Cose di internet

Quello che segue è un piccolo vademecum di cose successe su internet di questi tempi. Quello che non sta qua dentro non è degno di esser letto. O anche sì. Non so. Sono combattuto. Alcune robe le ho infilate pretestuosamente solo perchè le ho scritte io.

Intanto sul nuovo Youthless c’è una bella intervista a Steve Albini presa al concerto di Bologna che a m.c. non è piaciuto e a me . Una cosa comune a tutte le interviste a Steve Albini è che Steve Albini dice cose, tendenzialmente giustissime e bellissime. Non fa eccezione la presente. L’unica controindicazione è che vi tocca spararvelo su issuu, che è quell’applicazione TERRIBILE con cui potete pubblicare una rivista su internet in modo che sembri di carta. Tipo quello che fa Instagram per gli iPhone, ed essendo io privo di iPhone Instagram è la nuova peste bubbonica. Approposito, quel mancarone di inkiostro (uomo di pregevoli letture e notevole resistenza all’alcool) ha scritto un posticino flash sulla suddetta Instragram. Ho già detto AFFANCULO ISSUU? L’ho detto.

Poi niente, già che stavamo a parlare di inkiostro voglio buttarmi via e segnare l’ennesimo capolavoro di nuxx (che questa settimana mi ha definito su twitter l’uomo con la pala dell’indie italiano, perché io c’ho gli amici giusti) apparso sul blog di cui sopra. È una specie di reboot a commento dei post dell’anno di vitaminic e come direbbe pikkio HAUNTA DI STRAMALEDETTA.

Pikkio e Vitaminic, che è una rivista web per cui scrivo, mi danno l’occasione per la terza autosponda in quattro paragrafi e mi permettono di segnalare che oltre ai dieci post dell’anno V ha anche messo su le dieci canzoni dell’anno, e siamo riusciti ad ottenere un podcast commentato dal suddetto dj pikkio che dice cose sostanzialmente giuste ma non giuste quanto quelle dette da Steve Albini –tanto per dire dj pikkio è uno che stronca i Black Mountain, ditemi se uno così lo devi lasciar parlare di musica.

Detto questo, non sono per un cazzo d’accordo con i dieci più bei pezzi di Vitaminic. La colpa più grave è stata quella di togliere il vero capolavoro dell’anno, vale a dire la cover sludge-noise di My Generation che sta sull’ultimo disco dei Melvins. Avendomi chiesto quelli di Vice i miei tre pezzi preferiti del 2010 li ho piazzati lì dentro, assieme a Black Mountain e Deerhunter se non erro (bevo troppo). Su questa uno spunto di riflessione: perché le cover punk rock di pezzi pop non mi fanno ridere da quando ho digerito  Stand By Me dei Pennywise e quelle sludge di qualunque cosa mi prendono sempre bene?

Un’altra cosa che riguarda gli affari miei è l’altro giorno è uscito un mio pezzo sul local-hero-blog frequenze indipendenti. Non parla di nulla. Se per voi frequenze indipendenti non è local probabilmente non siete delle mie parti, AKA la vostra vita fa abbastanza cagare.

Passando ad altri cazzi, la buona notizia è che la seconda anticipazione dal nuovo REM è mooolto meglio della prima anticipazione. Ce ne parla diffusamente ogni abitante del globo con una connessione ADSL, e tra i vari segnaliamo senz’altro il solito Colasanti (una delle massime autorità tra i 30 e i 40 quando si tratta di spaccare i coglioni coi REM).

Su Junkiepop invece si stan scannando con le classifiche di fine anno (alcuni crimini, ma veniali), come poi il resto del mondo. Stavo per fare la playlist delle mie playlist preferite ma qualcuno ha proposto di farla su twitter e mi ha bruciato l’idea –tanto leggerla sarebbe stata noiosissima. Kanye West cmq è il disco dell’anno di Pitchfork. Mi sa che se lo merita, fermo restando che fra tre mesi il disco di Kanye sarà giustamente accantonato in favore di qualche altro vate della sua risma (probabilmente Lady Gaga, che a quanto ne so dovrebbe buttar fuori un album a breve).

Una cosa che NON vi potete perdere è la black list dei 400 calci, garantiti sedici minuti di LOLLONI grandi così. La spiegazione di cos’è una black list è nel post di cui sopra. ho detto LOLLONI. lo

Boh, credo che basti. Mi ci vorrà un’altra mezz’ora a mettere tutti i link e le foto. Mi sa che a corredo fotografico metto solo dei rettangolini colorati, o magari solo dei rettangoli neri. Farà schifo ma si guadagna tempo.

