
La seguente lista considera i soli dischi di studio dei Pearl Jam saltando a piè pari i live ufficiali, i bootleg ufficiali, le raccolte tipo Lost Dogs, i video e tutto il resto. Il motivo è abbastanza semplice: tutti i fan dei Pearl Jam sono individui a un passo dalla pazzia che pensano loro e solo loro di essere in possesso del SAPERE in merito al gruppo, dividendosi quasi equamente tra
(1) protometallari ritardati che pensano da dopo Ten sia iniziato un progressivo sputtanamento della musica del gruppo che duecento dischi dopo non ha ancora impedito a molti di loro di continuare ad ascoltarne le nuove uscite;
(2) ultras di Springsteen mancati e/o lettori del Buscadero in cerca di qualche musicista non-sgradevole uscito negli ultimi venticinque anni, così da poter camminare a testa alta e con la coscienza a posto almeno fino al 2016;
(3) strani personaggi che gravitano immeritatamente intorno all’indie rock, già si cagavano i PJ ai tempi di VS e considerano il gruppo (vedi alla voce MACCOSA) una delle pochissime manifestazioni etiche all’interno del rock americano da grandissimi numeri, una specie di Fugazi del cock-rock.
Io faccio parte della terza categoria, ovviamente, il che mi rende in qualche modo ridicolo tra i ridicoli e oggetto di sfottò da parte delle altre persone. In particolare la mia fidanzata continua a sfottere il mio comprare nuovi dischi dei PJ nonostante in casa sia sostanzialmente proibito il loro ascolto, e mi continua a dire che secondo lei i Pearl Jam hanno inciso una sola canzone, nella fattispecie Long Road –curiosamente assente nei dischi dei PJ, può darsi le abbia spaccato un po’ le palle col DVD Touring Band. In ogni caso, che apparteniate alla categoria 1, 2 o 3 è sicuro che avete almeno trentadue anni, o in alternativa una psicosi gravissima che vi rende nostalgici di una stagione del rock che io al posto vostro ringrazierei il cristo di essermi evitato, non fosse altro per il fatto che Eddie Vedder continua ad essere la mia principale ispirazione nel vestire (parliamo di uno che sono vent’anni che guarda i vestiti nell’armadio e sceglie i peggiori). Insomma, l’idea di mettere in lista solo i dischi di studio che sono forse la cosa peggiore del gruppo (e quella che ho ascoltato di meno a conti fatti) è dovuta al non volervi ammorbare con le questioni da fan dei PJ. Ma sono qui ad assicurarvi che se ci trovassimo mai a parlare in privato sarei perfettamente in grado non solo di mettere insieme un doppio CD con i miei pezzi preferiti dei PJ compresa la roba non presente nei dischi lunghi, ma anche di registrarvene uno equivalente con le mie versioni live preferite dei suddetti pezzi. L’invito a voi, dunque, è di starvene buoni e non urlarmi addosso che l’ordine dei dischi è sbagliato, altrimenti vengo lì e vi elenco centocinquanta versioni live di Corduroy migliori di quella merdosissima contenuta in Vitalogy.
AVOCADO
Il principale merito dell’Avocado è di essere uno dei dischi più sbagliati della storia della musica e di avere una copertina tra le più brutte della storia della musica, quindi di brillare di una certa onestà di fondo che mette in pari con i propri demoni interiori. Questa cosa che i Pearl Jam abbiano inciso l’Avocado, tra l’altro, mette in prospettiva un sacco di cose, prima fra tutte la mia dedizione alla causa dei Pearl Jam –evidentemente non-assoluta, nel senso che non sono disposto a difendere l’Avocado e a dire che sì, tutto sommato l’Avocado insomma dentro c’è World Wide Suicide e subito ti viene su una voce da sotto la coscienza che urla VAFFANCULO e ti invita a riconsiderare qualsiasi altro disco di rock americano di merda uscito prima o dopo. Seconda cosa, vista da fuori è una nozione di base che dà una certa rispettabilità di fondo al mio parere: mi piace Backspacer ma detesto l’Avocado. I dischi dei Pearl Jam si dividono tra dischi decenti e Avocado. Il quale poveretto ha pure una copertina così brutta che la gente ha smesso quasi subito di chiamarlo Pearl Jam e ha giustamente iniziato a chiamarsi come l’oscena copertina di cui sopra.
