, non perdi soldi, io sì. Ma come dicevo all’inizio, siamo in tantissimi ad aver fatto un lavoro senza venire pagato, ergo stammi bene.
Di contro, quando però il locale era imballato, e a fine serata coi conti alla mano era evidente che gli ingressi superavano anche del doppio il cachet, è CHIARO che non ci si mette a trattare per avere più soldi. Perché c’era un patto, e il patto si mantiene. La volta dopo magari cambierai i patti. Senza contare che io non posso sapere quanto tempo hanno speso per promuovere la serata e quante persone c’erano in busta paga per far funzionare tutto al meglio. E nemmeno mi frega. Chi organizza le robe si prende sempre dei rischi. Nessuno lo obbliga, ma immagino sia quello che vuole fare. Conosco tanti promoter (gente che organizza robe, soprattutto concerti) che fanno quel lavoro lì perché amano la musica dal vivo.
Ehi, ehi: il discorso non andrà molto lontano da qui.
Davide, Giacomo, Nico, Gianluca, Iacopo, Marco, Francesco, Fabio, Alessio, Andrea, e via, organizzano robe perché amano quello che fanno, che sia o meno il loro mestiere; ognuno di loro lo fa in maniera diversa e con musica diversa, ma comunque trattano le persone con la stessa stima e passione con cui fanno il loro lavoro.
Sono oramai più di 10 anni che suono, ed è sempre stata una scelta in perdita economica, anche perché in 10 anni abbiamo sempre scelto di suonare con la nostra roba (ergo noleggiare un furgone) e con il nostro fonico (ergo una persona da pagare), e se tu non mi paghi noi ugualmente pagheremo fonico e furgone perché 1) siamo delle persone oneste, e 2) se amiamo quello che facciamo lo vogliamo fare BENE; e ora che il suonare non è più una faccenda in perdita non ce ne vergogniamo, ma quello che ci mettiamo non è calato di una virgola.
Alla fine il discorso non si allontana da una parola curiosa che non usiamo mai, e che probabilmente nemmeno io userò per altri 10 anni, due punti l’amore per la musica.
Se non c’entri niente con questa roba qua, io non mi aspetterò nulla da te.
Si verrà a suonare per espletare una sorta di contratto in nero tra due parti, ci saranno le persone presenti che daranno un senso alla storia, ma tra di noi non succederà nulla di quello che capita altrove, quando nasce una cosa che si chiama stima, e che è riservata a quelli che se lo meritano. E per fortuna non sono pochi.

La mia banda si chiama gazebo penguins. Tutta la musica che facciamo è gratis.
I concerti, in linea di massima, ancora no.

as

in foto R. Amal Serena, che Bastonate non ha mai pagato né pagherà mai nonostante abusi pesantemente della sua immagine.

La pesantata del venerdì: HO CAPITO CHE C’È CRISI MA TE VUOI PAGARE CINQUE EURO UN CD NUOVO.

pm

GENESI

Questa forse ve la devo spiegare, anche se non è la prima volta che si parla di ‘sta cosa qua dentro. Che qua dentro si sia fan dei negozi di dischi (1, 2, 3, 4) è un concetto che è passato, giusto? OK.

Sul forum del Mucchio, l’unico forum che ancora frequento, c’è un thread che si chiama LA MORTE DEI NEGOZI DI DISCHI. È partito qualche nell’aprile del 2009 da un pezzo bellissimo scritto sul Mucchio dall’amico Aurelio Pasini (ciao Aury) sulla chiusura di Nannucci e va avanti per qualcosa come millecinquecento interventi. Ogni tanto chiude un negozio nuovo e la discussione torna ad aggiornarsi. (questo pezzo contiene brandelli di cose che ho già scritto lì).

ESODO

Recentemente, il più grande problema dei negozi di dischi (tutti e sei i negozi rimasti) sembra essere che i dischi SI PAGANO TROPPO, rispetto ai soldi che si spendono a comprarli non-nei-negozi. Esempio: il disco di questo che trovo nel negozio a venti euro, alla Fnac lo pago (pagavo) dieci e su Amazon cinque euro. Il problema, dice un tizio, è la percezione di quale debba essere il costo di un CD. Una domanda interessante. Quanto?

Qualcuno dice “5 euro”. Qualcuno risponde “massimo 10”.

Inorridisco, insulto qualcuno, si sviluppa una discussione. Nei forum succede così. Decido, questa mattina, di fare la stessa domanda su twitter.

