PAESE REALE (una di quelle feste senza selezione all’ingresso in cui entra chi cazzo vuole)

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(come al solito, regole qui)

ECOCIDE  – LORD OF WICKED SIGHT Death’n’roll strasentito, sempre meglio di un calico in culo o di una roba triste e moscia ma insomma non mi ci vedo a cacciare tre euro per il CD. Che comunque non è ancora uscito, il CD dico: uscirà il 23 agosto 2013, e siccome per allora saremo tutti morti ho deciso di sparare un giudizio basandomi sui due LYRIC VIDEO (cioè streaming dei pezzi sul tubo mentre passano in primo piano i pezzi scritti con un font molto metal). TOXYDOLL – LIVE AT THE LOOPHOLE “nasce a Berlino nel 2013, come progetto di quattro improvvisatori alla ricerca di un potente suono “punk”. Per fare free, senza mai perdere la botta. Il risultato è una musica ruvida e spiazzante, che si muove senza sforzo tra riff elementari e tempi dispari” (copio dalla bio). Io non ho problemi con chi si autodefinisce “punk”, ma questi la botta la perdono spesso (non è chiaro in effetti se nel disco ci siano momenti con la botta). Voglio dire, non credo che definirsi “punk” aiuti un gruppo del genere. Già i punk vedono malino i sassofoni, ma non vi conviene farvi giudicare da qualcuno che copre il jazz piuttosto che dai fan degli Zu? SKVERNA – CITTÀ APERTA Credo sia abbastanza chiaro che in generale gli Skverna siano un gruppo emo: il disco ha una scaletta con titoli tipo Natale, Lunedì, Vacanza, Mattina e il cantante è una mezza copia di Chris Leo. Il problema principale del gruppo è che nonostante la musica sia comunque bella, gradevole e benissimo prodotta, il disco dà l’impressione di essere una di quelle feste senza selezione all’ingresso in cui entra chi cazzo vuole (noise, metal, postrock, gente astemia). Cambino nome al gruppo e mettano un po’ d’ordine alla musica. TARICK 1 – USAMI mi piacerebbe fare facili ironie sul titolo del singolo, ma nel suo genere (indietronichetta di merda che pensavo erroneamente si fosse autoestinta nel 2005) non è per niente sgradevole. Roba estiva. Bel nome, mancarone Taricone. IL MARE DI ROSS – FIN screamo postmetal con le chitarre malinconiche, tutti figli degli Isis di ‘sti tempi. Il disco è pallosissimo ma credo sia più colpa della registrazione che del gruppo. AMA – XXII CENTURY HITS è come scoprire che i rumori che filtrano dal muro che ti divide dall’appartamento del vicino sono fatti da due scarafaggi alieni che stanno copulando per riprodursi a dismisura e porre fine alla razza umana prima della streetdate del disco degli Ecocide. Non è quel che si dice un disco da ascolti ripetuti.

PAESE REALE (quei misti tra Mike Patton e Piero Pelù con l’inglese di tungsteno)

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(le regole come sempre stanno qui)

