Quit The Doner

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“Quando i pesci grossi si annusano, le rispettive schiere di lacchè rimaste improvvisamente orfane di una guida fanno “sì sì” con la testa fra di loro e si scambiano biglietti da visita. Il designer è così: se non sta schizzando sedie a tre gambe su un foglio ti sta dando il suo biglietto da visita. Se non fa nessuna delle due cose è un fake o uno che lavora per l’Ikea. In mezzo a questo ufficio a cielo aperto del bar Basso c’è anche qualche free rider che se la spassa e prende per il culo un po’ tutti, e a quanto mi racconta Philippe, di solito sono proprio questi quelli che poi fanno le cose migliori.” (qui)

 

Cambiare idea è una cosa abbastanza fuori moda, sembra un concetto vintage che viene giù da un’epoca passata e misteriosa in cui ancora toccava zappare la terra –almeno il fine settimana- e le nostre mamme stendevano la piada a mano per tutta la famiglia (53 elementi). Quando leggi un pezzo e alla fine pensi “mi ha convinto”, hai sempre la sensazione di essere stato inculato. Ho qualche centinaio di following su facebook e twitter e quasi nessuno condivide un articolo dicendo “mi ha convinto”. La condividono tutti dicendo “ha detto benissimo quello che pensavo già” o “guardate quante castronerie in questo pezzo”. La condivisione è uno sport con regole abbastanza ferree e noiose, a meno che i giocatori non siano di livello.

Molto raramente, quando ti ostini a leggere riviste e siti internet, salta fuori uno tipo Quit The Doner. Quit The Doner è uno di quelli che non conoscevi (dopo qualche decennio a leggere riviste e siti internet, è un miracolo già di per sé) e con i quali sei sempre d’accordo e quando non lo sei ti convince del suo punto di vista. Quit The Doner lavora per Vice, Riders e Linkiesta, e ha un suo blog. La roba di Quit The Doner è una variante ideologicamente corretta di tutto quel sarcasmo ad ogni costo e di quella mentalità post-tutto o (wannabe) pre-tutto che è così facile leggere in giro.

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Perché Quit the Doner e non, boh, un nome di persona?

Perchè fino a questo momento non ci avevo mai pensato. Ottima idea in effetti. Sarebbe stato fantastico in effetti chiamarsi, che ne so, Eugenia Veltroni, però non ci ho pensato. Il nome deriva da quello del blog, che a sua volta deriva dal fatto che nel 2009 vivevo a Berlino e mangiavo una quantità smodata di kebab. A un certo punto ho incominciato ad avere male all’intestino, ma siccome bevevo anche un sacco di thè verde la prima cosa che ho pensato è stata “mh, dovrei smetterla con tutto questo thè verde”. Così ho smesso di bere thè ma il male non passava. Dopo due settimane senza the verde ho smesso anche di mangiare panini a base di carne priva di certificazioni sanitarie e sorprendentemente sono stato di nuovo bene.

Metti caso che io ora inizi a farti domande a scopo intervista: tu risponderesti o troveresti una scusa? 

Il fatto è che essendo un sfornatore di pipponi professionista tendo a non aggiugere meta-pipponi sui pipponi, ha un che di pornografico ma in senso negativo.

Forse condivido ma secondo me dovresti rispondermi comunque. La prima ragione è che se ti chiedessi di scrivere un pezzo per me mi sentirei una merda a non poterti pagare, e tu avresti la possibilità di non scriverlo, invece così ti faccio UN’INTERVISTA e in qualche modo TI PROMUOVO, aumenterò la tua VISIBILITA’ eccetera (tutte le corbellerie saranno scritte in caps lock d’ora in poi). Però in effetti non ti so dare una ragione per cui dovresti parlare con me, secondo me verrà fuori una roba interessante che avrà un suo senso. Ci provo.

La prima domanda vera su di te è chi sei e da dove vieni. sembra una domanda stupida ma di solito la gente che scrive questa roba e ti piace, non so come dire, la conosci tutta per qualche motive: ci scrivevi assieme su un sito nel 2002, la leggevi su una rivista, la conoscevi per certi posti comuni che frequentavate. Tu invece mi sei scoppiato dentro al cuore all’improvviso/all’improvviso e NON SO CHI SEI, mi fa stranissimo, so solo che sei di Bologna, nient’altro. Forse quindi la prima domanda non è “dimmi chi sei” ma “spiegami perchè non ti conosco personalmente”. 

Dunque, chi sono non ha molta importanza e soprattuto se te lo rivelassi manderei a puttane il mio core business che è fare da ufficiale di collegamento fra i forconi e il Bilderberg traducendo i piani per il nuovo ordine mondiale in improperi che anche un grillino deluso possa capire. Per questo sto studiando il linguaggio dei gesti.

Non mi conosci personalmente perché, escluse le persone con cui lavoro e qualche amico che stimo molto, non frequento molte persone che lavorano  nell’industria culturale o vi prestano volontariato in cambio di visibilità e denaro per Zuckerberg.  È la mia assicurazione sulla vita e sul mio lavoro. Credo che in Italia ci sia già un numero più che  sufficiente di autori ombelicali ed autoreferenziali che si citano a vicenda e non hanno un minimo di empatia con l’umanità e di onestà verso se stessi. Per questo cerco sempre di scrivere per le persone che abitano il mondo dove sono cresciuto, non quello dei vernissage o altre stronzate che mi danno l’orticaria. Ovviamente poi in tutti i campi ci sono anche persone per bene, persino nell’editoria, nel 2013 ne ho conosciute diverse. Il fatto è che il mio è un universo autosufficiente fatto da un lato dai libri che leggo, dall’altro dalle persone che la mattina vanno a fare lavori meno pretenziosi del mio.  All’ultimo vertice del triangolo ci sono i miei datori di lavoro, verso i quali cerco di essere leale come un samurai ma al tempo stesso chiedere sempre rispetto e retribuzioni dignitose. Questo diciamo è il triangolo del doner. Altro non mi serve. Scrivo molto anche perché non perdo tempo in stronzate.