PS: Ultim’ora. Fiorio ha aperto il viral-saccosa-blog di fine 2011. Linkatevi. Contribuite. State bene.

Calboni sparava balle così mostruose che a quota 1600 Fantozzi fu colto da allucinazioni competitive.


Sabato scorso ero in viaggio in autostrada e durante una sosta pisciata-panino-acqua-caffé all’Autogrill ho avuto il piacere di vedere un indie che leggeva Libero comodamente seduto da solo ad un tavolino. L’ho insultato pesantemente ma lui non ha sentito nulla perché alle orecchie aveva auricolari + Ipod a volumi da lesione permanente al timpano, ed allora ho capito tutto. Ho avuto l’illuminazione. Non poteva sentirmi perché stava ascoltando il rock per culattoni dei Drums (un valente collaboratore di Rumore li ha definiti così nella recensione di un gruppo rock perdente chiamato Cheap Time, dunque deve essere per forza vero che i Drums fanno rock per culattoni – anzi per ”culatoni” come ha scritto il valente collaboratore di Rumore) e voleva far finta di essere aperto mentalmente visto che l’impero berlusconiano è lì lì per crollare.

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il download legale della settimana: GIRL TALK – ALL DAY (Illegal Art)

Nel comune di Cesena si chiama sfunezzo, con la Z di zanzara (da noi si dice ZZANZZARA, non DZANDZARA). È intraducibile, ma è quando arriva una persona e fa un gran casino senza chiedersi troppo di fino il motivo per cui lo sta facendo. Oppure quando qualcuno mostra di lavorare a una cosa senza realmente arrivare a un risultato finale compiuto e specifico, oppure un milione di altre descrizio
ni che si avvicinerebbero al concetto senza infilarlo. Comunque da noi è una specie di dispregiativo, tipo fai solo un gran sfunezzo ma alla fine diobò ti potevi anche stare a casa tua, cose che la figa lessa standard di Cesena non v’insegna (probabilmente perchè sullo sfunezzo non si può rosicare).

Ok, allora Girl Talk è il leader maximo dello sfunezzo applicato al pop. Dj Pikkio in chat lo definisce un riccardone del pop concettuale e/o una specie di Steve Vai del taglia/incolla. Sostanzialmente è un tizio che monta un pezzo con venti campionamenti da altri pezzi, perlopiù sgamabilissimi –anzi proprio in bella vista. Ne mette insieme venti e ci tira fuori un disco, lo mette in download gratuito e fa parlare di sé per un paio di giorni. Girl Talk è uno strano. A parte avere l’aspetto di una persona orribile, fino ad oggi il sampling è stato perlopiù affare del rap, all’interno del quale veniva disciplinato secondo regole non scritte (ma credo comunemente accettate) secondo le quali i break vanno presi e ricontestualizzati altrimenti è facile. Per così dire. Poi sono arrivati veri e propri generi di pop legati alla ricontestualizzazione millelire e/o alla reincisione di un pezzo rap con un ritornello dei Police, mentre più o meno la old school si barricava all’interno di un sistema sempre più autistico e schizofrenico (il che non è necessariamente un male, sia ben chiaro, tutt’altro). Nel nuovo millennio il campionamento è diventato più o meno uno sport, e allo stato attuale non è facilissimo capire cosa distingua il mash-up più becero da un furto ideologico dei Gang Of Four a caso o da un disco di cover country degli AC/DC piuttosto che da un mixone dei Soulwax con due ore di inizi di canzoni a caso. C’è anche tutta una letteratura che cerca di contestualizzare la cosa dal punto di vista degli affari legali e/o politici, problemi di difficile o difficilissima soluzione in qualsiasi caso. In tutto questo Girl Talk sembra semplicemente il più sciolto di tutti. Oggi esce il suo ultimo All Day, anche questo in download omaggio, e contiene dodici pezzi che mischiano una selezione più o meno casuale di tutto il pop in commercio senza troppi problemi di discernimento e con un’arroganza riccardona (grazie Pikkio) per nulla priva di gusto. Probabilmente a conti fatti il suo disco migliore, quello in cui anche la minima preoccupazione per la credibilità se ne va affanculo. Il tutto fatto per LO SFUNEZZO, ovviamente, ma se c’è un disco più carico da ascoltare in questi giorni me lo si segnali via mail. Grazie.

