FOTTA! – Sanremo 2011 meno cazzo di uno!

Antichrist

Caps lock alla fotta: tomorrow is the day, le cinquantuno inutili settimane dell’anno senza festival di Sanremo sono finalmente passate e, in un tripudio orgiastico che prelude al ritorno della primavera, ci ritroviamo come Benandanti in volo notturno al seguito della dea – chiaramente Belen, o un’altra bagascia del genere – a combattere a colpi di finocchio le streghe cattive radunatesi ieri in piazza.

Non che il Festival, o l’atto di vederlo, abbiano qualcosa a che fare con il ruolo della donna, ma io qualcosa di antipatico da qualche parte dovevo pur scriverla, e se quello che ho scritto finora vi sembra fuori di testa (anche se tratto dalla lettura superficiale di seriosi testi di medievistica), aspettate di sentirmi domani a mezzanotte.

Tricarico


La mezzanotte di domani! Non posso aspettare fino ad allora, fino al sacro momento in cui le quattordici tracce infernali avranno mostrato la loro anima più nera, e – sorprendendoci tutti – Al Bano sarà già estromesso dal Festival. Domani! Domani, quando tutta l’Europa (più Israele e Turchia) si collegherà con Raiuno in Eurovisione – tutta l’Unione trasmette il Festival a reti unificate: facciamo eccezione noi, per colpa di quel porco di Berlusconi con le sue reti e dei comunisti sul tre – e si unirà focosa al televoto che porterà, sabato prossimo, all’incoronazione del Sessantesimo Erede di Nilla Pizzi.

Non che i Vincitori siano sempre stati degni: tutti ricordano che Berlusconi, che già ha portato via tutto quanto a noi italiani fuorché la Chiesa cattolica – che purtroppo sta lì lì – , minaccia sempre più concretamente di toglierci anche il Festival, manovrando nell’ombra perché i suoi ragazzotti effemminati e arroganti trionfino all’Ariston. Ma Carta e Scanu, con un po’ di fortuna, non avranno seguito, e in attesa del trionfo elettorale di Vendola (la Franca Raimondi della politica internazionale), Giannone Morandone, da bravo rosso, ha approntato un set di cantanti che permette qualche speranza di restaurazione.

RESTAURAZIONE, questa è la parola. Andasse affanculo la cazzo di modernizzazione. Il rinnovamento, la freschezza. Cosa cazzo ci ha portato la modernità, così in generale? La democrazia (così i fregnoni votano, e l’effetto è non più irrazionale e povero di risultati di situazioni tipo I re taumaturghi), la disgregazione della famiglia, l’alfabeto che ha permesso a tutti di leggere e scrivere, la stampa che ha permesso a tutti di avere dei libri, l’internet che ha distrutto i cazzo di dischi e, restando a Sanremo e alla musica italiana, Carmen Consoli, Tricarico e la voce ingolata di Malika Ayane.

Se cerchi Via Merulana su Google esce questo, mio Dio, che mai potrà voler dire? Antichrist

E sebbene questa edizione non sia priva di sciocche istanze di rinnovamento (con robaccia tipo i La Crus – dopo vent’anni pronti al grande pubblico e ad eccitare con brividi d’avanguardismo i vari Fegiz e Castaldo -, Van De Sfroos, Tricarico che rende indie i centocinquant’anni d’Italia), è al tempo stesso piena di tali tombe, di tanti catafalchi che rischia a buon diritto di essere la più bella e retrograda dal 2006, anno del trionfo della metaforica Vorrei avere il cazzo di Povia (grande assente del 2011), del piazzamento di pièces del calibro di Dove si va affanculo dei Nomadi, dello sfolgorante esordio della Tatangelo (con le worst Festival lyrics ever di Essere una donna) e delle struggenti testimonianze dei superclassici Zarrillo (L’alfabeto degli amanti della cocaina) e Oxa (con Processo a me stessa, scritta a quattro mani con Panella, nel senso del norcino di Trastevere).