Questa è la prima volta che guadagno punti-scena col fatto che per vivere vendo le sementi. comunque, dicevo, mi interessa il passaggio autori ombelicali ed autoreferenziali che si citano a vicenda e non hanno un minimo di empatia con l’umanità e di onestà verso sé stessi. A chi pensi quando mi scrivi questo? se non puoi rispondermi direttamente a chi, dimmi a cosa pensi. 

Penso che uno dei motivi per cui si vendono sempre meno libri e giornali è che spesso chi li scrive è scollato dalla realtà, chiuso in cerchie in cui piacere a questo o quel decisore è unanimemente considerato più importante che fare un buon lavoro. Penso a quanta gente passa la propria vita a costruire contatti e tagliare i ponti ai rivali invece che fare il proprio lavoro. Una vita d’inferno. Nessuna sorpresa poi che i risultati siano così modesti. È passata la mentalità, soprattutto fra i più giovani,  che l’importante non sia tanto fare un buon prodotto, metterci tutto se stessi (anche sbagliando qualche volta), quanto piuttosto ingraziarsi questa o quella persona più importante di te. Anzi, peggio ancora, siamo arrivati a una generazione che si prostra intellettualmente in cambio di visibilità o quattro soldi comunque insufficienti a vivere. Quando acconsenti a qualsiasi cosa in cambio di una cifra che non ti basta a sopravvivere puoi solo incominciare a scavare. Non hai manco più la giustificazione del “tengo famiglia”. La realtà è che questa mentalità è radicata quasi più nelle persone che scrivono che in quelle che poi devono prendere le decisioni. Uno dei tanti casi in cui i sudditi sono più realisti del re. Detto questo io non mi sento assolutamente quello che fa la cosa definitiva, anzi. Provo a fare il mio, cerco di farlo bene e assumere le cose in cui credo (o non credo) come metro ultimo del mio lavoro, è una questione assieme deontologica e di dignità personale. Cerco anche di divertirmi tutte le volte che mi è possibile, perché l’idea che non sei credibile se non sei una persona intimamente triste che si prende mostruosamente sul serio, credo sia l’ultimo rifugio della volontà di potenza dei mediocri. Da noi il trombonismo viene scambiato per serietà, per fortuna sempre meno spesso. Aggiungo però che ci sono anche molti ottimi professionisti in Italia, e in genere sono quelli che non si dedicano a tempo pieno alle guerre fra bande perché sanno di poter contare sul proprio lavoro per andare avanti. Ma mi stai facendo dire un sacco di cose serissime. Chiedimi qualcosa a cui possa rispondere con cazzi e vagine.

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Ma io in parte non so cosa dirti perchè scrivo per hobby (e quindi spesso gratis), in parte sono d’accordo con te, in parte mi preoccupo anche di più per questa cosa. C’è un sacco di gente che conosco, davvero parecchia, per la quale questa dinamica al ribasso è l’ambiente naturale in cui vivere. Per certi versi è anche strano star qui a darti ragione per una roba che quando ne parlo a chiunque altro vengo preso per un cretino o un comunista da operetta, che peraltro sono (da operetta, dico). 

La mia idea comunque è che la gente ci sguazza, in questa mentalità. Che la maggior parte della gente non si stia davvero auto-sabotando la prosa in cambio della pagnotta a fine mese, ma che semplicemente non abbiano voglia di sbattersi a fare pezzi di cui sarebbero capaci. È una mentalità tipo “giornalismo di serie A VS giornalismo di serie B”. Se la paga è di serie A, il pezzo dev’essere di serie B. Ben scritto e senza un guizzo. Se è di serie A il pezzo tocca accontarsi di una paga di serie B, tanti guizzi, zero contanti. E magari quelli che ce l’hanno fatta sono persone che avevano un blog in cui facevano le fiamme e ora compilano pezzi tutti uguali per chissà chi. Quindi la prossima domanda è se vedi una lucina alla fine del tunnel: cinque testate/siti in Italia che ti diverte leggere e magari pagano? me li sai dire?

Qui continuano a mancare le vagine, eh.  Comunque non sono del tutto d’accordo. Anche il giornalismo cosiddetto “serio”, se fatto bene implica un notevole grado di abilità e di impegno; sono standard e formule comunicative in cui puoi sempre metterci del tuo stando dentro il canone, non significa appiattirsi necessariamente sempre sulle solite tre o quattro formule del cazzo. Io ad esempio ho iniziato (e  scrivo ancora, anche) per giornali insospettabili e lo trovo stimolante. E ad ogni modo all’inizio un periodo in cui guadagni poco ci può stare ma devi usarlo per imparare e dare il meglio di te. E soprattutto, quando diventa chiaro (e fidati, diventa chiaro in fretta) che in un determinato ambiente lavorativo non andrai mai da nessuna parte, devi provare a cambiare. C’è anche un discorso di prospettive: ad oggi le assunzioni nei giornali stanno quasi a zero, e se qualcuno ti dovesse assumere non lo farà mai perché gli hai scritto 200 pezzi l’anno a 20 euro lordi per dieci anni (riconoscenza? Ahah), ma perché vede in te un valore aggiunto. Lo so per esperienza personale: anche io ho scritto per quelle cifre per un periodo mentre facevo altro, ma appena ho capito come girava il fumo ero sinceramente pronto a tornare a fare solo altro, i miei amici ricordano ancora bene quel periodo. Poi le cose sono andate diversamente, ma il punto è che in quel tempo morivo dentro ogni volta scrivevo un pezzo per cifre esigue (e comunque non ho mai toccato i vertici al ribasso della categoria), mi sentivo umiliato e mi vergognavo come un ladro. Un numero spropositato di persone invece trova perfettamente sensato prendere due noccioline e un calcio in culo  per scrivere semi-gratis su una testata che può giocarsi per fare il figo agli aperitivi, sai a tutti piace scopare con qualche ragazza che subisce il fascino di un principio di autorità aggiornato sugli standard salariali del 1988.

Siamo una generazione che ha abbandonato la dignità per abbracciare le velleità. Un misto di fashion decadente e autoassolutorio e retorica tardo-comunista per cui i soldi fanno schifo e tutti possono fare tutto fa lo stesso se ne nessuno ti paga. Finché ne hai di soldi, ovviamente.