Nuovi rimedi per combattere l’afa

 

Le sei del mattino. Questa notte la temperatura, già assurdamente folle durante il giorno, non è scesa di un grado. O meglio, se anche è scesa, un permanente e impenetrabile tasso di umidità che avrebbe mandato in paranoia la più tenace delle zanzare di Singapore non ci ha permesso di registrare comunque alcuna variazione. Si gronda al minimo movimento, muri e pareti sono ancora roventi (per non parlare dell’asfalto), immettere aria dentro ai polmoni diventa roba da sfiancare Carl Lewis, sembra di stare respirando della ghiaia; nei giorni scorsi almeno per due-tre ore nel pieno della notte la combinazione letale afa+umidità concedeva una tregua, la morsa si allentava, ad aver fortuna si alzava perfino un infinitesimale alito di vento. Si poteva perlomeno tornare ad annaspare senza per questo cadere preda di visioni mistiche; si riusciva addirittura a dormire qualche ora, e i più temerari potevano cimentarsi nel tentativo di tirare una cagata decente senza poi svenire. Non questa notte. L’afa emiliana vive di vita propria: non è paragonabile a niente, non risponde a schemi o regole di sorta, è implacabile, non conosce rimedi né scappatoie. Ci hanno provato a raccontarla ma nessuno c’è riuscito, semplicemente perché non può essere spiegata: è così e basta. L’effetto a livello psichico è paragonabile soltanto a un insostenibile stato di allucinazione perenne, un senso di paralizzante angoscia cosmica che anche Lovecraft, nella più particolareggiata e malsana delle sue descrizioni, è riuscito soltanto a sfiorare. Solo chi è molto fortunato possiede gli anticorpi necessari per contrastarne parte della molestia; tutti gli altri possono soltanto continuare a subire rantolando nel fango, rassegnarsi a rinunciare definitivamente alla dignità del vivere, arrancando pietosamente giorno dopo maledetto giorno nella vana speranza che il supplizio non si protragga oltre la soglia dell’umanamente tollerabile. E i bollettini meteorologici non portano nessuna buona nuova; pochi minuti fa ho sentito Giuliacci annunciare che da lunedì arriverà l’anticiclone africano (il che nel linguaggio dei comuni mortali significa che farà ancora più caldo), come se quelle degli ultimi giorni fossero state temperature da Polo Nord.
Visto che gli scorsi rimedi per combattere l’afa hanno portato fortuna (il giorno dopo si è scatenato un temporale durato quarantotto ore ininterrotte che ha abbassato le temperature di almeno dieci gradi), e che considerata la situazione ci si aggrappa a tutto, ecco un altro consiglio musicale che non fallisce mai (perlomeno da queste parti) nel portare l’inverno almeno nella nostra testa. La cosa bella (per noi) è che questa volta non si tratta di un singolo brano bensì di un disco intero – il che significa durata più lunga, il che significa sollievo maggiore; ed è The White Birch, ultimo (in tutti i sensi) lavoro dei Codeine. Personalmente lo preferisco di gran lunga al pluricelebrato (da quelli che pensano di capirne di musica più degli altri) Frigid Stars, un gran disco ma decisamente ancora troppo allegro e positivo nonché impregnato di fastidiosi umori ‘siderali’ degni piuttosto di qualcuno dei miliardi di cloni incapaci degli Spacemen 3. The White Birch è un’altra cosa; è un disco capace di rovinare la giornata e far precipitare nel gorgo dei rimpianti e dei ricordi senza ritorno anche il più ricco arrogante fottuto pornodivo sulla faccia della terra. Uno straordinario capolavoro di sconforto, rassegnazione e dolore elevati alla massima potenza, nonché – ed è quel che ci interessa qui – uno dei dischi dal suono più gelido che io conosca; credetemi, non esiste black metal band al mondo che riesca a portare le folate di vento della più incarognita delle tempeste di neve direttamente nel salotto di casa come sono riusciti a fare i Codeine. Ogni riff, ogni variazione di tono, ogni passaggio è come se trasportassero nell’epicentro di una tormenta in cui a uccidere è il gelo che lentamente penetra nelle ossa, la visibilità ridotta a una decina di metri (ma tanto non servirebbe a un cazzo comunque), il ghiaccio che entra negli occhi e li fa lacrimare, le dita delle mani ormai blu. Oltre a fungere da megafono per dare voce ai deboli e agli umiliati di tutto il mondo (i testi sono tra i più tristi, empatici e universali di sempre), The White Birch è anche probabilmente il resoconto più fedele in musica delle fasi finali dell’ipotermia. L’ideale da mettere su in queste interminabili giornate terrificanti. Buon fine settimana, ovunque voi siate.