TEN
Ten non è propriamente quel che si dice un disco di merda. Ten è un disco diciamo carino, in prospettiva, col difetto di essere prodotto in modo agghiacciante e di contenere un’idea di ROACK talmente cafona e deprimente che insomma, se avessi avuto pesantemente a che fare con Ten nel momento in cui era uscito è probabile che avrei odiato a ragione i Pearl Jam per il resto della mia vita. Che schifo Ten, davvero. Che schifo i Pearl Jam che in concerto potrebbero tranquillamente suonare una infarinatura di brani e cover sparse lungo tutta la carriera, un brano o due per disco, e poi eseguire Ten nella sua interezza allargando la cosa alle out-take di quel periodo tipo State of Love and Trust. Lo so perché è successo a Venezia un paio d’anni fa. L’unica cosa buona di Ten sono i pezzi, che effettivamente alcuni stanno tranquilli tra i migliori dei PJ (soprattutto i lentoni tipo Black o i pezzi-cafonata alla Alive); il mio desiderio da fan del gruppo 3 è che Ten fosse ri-registrato in blocco dai Pearl Jam dell’epoca Binaural o Yield, ma mi sono dovuto accontentare di averne una versione decente di tracce prese dai bootleg ufficiali con l’ordine cambiato (nel senso che l’ho fatto davvero e mi sembrava sensato iniziasse con una Release fatta a Seattle tipo nel novembre 2000, che idiota). I remaster usciti qualche anno fa non sono niente di che: sono canzoni che van proprio –tipo- risuonate in blocco e ributtate sul mercato. Ora è troppo tardi.

BACKSPACER
Backspacer fa sostanzialmente vomitare fino a Just Breathe esclusa, poi diventa un bel disco in un modo del tutto insperato. C’è una teoria non moltissimo frequentata, tra i fan dei Pearl Jam, secondo la quale l’ingresso in formazione di Matt Cameron (anche in qualità di autore, appunto) sia stato la più grande sciagura mai capitata al gruppo dopo Roskilde. Sono abbastanza d’accordo. Poi i PJ infilano una terna di canzoni fichissime tra cui appunto Just Breathe (della quale pensate probabilmente male ma solo perché a un certo punto la sentivate quaranta volte al giorno alla radio), Amongst the Waves ed Unthought Known che sono tipo canzoni di Yield aggiornate ai PJ di adesso, cioè all’Eddie Vedder a cui sono stati estratti i genitali ed è costretto a cantare solo note alte e ben scandite.
BINAURAL
Binaural è più o meno sinonimo di disco brutto dei Pearl Jam, questo secondo una definizione popolare piuttosto frequentata secondo la quale il gruppo aveva portato a casa le penne con Yield ma adesso per favore anche basta. È il primo disco dei PJ (dai tempi di VS) non registrato da Brendan O’Brien, cioè il principale motivo per cui i PJ vanno ascoltati nelle versioni live e non su disco (Brendan O’Brien è davvero tipo il nemico, il lato oscuro del rock brutto anni novanta, la lista dei dischi da lui prodotti è impressionante per il quantitativo di cose brutte sul totale: si salva sostanzialmente solo Danzig II), ma il gruppo non riesce a staccarsi dal cordone ombelicale del gruppo e lo chiama a mixare. Che schifo Brendan O’Brien diobono. Il più grande difetto di Binaural è quello di contenere Nothing as it Seems, ma ci sono comunque cose buone da fan tipo God’s Dice o Thin Air e simili, voglio dire, come scivoloni ce ne sono stati di più brutti (tipo l’Avocado).
VS.
Ho conosciuto (nel senso di ascoltato un disco intero, era impossibile non conoscerli pure prima) i Pearl Jam ai tempi di VS., questo vuol dire essere devastato dai passaggi radiofonici e/o in discoteca della canzone più antipatica mai incisa dal gruppo (Daughter), antipatica in quanto passata in radio e disco e cassette di amici e birrerie più di qualsiasi altra canzone nella storia del rock anni novanta (Come as You Are al confronto è un pezzo fresco, per dire). Però VS contiene anche cose tipo Blood, anche questa sentitevela in qualche versione dal vivo magari, o tutte le altre canzoni buone di VS che dai, diciamocelo, non sono proprio pochissime (RVM, Dissident, Elderly stocaxxo, Go, Animal, etc). Pare che pure Betterman fosse stata registrata per VS, poi il gruppo se l’è tenuta nel cassetto e ha deciso di farla uscire in un disco dove avesse senso. Bravo gruppo. Dicevo, ho conosciuto i PJ ai tempi di VS., e questa cosa mi ha segnato molto. Avevi a che fare con ragazze che pensavano ne capissi di musica perché possedevi una cassettina di VS., le stesse che oggi pensano che tu ne capisca di musica sentendo puzza di sudore stantio uscire da sotto la tua maglietta il cui logo non riconosci ma diocristo sarà un gruppo del cazzo ascoltato da sedici persone. Allora tu magari cerchi di far vedere questa cosa e di comprare altri stracci ma più simili agli stracci che si metteva il gruppo e ti ritrovi in una classe di ventisette alunni di cui venticinque vestiti con una camicia a quadretti. Giuro su dio, è successo.