Tu mi dirai “beh ma se uno sente che vuole fare quello altrimenti si farà di psicofarmaci?”. OK. Considera però due cose: 1. fare il giornalista non significa mica solo occuparsi di cose stra-interessanti. Nella maggior parte dei casi ti troverai ad intervistare un consigliere comunale semianalfabeta del movimento 5 stelle che ti dirà che le scie chimiche sono emanazione del fidanzato della Boldrini. Peggio, potresti trovarti ad inseguirlo. Peggio ancora questa storia farà sbavare il tuo caporedattore, che già visualizza la gente con profili lombrosiani che condivide migliaia di volte il pezzo sui social generando 5 euro di introito sui google ads. A questo non ci pensa mai nessuno perché sono tutti in modalità Watergate. Allora piuttosto che scrivere per quelle cifre e occuparsi di stronzate meglio farsi il proprio sito e prodursi le cose da soli. Tanto comunque dovrai fare un altro lavoro o (se puoi) farti dare i soldi dai tuoi, in entrambi i casi non vedo perché usare queste risorse per lavorare semi-gratis per qualcun’altro occupandosi del nulla. Oppure scrivi solo per divertimento ma allora è inutile stazionare per anni nel limbo inquinando il mercato. Oppure ancora hai veramente la vocazione e senti che sei disposto ad accettare qualsiasi cosa pur di fare quel mestiere lì, perché ti senti vivo solo se fai cronaca, ma quanti sono veramente le persone come queste? Esistono ma sono una minoranza sparuta. Quante sono quelle solo parcheggiate in attesa che passi la bufera  (spoiler allert: non passerà)? Molte di più.

Purtroppo questi sono discorsi che da fuori possono sembrare snobistici ma ti posso garantire che si vede subito se uno ha la stoffa, se sta copiando qualcuno o se ha qualcosa di interessante da dire, alle volte ci vuole tempo perché questo emerga ma in genere prima o poi succede. Per dire non è che se fai dei pezzi con gli screenshot di twitter allora vuol dire che sei Leonardo Bianchi, che è un mio amico e so il tipo di lavoro che fa e che si accollerebbero in pochi.  Oppure se dei miei pezzi vedi solo la battuta o la bottiglia di vodka che appare ogni tanto, beh, mi dispiace ma ti stai prendendo per il culo da solo e dovresti lavorare a costruirti uno stile tuo. Se vuoi posso dirti chi -dei giovani giornalisti web- fra dieci anni farà ancora questo mestiere,quando cioè i giornalisti professionisti saranno un quarto di quelli che ci sono oggi. Non ci vuole molto a capirlo. Altri ne emergeranno, altri invece staranno in una bottiglieria con un Mac aperto sperando che li veda più gente possibile. Questo al netto del fatto che se non godi almeno un po’ quando scrivi ci sono un sacco di altri lavori in giro per il mondo. Giornali che pagano, tutti bene o male pagano, ma bisogna vedere quanto riesci a farti dare, non sono un sindacalista e non ho un tariffario completo. In media però in ogni testata cartacea c’è gente che guadagna cifre che ti spaventerebbero e un sottoproletariato a mantenimento famigliare. Non sto dicendo che non sia dura perchè là fuori è durissima, ma anche la nostra generazione ha le sue responsabilità. Tipo intervistare gente come me.

Dicevo, INTERVISTARE gente come te lo faccio per tre motivi fondamentali che secondo me mi mettono al riparo dalle critiche. il primo motivo fondamentale è che di solito i posti come il mio fanno le INTERVISTE ai musicisti (gente che non ha cose da dire o dovrebbe dirle nei pezzi), il secondo è che -se non intervistassi la gente come te- l’unica altra scelta per me sarebbe intervistare qualche web-guru di merda che mi spiega come fare a migliorare un sito, cioè tipo questo (per dire un esempio di roba leggibile in un panorama di roba illeggibile). Il terzo motivo è che i motivi sono sempre tre, o in alternativa che la parola intervista in inglese si usa anche per dire colloquio, di lavoro intendo, e quindi di base questo scambio di mail è esplorativo e ha un’utilità personale che potrebbe esulare dal pubblicare o meno il pezzo che ne esce. La domanda logica in ogni caso è che sì, tu potresti dirmi quali e quindi dimmelo. Chi dei giovani giornalisti web farà questo lavoro tra dieci anni?

Era una battuta (ride)

Non voglio portare sfiga a gente che si fa un culo così tutti i giorni, per cui non posso fare nomi.

Per quanto riguarda quella cosa tremenda che hai linkato, il web è pieno di gente che si spaccia per esperta e fa di tutto tutto per ignorare palesemente che quello che fa la differenza è sempre il contenuto e prova a giustificare a tutti i costi ogni stortura della contemporaneità. La realtà è che se non hai contenuti non vai da nessuna parte, puoi mettere il titolo catchy che ti pare ma non ti si incula nessuno. Questa è gente che sarebbe in grado di sostenere che uno come Zero Calcare fa fantastiliardi di pagine visualizzate perché il suo blog ha un bella impaginazione. Sono fattori non irrilevanti ma molto meno importanti di quello che si crede normalmente, questo perchè secondo alcuni studi recenti l’essere umano, al contrario di alcuni social media manager, ha un cervello.

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Parliamo di figa, ora. Nella tua roba che ho letto c’è uno schema che mi piace: vai in un posto, descrivi un certo tipo di comportamenti, trai conclusioni. Da una parte c’è questo bisogno di realtà empirica che mi piace molto, dall’altra appunto l’idea che i comportamenti in generale denotano una forma mentis (che arriva alla fine del pezzo, magari). e quasi tutto ha un punto di vista inedito, o comunque sembra che ti scomodi solo se c’è da dire qualcosa che non puoi trovare negli altri pezzi che trovi in giro. è corretta l’analisi? è una cosa voluta?