Codeine – Sea

Codeine – Tom

rimedi per sconfiggere l’afa

Fa caldo. Fa molto caldo. Gli esperti consigliano di bere molta acqua, mangiare tanta frutta, evitare di uscire di casa nelle ore più assolate e altre perle da premio Nobel della medesima fattura; i meteorologi straparlano a proposito di anticiclone africano e annunciano, con un sorrisetto Durban’s stampigliato sulle loro facce di merda, che questo sarà non solo il più caldo weekend da inizio anno, ma probabilmente anche uno dei più caldi dell’intera estate. D’altra parte, Bologna oggi è la terza città più calda d’Italia dopo Napoli e Pescara. Chiusi in casa con un ventilatore anche su per il culo, in canottiera come Lino Banfi, il DVD de La Cosa in loop da stamattina nella vana speranza che l’immedesimazione in Kurt Russell scatti a tal punto da portare anche il refrigerio del Polo Nord dentro questa testa sudata (oltre a strani ectoplasmi baconiani nel soggiorno). Non sta funzionando. Tra poco forse lo cambio con Encounters at the End of the World. Nel frattempo, altra flebo di MG.K Vis e playlist dei pezzi più gelidi che conosco. Da qualche parte, tempo fa, ho letto che Abbath come vero lavoro fa il babysitter. Buon fine settimana, ovunque voi siate.

1. IMMORTALMountains of might
2. I – Warriors
3. MINISTRY – Paisley
4. THE NEFILIMShine
5. THORNS – Existence
6. COLIN NEWMAN – Alone
7. GODFLESH – The Internal
8. DARK DAY – No, Nothing, Never
9. DESIRE – Insane
10. PiL – The Order of Death

WEIRD WIVES – piccoli fans, mattoni, download illegale della settimana, true believers e pure un po’ DISCONE.

Avete mai sentito parlare di tali Surfer Blood? Parlando del loro ultimo disco, Nunziata di OndaRock scrive “è un piccolo, delizioso compendio di noise-pop impreziosito da qualche eccentrica soluzione in fase di arrangiamento e da una scrittura che, se raramente tenta la sorte, pur riesce mediamente fresca e accattivante”. Sarò un classista e un pezzo di merda, ma ho pensato che non fosse necessario ascoltarlo per decidere che era un disco del cazzo. Googlando alla ricerca di altri pareri in materia mi imbatto su indie-rock.it e scopro che le recensioni sono tutte impostate rispondendo a una decina di tag (tra cui spicca densità di qualità), perdo interesse nella faccenda Surfer Blood e inizio a leggermi le rece tanto per capire il punto.  Comunque poi il disco me lo son sentito, e ovviamente tutti i paroloni di ‘sta terra non tolgono il fatto che sia una robetta paracula blurgh-fi che mischia Pet Sounds, gli Weezer e due quintali di shoegaze d’accatto -fosse uscito in qualsiasi anno precedente al 2008 probabilmente sarebbe stato persino un buon disco pop. Stamattina invece mi alzo presto e vado a cacare col macbook sulle ginocchia, decido di dare la mia occhiata mensile a Stereogum e scopro conto che esiste una side-band non ufficiale dei Surfer-Blood (tre musicisti su cinque) che si chiama Weird Wives e spacca il culo alle vigogne. Ci sono pezzi in streaming, e sono una specie di antipasto ad un paio di EP messi in download gratuito dalla band. File under COSE A CASO: un pastone vintage-noise* devastante tra Jesus Lizard ed ubriachezza molesta, con un sacco di accenti garage che ricordano vagamente certe cose di Hunches o Hospitals. Le canzoni rispettano quasi tutte i dettami delle band sopracitate, AKA pezzi punk sconvolti di due minuti, ma il CLIMAX è senza dubbio una traccia di nove minuti intitolata Bulldozer Puppet Fucker. Che in realtà è una canzone di tre minuti più sei minuti di feedback di chitarra a buffo, roba davvero MOLTO gratuita ed esaltante. Il fatto che il cantante sia un obeso sudatissimo à la Pink Eyes e faccia il trick di sputar fuoco ai concerti li farà probabilmente finire in mezzo alle cronache accanto alla lunga et insidiosa schiera di sodali-barra-imitatori dei Fucked Up, ma sono davvero un gruppo noise di quelli che Dio ne caga fuori uno ogni sei mesi al massimo. E vi danno pure i dischi gratis da scaricare. RISPETTO.

