Mancarone: Ludwig Wittgenstein (26 aprile 1889-26 aprile 2011)

La vita è così, prima è il calcio, poi è la musica, poi è la musica brutta, e infine la filosofia. E come una volta compravamo dischi e ne blateravamo senza averli neanche ascoltati (l’internet ci ha poi dato una gran mano in questo, dandoci – per tramite di un vero o presunto “l’ho scaricato” – la possibilità di parlare in pubblico di qualsiasi disco del passato, presente o futuro, e di qualsiasi disco dire eventualmente “non mi piace” o “fa schifo” o “gran disco – così, seccamente, senza approfondire-”, alleggerendo di conseguenza la lista dei dischi da possedere di uno, due o cinquanta unità), adesso siamo passati in parte ai libri di filosofia. Bè, in ogni caso la modalità non è cambiata: ho tutti i libri di filosofia del mondo a casa (compreso “Il narratore” di Benjamin annotato da Baricco, una chicca dell’horror-publishing che un giorno il mondo dei cultori del camp mi invidierà) avendone letto una minima parte, cioè zero se zero su un numero qualsiasi si possa considerare effettivamente “una minima parte” di quel numero. Che poi la soluzione a questo dubbio potrei trovarla da me, se solo mi decidessi a leggere (ce l’ho) “I principi della matematica” di Russell o (non ce l’ho ma abito vicino ad Amazon) le “Lezioni sui fondamenti della matematica” di Wittgenstein. E qui, con un artificio letterario degno dei più grandi autori della classicità – nessuno dei quali ho letto (dell’Odissea ho visto il film. E a proposito, giusto ieri chiedevo seriamente a mia moglie chi avesse scritto l’Iliade, e soprattutto in che lingua. Ho dimenticato la risposta) – sono arrivato al punto dell’uomo la cui infelice esistenza ho deciso di celebrare nell’anniversario della sua nascita.

Buon 122esimo compleanno Ludwigone! E tanti auguri anche al fatto che la tua filosofia minimal-chic abbia dato a noi superficialoni, con tutte quelle storie sul linguaggio che non ho mai veramente capito (ho letto il “Tractatus”, ma solo l’introduzione e poi l’ultimo lapidario paragrafo, sul quale ho costruito la quasi totalità delle mie conversazioni pubbliche degli ultimi due anni), un argomento valido per non conoscere tutta la filosofia precedente. Insomma, Wittgenstein è stato un po’ il “l’ho scaricato” della filosofia. Conosci Kant? No, ho letto Wittgenstein. Io e Wittgenstein abbiamo un sacco di cose in comune per via delle quali tempo fa mi ero identificato con lui: le nostre date di nascita iniziano entrambe con un due e finiscono entrambe con un nove; entrambi siamo geni; entrambi siamo stati a Cambridge (lui come studente e professore, io a fare un cazzo, direi “in vacanza” ma senza gli annessi turistici); entrambi abbiamo avuto un professore di principi della matematica che si chiamava Russell (il mio professore di matematica del liceo si chiamava William Russell e una volta l’ho incontrato in curva a un Lazio-Inter e lui mi disse, a Rò, forza Lazio!, poi il giorno dopo interrogò un mio amico che era con me che andò malissimo e lo guardò come a dire, “ma come, la curva nord?”, e lui, come se avesse sentito, rispose “Ahò, ho capito che sei annato a vedé la Lazio, ma dovevi pure studià!”) ed entrambi in un momento di depressione abbiamo pensato di darci al giardinaggio – lui l’ha proprio fatto, io ho consultato il bando per giardinieri comunali (esseppiccuère) il che è come averlo fatto, in un mondo in cui i lavori si fermano di norma al bando (e in ogni caso la natura rizomatica della realtà non mi è sfuggita). Non è finita. Lui in un momento di depressionissima andò a vivere su un fiordo in Norvegia durante la notte artica, io amo i Turbonegro e i Darkthrone; lui ha fatto la prima guerra mondiale, io l’avrei fatta, se ci fosse stata ai miei tempi; lui ha scritto altero che “di ciò di cui non si può parlare bisogna tacere” non pubblicando mai più niente, io ho obbedito con severità non pubblicando niente.