Che schifo le tettine di Scanu


Il 2011 prevede i seguenti pezzi forti: Oxa, imperdibile e peccaminosa con La mia anima d’uomo (uno schiaffo alla femminiltà comunemente intesa, una carezza alle donne “spezzate” dalla vita di tutti i giorni e da certi presidenti del consiglio: già piango); Al Bano, con Amanda è libera (evidente sfruttamento della cronaca nera per vendere quelle due copie in più. Alone Banone prenota un posto tra i due esclusi della prima sera, cosa che lo farebbe entrare nella leggenda); Patty Pravo, Il vento e le rose (praticamente già mi sembra di non capire un cazzo del testo per via della pronuncia impastata, dovuta a sua volta dall’eccessiva chirurgia plastica); Luke Redbeard con tale Raquel Del Rosario (con la mestamente intitolata Fino in fondo: praticamente la visione di una zona mesta di Roma centro –tipo Via Merulana- nel 1986); Anna Tatangelo, la più credibile erede della romanza italiana, la scommessa di Bastonate per questo Festival e la più seria candidata al Premio Bastonate; gli Arcade Fire, freschi del Grammy Award, che in coppia con Andrea Mirò propongono il loro primo pezzo in italiano (‘O Funerale); e infine, perché no, Max Pezzali con l’ennesima, spenta metafora calcistica.

Basta, basta, tempus fugit e non me ne frega un cazzo di nient’altro. Cominciate ad accendere il televisore fin d’ora, pagate il canone, collegatevi in Eurovisione. Ci siamo, FOTTA!

Panella

Sanremo is the shit! Countdown to festival #1

L'italiano

E insomma, non si può lasciare il paese per una quindicina di giorni senza tornare e trovare che il prossimo festival (letto festivàl) di Sanremo avrà il miglior cast della storia del festival (festivàl) stesso, oltre – ma questo era noto – al miglior conduttore, “Big hands I know you’re the one”, Giannone Morandone.
Per il resto è tutto uguale: Vanity Fair prova commossa e mammesca compassione per un tizio morto sparato in Afghanistan (Taliban. The few. The proud) a cui a noi, come di Cocciolone a suo tempo, non frega un cazzo, perché VOGLIAMO LA PACE e che quei simpatici berretti afghani – ne comprai uno a Porta Portese anni fa, segnalandomi subito come Diverso – vengano liberalizzati e resi fichi e intellettuali. Quella puttana della Palombelli – che bassezza gli insulti sessuali alle donne eh? Meno male che loro sono forti e fiere e studiate e se ne fottono di noialtri volgaroni che gli diamo delle zoccole a ogni piè sospinto (pià nderculo) – sullo stesso Vanity Fair (mia unica lettura oltre ai manuali di auto-aiuto, se non si vuole contare Imperial Bedrooms che ho iniziato ormai 148 patetici giorni fa – adesso sono a pagina 122 e non ci ho capito un cazzo, ma per marzo conto di consegnare in segreteria) e insomma, senza tanti incisi, quella puttana della Palombelli sullo stesso Vanity Fair segnala che non ha pietà dei viziatissimi giovani d’oggi che c’hanno l’iphone con cui accedere ai siti di Harvard e Yale e perciò, nella sua mente ricca e bacata, hanno LE OPPORTUNITA’ che loro, formidabili quegli anni, dovevano dare il culo a Pannella per avere. It’s heavy fucking metal! Comunque, il richiamo ai bamboccioni mi è servito se non altro a ricordarmi della vera buona novella dell’ultimo orrido annaccio, che dopo averci portato via Solomon Burke, Vic Chesnutt, Mark Linkous, Peter Steele, il bassista degli Slipknot, l’avvocato Kobayashi, Sugar Minott, Eddie Fisher, Dennis Hopper, Don Van Vliet, Captain Beefheart, Zecharia Sitchin, Ronnie James Dio, Ari Up, Malcom McLaren (vi rendete conto?!), Bruno S., Alex Chilton e TARICONE (davvero troppo, questa), ha avuto un inatteso colpo di coda di simpatia stroncando – sotto Natale e in pubblico – Tommaso Padoa Schioppa. Jingle bells! E ora veniamo a Sanremo.