ZEITBLOM – DONUTS WITHOUT HOLES (autopr) Sono in due, uno è un commentatore fisso di Bastonate. Il nome del gruppo la E maiuscola, zEitblom, e già che è impronunciabile speriamo che inizino a scriverlo come si deve. Indie-pop melodico e rumoroso alla Sonic Youth che potrebbe anche piacere a qualcuno, hanno una bella intuizione sull’uso delle voci così a cazzo. Si sbarazzino della roba acustica. OGUN FERRAILLE – MY STALKER DOESN’T LOVE ME (su bandcamp) Potenzialmente sarebbero un buon gruppo di math-rock scolastico: li vai a veder suonare senza fare troppi chilometri e ti passa bene. Manda tutto in vacca (1) il fatto che a volte nel loro caso math vuol dire potenzialmente anche Tool, e (2) che alla voce abbiano un tizio di quelli che di solito cantano nelle cover band al Guinness Pub di Villalta, cioè quei misti tra Mike Patton e Piero Pelù con l’inglese di tungsteno che rendono tutto brutto epic metal ed equosolidare. La strada è cambiare modo di cantare o mettersi a fare le cover di Digging the Grave, io preferirei la prima. URO – S/T (su Bandcamp) Intanto sono strumentali e questo è un passo avanti rispetto agli Ogun Ferraille. La roba che fanno mi annoia un po’, ma è ispirata a roba che mi annoia pure nell’originale -Tortoise, June of 44, Isotope qualcosa e roba simile. Cioè, i June of 44 mi piacciono un casino, ma il resto perlopiù mi annoia. E comunque andava bene per chi si voleva fare il viaggio a fine anni novanta ma non sarebbe mai dovuta diventare un genere musicale, o almeno non nel senso di quelle cose tipo “facciamo un gruppo che suoni tipo Tortoise”. Immagino comunque che questo sia un problema mio e che nell’ottica di chi adora il postrock gli URO abbiano fatto pure un buon disco. EERIE SOUNDS – BACKBEAT (su Soundcloud) è una cosa a metà tra postcore, dream pop, IDM, indietronica e cose simili, che un po’ paradossalmente può voler dire “tipo Jesu”. Immagino ci sia un sacco di gente che fa questi esperimenti in casa, non è che sia musicaccia ma non riesco a immaginare un momento in cui abbia senso ascoltarla su disco –peggio che peggio dal vivo. MACHWEO – LEAVING HOME (Flying Kids) Ha 20 anni e cazzeggia con chitarra laptop e field recordings, roba che la ascolti e ti senti più intelligente di quello che sei (ho qualche centinaio di dischi di questa roba, intendo musica che ti fa sentire più intelligente: jazz, elettroacustica, musica concreta, piani preparati, elettronica rarefatta, il catalogo Touch e via discorrendo. Frequentazioni sbagliate). Pare sia stato registrato mentre il tizio era imbaraccato dopo il terremoto in Emilia, trovate qualcosa su dlso: è molto carino ma mi fa rosicare perché IO a 20 anni sembravo un testo dei Limp Bizkit umano. SEQUOIA – OUTLAND (su Bandcamp) Pure qui siamo dalle parti delle varie Touch/Kranky/Mego e via di quelle, almeno stando a questo disco qui (nel bandcamp ce ne sono altri, io ne ho sentito uno che suona tipo Neon Indian). La classica roba fatta di pezzi con modulazioni minime tipo VVVVVV che continuano per un un quarto d’ora filato e in perenne bilico tra ultra-minimalismo e un cazzo di niente. Io con questa musica ho due problemi: il più rilevante è che me l’ascolto con un briciolo d’ansia hitchcockiana per la possibilità che l’artista abbia inserito un feedback rumorosissimo senza senso al minuto 9, come quelle applicazioni che ti mandavano via mail ai tempi di Windows 98 e ti facevano comparire un mostro bruttissimo a tutto schermo mentre stavi lì a scriverti le chat con le ragazzine su mIRC. Il secondo problema è che una quindicina d’anni dopo aver scoperto che la gente ama molto fare uscire questo genere di dischi non riesco ancora a capire perché dovrei spendere soldi per ascoltarmi un’approssimazione del silenzio invece di ascoltarmi un ambiente silenzioso a costo zero. Di solito risolvevo il conflitto dicendo che sì, in fondo questa roba non fa male a nessuno, ma la realtà dei fatti è che una volta sono andato a San Michele, la festa a Bagnacavallo dico, con la mia fidanzata, e mi sono sbronzato un poco e l’ho fatta guidare di notte costringendola ad ascoltare A Crimson Grail di Rhys Chatham mentre io me la dormivo della grossa, e lei mi racconta di quanto e come ha rischiato lo stesso colpo di sonno che io stesso ho sfiorato le innumerevoli volte che mi costringevo ad ascoltare i pezzi che passavano sulla mai troppo lodata Battiti a Radio3 mentre tornavo da party e concerti. Dicevo, Sequoia-Outland. Disco carino, ma forse preferisco quello stile drugapulco (si chiama Rainbow on VHS) perché succede più roba. REQUISITI DI POTENZA – S/T (su Soundcloud) arcòr grezzone con cantato stile Affluente (aridaje). Carino preso a dosi di un pezzo o due, ma non so se li chiamerei a suonare al Bastonate Summer Fest. POLAR FOR THE MASSES – ITALICO (La Grande V) Ho controllato la mia casella di posta e dal maggio del 2009 ho ricevuto centotredici (CENTOTREDICI) comunicati stampa riguardanti questi Polar for the Masses. Giuro. Di solito queste cose finiscono molto prima del decimo comunicato, giù per la cartella dello spam, ma la prima agenzia che li trattava si chiamava BLACK NUTRIA. Comunque il fatto che mi siano arrivati CENTOTREDICI comunicati è un bell’indizio sulla musica che i P4TM suonano, vale a dire –boh- una specie di elettrorock-en-italiano steroideo privo di senso, tipo dei Post-Contemporary Corporation senza Zecchini, ma questo l’ho scoperto solo ascoltando Italico. Le cui note di presentazione recitano: “Il rock, cantato in italiano, come nessuno l’ha mai suonato / Il rumore incontra la canzone / Ascolta / Ti sembra musica elettronica? / Indie all’italiana? / Tutto sbagliato“. Abbastanza d’accordo sull’ultima. ZEROFANS – ANTIDOTO ALLA NOIA (Diavoletto) Hanno vinto Italia Wave Basilicata nel 2011, escono per un’etichetta che nel sito si autocertifica “la prima netlabel indie rock italiana” e anche se non è chiaro che musica suonino (un generico “rock”, tipo dei Danzig senza Danzig) si distinguono per il cantato più fastidioso che abbia mai sentito (sempre mike patton meets piero pelù ma in italiano e molto peggio degli Ogun Ferraille). Sfido chiunque ad ascoltare il disco, sta qui, e nominarmi qualcuno che canta in modo più fastidioso. WHAT CONTEMPORARY MEANS – SUCCEED (Fallodischi) Emo-prog, non male se ti piace questo genere di cose.

