Il disco più bello di sempre.

Quando dico “il disco più bello di sempre” non mento mai, però in realtà il disco più bello di sempre è più di uno. Ci sono tre ragioni per cui lo faccio: la prima è che mi permette di dare un’altra sfumatura a “uno dei miei dischi preferiti”. “Uno dei miei dischi preferiti” posso dirlo di centinaia di dischi. The More Things Change è uno dei miei dischi preferiti,  Zen Arcade è il disco più bello di sempre. La seconda è che mi permette di non scegliere tra Zen Arcade e, non so, End Hits o SxM. La terza è che le ragioni devono sempre essere tre. Il febbraio del 1993 credo sia stato freddo come di solito a febbraio, quando i Nirvana (la formazione è la stessa che ha inciso Nevermind, due anni prima, e che è esplosa in giro per il mondo) entrano in uno studio in culo al Minnesota per registrare il loro secondo disco di inediti su Geffen. il nome degli studi è Pachyderm. Un paio di mesi prima PJ Harvey ci ha registrato Rid of Me (uno dei miei dischi preferiti). Fuori c’è aspettativa. Kurt Cobain è già in down: ha sposato Courtney Love e avuto una figlia, viene massacrato dalle associazioni, divide il mondo tra pro e contro, è già diventato il simbolo di un’inclinazione che non ha idea di cosa sia. Vorrebbe stare bene, ma sta male. Se li ascolti nella provincia romagnola a quindici anni i Nirvana sono un gruppo rock. Magari un gruppo rock grandioso, che piace a tutti e che sta cambiando le cose ed è dappertutto, ma è –di base- un altro gruppo rock. La cosa della musica indipendente e dei Flipper e degli altri duemila gruppi preferiti di Kurt Cobain (il più grande critico rock americano) e di tutto quello che ci sta dietro la sai se hai qualche anno più di me sulle spalle, se leggi i giornali, se hai fatto il primo giro negli anni ottanta e magari racconti con nonchalance di avere visto i Nirvana al Bloom assieme a un altro centinaio di persone. La frase our band could be your life l’ho ascoltata per la prima volta a diciotto o diciannove anni. Odio arrivare dopo.

Per registrare In Utero i Nirvana possono scegliere il produttore che vogliono. È una specie di informale invito a una guerra civile: Kurt Cobain odia Nevermind, il modo in cui è uscito e quel suono così pulito: vuole qualcos’altro che forse sia solo suo, o forse vuole ributtarsi sul mercato dichiarando in faccia al mondo quali siano le sue origini, o forse vuole sabotare la propria carriera con un disco inascoltabile, tornare a suonare nei club e rimettere in piedi la propria vita. Forse vuole solo fare un disco che lo faccia stare bene mentre lo realizza. Difficile dirlo, e in fondo poco importante. Steve Albini lavora con chiunque, ma quando lavora per una major chiede più soldi. Per i Nirvana spunta un compenso di centomila dollari. Non prova alcun affetto per il gruppo. Di loro ha detto cose tipo “REM with a fuzzbox” e per lui non è un complimento. Il disco, secondo i piani, sarà registrato in due settimane al massimo. Albini lavorerà con il suo secondo, un ingegnere del suono di nome Bob Weston. C’è una foto con i Nirvana, i due ingegneri del suono, la figlia di Kurt Cobain e un cane.