Essere una donna

Avete mai avuto una disperata urgenza di andare in bagno (big one, bright lights) e vi siete trovati allo stesso tempo che erano le tre di notte (full dark, no stars) e voi eravate non a casa (home is where you hang yourself) ma in un albergo (psycho!) a Città del Messico (Frida Kahlo che si autoritrae su uno sfondo desolato coperta di chiodi che la fanno sanguinare e lei piange mentre uno squarcio nel suo petto rivela una colonna ionica spezzata in più punti, che non può più sostenerla), dove le maledette tazze del cesso non funzionano (quetzalcoatl!) e comunque c’è qualcuno che sta dormendo, e allora voi uscite dalla stanza, scalzi, cercando con disperazione un altro bagno ma il bagno non c’è (Zapata vive, la lucha sigue), e i corridoi coperti di moquette (vieni a giocare con noi per sempre per sempre per sempre?) sono lunghi chilometri perché voi siete piegati in due e non riuscite a camminare (Frida Kahlo che si autoritrae come un cerbiatto in lacrime, trafitto da mille frecce) e allora accarezzate per un attimo l’idea di arrivare all’ascensore (Angel Heart) per andare al quinto piano – quello della colazione – dove di sicuro un bagno c’è, ma poi semplicemente non ce la fate (Diego Rivera che tradisce Frida Kahlo con la sorella di lei) e tornate in stanza e mandate affanculo tutto e che venga la notte, scocchi l’ora, che la tazza si otturi e domani ci pensino i camerieri (una propina de un pesito por favor?)? Have you ever felt like that? Do you know what I’m talking about? I’m talking about shit, e questo, come i più accorti avranno già capito, è il più banale collegamento che io potessi trovare per introdurre un discorso su Gianni Morandi (sì, perché non ho ancora iniziato).

E’ almeno dal 1997, anno-monstre in cui Noi compimmo la maggiore età, uscirono l’ultimo bel numero di Dylan Dog e l’ultimo bel disco rock della storia (Perfect From Now On dei Built To Spill. Nello stesso anno, vennero pubblicati anche Strange Warmings dei Laddio Bolocko, il penultimo bel disco dei Mogwai e un grandioso disco di John Fahey. I Red Hot Chili Peppers si rivelarono per la prima volta al mondo con la loro vera faccia – cacate che manco Morandi -, e il mondo presentava i primi gravi sintomi della peste-indie: Ok Computer e If You’re Feeling Sinister) e soprattutto i Jalisse vinsero il Festival, che la seconda più grande domanda che ci poniamo dopo: -“Ma John Zorn e John Giorno sono la stessa persona detta con la zeppola o senza?” è: ma perché i conduttori di Sanremo, uno dopo l’altro, dicono di voler insistere sulla qualità e alla fine hanno paura di farlo? Ma ecco che arriva l’uomo-Morandi, che, senza timore alcuno, freudianamente mette in atto: la lista dei BIG del prossimo Sarèmo mette pajura, perché essendo composta all’88,9% da roba che normale gentaglia del calibro di Morandi considera appunto “di qualità” e meritevole di un Auditorium affollato (il Battiato d’oggi ormai consunto dalle droghe in coppia con il numero due dei Denovo; quel pedofilo di Vecchioni; Patty Travo; Davide An Der Cool; quell’inconsistente Tricarico, che però ha almeno il merito di aver inciso il peggior disco della storia del pop, tale Frescobaldo nel recinto; due vincitrici di X Factor, ossia la Ferreri che tutti ci siamo illusi per disperazione che sia “brava” e quella nuova; tale Emma Marrone chiamata da Morandi solo per il cognome) rischia di rendere questa edizione, Signori, la peggiore della storia.

Fiumi di parole

E se pure potremmo trovare consolatoria la presenza di Maxone Pezzali con la consueta metafora calcistica (“Il mio secondo tempo” – a proposito, metti Zarate, porco cazzo!. Ma Max da anni non è lui), Anna Tatangelo (ma la popolarità indie non l’avrà raffinata troppo?), il grande Al Bano (sicuro ultimo in classifica e in serie B come Lecce e Bari) e soprattutto Anna Oxa e Barbarossa (questi sì dei gran colpi), a falciare ogni potenziale entusiasmo ci pensa l’esiziale nome dimenticato nella lista di prima: i tremendi LA CRUS che, riemersi dalla tomba di noia in cui giacevano ormai da un decennio e influenzatissimi da Tenco e Ciampi (ma pare che Giovanardi ultimamente abbia scoperto Endrigo), sono tornati per esigere il PREMIO DELLA CRITICA che spetta loro dai primi, pulsanti e tediosi vagiti del morboso secondo album del – guarda un po’ – 1997 (Tuttooo è dentroo meeee, ricordate? E quella che “viene un angelo a cercarvi, d’oro e carico di sogni”? A una festa al liceo – non so come sia possibile, ma è vero -. a un certo punto si sentì nell’aria Dentro me, forse era la radio, non so. Un tizio disse: “Che è sta merda?” e io dissi “A me piacciono!” e lui “Non fartene una colpa!”. Che poi non che mi piacessero davvero: è che ero indie e influenzato dalla lettura di Rumore. Ecco perché sono un fallito, oggi).