PAESE REALE – cantautori tra Milano e Nashville

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GIOCHI PER BAMBINI –CERCO SOLTANTO DI NON LAVORARE PIÙ (Pippola) Ha un dieci-dodici per cento di Piero Ciampi nella metrica e nei testi e questa cosa lo rende meglio di un sacco di altra gente, ma lo affoga in un restante novanta percento equamente diviso tra la musica che è una versione scrausa dei Bluvertigo, cioè una versione fedele dei Bluvertigo, e del primo Morgan solista. È vero che a certa gente queste cose piacevano e magari piacciono ancora, ma non sono responsabile dell’incoscienza altrui. La cosa che piglia più male naturalmente è il nome che s’è scelto: già sembrava un’idea stupida che qualcuno girasse a nome Musica per Bambini, ma che venisse fuori pure un rip-off è qualcosa che non sarebbe riuscito a immaginare nemmeno Accento Svedese. Magari ora salta fuori che in realtà Giochi per Bambini s’è scelto il nome prima ed è stato l’altro a copiarlo o -ancora peggio- che hanno avuto separatamente il nome l’uno dall’altro, cosa assolutamente probabile, e presto o tardi dovrò ficcarmi una pistola in bocca per protesta. RICCARDO SCIRÈ – LE BALLATE DEI CALL CENTER (Riots) vi copio un pezzo della cartella stampa: una generazione troppo pigra per essere incazzata, con la rabbia in cassa integrazione, in bilico tra satira e provocazione («La mia generazione merita la distruzione / La mia generazione ha perso… tutto al videopoker») che sceglie l’estero come (facile) soluzione a tutto («Siamo gli indifferenti / i figli di puttana / sogniamo l’Inghilterra / ma non leggiamo Moravia»), che punta il dito ma lo fa con ironia («Ti dicono che hai tutta la vita davanti/ A me sembra d’avere una vita d’avanzi»). Voglio dire, la cosa più agghiacciante del disco di Scirè non è tanto il disco, quanto il fatto che ti arrivi l’esegesi nella stessa email. E sì che il disco è davvero una cosa difficile da accettare: un ragazzetto con la faccia carina e il trip della rima baciata che canta canzoni giovaniliste stile Brondi/Cani e l’idea che il tutto sia stato registrato (tra Milano e Nashville, diomio) con un pacco di soldi per fare il botto sul pubblico delle radio e della TV e delle riviste per ragazzine (ammesso e non concesso che escano ancora). Il tutto sulla pelle di uno che magari ci sta provando in buona fede. Leggo tra l’altro che questo non è nemmeno il primo disco di Scirè, il quale ha un botto di visualizzazioni su Youtube e canta dei jingle di Radio DeeJay. Come a dire che dopo l’esegesi e il disco, la terza cosa più agghiacciante è che ci sono concrete possibilità che Riccardo Scirè diventi relativamente famoso. PALETTI – ERGO SUM (Foolica) Ben scritto, ben suonato, molto vario, un po’ noioso. Succede. Magari con voi va meglio. CASO – LA LINEA CHE STA AL CENTRO (ToLoseLaTrack) Quando suona elettrico e con gli arrangiamenti complessi è roba fiacchetta di cui si può fare a meno. Quando suona voce e chitarra acustica sembra di esserci usciti assieme a bere una birra e lui si lamenta di quanto fa schifo la vita e ti fa ridere un sacco anche senza fare le battutine, tipo il mio amico Mattia o i film di Virzì. A volte basta che uno abbia un punto di vista qualsiasi per fare un disco che rimane nello stereo più del dovuto.