*vintage-noise per me significa AmRep più qualche disco T&G/Skin Graft basato su coordinate AmRep. Giusto per chiarire, sia mai che mi prendete per un fan degli Scratch Acid. Beh ok, gli Scratch Acid spaccano il culo.

DISCONE e/o Piccoli Fans – SLOATH(un post con gli asterischi e le parentesi)

Sloath are a sickly, unwholesome, long & short-haired five piece from the south coast of England, brought together by a mutual desire to play the slowest, loudest and heaviest music possible using guitars, bass, drums and chant-like vocalisations. Sta scritto nel sito di Riot Season, che ancora per un paio di giorni sarà la mia etichetta preferita. Ovviamente come bio è una forbita parafrasi per dire che questi Sloath suonano tipo Eyehategod –un genere estremamente frequentato di metal estremo, del quale gli Eyehategod sono tra i principali vessilliferi. Altri gruppi che suonano tipo Eyehategod sono cose tipo Cavity, Iron Monkey, Teeth Of Lions, metà del roster Southern Lord*, primi Boris ed altri gruppi a caso su questo genere. Se volete chiamarlo sludge non mi offendo, primo perché è il mio genere preferito (assieme agli altri mio genere preferito), secondo perchè ai tempi del metal io e m.c. avevamo pensato di aprire una webzine di settore e terzo perché tutto sommato è la musica che suonano. Giusto perché lo sappiate il disco tipo Eyehategod dell’anno scorso l’hanno inciso tali The Proselyte, questo almeno se state a sentir me. Quest’anno se la giocheranno altri gruppi, ivi compresi appunto i/gli/le Sloath. Il principale tratto distintivo tra un gruppo tipo Eyehategod e l’altro è il dosaggio delle parti doom e core del suono; essendoci parti core, tuttavia, per parti doom s’intende che i pezzi durano un disastro di tempo e i riff sono rubati ai Black Sabbath o a gente che rubava i riff ai primi Black Sabbath**. In buona sostanza il disco omonimo*** di Sloath contiene tre tegoloni arrogantissimi per un totale di quaranta minuti, roba che ti fa venir voglia di suicidarti e rinascere per poterti risuicidare nell’arco di una sola canzone. Come genere fate conto già difficile distinguere tra un pezzo e l’altro, figurarsi all’interno dello stesso pezzo. Comunque i primi due sono più fisici e l’ultimo (che dura come gli altri due messi assieme) è più riflessivo. E se mi puntassero una pistola alla tempia ordinandomi di trovare il parente più prossimo, probabilmente direi Electric Wizard (((cioè il cantante invece di urlare come una vecchia ((alla Mike Williams (il cantante degli Eyehategod)) recita litanie esoterico-wannabe registrate da dentro un tombino)))****. Oppure già che ho detto esoterico dirò anche Esoteric*****. Derivativissimo e stupidissimo, come tutti i miei dischi preferiti dell’ultimo periodo. Naturalmente, visto che l’LP****** uscirà il 10 aprile, sto solo immaginando come potrebbe suonare.

Gli asterischi:
*la metà buona.
**e poiché i gruppi tipo Eyehategod tendono a somigliare agli Eyehategod, TUTTI rubano i riff ai Black Sabbath, quindi quando nelle recensioni vi parlano di componenti doom significa soltanto che i pezzi durano molto.
***o anche eponimo, che come probabilmente sapete è un inglesismo sbagliatissimo che non dovreste usare, ma fa curriculum. Tutti quanti i giornalisti rock professionisti hanno detto eponimo, in un momento o nell’altro.
****il giochino delle parentesi è voluto. Le sto guardando e mi flippano un sacco.
*****dei quali, ricordo, faccio finta di non aver ascoltato l’ultimo disco
******sì, solo in LP. Ma se ve lo pappate vi regalano il link per il download digitale legale.