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Questa foto l’ho vista per la prima volta due settimane fa, in un pezzo su Rolling Stone. Grazie Chiara. Per la maggior parte della gente immagino sia la foto dei Nirvana con quelli che gli hanno registrato il disco. Per me ha un valore speciale: contiene tutta la mia musica preferita. L’anno successivo uscirà il primo disco del progetto musicale di Steve Albini con Bob Weston, assieme a un batterista del Minnesota di nome Todd Trainer (categoria “il disco più bello di sempre”). Albini e Weston, anche separatamente, produrranno i più sensazionali dischi degli anni novanta e oltre. I Nirvana hanno i nervi a pezzi e sono al loro apice creativo. Le session di registrazione secondo le cronache sono tranquille, con un momento di frizione quando arriva Courtney Love e inizia a metterci il becco. Steve Albini consegna i nastri al gruppo, Cobain fa sentire i nastri alla casa discografica e ai tizi viene un colpo. Si tratta di roba grezzissima, tutt’altro che in bassa fedeltà ma incentrata su un’idea di suono totalmente diversa da qualsiasi standard del ragionevole si possa pensare per un disco pop rock -anche oggi. Le voci non sono doppiate, quasi inintelligibili in certi sfoghi strumentali, le batterie sono piene di echi, come se fossero state registrate dentro l’hangar di un aeroporto. Le tracce parlano perlopiù di tante sfumature diverse per cui l’esistenza fa schifo; i tizi della Geffen non si fanno pregare troppo e decidono di rispedire i nastri al mittente. Delle tracce viene detto “non all’altezza degli standard del gruppo”. Del disco in sé viene detto “impubblicabile”. Kurt Cobain passa dall’euforia dei primi giorni a un’insicurezza cronica; si parla di remixare il disco, Steve Albini s’infuria e rifiuta. Il lavoro di Andy Wallace su Nevermind sembra bruciare ancora un bel po’, finisce con una disputa e la soluzione di compromesso di rimettere le mani sui pezzi che diventeranno singoli. Lo farà il produttore dei REM Scott Litt. e il disco uscirà nel settembre del 1993. Il titolo voleva essere Odio me stesso e voglio morire, ma qualcuno fa cambiare idea a Kurt Cobain.

Nella maggior parte dei casi le situazioni in cui ti ascolti un nuovo disco sono sempre più o meno le stesse, quindi non è facilissimo ricordare cosa hai provato e quando e cosa pensavi fuori dalle orecchie. Questo per i sedici anni: quando sei più adulto semplicemente non hai più quel genere di spinta emotiva e ti occupi di cose che hanno un senso. Però molta gente che ascolta musica ha dei rituali: chi se l’ascolta in cuffia da solo in un viaggio in treno, chi spegne la luce, chi si prende in mano un libro e tutte quelle perversioni lì. Io avevo un mangianastri e facevo quel che potevo. Alcune cose dei dischi che ascolti si perdono nel tempo, alcuni dischi la prima volta manco ti piacciono. Anche quelli belli. Ce ne sono alcuni fatti apposta per non piacerti al primo giro, anche se sono meno di quelli che pensa chi li produce, i dischi. Di In Utero non ricordo dov’ero o con chi o a che volume, no, il volume me lo ricordo, era tutto a destra e io il pomeriggio ero quasi sempre da solo in casa. L’inizio del disco invece è come un film, tutte le volte: ci sono tre colpi di bacchette e poi uno SBRANG terrificante caciaronissimo e poi parte uno dei riff meno carichi della storia del gruppo. I primi due versi li conoscono pure i bambini ma fanno male tutte le volte. E Kurt Cobain li canta e sembra ubriaco. È il più bell’inizio di disco che io abbia ascoltato e il gruppo per ora sta scherzando. Uno se ne accorge quando inizia la traccia due, che invece è la cosa più violenta a cui i Nirvana abbiano mai messo mano e uno dei massimi capolavori di Steve Albini. Da lì in poi ognuno ha la sua classifica. La mia contiene quasi tutte le tracce del disco: persino i pezzi remixati da Litt sono anni luce avanti da certi scempi perpetrati dalla coppia Vig/Wallace su Nevermind. Saltuariamente i ricordi si legano a pezzi di tracce e linee di testo portandomi alla mente il viso di una persona che ho amato o un posto dove stavo o qualcosa che ho detto o non detto a qualcuno, ma per la maggior parte del viaggio, dentro In Utero, sei nella testa di qualcun altro. Di dischi che fanno questo effetto ce n’è pochini, se togli quelli che suonano falsi rimangono cose tipo World Coming Down, metà della produzione di Alan Vega, Life Time, Fausto Rossi e non so nemmeno io che altro. O forse esistono dischi che succedono nella testa delle persone e non suonano come la lettera di un suicida o un grido d’aiuto e magari qualcuno parla di se stesso anche quando parla di lacrimogeni che ti esplodono in faccia e poliziotti che ti prendono a manganellate, ma soprattutto di questi ultimi dubito abbastanza.