Certo. Diciamo che io assieme alle testate per cui lavoro cerco di raccontare quello che normalmente rimane fuori dall’occhio dei media classici, o almeno quelli italiani che -come dicono gli stessi manuali dell’ordine dei giornalisti- sono ossessionati dalla politica interna e dai suoi retroscena. È una cosa interessante questa passione dei giornalisti italiani per gli arcana imperii, per molti vedi chiaramente che quello che li attrae nel gioco cinico del potere, più che la sua fondazione e I meccanismi del suo funzionamento è lo stargli vicini. Se io avessi una simile fascinazione per il potere politico punterei a fare il politico, non il giornalista, questo è un meccanismo mi ricoda un po’ chi non avendo alcun talento artistico finisce a fare l’agente di spettacolo. Non che il problema del potere politico non mi interessi, mi interessa eccome ma voglio vederlo sempre nel contesto della società in cui si inserisce e si sostanzia, non come rito chiuso e autosufficente, a meno che non stia sceneggiando “House of cards”, ma allora è un altro discorso. Quando un quotidiano che costa un euro e trenta fa dieci pagine di retroscena parlamentari in un’epoca come la nostra, sta voltando la schiena ai lettori. Due pagine sarebbero più che sufficenti e aiuterebbero i politici italiani a non sentirsi il centro del mondo ma una parte, in realtà sempre meno importante, di esso. Per il resto se mi mettessi anche io a fare retroscena politici andrei incontro a 3 problemi 1. non ne sarei capace, 2. c’è un sacco di gente che li farebbe comunque meglio di me, 3. capisco che entro certi limiti sia un servizio necessario ma a me interessa poco.  C’era e c’è, invece, tutto un enorme territorio pressoché vergine da esplorare, tutta quella parte d’Italia che abitiamo ogni giorno e che non viene mai fuori nei media a meno che qualcuno non getti una bambina in un pozzo e un carabiniere non stermini la sua famiglia perchè sua moglie Nunzia lo aveva lasciato per il salumiere. A me interessa tutto quello che sta nella terra di mezzo fra le dichiarazioni tutte uguali dei sottosegretari e i casi di cronaca morbosi. La vita umana, fondamentalmente. I periodici che fanno reportage li fanno brevissimi e non ritengono quasi mai interessanti cose che per me lo sono, e molto. Vent’anni di Berlusconismo e antiberlusconismo ci hanno consegnato l’assieme pregiudiziale che “la gente non capisce un cazzo” e quindi devi fare testi a prova di analfabeta di ritorno, anche quando hai delle professionalità notevoli a stipendio. Ovviamente è un cane che si morde la coda, a forza di trattare il pubblico come avesse la freschezza intellettuale di un distributore di merendine, questo incomincia effettivamente a rincoglionirsi. Sul long-form journalism la stampa italiana è tendenzialmente imbarazzante e forse l’unica cosa di cui sono effettivamente orgoglioso, parlando del mio lavoro, è di aver dimostrato che è possibile far leggere anche agli italiani testi semi-giornalistici lunghi, e ti dirò di più: testi lunghi su internet, che un anno fa era una cosa che nelle redazioni ti ridevano in faccia.

Lo so perché la faccia era la mia.

Al giornalismo comunque ho sempre preferito la letteratura, la filosofia e la comicità, e questo anche credo che traspaia dal mio lavoro, io infatti mi considero un giornalista per sbaglio e fino a un certo punto. Sono un autore prestato part-time ai reportage e alle opinioni giornalistiche e infatti nella parte del mio lavoro sotto la linea del web scrivo anche cose che non hanno nulla a che fare con il giornalismo. Non voglio in alcun modo far passare l’idea che tutto il giornalismo dovrebbe diventare una forma ibrida come quella che pratico io, ma sicuramente il giornalismo narrativo è una forma che in italia non ha avuto recentemente lo spazio che merita. Così come d’altro canto la narrativa pura ma basata su ricerche rigorose non trova grande spazio in una tradizione letteraria che ha sempre visto “il pensiero del genio autosufficente” come punto di riferimento con risultati sotto gli occhi di tutti. Qualcuno parlando del mio lavoro ha citato il Gonzo Journalism: mi fa ovviamente molto piacere, Hunter S. Thompson è un grandissimo scrittore, ma la verità è che io fino a quest’estate avevo letto solo Paura e Delirio a Las Vegas  e quasi una decina di anni fa. Il paragone per quanto lunsinghiero è la classica semplificazione giornalistica. Le mie vere ispirazioni sono altre, comici come Bill Hicks, George Carlin, Steven Wright, Charlie Brooker, autori poliedrici come Flaiano e Aaron Sorkin, o ancora il realismo a più voci di Irvine Welsh e David Simon. Inoltre sono laureato in filosofia e mi è sempre parso naturale fondere le mie conoscenze in questo campo con il giornalismo.  All’inizio del mio primo taccuino di lavoro avevo scritto una frase  di Foucault che da lì in poi ho sempre posto come stella polare del mio lavoro: “in un certo senso, noi non siamo altro che ciò che è stato detto detto da secoli, da mesi, da settimane“. Foucault praticava quello che è stato definito una sorta di “giornalismo filosofico”, indagava gli aspetti apparentemente insignificanti della storia per farli parlare, senza mai calare la soluzione dall’alto a priori. Nessuno prima di lui aveva pensato di studiare i regolamenti interni alle caserme o ai carceri, ma in realtà sono documenti che possono risultare più importanti di mille simposi di filosofia metafisica. Allo stesso modo io sono interessato alle piccole pratiche quotidiane di potere, all’ utilizzo delle parole e della lingua, ai metodi di aggregazione, agli universi simbolici che faccio interagire con un tessuto comico, una sottotrama che dialoga con gli assunti interpretativi del pezzo e genera uno storytelling dove la soggettività autorale risuona empaticamente con le forze emozionali che incontra. O almeno questo è quello che racconto agli editor per farmi dare dei soldi per la droga.

È strana questa percezione di internet come un posto che detesta il testo lungo, considerando anche il fatto che è l’unico posto dove lo spazio per un articolo non è un problema. Ma anche le gallerie a scorrimento con dieci foto uguali che hanno senso nella generazione degli ad e tutta quella roba lì, vabbè. Non so, c’è un modo per evitare il rincoglionimento magari? Io sono abbastanza intrigato dalla campagna abbonamenti ad elemosina del Manifesto, che vuol rimanere tutto bianco e formale e senza ad. Però insomma, non è un modello sostenibile. Tu che dici?

