Speciale “gruppi con nomi stupidi” – NIGEL PEPPER COCK

peppercock – letteralmente “Nigel Cazzo Peperino” – è stato una specie di UFO incatalogabile e altro da sé, un corpo estraneo dirompente, sgradevole e scomodo perfino per i già notevoli standard della loro stessa etichetta Life Is Abuse (marchio su cui posso presumere torneremo molto presto, e non una volta sola). Primo – e, assai probabilmente, unico – esemplare di band di sludge-core “vietato ai minori” (per poter acquistare i loro dischi, ordinabili esclusivamente per corrispondenza, era necessario inviare all’etichetta, unitamente al denaro, una fotocopia del proprio documento di identità che attestasse il raggiungimento della maggiore età, altrimenti niente album, e guai a sgarrare), il gruppo comprendeva ex-membri di Dystopia, Fuckface e Medication Time (tutte realtà crust/hardcore più o meno politicizzato e più o meno indottrinante su vegetarianesimo, ecologismo, diritti degli animali e altre Giuste Cause a random), oltre a futuri componenti dei gustosissimi Brainoil (sludge alla vecchia maniera che pare rivomitato direttamente dalle Everglades); in tutto sei persone – sette contando il modello/icona/musa ispiratrice Rick the Desert Dick – che su disco e on stage si alternavano al microfono (quattro i vocalist in tutto) e agli strumenti (l’equipaggiamento di base comprendeva due chitarre, basso, batteria e tastiere). Nati a San Francisco nel 1999 (e dati per ancora attivi, anche se i segnali concreti della loro esistenza si fermano al 2003), i Nigel Pepper Cock seppero architettare e sfruttare al meglio una campagna stampa e un immaginario basati su lascivia e pruriti omoerotici che al confronto i Turbonegro si vergognerebbero, una parata di cazzi enormi, ventri sudati, muscoletti oliati, baffi a manubrio, occhiali a specchio e sfavillanti scarpe da ginnastica Reebok (rigorosamente bianche e indossate sopra impeccabili calzini da ginnastica di spugna, bianchi anch’essi), il tutto rappresentato con coerenza visiva, coesione e fantasia tali da ricordare a più riprese gli anni d’oro del gay porn della prima metà degli ottanta.
Per tutta l’estate 2001 sul sito della Life Is Abuse campeggiò una temibile GIF animata di Rick the Desert Dick che, occhiali da sole e sigaretta pendula, faceva di “si” con la testa mentre una scritta fluorescente a caratteri cubitali annunciava: BE AFRAID… BE VERY AFRAID… NIGEL IS COMING!!! Tanto bastò a creare un minuscolo “caso” tra i fanatici dell’etichetta. L’attesa non fu lunga: arrivò l’autunno e Nigel, effettivamente, venne. La copertina del sette pollici d’esordio Fresh White Reeboks Kickin’ Your Ass ritrae Rick in piedi in mezzo a una highway deserta, completamente nudo (a parte gli occhiali da sole e le immancabili Reebok con calzino) e sessualmente eccitato. È una delle copertine più sordide e autenticamente oltraggiose che io ricordi, e la musica ne è degno corrispettivo: una miscela mai osata altrove tra sludge, glam metal, glitter rock, thrash della Bay Area, financo suggestioni southern da bovaro mongoloide frutto di un matrimonio tra cugini, coronata da un’estetica da giornalaccio porno gay di quinta categoria e una produzione che Billy Anderson avrebbe fatto carte false. Dopo un tour “nella maggior parte degli Stati Uniti”, che porterà alla band “più di una dozzina di gravidanze indesiderate, e camionate di uomini venire a patti con la propria sessualità frustrata”, ad appena un anno dal debutto esce il successore a lunga durata The Hard Way; in copertina Rick ha ceduto il posto al singer/chitarrista Yancy Peters, ray-ban e baffoni alla Village People, posa da calendario per camionisti gay, indosso nient’altro che un elmetto da muratore e una bandiera americana sulle spalle a coprirne a malapena le pudenda. Solito artwork piacevolmente osceno per un disco che dura quasi un’ora ma più della metà è occupata dal silenzio assoluto tra l’ultimo pezzo Here Comes the Bobbies e una ghost track in cui si sente qualche rutto e un po’ di scariche elettrostatiche prese da una radio chissà dove. Restano comunque ventisette minuti di musica impossibile da replicare, eccitantissima, inimitabile. Un tour assieme ai Brainoil poi il nulla, silenzio totale e ininterrotto; così come erano comparsi, i Nigel Pepper Cock svaniscono, improvvisamente e senza una ragione, lasciandosi alle spalle – probabilmente – fiumi di vaselina sottocosto e un considerevole numero di ani fracassati. I dischi sono comunque ancora disponibili dal sito di Life Is Abuse; chi volesse entrare a far parte del Culto ora sa cosa fare (senza dimenticare un documento di identità valido…!).

Nigel Pepper Cock