Caro Lulù, se la filosofia fosse ancora questione di incontri al vertice in cui tu minacci Popper con l’attizzatoio (il tutto è raccontato in un bel libro che ho, ma che non ho letto, quindi la storia non la conosco), avrei deciso di fare il filosofo anch’io invece di rinchiudermi in questo fiordo rizomatico da cui simboleggio la natura autocorrettiva della vita umana non facendo un cazzo e scrivendo di te (e dunque non disattendendoti). Buon compleanno dai tuoi amici di Bastonate!

cercasugoogle: LE SEGHE PORTANO SFIGA

È incontrovertibile, ma non è sempre stato così. Ai tempi dei Sumeri, “sega” si diceva SAMGAMME e perlopiù era usata dai falegnami (il mestiere più diffuso a Sumer). Il problema è che, come ben tutti sanno, in Mesopotamia e in particolare a Sumer non c’erano alberi, così che gli abitanti del luogo dovettero adattarsi a fare tutto con l’argilla, e quanti non seppero imparare il loro mestiere – quasi nessuno, visto che i mediorientali notoriamente non sanno fare un cazzo e per questo si meritano il falso ritiro di Obama – morirono tristemente di fame. Questo portò all’estinzione dei Sumeri, verso il duemila avanti Cristo (equivalente al quattromiladodici prima di Gufazio, il cui avvento è previsto notoriamente tra poco più di due anni), e l’inizio della brutta fama delle seghe. I presagi babilonesi parlavano chiaro: “Chi leccherà una sega di bronzo guarirà”, vale a dire: “Moriranno tutti”. E fu così. La sega rimase così inutilizzata sotto alle sabbie dell’attuale Iraq, uccidendo Alessandro Magno – che era pure frocio – ai tempi della sua conquista di Babilonia. Gli Arabi di Abd al-Rahman si armarono di seghe d’oro e vennero sconfitti a Poitiers da Carlo Martello, chiamato così non per via dell’utensile ma nel senso di “piccolo Marte” (ove Marte sta per NERCHIA). Nessuna sorpresa visto che era figlio di Pipino. Ma, travolgente umorismo a parte, il fatto è chiaro, dalla Francia la sega si diffuse in tutta Europa, dando il via alla notoria sfiga del nostro continente. In tempi moderni, la questione venne affrontata scientificamente. Freud disse la sua, e di lì a poco morì cieco a Londra. Hitler venne sconfitto dai Russi, che loro malgrado impararono l’arte e vennero sconfitti dagli Afghani e dagli Americani che, venuti a contatto con la sega letale, riportarono tutto a casa in Iraq, uscendone sconfitti e venendo perdipiù conquistati da un re negro incapace. Il generale McChrystal l’ha detto chiaro a Rolling Stone: teach them how to saw, and we’ll win this fucking war (è stato rimosso). Saw Delight dei Can rimase il loro album meno venduto, e i coraggiosi che ancora oggi si avventurano a comprarlo si ritrovano lo stereo invaso da un’insopportabile musica di merda. Nel suo Psychopathology of All-day Sawing (Harvard University Press : Cambridge, Mass. 1978; trad. it. YA BASTA!, Mondadori : Milano 1989), Noam Chomsky metteva in relazione linguistica le seghe e la zega. John Rawls confermava (Justice as Pipp: A Reconsideration, Zone Books : New York 1981) e un appunto inedito di Bertrand Russell, ritrovato alla sua morte, mostrava ancora una volta che il grande filosofo gallese c’era arrivato prima di tutti, Sumeri a parte: “That’s why I lived to 98”, diceva, “I never touched my fucking cock (in fact I barely had one)” [“Ecco perché ho vissuto 98 anni: la filosofia analitica mi ha portato buona salute e appetito”]. La risposta alla domanda è quindi SÌ, CERTO, TUTTI LO SANNO, e Bastonate è il posto giusto per saperUN VIRUS RARISSIMO HA APPENA ATTACCATO I NOSTRI SERVER E QUESTO BLOG IMPLODERÀ IN QUARANTASETTE SECONDI A PARTIRE DA ORA