Gli auguro tutta la fortuna del mondo. Le persone devono capire che l’informazione e in generale i prodotti culturali vanno pagati. Anche su internet, per questo consiglio tra l’altro di sottoscrivere l’abbonamento volontario a Linkiesta che fa uno sforzo enorme per produrre giornalismo di qualità. Se non paghi o il prodotto sei tu o qualcun’altro sta pagando per te e allora è facile che prima o poi ti veicoli delle informazioni appositamente per i suoi scopi. Che poi è il motivo per cui i giganti monopolisti del web stanno investendo nell’editoria, stanno chiudendo il cerchio (per usare l’immagine di Dave Eggers in The Circle), e si apprestano a diventare la narrazione univoca del pianeta. Al netto delle gravi manchevolezze dei giornali italiani di cui parlavo qui sopra,  se tu consumatore non paghi, stai vendendo il tuo futuro ai grandi gruppi industriali e stai facendo ripiegare l’economia su se stessa, affamando chi contribuisce a rendere il mondo un posto un po’ più sopportabile -scrittori, artisti, musicisti, attori, registi eccetera. Certo c’è la crisi, ma un certo tipo di persona non ha alcun problema a spendere 4 o 5 euro per una birra, ma si guarda bene dal comprare i giornali o dei libri. È il modello di consumo ad essere cambiato, la wal-martizzazione della cultura. Ehi visto i dieci orsetti lavatori più buffi del mondo gratis su Facebook, questo appaga il mio bisogno di indagare il grande mistero dell’uomo e delle sue contraddizioni!Uno aveva degli occhiali da sole!

Senza informazioni  di qualità non puoi ambire ad altro che ad essere una pedina influente qualsiasi cosa tu faccia per vivere,  e senza intrattenimento ed arte di alto livello la vita è una landa ancora più triste e desolata di quello che già è. Internet ha portato la mentalità che tutto deve essere gratis e ha sostanzialmente ucciso l’industria culturale creando una generazione di schiavi che, come si diceva prima, spesso non combattono neppure contro questa condizione. Pagare un prodotto culturale significa non solo consentire standard qualtitativi più alti ma anche permettere a chi non è ricco di famiglia di esprimere le proprie capacità. È una questione di equità. Una buona idea è frutto di ricerca, anni di studio, tanto tanto lavoro, un po’ di talento e anche il tempo di lasciarla maturare, ma mentre pensi devi anche pagare le bollette. Ci sono tutta una serie di pregiudizi molto diffusi sul lavoro intellettuale (che non sarebbe “vero lavoro”, o la dannosissima retorica del talento vs etica del lavoro), che hanno contribuito a fissare i criteri della produttività intellettuale in termini puramente quantitativi. Anche la retorica del non professionista come regola è un disastro, non solo eticamente ma anche pragmaticamente perché non tiene presente che più fai una cosa più migliori nel farla, e comunque già in partenza devi avere una serie di competenze la cui acquisizione costa denaro. Il problema è che il tempo stesso oggi è denaro e di denaro grazie soprattutto a internet ce n’è sempre di meno. Il risultato è che si va a grandi passi verso una società acefala, con tecnici prestati part-time ai problemi culturali, persone che ovviamente non avranno le competenze necessarie per affrontarli tenendo conto di secoli e secoli di cultura umanistica. Siamo nel mezzo di un cambiamento epocale che dovrebbe essere oggetto di grande riflessione e invece è lasciato alla libertà di azione delle aziende del web, che agiscono seguendo i principi dell’anarco-capitalismo radicale. Non accettano altre regole se non le loro. Qui deve essere molto chiaro che una società costruita ad immagine e somiglianza degli ingegneri è un incubo distopico.

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 12-18 novembre 2012

Questa sera al Modo Infoshop si parla di jazz con uno dei più autorevoli luminari sulla piazza… Mercoledì 14 doppio appuntamento: da una parte MeryXM con presentazione della rivista “Ruggine” e a seguire concerto dei Moksa Pulse Quartet, dall’altra Wu Ming al Bartleby e a seguire concerto dei Med’Uza, in entrambi i casi si inizia a orario aperitivo e l’ingresso è gratuito… Giovedì tornano in città i Gerda, aprono il live dei Buster Shuffle al Chet’s, dalle 21 (cinque euro), occhio alla scatola cranica… Venerdì alla galleria ONO prima installazione della serie “Drin Drone“, dalle 19 alle 23 concerto di Lost Shelter e dj-set di Satan Inside, (Qui tutte le info)… poi al TPO il terremotante live degli LN Ripley (dalle 22.30, dieci euro)… Tornano anche gli Indigesti, sabato 17 nella storica sala 100fiori (otto euro entro le 21.30, dieci dopo)… Domenica prima degli Iron Cross all’Atlantide c’è tempo di passare al Modo Infoshop per la presentazione del nuovo libro di Mimì Clementi… Fino alla prossima: lagendinadeiconcerti(at)gmail(dot)com

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 29 ottobre-4 novembre 2012

 
Da Beverly Massachussets a Casalecchio di Reno via crisi finanziaria, se vi piacciono i Mogwai ma non avete i soldi per andarli a vedere al Primavera del cazzo ecco l’alternativa low-cost: Caspian stasera al Blogos (dalle 21, otto euro ad oltre), apre Thisquietarmy che è la vera meraviglia (Qui l’intera discografia in streaming)… L’unica festa di Halloween che abbia anche solo lontanamente senso è all’XM24… Giovedì 1 i bastardi del rock’n’roll Hellvis e gli abruzzesi terribili FiftyNiners al Chet’s per una seratina tranquilla dove si suderà poco (dalle 21, pochi euri)… Come Roma con Cartagine: i Gronge, ovvero la cosa migliore mai successa all’Urbe dalla nascita del canto gregoriano a oggi torna all’XM24 venerdì 2 (dalle 22, quattro euro), aprono i Mother Propaganda, qualunque altro programma diventa pleonastico… Serata di darkettaccio alla disperata sabato 3 all’Atlantide (Qui il flyer)… Domenica

L’agendina dei concerti Emilia Romagna – 22-28 ottobre 2012

eh… già.