La domanda è volutamente generica. “Quanto sei disposto a pagare per un CD?”. Sottende l’idea che i CD comprati nei negozi siano uguali a quelli comprati su internet, che a livello di prodotto in sé è verissimo. La risposta, considerando più o meno una settantina di risposte è 10 euro a dir tanto. Sei o sette persone dicono più di 10, due persone “massimo 15”, una sola 18/20 euro. Molti fissano effettivamente il tetto a 5 euro per il catalogo, qualcuno anche per i nuovi. Il mio twitter si lega a gente che cazzeggia con la musica. La risposta è una risposta da consumatori: posso scaricarlo e comprarlo su itunes, pago due lire in più per avere il supporto fisico, ciao.

Specifica aggiuntiva: un CD con un booklet di due pagine non vale 10 euro. I CD, per venire comprati a qualsiasi cifra, devono essere oggetti da collezione.

LEVITICO

Il CD a 5 euro è un’anomalia statistica diventata istituzione, comparsa nel banchetto dell’usato da qualche parte negli anni novanta e da lì in poi eretta a sistema economico per motivi che non comprendo a fondo. Tu vai a vendere dei CD usati al negoziante, lui ti dà due euro e mezzo e li vende a sei/sette euro. Per te è un affare? insomma -è tipo il 10% di quanto l’hai pagato nuovo. Per il negoziante è un affare? Mica tanto. Si sobbarca il costo di un probabile stock, ci paga le tasse e le spese fisse e tutto il resto, alla fine ti rimangono in tasca i soldi che rimangono al barista per un caffè (ma credo si vendano più caffè che CD usati). In prospettiva non è un mercato che ti rende ricco ma diciamo che –almeno- non è in perdita. Pausa caffè/CD usato.

NUMERI

quest’anno mi è capitato di fare i disegni per la copertina di un disco, che è questo (lo metto per tirarmela e spammare un po’, comprate questo disco CAZZO è bellissimo l’ho disegnato io):

og

Ogni Giorno – Il fine settimana, due anni dopo

Questo disco è stato registrato dentro uno studio che costa soldi. Poi il disco deve venire stampato -AKA serve un master- e viene messa insieme una copertina, da stampare anche quella.

Questo disco, in particolare, costa alla stampa 4,5 euro. È vero che è una confezione lussuosa (grazie regaz), e in questo risponde ad un’esigenza manifestatami da qualcuno che mi ha risposto su twitter: il CD oggi deve essere un oggetto carino di per sé, o mi prendo su i file e vaffanculo. Il CD degli Ogni Giorno, stampato e finito, costa 4,5 euro. In questi 4,5 euro di costo non sono comprese:

1) le ore di studio
2) il master
3) l’illustratore/il grafico

4) andare a prendere i dischi in un posto e portarli a casa propria.

Conto della serva: il costo di questo disco, dentro uno scatolone a casa dell’etichetta, si aggira tra i cinque e i sei euro. Ora il disco va venduto a qualcuno. Vai nei negozi o in GD? Vendi il disco a un distributore. Il quale (la sparo) compra i dischi a sette euro (più IVA), cioè un euro a copia per l’etichetta. I distributori hanno due modi di comprare: il primo è comprare, il secondo è comprare in contovendita. Se compri in contovendita ha probabilmente senso che tu venda il tuo CD al negoziante intorno ai 10 euro (più IVA). è un prezzo bassino: stiamo parlando di un primo margine del 37%, a cui vanno tolte tutte le spese e le tasse etc (se pensate che sia tanto ipotizzo che non lavoriate nel commercio). Questa gente NON sta concludendo l’acquisto al tavolo di un’osteria: ci sono telefonate, mail, corrieri (provate a lavorare due mesi servendovi di un qualsiasi corriere espresso e poi venite qui a dirmi che parlo a vanvera) e tutto quanto. Diciamo che dei tre euro che vanno a comporre il primo margine, un euro se ne va via in spese -o le spese vanno girate al negoziante.

Il negoziante a questo punto si trova il disco nel negozio, deve buttar su il 22% di IVA e decidere quanto guadagnarci sopra. Ponendo che tutto sia andato BENISSIMO (il trasporto è andato ok, niente rotture, non ti cade la scatola mentre la metti sul banco), il disco viene messo sullo scaffale a 17,5 euro e frutta circa 5 euro al negoziante. Questi merdosissimi 5 euro, secondo la percezione popolare RAPINATI al mercato musicale dal negoziante sono soldi su cui il negoziante paga le tasse, l’affitto del negozio, luce gas e tutto il resto. Poniamo che di questi cinque euro alla fine dell’anno gliene rimangano in mano due (e non sono due): un venditore di dischi dovrebbe vendere circa 500 pezzi al mese per tirar fuori uno stipendio da operaio. 500 pezzi al mese vuol dire 20 dischi al giorno, compreso il martedì, noto giorno della settimana in cui la gente esce di casa e si accalca per comprare dischi al negozio.