RIOT ACT
Questo qua diciamo che è il mio premio-simpatia. Fino a Riot Act sono un fan prudente dei Pearl Jam, li odio ma mi piacciono i dischi, non so come spiegarlo bene. Considerato anche Binaural, tutti quanti s’aspettavano che Riot Act sarebbe stato il peggior disco della storia dell’uomo, quello in cui i PJ sarebbero diventati i vice-Springsteen ufficiali, un processo di degrado artistico e umano che andava avanti dai tempi di Yield. Questa cosa effettivamente succede, ma la prima volta che mi sento la prima traccia del disco (si chiama Can’t Keep e non sta, inspiegabilmente, in nessuna top ten del gruppo) mi metto quasi a piangere decidendo seduta stante che in realtà sono sempre stato un fan del gruppo ed è ora di accettarlo e iniziare a odiare qualcun altro –e per caso nello stesso periodo inizio ad accanirmi sui Soundgarden, voglio dire, quanto fa schifo riascoltare oggi i dischi dei Soundgarden? Mica dico quella cacata di Down on the Upside, dico in generale, anche roba alla Louder than Love. Che palle i Soundgarden. È vero anche che il resto del disco contiene robaccia alla Love Boat Captain e in generale non è buono quanto Can’t Keep, ma ci sono cose ancora molto belle tipo Save You o soprattutto I Am Mine e Thumbing My Way. La cosa peggiore del periodo Riot Act, in prospettiva, è che Eddie Vedder in questa fase ha i capelli corti e ricciolini e sembra un impiegato di banca capitato per caso sul palco al posto del cantante dei Pearl Jam. Davvero, Ed Vedder ha questo skill di passare da uomo più figo della terra a impiegato di banca con un taglio di capelli.
YIELD
È abbastanza chiaro che i tre dischi più belli dei PJ, specie se fate parte del gruppo 3, sono quelli in cui Stone Gossard smette di farla da padrone e il gruppo smette di vendere dieci milioni di dischi a botta. La battaglia più che altro è quale sia l’ordine esatto dei tre. Yield, comunque, è sicuramente il terzo. Cioè ci sono cose fichissime in Yield, tipo Wishlist è il singolo dei PJ che s’è sentito di più nelle radio generiche ma ancora oggi fa piacere che lo passino, nonostante il testo ormai suoni davvero atroce.
VITALOGY
NO CODE
Sono arrivato alla fine e non ho davvero voglia di raccontarvi perché sono così un fan dei Pearl Jam. Questi giorni li sto riascoltando perché li ho suonati in macchina con la bambina e lei faceva strane boccacce di apprezzamento.
La ragione per cui No Code sta davanti è che ha un po’ più l’aria da disco snobbato. Voglio dire, me lo sono ascoltato due milioni di volte ma ancora nel lato B c’è qualcosa che mi suona nuovo, mentre Vitalogy ha più quel che da scorpacciata di pezzi fighi che dopo un po’ stanca. E Vitalogy è registrato peggio, cioè in un modo che rende meno giustizia ai pezzi di Vitalogy che pure sono migliori di quelli di No Code (e di quelli negli altri dischi dei Pearl Jam, se è per questo). E le canzoni sono suonate tendenzialmente un po’ meno spesso ai concerti, almeno per quanto riguarda le cose migliori del disco (Sometimes, Off He Goes etc) quindi di questa cosa ce ne si accorge un po’ di più. Comunque siamo lì, insomma. C’è anche da dire che probabilmente No Code è il disco meno rappresentativo dei PJ di tutta la carriera dei PJ. Voglio dire, non ve lo consiglio per iniziare: uno si farebbe un’idea del gruppo tipo di una versione hillbilly dei Joan Of Arc che di tanto in tanto non si sa a quale titolo se ne esce con dei tiratoni hard rock tipo Hail Hail. E in realtà sono arrivato in fondo alla lista senza nessuna voglia di continuare a scrivere, quindi.
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