 
Questa sera all’XM24 a partire dalle 22 DeZafra Ridge + Moro Moro Land + Architecture Of The Universe. Esiste un modo migliore di passare il lunedì sera in zona? Non che io sappia…  Mercoledì 24 i Mother Propaganda presentano il loro album a MeryXM (Qui i dettagli), e sarà allora che le nostre teste esploderanno… Si passa direttamente a sabato con il massacro dell’anno, del decennio: trovate il flyer qui sotto, non ci sono parole, non ci sono parole… E domenica il bis: stesso posto, stessa ora, Heartless + Left In Ruins + You Suck! + Lamantide. Si fa in tempo prima anche a passare al Modo Infoshop per la presentazione della ristampa delle prime cose dei Negazione (Qui tutto quel che c’è da sapere)… Avete date da segnalarci? L’indirizzo è il solito: lagendinadeiconcerti(at)gmail(dot)com

 

L’agendina dei concerti Emilia Romagna – 8-14 ottobre 2012

 
Questa sera a Bologna Gab De La Vega vi laverà la coccia a furia di punk acustico militante con le sue tirate contro il consumo di animali morti; al Black Fire pub dalle 22, apre Raimundo, la serata è a ingresso gratuito quindi fatevi sotto… Seconda serata MeryXm mercoledì 10, film sulla Par Tòt parata e a seguire concerto brasileiro, come sempre gratis da orario aperitivo… al festival Superficie a Cesena Marcello Lorrai e Wu Ming 2 intervengono, Stefano Pilia e Egle Sommacal sonorizzano, dalle 18 ingresso gratuito, cibo e bere a prezzi popolari… Infine al Bartleby live dei Morse Code, math rock alla vecchia da ex membri dei Caboto, gratis dalle 22… Da non perdere giovedì i Rangda al Chet’s Club… Venerdì 12 all’XM24 prima serata benefit per il Vecchio Son, sul palco Sumo, Intothebaobab e Malascena, a seguire djset trash porca madonna style, dalle 22 cacciate gli spicci che è per una buona causa… E sabato pure però all’Atlantide, nientemeno che i Nabat (che come concetto è come dire gli Iron Maiden in uno sgabuzzino), si inizia alle 21 tassative, la conta dei feriti a dopo… Sabato anche Federico Fiumani in “Confidenziale” al Candy Bar (dalle 21.30, dieci euro), Talibam! al Sidro (dalle 22, cinque euro) e Teho Teardo al Calamita (dieci euro più tessera ARCI)… Domenica June Miller al Caffé Rubik per “Musica Sigillata”, oppure Ryat al Clandestino… Per segnalazioni, anatemi, proposte di matrimonio: lagendinadeiconcerti(at)gmail(dot)com

Il listone del martedì: CINQUE COSE SUL CONCERTO DEI REFUSED DOMENICA SERA

Domenica sera i Refused hanno suonato a Bologna il loro primo reunion-show da headliner. Io ho pisciato il concerto per via del prezzo del biglietto. Il nostro amico Capra, persona bella e fiancheggiatore di lungo corso, era presente e ci manda un report fedele ed esaustivo.


1.
Parlare del concerto dei Refused a Bologna non può esimersi dal trattare la questione gordiana del “È-giusto-che-i-Refused-facciano-una-reunion-e-che-si-debba-pagare-30-euro-per-vederli?”
La questione non mi tange granché. Se sia giusto che i Refused tornino a suonare sarà una roba che penso riguardi solo loro. Se sia giusto pagare 30€ per andarli a vedere all’Estragon, penso non sia un problema esageratamente intricato, e l’alternativa che si pone è di una banalità lapalissiana: se pensi ne valga la pena, li paghi. Se pensi non ne valga la pena, non li paghi.
Il discorso, per quanto mi riguarda, si può estendere alla musica intera.
Star lì a maramaldeggiare il fianco scoperto di quelli che, come me, erano in fotta per vedere suonate dal vivo alcune delle canzoni più ascoltate negli ultimi 10 anni, facendo filippiche su tematiche varie tipo “lo fanno solo per i soldi”, “non sono più quelli di una volta”, “lo fanno per i soldi perché non sono più quelli di una volta”, etc, mi par cosa sgraziata e impietosa.

1 bis.
Era da tanto che volevo iniziare un live report usando almeno quattro parole entrate nel linguaggio più o meno comune che derivano da nomi propri. Nella fattispecie:
GORDIANA: dal nodo inestricabile che era nel carro del re Gordio: un oracolo prometteva i dominio di tutta l’Asia a chi lo avrebbe sciolto. Si dice di qualsiasi questione intricata e difficile a sciogliersi se non tagliando risolutamente, come appunto fece Alessnadro Magno col nodo gordiano.
LAPALISSIANA: di verità evidente, che è inutile o ridicolo enunciare; e dicesi dal nome di un guerriero, La Palisse, francese, alla cui morte fu pubblicata un’ode, per esaltarne i valore, che conteneva appunto una di tali ridicolaggini.
MARAMALDEGGIARE: infierire sui deboli o sui vinti; da quel Fabrizio Maramaldo che, dopo la battaglia di Gavinana (1530), uccise di propria mano Francesco Ferrucci già gravemente ferito.
FILIPPICA: nome delle orazioni di Demostene contro il re Filippo di Macedonia; invettiva, discorso violento di accusa contro qualcuno

2.
Il pubblico che c’era l’altra sera si poteva dividere tra:
– i deboli, quelli che non potevano fare a meno di vedersi i Refused dal vivo almeno una volta nella vita
– i curiosi, generalmente attorno al mixer o dietro quest’ultimo
– i giovani
– gli ignoranti, quelli che pensano che i Refused siano una band come un’altra che quest’anno sta suonando abbastanza e una capatina forse la meritano