PAESE REALE – Lo spiegone.

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Non dico che scrivo per passione, ma quando scrivo sono abbastanza contento e qui sopra lo faccio gratis. Quello che scrivo è basato su qualche assunto di base, elementi di etica/morale e di linguaggio che mi sembrano scontati, tra cui una cosa sulla gente che decide di mandarmi un disco via email: se mi mandi un disco, vuoi sapere cosa ne penso io. Un paio di mesi fa ho scritto dieci recensioni (perlopiù negative) di dischi tra quelli che c’erano arrivati via email. Alcuni gruppi manco le hanno lette, altri le hanno lette e non hanno scritto, alcuni si sono incazzati apertamente, altri hanno ringraziato. Tendenzialmente se stronchi un gruppo malcagato ti becchi un sacco di accuse: accanirti contro dei poveracci malcagati, usare dei gruppi senza potere per fare due accessi in più, sputare merda sopra gente che si sbatte, ruggini pregresse, incompetenza manifesta, dente avvelenato, sensazionalismo, frustrazione sessuale. Qualcuno, nel dubbio, arriva a darti pure del fascista: ci sta, naturalmente. In generale è uno sport ingrato, passi due anni a provare e risparmiare soldi sulle birre per poterti pagare tre giorni di studio e massacrarti a registrare cinque pezzi che non venderanno; poi mi mandi il disco e io te lo stronco male. Fossi un musicista, probabilmente non registrerei nemmeno il disco. Se volessi le recensioni le manderei a gente di cui mi piacciono i gusti. Non spedirei nessun disco alle redazioni, giusto per essere sicuro che (boh) la rece su Rumore non sia firmata da quella gente tipo Ester Apa.

