L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 28 marzo-3 aprile 2011

 

immagine presa da ilbonvi.it

Correte a rispolverare i dischi dei Discharge e le VHS di Mad Max (il secondo e il terzo in particolare), e magari già che ci siete fate fare un altro giro al Divx di Threads scaricato l’altroieri: arriva la nube radioattiva. Prima che comincino a nascere vitelli con tre teste e pesci con sei occhi, che l’insalata diventi fluorescente e al posto delle dita ci crescano strane vibrisse retrattili forse faremo in tempo a spararci qualche concerto; nel dubbio, questo è quel che succede in città nella settimana sotto il cielo avvelenato da Fukushima.
Questa sera al Clandestino arrivano gli islandesi più svenevoli e autistici dai tempi del primo dei Sigur Ròs, si chiamano Hjaltàlin e riporteranno l’inverno nel tinello di casa a costo zero, dalle 22.30. Öæðùèèèèðýðvéöööö.
Domani dovrebbe esserci Stefano Bollani che reinterpreta i pezzi di Frank Zappa al Teatro Carisport a Cesena, anche se l’aggiornatissimo sito del posto dice diverso; 3-1 Vaffanculo in ogni modo. Mercoledì a MeryXM suonano i Satan Is My Brother: FSCHHHHHHHHHHHH, FRRRRRRRRRRRRRRRR RRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR KKKKKKKKKKRRRRRRRRRRRRRRRRSCHHHHHHHHH e via dicendo. Al momento non riesco ad accedere al sito dell’XM24 quindi dovrete credermi sulla parola. Inizio presentazione intorno alle 20.30, inizio concerto intorno alle 23. Mercoledì e giovedì al Palanord ci sarà anche Degustacion de Titus Andronicus, il nuovo pirotecnico e mangereccio allestimento di quei mattacchioni de La Fura Dels Baus, inizio ore 21.30, ingresso trenta euro, obbligatorio presentarsi ingioiellati e/o con la faccia da stronzi di chi se la tira così per il gusto di tirarsela: il pubblico sarà di quelli di un certo livello. Giovedì alziamo il dito medio a Van de Sfroos alle Celebrazioni (tra parentesi, sarebbe anche il caso di cominciare a bruciare fino all’ultimo degli agghiaccianti manifesti della Lega Nord di cui Bologna è ultimamente tappezzata…), c’è Tizio al Circolo della Grada (di solito è gratis con tessera Arci ma capace che stavolta chiedono dù spicci, non so).
Venerdì c’è tale Dan Deacon al Locomotiv; lui è l’ennesimo protégé di quelle merde di pitchfork ma ad accompagnarlo c’è la Banda Roncati e solo per questo il concerto vale almeno tutta la risma di biglietti (che stanno a dieci euro l’uno più tessera AICS); l’inizio è fissato attorno alle 22.30, il che lascia un margine di manovra per poi catapultarsi al Sottotetto per quella che probabilmente sarà la jam dell’anno, per non dire del decennio, per non dire della vita: Alien Army reunion, e per chi sa non è necessario dire altro. Dieci euro più tessera Sottotetto il lasciapassare per la Storia. E sabato si replica con Colle der Fomento giù al TPO (dalle 22, dieci euro) a dare la merda a qualunque fiacco MC che quando hanno cominciato manco stava ancora dentro ai coglioni di papà. Magari si riesce a fare la doppia con PropheXy e Stereokimono alla Farm (che sta a un centinaio di metri dal TPO). C’è anche la lardosa Miss Kittin al Link e gli stoccafissi elitaristici Ulver al Bronson (21.30, venticinque euro).
Gran finale domenica con concertone frigotecnico all’XM24 (maggiori informazioni, flyer ecc. appena riesco ad accedere al sito); ci sono anche i Twilight Singers al Locomotiv (sedici euro più tessera AICS, no rianimazione, di spalla dei tizi che si chiamano Craxi, poveri cristi…), Lloyd Cole in chiesa e, per chi ci crede, ennesima tranche dell’infinito Glam Fest all’Estragon.