3.
Cosa ha dato fastidio al concerto dei Refused a Bologna?
3A) Il volume del master, roba del tipo che sentivi il cellulare se suonava. Quando sono andato a 2 metri dalle casse la storia diventava quasi onesta. Nel mezzo davanti al mixer al minimo dell’accettabilità. Ma chi va a vedere un concerto all’Estragon negli ultimi anni sa cosa aspettarsi. Se mi citi il concerto dei Cannibal Corpse all’Estragon non vale un cazzo.
3A bis) Da qui alcuni dettagli quali non si sentivano i piatti, i suoni della batteria erano mosci, etc.
3B) Le filippiche (sic!) del cantante tra un pezzo e l’altro.
Voglio dire: il cantante dei Refused al suo concerto può dire quello che gli pare. Semplicemente quello che dice in gran parte non mi tange. Se si vuole dissertare sul fatto che fare discorsi tipo “La nostra rabbia in Nord Europa non veniva compresa, ci si chiedeva spiegazioni. In Germania veniva capita e ne volevano sapere di più. Ma qua voi la capite benissimo, perché è anche vostra etc”, oppure “Rimanete curiosi nella vita. Rimanete affamati, specialmente a Bologna”, oppure “Ribellatevi a chi vi impedisce di essere liberi etc Free Pussy Riot etc”, possa risultare fuori luogo, parliamone.
Sentire parlare bene in inglese comunque è sempre un piacere per me.
La mia opinione a riguardo comunque è questa: mi sono sembrati sinceri. Se dici cose che non mi interessano non significa che stai mentendo. Se dici che le tue idee sul capitale e quant’altro non sono cambiate da quando eri venuto a Bologna nel 1994, posso anche crederci. Non vedo un conflitto insanabile tra il fatto di essere anti-capitalisti e fare una reunion per tirare su un po’ di soldi. Se il biglietto fosse costato 15€ sarebbero stati più coerenti? Se non avessero affidato la gestione a LiveNation sarebbero stati meno immanicati? Può darsi, ma non possiamo sapere con quanti soldi ognuno di loro se ne ripartirà da Bologna dopo il concerto dell’altra sera. Quello che penso io? A vedere dal numero di persone che lavorava per loro, dal pullman dietro il backstage, costi di agenzia, affitto locale, etc, direi non più di 1.000€ a testa.

4.
Il concerto.
Andare al concerto dei Refused è una di quelle cose che ti fanno sentire vecchio perché in macchina non devi ripassare niente. Qualsiasi pezzo faranno lo sai alla perfezione, potresti quasi suonarlo. Io per esempio mi sono ascoltato l’ultimo dei Converge lungo il tragitto, sia all’andata che al ritorno.
Il concerto è stato perfetto. Non mi aspettavo nient’altro. Ogni nuovo brano in scaletta era il benvenuto. Se a 40 anni suonati sarò così anch’io mi faccio erigere un busto di marmo in giardino. La cosa che mi ha lasciato un po’ così, è stata una discreta sensazione di apatia una volta finito il live. Una via di mezzo tra l’andare di corpo e compilare un bollettino della SIAE. Una sensazione come di qualcosa di necessario, che andava fatto, ma che subito dal mio stomaco veniva rubricato come burocrazia.
A distanza di 24 ore la sensazione è cambiata.
Ora so che quando, tra un paio di settimane o poco più, riascolterò qualcosa dei Refused, non saranno solo canzoni incastrate in qualche ricordo di quand’ero più giovane, non saranno solo dei pezzi che dopo 10 anni ancora non mi stancano; avranno delle facce di quarantenni sorridenti, avranno camice bagnate indosso, avranno un concerto che rinnova il ricordo, avranno un ricordo in più che rinnova il sentire.

5.
Note di costume
5A) “Per la prima volta in vita nostra abbiamo un banchetto con le magliette non originali fuori da un nostro concerto. Siamo una vera band”
5B) il gruppo spalla ha paccato. Dal palco il cantante ha detto che hanno provato a chiamarne un altro da Bologna (ditemi chi) ma non era in regola con le tasse. Il che probabilmente significa che non avevano una posizione ENPALS aperta come musicisti. Personalmente non conosco nessuno che suoni che ha una posizione ENPALS come musicista; oppure lo conosco ma non me l’ha mai detto
5C) l’unico paninaro presente ha fatto un fracasso di dollaroni
5D) la media di persone che suonano o hanno suonato in gruppi con le chitarre era altissima
5E) la lista degli invitati stilata dai Refused era così lunga che quei simpaticoni di LiveNation hanno cancellato un sacco di accrediti all’ultimo minuto
5F) la fila era al bagno degli uomini

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 24-30 settembre 2012

 
Se dei Radiohead non ve ne frega un cazzo, fatevi servire: La Dispute + Title Fight + Make Do and Mend + Into It, Over It al Blogos (a partire dalle 20, quindici euro), oppure Cross Stitched Eyes (death-punk bello marcio alla vecchia con membri di UK Subs e Subhumans, aprono i Whiskey Ritual; dalle 21, sei euro) al Bologna Gran Bistrot. Entrambi martedì 25. Prosegue il festival Superficie alla Rocca Malatestiana a Cesena mercoledì con “Freak” Antoni e Alessandra Mostacci, a seguire djset, sangiovese come se piovesse e grigliata a prezzi politici; dalle 18, ingresso a offerta libera. Esauriti i biglietti per Alva Noto e Ryuichi Sakamoto al Teatro Comunale giovedì 27… Venerdì 28 a partire dalle 21 si recupera il concerto per l’anniversario di John Cage previsto per il 31 maggio poi slittato per terremoto; ingresso gratuito, cartellone da paura, Qui tutti i dettagli… Riapre il Locomotiv, celebriamo con il live dei Black Dice (dieci euro più tessera AICS 2013) per un’orgia di colori accecanti e suoni fastidiosi a incasinare le sinapsi; ancora venerdì, a partire dalle 22.30. Infine, gran cagnara all’Atlantide con Countdown to Armageddon, Ilegal e Frustration dalle 22 a un pugno di spiccioli. Ancora alla Rocca Malatestiana sabato, ve lo diamo noi Tim Leary: dalle 18 per la Giornata Europea del Patrimonio c’è anche Matteo Guarnaccia, che trip… Domenica 30 reading + concerto all’XM24, tutte le informazioni nel lisergico flyer che trovate qui sotto… Segnalazioni, anatemi, richieste di riscatto al solito indirizzo: lagendinadeiconcerti(at)gmail(dot)com

 

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 17-23 settembre 2012

mercoledì l’appuntamento con la Storia.