Questa cosa che chi stronca non ha rispetto dei gruppi è permeata nel mondo delle riviste e delle webzine, riducendo il tutto a un discorso tipo “se è figo ne parlo bene, se fa schifo non ne parlo proprio”. Una volta le linee editoriali venivano scavate a viva forza pisciando sui gruppi: questo ha fatto un disco del cazzo, questo ha fatto un disco bello. Soppesavi la firma, traevi le tue conclusioni e decidevi da che parte stare. Oggi non funziona più: la gente che scrive, generalmente, è considerata amica o nemica sulla base di un rapporto pezzi positivi fratto pezzi negativi. Questa cosa ha reso la recensione un genere narrativo che confina con l’agiografia, e dopo qualche anno di questo andazzo stan tutti a dire che bisogna superare il formato classico della rivista e basta con le recensioni che se voglio valutare il disco lo scarico. In realtà quello che abbiamo perso è la considerazione di chi scrive di musica. L’assunto di base di cui ho parlato sopra non è contemplato dal gruppetto o dal suo ufficio stampa: per loro l’assunto è che mandano il mediafire a cinquecento persone e dopo due mesi ci sono trenta recensioni da mettere nella cartella stampa. Cose che succedono davvero: un musicista ti scrive incazzato perché gli hai stroncato il disco, magari ti accusa di non averlo ascoltato con sufficiente attenzione, tu gli rispondi “come ti aspetti che parli del tuo disco il mio sito?” e lui ti risponde ancora più infuriato che “non è che posso passare la vita a leggere i siti di musica”.

Da oggi qua dentro apre un nuovo spazio fisso, a cadenza non so se mensile o che altro. Si chiama PAESE REALE e recensisce alcuni dei dischi che arrivano via email, allo scopo di ritrovare in qualche modo un senso in tutta la faccenda. Anche se suona stupidissimo, prima di postare le prime recensioni vorrei mettere in chiaro quali saranno le regole:

1 I dischi che recensisco mi sono stati segnalati da qualcuno: arrivano per posta, per email, tramite facebook o qualsiasi altro canale. La mail a cui potete mandare le vostre cose è disappuntoCHIOCCIOLAgmailPUNTOcom.

2 Non è detto che io ascolti tutti i dischi che mandate. Mi arrivano un disco o due al giorno, più i dischi che mi interessano, più i dischi che non mi interessano ma vanno ascoltati per capire di che cazzo parlano le riviste (quei gruppi tipo Alt-J o Altar of Plagues o chi volete voi insomma): fanno una ventina di dischi a settimana, se va benissimo ne ascolto la metà, se taglio qualcosa taglio i dischi che devo ascoltare.

3 Ascolto tutti i dischi che recensisco (o se non li ascolto lo dico chiaro e tondo), ma non è detto che li ascolti dalla prima all’ultima nota. Magari di alcuni ascolto metà del primo pezzo, decido che ne ho le palle piene e scrivo il pezzo.

4 La responsabilità dei dischi che ascolto/ascoltiamo è VOSTRA. Leggetevi il pezzo, leggetevi il blog, leggetevi quel che scrivo e mettetemi pure in copia carbone alle vostre email, ma se vi seghiamo il terzo EP non venite qua a recriminare.

5 Alcuni di quelli che mi mandano dischi vanno a finire nello spam. Spesso ci finiscono per questioni di sfiga. Più spesso ancora ci finiscono perché in passato ho cliccato “segnala come spam”. Potrei aver fatto un errore, ma è più probabile che l’errore l’abbiate fatto voi.

6 Non odio nessuno di quelli che mi mandano i dischi, anzi molte grazie a tutti, ma mi riservo il diritto di sentirmi offeso e odiare la vostra musica. La maggior parte delle volte ascolto il vostro disco invece di guardarmi un film o di fare un disegnino o di ascoltare dischi migliori.

7 Il modo in cui scegliete di presentarvi influisce molto nel giudizio sulla musica. Se assieme al disco mi mandate una presentazione in pdf potrei leggerla, odiarla e stroncarla senza aver sentito il disco. Il nome del gruppo e il titolo del disco influiscono nel giudizio sulla musica. I testi che scrivete influiscono nel giudizio sulla musica. La vostra pronuncia dell’inglese influisce nel giudizio sulla musica. La vostra foto influsce nel giudizio sulla musica. I vostri vestiti influiscono nel giudizio sulla musica. I gruppi che citate influiscono nel giudizio sulla musica.

8 Non sono un musicista, non ho mai registrato un disco, non ho mai posseduto un’etichetta, so distinguere a malapena una chitarra dall’altra. Le recriminazioni tipo “sei incazzato perché non ti caga nessuno” o “vediamo cosa saresti in grado di fare tu” mi fanno una pippa.

E basta, direi. Entro stanotte metto online le prime recensioni.