Manca ancora un mese, ma c’è già da leccarsi i baffi. L’espressione “leccarsi i baffi” è tra le dieci frasi idiomatiche italiane che odio di più, l’ho usata in modo espressionistico per rendere questo post il più brutto possibile. Peraltro ho i baffi al momento e all’idea di leccarmeli (con conseguente sensazione pungina sulla lingua) mi vengono i brividoni come all’ascolto di un acuto di Al Bano.

Fari puntati sulla terza serata, dedicata all’Unità d’Italia, la più grande montatura di tutti i tempi, e certo di parlare a nome di tutti gli italiani, dichiaro che NON CI FREGA UN CAZZO di Mazzini, Cavour, la carboneria, Brescia leonessa d’Italia, Giorgio Napolitano, i Borboni (Beasts of?), Milo Manara e tutta quella marea di psicoballe che ci fanno studiare a scuola e che orgogliosamente ho dimenticato. Italia merda, per Dio, la odio, e so che anche voi la odiate. E poi: vi piacciono forse gli italiani? PUSSA VIA. Milano in fiamme. Vesuvio erutta per noi. Una volta, da adolescente, andai a vedere Lazio-Fiorentina e vidi dei tifosi toscani, uno dei quali aveva una maglietta con scritto: “El unico romano bueno es aquel muerto”. Sono d’accordo, ma PERCHE’ in spagnolo? Bè, insomma, in onore all’Unità del peggior paese del mondo, la terza serata del Festival sarà dedicata ai BIG che canteranno dei classici della canzone italiana (come se ce ne fossero), e pare già di vedere Patty Pravo con le mani un po’ alzate, da vecchia, che rende inutilmente trombona (“elegantissima!”) Mille lire al mese; Vecchioni che gigioneggia come un pazzo su ‘O sordato ‘nnammurato; la mongoloid-version de Il cielo in una stanza a cura della Ferreri; Anna Tatangelo super-SophiaLoren vaiassissima e troneggiante con Mamma (clima di allegria generale, il pubblico batte le mani a tempo); Tricarico che sparge mestizia su L’Italiano (credevate impossibile che si potesse peggiorare, eh?); O Sole Mio cantata da una Oxa tutta intensa e più travona che mai. E nonostante il Va Pensiero di Al Bano – vero schiaffo in faccia alla Lega: attese dichiarazioni di fuoco di Calderoli il mattino seguente -, ecco arrivare agguerriti i La Crus, che con PARLAMI D’AMORE MARIU’ ancora una volta strapperanno applausi, lacrime e belle parole (“una lezione per tutti. 8”) da Gino Castaldo. Almeno ci risparmiano un commosso tributo a De Andrè, con una cantantona a caso (tipo la Ruggiero) che allucca La canzone di Marinella mentre sullo sfondo del palco, e poi sui nostri teleschermi, viene proiettato il faccione deforme di FABER, e poi parte la presentazione fatta con Windows Visualizzatore d’Immagini in cui si vedono diapositive pisciose e fuori fuoco di De Andrè con De Gregori, De Andrè con Dori Ghezzi, De Andrè intenso sul palco, De Andrè con Gaber (applausissimo!), De Andrè col piccolo Cristiano prima che diventasse un alcolizzato, cocainomane e violento picchiatore di donne, e infine fallitone clamoroso, imitatore del padre per serate sold-out all’Auditorium e cd doppi di Natale. Oddio, ce lo risparmiano il tributo a De Andrè, VERO?

In ogni caso, i titoli dei classici reinterpretati sono autentici: TREMATE, c’è da aver paura. E per non rischiare di perdere il festival, mi raccomando: pagate il canone!