 

Morrissey voleva impiccare il dj perché i pezzi che metteva su non gli dicevano niente a proposito della sua vita; ma Morrissey non conosceva Tesco Vee, il più molesto sgradevole urticante pezzo di merda sulla faccia della Terra, instancabile provocatore e generatore di travasi di bile da far sembrare Seth Putnam uno scolaretto, GG Allin un raffinato gentleman e il Gaber di Io se fossi Dio un chierichetto che si è appena cagato addosso. I Meatmen erano il gruppo che faceva arrossire gli scaricatori di porto e incazzare anche il più dissociato dei punk con la cresta, e lo sono ancora. Imperdibili mercoledì 19 all’Atlantide se avete anche solo un lontano interesse per la musica (Qui il flyer). Giovedì Enrico Der Maurer Gabrielli al festival Ipercorpo a Forlì (Qui il programma), oppure Carla Bozulich al Neon Caffé a Rimini (dalle 21, ingresso gratuito); venerdì a spinellare con gli OM al Boulevard di Misano Adriatico (dalle 21, ingresso quindici euro), oppure prima giornata del September to Dismember (cinque euro), che prosegue sabato con un cartellone da paura: Agathocles, Extreme Noise Terror e i marcissimi Black Temple Below i concerti da non perdere per nessuna ragione. Promesse da mantenere: la vostra rubrica preferita è di nuovo sul pezzo. Insulti, pacchi-bomba, minacce di morte eccetera al solito indirizzo: lagendinadeiconcerti(at)gmail(dot)com




L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 26 settembre-2 ottobre 2011

- Che si fa sabato? - Non chiederlo a me, io non so nemmeno dove mi trovo...

 
Se settimana scorsa non c’era niente, questa settimana c’è pure troppo; inizio in sordina stasera all’Elastico con il narcolettico bedroom-pop delle hikikomori multietniche My Bubba & Mi (dalle 20.30), e domani al Locomotiv con la new sensation neozelandese Brooke Fraser (dalle 21, quindici euro più tessera AICS e vi conviene applaudire con convinzione altrimenti suo padre, ex-All Blacks, viene lì e vi sbriciola gli ossicini) oppure al Rock Planet per i Millencolin a ricordarci qual era la musica che ci stava sul cazzo negli anni novanta (dalle 20.30, di spalla altri svedesi ugualmente allegroni, venti euro). Il fatto che ricomincino le serate MeryXM da solo basta per tirare avanti fino a mercoledì: dalle 19 aperitivo, incontro con dibattito powered by campiaperti, cena e concerto carioca style, il problema sarà scegliere: ci sono anche i Talibam! al Clandestino a Faenza (gratis, dalle 22.30), ovvero la versione musicale e ipercondensata di una serie di deficit neurocognitivi devastanti (io li ho visti un paio di volte e ne porto ancora addosso i segni). Comunque vada poi tutti al Kindergarten a strafarsi di keta in dosi da ammazzare tutta la popolazione equina del Texas, che l’accompagnamento musicale è quello giusto: Deniz Kurtel, roba che farebbe salire un plotone di scimmie sulla schiena anche ai sassi e che farebbe diventare lesbico ogni essere vivente (dalle 23.30, dodici euro più tessera Arci, cinque se prima eravate al Comunale per Yann Tiersen). Giovedì rispolverate la divisa di ordinanza, T-shirt sbrindellata dei Negazione o di qualche gruppo crust svedese impresentabile, anfibi di tre o quattro numeri più grandi ovviamente mai lavati, giubbotto con toppe degli Amebix a occupare ogni millimetro quadrato, volendo una cassetta dei Totalitär su per il culo: scatta la passerella, all’XM24 arrivano i Deathcage (più due gruppi spalla, inizio ore 20.30 puntuali, quattro euro), poi doccia veloce e via al Cassero per Alexander Robotnick (dieci euro più tessera Arcigay, sul programma dice che lui attacca a suonare alle 3). Venerdì il negro rock’n’roll Barrence Whitfield al Locomotiv (dalle 22.30, dieci euro più tessera AICS), oppure gli Hayseed Dixie al Covo (dalle 22, ??? euro): in teoria il giorno e la notte, in pratica one nation under a groove che farebbe saltare pure i morti al cimitero. Sabato il delirio più totale: il trans danzerino Jessica 6 al Locomotiv (dalle 22.30, dieci euro più tessera AICS), i Business (più altri crani rasati) al Crash! (dalle 21, dodici euro), i Sunn O))) e la loro distesa di amplificatori al Fillmore a Cortemaggiore (dalle 21, venti euro), i CIV in data unica al Rock Planet (dalle 21, e qui si piange… non so il prezzo), e per le tasche meno pingui La N allo Spazio Indue (dalle 21.30, gratis con tessera Arci) e/o festivalino postgrindingmetalcore all’Ekidna a Carpi (per info vedi flyer Qui). Non bastasse, domenica Weekend Nachos + Cancer Clan all’Atlantide (dalle 22) e/o Jooklo Finnish Trio a Crespellano (tutte le info sul flyer qui sotto), e ci sta pure che in tutto ‘sto bailamme mi sia dimenticato qualcosa.

 

qualcosa compare

una rima dopo l'altra e il giorno si consuma

 
Questa sera dalle 19 al Modo Infoshop c’è un lancianese che rifà Hendrix in versione acustico-fingerpicking, che storia… Domani gran festa hip hop all’XM24, in culo ai maiali della Lega; dalle 23 a oltranza, per i dettagli vedi flyer qui sotto. E sabato pure gran badilate di scienza doppia H a spiovere: Colle der Fomento al Blogos (dalle 21, otto euro), e già sai che non ve n’è. Per tutto il resto (poco) vedi quanto già detto.