Quando finisce All Apologies sono sempre allo stremo delle forze. Questa cosa è difficile da spiegare a qualcuno perché presuppone che la persona con cui parli abbia vissuto da adolescente un periodo in cui la musica più eccitante veniva prodotta da un gruppo che non era pronto, emotivamente, a gestire l’attenzione di così tante persone. E che i cui dischi erano troppo buoni per buttarli fuori dal cono di luce sotto cui stavano così scomodi. Kurt Cobain riuscì a suicidarsi nell’aprile del 1994. Fosse vissuto per sempre, non avrebbe mai scritto e registrato un disco più bello di In Utero. È impossibile. Qualche anno dopo l’internet ci sputerà i confronti coi mix originali delle canzoni. Pezzi sfilacciati. Sono migliori. Suonano verissimi. Odio arrivare dopo. Non ha alcuna importanza.

C’è qualcosa di profondamente disonesto nel continuare ad ascoltare In Utero, c’è qualcosa di personale e non-nostro dentro, che averlo pagato soldi all’epoca non basta a scaricarcelo dalla coscienza. C’è qualcosa di disonesto anche nel prendere un album così figlio dei suoi compromessi e ributtarlo sul mercato in versione super-deluxe, remixato agli Abbey Road da un tizio (lo stesso Albini) che all’epoca non voleva sentirne manco parlare e completato di decine di tracce extra ad allungare il brodo e rendere il viaggio imperfetto e troppo lungo dopo la fine di All Apologies, che già la traccia nascosta in fondo, quando inizia dopo tutto quel silenzio, è troppo da gestire. Un disco che forse era già il massimo che potevamo avere: la testimonianza ultima di un’etichetta che voleva il disco pop e s’è trovata in mano un baccano infernale, di un chitarrista che voleva fare solo un baccano infernale e non riusciva a non buttare fuori le più belle canzoni pop della sua epoca, di un ingegnere del suono che voleva sparire dietro il suo lavoro e che nessuno lo cambiasse. Non ha alcuna importanza: l’altro lato è un mito troppo grande per starci lontani. Ci ha definito nelle sue mancanze e ci ha tenuto svegli. Abbiamo pazientato vent’anni, ora basta: il più bel disco dei Nirvana, il disco più bello di sempre, esce il 23 settembre a celebrare il compleanno in versione ipertrofica. Il menu lo trovate qui. C’è anche un teaser trailer sul tubo, ma è troppo anche per me.

quattro minuti: MISSION OF BURMA – UNSOUND

VIA

Rispetto alla massa di reunion di gruppi storici più o meno bolliti, più o meno compromessi e più o meno abbiam giurato di non parlarci mai più i Mission Of Burma hanno almeno avuto la decenza di rimettersi insieme in tempi non sospetti, senza grossissimi traumi alle spalle e –soprattutto- ripresentandosi al pubblico con una discografia che dire di tutto rispetto è un insulto al gruppo e all’intelligenza critica di un ascoltatore anche un briciolo attento. Unsound si infila dritto dritto nella tradizione dei Mission of Burma riformati, che poi sono più o meno i Mission Of Burma che ricordiamo: un disco di suoni storti che sicuramente abbiamo digerito e considerato “di genere” da tempo immemore ma che ce li riconsegna ai livelli di gruppi tipo Nomeansno o The Ex o qualunque altra band attiva da una trentina d’anni e lontana da tutti i canali che (non) contano, che non ha mai perso un briciolo d’entusiasmo e t’infiamma alla terza o alla quarta nota. E questa cosa è una delle pochissime che continuano a farci andare avanti e a farci sentire dei fan di musica autentici. Nei giorni in cui

STOP

 

(oggi doveva esserci un Listone ma siamo ancora un po’ in ferie. Better luck next week)

cercasugoogle: SERATA CON BOCELLI (brainstorming)

Il seguente brainstorming riguarda chiavi di ricerca con cui la gente è entrata su Bastonate nelle ultime settimane. Grazie a tutti per il contributo. Grazie ad alcuni più che ad altri.