In sostanza, su un disco indipendente a 17,50 euro (qualora il disco sia venduto in centinaia di copie, e in questo caso nemmeno) non ci lucra nessuno di quelli a cui è passato di mano. Il disco che ho preso in oggetto, come ho detto, è particolarmente lussuoso e se fosse su un jewel case costerebbe molto meno. Ma ci sono costi aggiuntivi su questo conto, per esempio:

1 vengono mandate in giro copie promozionali. Ok, magari no.
2 il disegnatore viene pagato con copie del disco da regalare a sua madre.
3 il gruppo viene pagato in copie del disco da smerciare per suo conto ai concerti
4 il disco, nell’esempio, è venduto in contovendita, va incontro a costi di ritiro che non so quantificare
5 i dischi non vanno spessissimo sold-out.

Un’altra cosa da considerare è che 17,50 euro sono esattamente GLI STESSI SOLDI che si pagavano per un disco quindici anni fa, ad un cambio lira/euro che è stato fissato anche questo una quindicina d’anni fa (nel frattempo la benzina è raddoppiata, per capirci). Qualcuno può giustamente sostenere che la catena produttiva è troppo lunga e che il negozio di dischi non è più il posto dove si comprano i CD. Non sono d’accordo ma è verissimo. Il problema è: esistono alternative? Un’etichetta deve produrre il disco e poi contattare direttamente tutti i negozi del mondo? Prendersi un agente che venda la sua roba a provvigioni? Si può davvero pensare che una catena di grandi magazzini/elettrodomestici/autogrill/supermercati possa inserire come fornitore una singola etichetta o gruppo? Ne dubito. E le major? Non so davvero quantificare. I costi di produzione del CD di Kylie Minogue sono senz’altro più bassi dei 4,5 euro a copia degli Ogni Giorno, ma vanno considerati i costi di registrazione (che non sono i qualche-mila euro che ti costa registrare un disco buona la prima) e le campagne promozionali, il cachet di Michel Gondry e l’assicurazione sul culo di Kylie, il tutto per titoli che mediamente non vendono più i milioni di pezzi ciascuno degli anni novanta. Posso comprare CD ai banchetti dei gruppi e delle etichette, lo faccio anzi ed è il modo in cui ancora preferisco spenderli ma sai com’è. Vai Kylie:

DEUTERONOMIO

Ci sono, ovviamente, i modi di vendere inventati da internet. Il primo modo di vendere inventato da internet è il download gratuito, poi c’è il download a pagamento, streaming legali, poi i dischi fisici comprati sugli Amazon del caso. Come sa chi mi conosce, odio Amazon. Ho fatto acquisti, sia chiaro, e sono andati tutti e due a buon fine; niente ritardi, niente rotture di coglioni, niente inversioni di titoli: ho smesso perché a comprare su Amazon non provo nessuna emozione (e allora tanto vale che me li scarichi) e per le condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i dipendenti. Forse il boicottaggio è un concetto stupido e fuori moda, certo, ma l’alternativa è l’idea che un prezzo sufficientemente basso non ha alcun limite morale a cui appigliarsi, e mi sembra molto più agghiacciante. Ok, sono io, ma a leggere questo pezzo il mio banalissimo desiderio è che questa gente chiuda bottega.

Nella discussione sul forum fa abbastanza presto a saltar fuori l’idea che il consumatore sia, come dire, un attore partigiano che deve pensare alla bottega. E che tra un disco a cinque euro e lo stesso disco a quindici sia tenuto a scegliere i cinque euro. Questo ragionamento ne nasconde implicitamente un altro, e cioè che di base non è colpa nostra se qualcuno ci tenta con offerte irrifiutabili (che comunque rifiutiamo), cioè che di base il mercato è quello e noi non siamo responsabili.

Ecco, io non sono d’accordissimo con questa cosa. Credo che sia dovere di chi compra dischi (ma anche, boh, prosciutti) assicurarsi che qualcuno non stia perdendo soldi per coprire un bisogno del consumatore. Ci sono modi per comprare dischi a meno soldi: banchetti, acquisti dal sito dell’etichetta e tutto il resto. Condividere la musica aiuta la diffusione, pagare la musica aiuta il proseguimento della razza, e tutto il resto. Pretendere di pagare massimo dieci euro per un disco nuovo, insomma, mica tanto.

Salterei alle conclusioni ma già così sono quasi diecimila battute.

La pesantata del venerdì: CINQUEMILA DATTILOSCRITTI TRA CUI IL NUOVO FONTAMARA

ivr002

Dal 17 novembre Masterpiece (1) ti aspetta ogni domenica in seconda serata su Rai3, dice. Già così e triste, e non avete letto il resto. Da un’idea di FremantleMedia per Rai3, in collaborazione con RCS, nasce Masterpiece, il primo talent show per aspiranti scrittori che competono per realizzare il sogno della vita: pubblicare il loro romanzo con Bompiani.

