FOTTA: Bachi da Pietra – Quintale (La Tempesta)

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Ci sono giorni in cui le cose vanno semplicemente troppo bene: non ti hanno licenziato, non sei stato scaricato dalla fidanzata, non sei stato pestato da gente schierata politicamente lontano da te o tifosi di una squadra ostile, non sta piovendo, non è freddo, non hai sonno da recuperare, leggi il giornale e ti rimbalza tutto. Ci sono giorni in cui succede una delle cose di cui sopra, o ti sei semplicemente svegliato male o hai attacchi di panico immotivati, e allora è sempre un bene essere fan dei Bachi da Pietra. Sembrava una corsa a termine, stritolata in malo modo nel presomalismo un po’ accademico e post-rock di Quarzo, di cui il collega m.c. scrisse giustamente, e vado a citare per filo e per segno,

l’album easy listening dei Bachi da Pietra. Waitsiano, verrebbe da dire, ma del Waits post-nozze con Kathleen Brennan: melodie a più ampio respiro, la voce perfino comprensibile rispetto all’inesausto biascicare dei dischi prima, arrangiamenti curati, perfino un pianoforte che spunta di tanto in tanto. Il rischio – ed è la prima volta – è che il rigore diventi maniera di rigore (che è una bella differenza), soprattutto nella parte centrale dove la tensione si respira a momenti alterni (Zuppa di Pietre, Notte delle Blatte, Pietra per Pane), cedendo spesso il terreno a un autocitazionismo rassicurante nella sua solida funzionalità che però proprio per questo appassiona un po’ meno rispetto allo stato d’assedio totale fino ad ora permanente.

Quintale esce tra qualche settimana e sembra tutto un altro cazzo, comunque. Ne conosciamo per ora una canzone, messa in streaming su Soundcloud ed intitolata Paolo il Tarlo. Nel titolo un omaggio immaginiamo volontario al terzo disco, ma dentro la traccia tira tutta un’altra aria: non fossero i Bachi i Bachi, verrebbe da accostare il ritmo incalzante e il tono delle liriche a certi Big Black, persino a certo metal-accacì esistenzialista alla New York (Pist*on, Carnivore) sul finale. Non è tanto, e potrebbe essere il preludio ad un disco-sconfitta di banalità cock-rock da stadio. Ma per il momento sembra più di no, sembra anzi che Succi e Dorella non siano mai stati così in botta e pronti a lanciare il cuore oltre la palizzata, e non dubitiamo che arriveranno altri scaricamenti, pestaggi, lune storte e attacchi di panico, e insomma momenti in cui avremo bisogno di farci un tuffo nei miasmi e ci serviranno dei Bachi in forma e nuovi di zecca. Teniamo le dita incrociate, e se andrà male, insomma. Dovevamo pure ricominciare ad aggiornare il blog, in qualche modo. La traccia:

STREAMO: Bachi da Pietra – Quarzo (Wallace)

 
Parte con Pietra della Gogna, che non è Servo ma è un pezzo della madonna lo stesso, cronometrico stomp bluesy e crescendo di un lirismo e un’arroganza tipicamente metal, un incrocio tra March of the Pigs di Reznor memoria e un brano sludge a caso di uno di quei gruppi catramosi e laterali dispersi negli anni novanta della suburra americana più alienata e alienante, nomi tipo Mindrot, Luca Brasi o It Is I, nomi in ogni caso che Bruno Dorella, che è una testa metal vera, dovrebbe conoscere bene, e si chiude con l’arrancante e codeinico (nel senso del gruppo) incedere di Fine Pena, sorta di inconsapevole reboot lessicale di Insetti dei Massimo Volume virato Madrigali Magri nella narcosi e nella sonnolenza e nella nausea che trasmette. Il primo e l’ultimo sono i due pezzi migliori del disco, il cui unico vero problema sta nel fatto di venire (quasi) direttamente dopo Tarlo Terzo (nel mezzo c’è stato un live registrato con macchinari antidiluviani), ovvero il più importante radicale e brutalmente politico album italiano degli ultimi dieci anni (e di quelli prima, e di quelli dopo), un disco impossibile da replicare per chiunque, di questo devono essersene accorti i Bachi da Pietra stessi che infatti prima temporeggiano con stile (il live di cui sopra) poi la buttano sul disimpegno. Quarzo è l’album easy listening dei Bachi da Pietra. Waitsiano, verrebbe da dire, ma del Waits post-nozze con Kathleen Brennan: melodie a più ampio respiro, la voce perfino comprensibile rispetto all’inesausto biascicare dei dischi prima, arrangiamenti curati, perfino un pianoforte che spunta di tanto in tanto. Il rischio – ed è la prima volta – è che il rigore diventi maniera di rigore (che è una bella differenza), soprattutto nella parte centrale dove la tensione si respira a momenti alterni (Zuppa di Pietre, Notte delle Blatte, Pietra per Pane), cedendo spesso il terreno a un autocitazionismo rassicurante nella sua solida funzionalità che però proprio per questo appassiona un po’ meno rispetto allo stato d’assedio totale fino ad ora permanente. Comunque loro rimangono dei giganti e il rispetto, infinito, resta inalterato.

Clicca qui per ascoltare l’album.