COCAINA PRIMA DEI CONCERTI
Non di recente. In effetti sono talmente povero che spesso e volentieri passo le settimane prima ad elemosinare accrediti a destra e a manca, in genere senza successo. Altro che cocaina. Però venerdì sera a Shellac accanto a me in prima fila c’era un fuorisede palesemente sotto cocaina che rompeva il cazzo.

JUSTIN BIEBER DA PICCOLO
Già è difficile pensare al J.Biebz sedicenne, mollami un secondo

QUANTO MANCA?
Diciassette minuti, quattro dei quali potrei impiegarli per una rece.

NON TI RICORDI DI KEN SIRO
Certo che mi ricordo, l’ultimo discendente della scuola nigeriana di Hokuto.

BASTONATE KEKKO E’ FROCIO?
Non è propriamente una domanda da minestra, ma continua ad apparire nelle statistiche, evidentemente per farmici fare un CSG all’uopo. Grazie. Allora, diciamo che a me piacciono molti maschi, alcuni dei quali proprio me li farei e per i quali non escludo di aprirmi anche alla passività, prima o poi. Perlopiù sono musicisti, economisti e tuttologi di quarta categoria, ma anche certi amici stretti me li farei senza forchetta. Per ora comunque sono un omosessuale non praticante.

VOCE DI JOHN FRUSCIANTE COME AVERLA
Diciamo che il risultato non varrebbe il sacrificio.

COME FARE PER CONTATTARE LA SUB POP PER
Non saprei, mandagli una mail.

MI BASTEREBBE PENSARE KEKKO 2010
Sì, beh, questa è un’autoanalisi brutale.

ENRICO GHEZZI COLPA DEL SOLE
Molto francamente non credo che Ghezzi abbia mai visto il sole in vita sua –tipo io l’ho incrociato due volte verso mezzanotte (trivia: una delle due volte era all’XM24 a vedere i Wolf Eyes. Eroe.) quindi probabilmente è colpa della madre o dei troppi film.

SIGNIFICATO DI DRONES
In inglese drone è il maschio dell’ape.

SERATA CON BOCELLI
Bocelli Andrea? Lo staff consiglia di non indulgere troppo in conversazioni sull’arte, perché di musica sembra non capirne molto e insomma, il cinema non è propriamente il suo campo.

IN ITALIA NON SI SCOPA PIÙ
Questo è un equivoco piuttosto comune. In realtà il coito è stato semplicemente privatizzato in seguito alla stretta dei conti pubblici durante la gestione Padoa-Schioppa. Esiste tuttavia una serie di esenzioni in merito alle quali ti puoi informare presso gli sportelli ASL.

CHE COS E’ UN ESTREMO
può essere un parassita distruttivo delle colonie dell’ape mellifera, esso infatti causa il danneggiamento dei favi cbandosi del miele immagazzinato e del polline. Se l’infestazione diventa sufficiente pesante, le api possono essere indotte ad abbandonare il loro alveare.

CHIUSURA DEI MANICOMI IN ITALIA
Fu un grave errore. Sarebbe stato meglio aprirli al pubblico come scuole di vita. (cit.)

IL CRACK SI FUMA
Ma anche no.

SHELLAC ESTRAGON SOLD OUT PERSONE
Non erano persone. Erano SCOIATTOLI! VERI SCOIATTOLI! Ed erano migliaia. Questa non è una qualche metafora o che. Cristo di un dio, questo è VERO.

LA BASTONATA ROMAGNOLA
Non esiste una traduzione letterale, e comunque il dialetto romagnolo non è una cosa scritta. Io tradurrei con slèpa.