Sono nato nel ’77, non fate battute, voglio dire che non ho mai vissuto una corrente letteraria italiana rilevante in tempo reale, almeno a quanto ricordo ora. Nessuno della mia generazione ha mai appeso un manifesto da qualche parte per spiegare di cosa si sarebbe occupato, almeno a grandi linee. E quindi non ho la più pallida idea di cosa volessero o provassero le persone nel primo novecento, ma a occhio e croce penso che la maggior parte di quella gente non aspirasse a pubblicare il proprio romanzo con Bompiani quanto piuttosto a -non so- scrivere una cosa che spaccasse la testa ai contemporanei, o una cosa bella, o una cosa che fosse una cosa che avesse un senso in quel momento lì in cui la scrivevi. Probabilmente sono io, certo. Voi che ve ne siete fatti della liberazione dei formati? Come avete sfruttato il fatto che chiunque potesse leggere la vostra merda senza necessariamente dover essere pubblicati da un editore non-a-pagamento? Un cazzo? Anche io. Il piuttosto lucido Jacopo Cirillo (2) dà una sua idea della cosa qui, in modo volutamente fazioso e antipatico e salvato dal fatto che, cristo, mica gli puoi dire che ha torto.

Mi interessava molto anche quell’altra storia, quella di mio nonno che io non ho mai conosciuto ma questa storia me l’hanno venduta sette o otto volte. Mio nonno attaccava pezze a chiunque. Attaccare la pezza in romagnolo vuol dire che vai da una persona e la inizi ad impezzare, perché io dalla Romagna sono uscito poche volte e faccio fatica a spiegarlo però una volta l’ho scritto e facciamo che va bene quello che ho scritto l‘altra volta. Attaccare la pezza (3) si usa quando una persona inizia un discorso estremamente personale, nel senso diretto proprio a TE, del quale ti interessa poco o nulla o comunque non tanto da giustificare il tono confidenziale ed eccitato che la conversazione sta prendendo. Da qualche altra parte in Italia attaccare la pezza vuol dire credo attaccar bottone con una tizia o cercare una rissa, in Romagna si usano altre parole per queste cose. Puoi attaccare la pezza allo scopo di attaccare bottone con una tizia, ma sono due cose diverse -e se la tipa dice che le hai attaccato una gran pezza in genere significa che avrà cura di evitare una seconda conversazione con te e quindi di fatto se le hai attaccato la pezza non sei riuscito ad attaccare bottone. Esiste anche il corrispondente per definire chi attacca le pezze a getto continuo, cioè il cosiddetto attaccapezze. Nessuno vuole un attaccapezze nella compagnia perché tende a non sfangarsi e spezzare la bolgia e insomma alla fine ti scoppia la faccia. Questo a meno che non si consideri la pezza anche in una eventuale accezione positiva, tipo i venditori che ti attaccano una gran pezza e poi riescono appunto a venderti le cose, o quelli che non fanno mai morire la conversazione e a volte la conversazione è bello che non muoia. Ecco, mio nonno era un attaccapezze nell’ultimo modo, dicevano che non stava mai zitto e faceva quel lavoro lì, non il venditore, beh faceva il mezzadro, ma attaccava anche la pezza. Poi di punto in bianco mio nonno ha smesso di parlare. Non è stato per una malattia o un incidente o tre giorni prima di morire. Un giorno ha finito il discorso e non ha più parlato. Due settimane dopo qualcuno ha iniziato a pensare che qualcosa non andava, ma è difficile affrontare queste cose. Mio babbo un giorno s’avvicina e glielo chiede: babbo, ma com’è che non parli più? Mio nonno fissa mio babbo per venti secondi e poi risponde SAOIDADEI, l’accento va sulla E chiusa e muta e non è giapponese ma sempre dialetto romagnolo per cosa devo dire?.

Mio nonno, qualcuno disse, aveva finito gli argomenti. A me piace pensare che a un certo punto decidi che devi dire solo cose interessanti e perdi interesse nelle cose e allora non dici. Oppure non ti piace più sentire la tua voce. Io con la mia voce ho un sacco di problemi, soprattutto quando la sento registrata mi sento il più cretino di tutti e forse lo sono –voglio dire, le voci registrate delle altre persone sono uguali a quelle live, quindi immagino anche la mia, che bello, grazie mamma per queste corde vocali. (4) Dicevo: il reality degli scrittori. Cinquemila dattiloscritti presentati, Massimo Coppola sarà il COACH, Andrea de Carlo tra i giudici. Continua a leggere