 

STREAMO: Bachi da Pietra – Quarzo (Wallace)

 
Parte con Pietra della Gogna, che non è Servo ma è un pezzo della madonna lo stesso, cronometrico stomp bluesy e crescendo di un lirismo e un’arroganza tipicamente metal, un incrocio tra March of the Pigs di Reznor memoria e un brano sludge a caso di uno di quei gruppi catramosi e laterali dispersi negli anni novanta della suburra americana più alienata e alienante, nomi tipo Mindrot, Luca Brasi o It Is I, nomi in ogni caso che Bruno Dorella, che è una testa metal vera, dovrebbe conoscere bene, e si chiude con l’arrancante e codeinico (nel senso del gruppo) incedere di Fine Pena, sorta di inconsapevole reboot lessicale di Insetti dei Massimo Volume virato Madrigali Magri nella narcosi e nella sonnolenza e nella nausea che trasmette. Il primo e l’ultimo sono i due pezzi migliori del disco, il cui unico vero problema sta nel fatto di venire (quasi) direttamente dopo Tarlo Terzo (nel mezzo c’è stato un live registrato con macchinari antidiluviani), ovvero il più importante radicale e brutalmente politico album italiano degli ultimi dieci anni (e di quelli prima, e di quelli dopo), un disco impossibile da replicare per chiunque, di questo devono essersene accorti i Bachi da Pietra stessi che infatti prima temporeggiano con stile (il live di cui sopra) poi la buttano sul disimpegno. Quarzo è l’album easy listening dei Bachi da Pietra. Waitsiano, verrebbe da dire, ma del Waits post-nozze con Kathleen Brennan: melodie a più ampio respiro, la voce perfino comprensibile rispetto all’inesausto biascicare dei dischi prima, arrangiamenti curati, perfino un pianoforte che spunta di tanto in tanto. Il rischio – ed è la prima volta – è che il rigore diventi maniera di rigore (che è una bella differenza), soprattutto nella parte centrale dove la tensione si respira a momenti alterni (Zuppa di Pietre, Notte delle Blatte, Pietra per Pane), cedendo spesso il terreno a un autocitazionismo rassicurante nella sua solida funzionalità che però proprio per questo appassiona un po’ meno rispetto allo stato d’assedio totale fino ad ora permanente. Comunque loro rimangono dei giganti e il rispetto, infinito, resta inalterato.

Clicca qui per ascoltare l’album.

Bruno S. – 1932-2010

 
L’11 agosto un attacco di cuore ha posto fine alla tribolata esistenza di Bruno Schleinstein, meglio conosciuto come Bruno S.
Figlio indesiderato di una prostituta, che lo massacra di botte fino a renderlo temporaneamente sordo in tenerissima età, Bruno trascorre l’infanzia, l’adolescenza e parte della vita adulta tra orfanotrofi (prima), manicomi (poi) e galere (durante), un percorso di vita che avrebbe suscitato l’invidia di Edward Bunker e lo sdegno di Franco Basaglia, al termine del quale si ritrova a guidare il muletto in una fabbrica di pezzi di ricambio metallici per sbarcare il lunario; alla sera e nei fine settimana gira per bar suonando e cantando le sue canzoni – in larga parte autobiografiche – con l’ausilio di fisarmonica, xilofono e una serie infinita di strumenti autocostruiti in puro Moondog style (ma senza i deliri cosmologici). Ultraquarantenne viene scoperto da Werner Herzog, che in quel periodo era in pieno trip lavorare con personaggi ‘estremi’ (voglio dire, ancora più del solito: nel giro di un paio d’anni aveva girato, nell’ordine, un documentario sulla vita di una sordocieca e uno su un istituto per bambini gravemente handicappati, il primo film con Klaus Kinski con annessa minaccia di morte nel caso quest’ultimo decidesse di abbandonare il set, e per finire un’intervista al campione mondiale di salto con gli sci); figurarsi il sollucchero all’ipotesi di poter lavorare con un matto vero. Lo scrittura immediatamente come protagonista nel terminale L’Enigma di Kaspar Hauser. Il film viene inserito in concorso al festival di Cannes 1974; vincendo le iniziali ritrosie da parte di Herzog, Bruno parteciperà alla premiazione (Kaspar Hauser otterrà il Grand Prix Speciale della Giuria) e al conseguente circo mediatico di interviste, servizi fotografici eccetera, facendo nè più nè meno la fine di John Merrick nella seconda parte di The Elephant Man: un giocattolo anche un po’ repellente da mostrare ai ricconi incuriositi. Curiosamente, è anche la stessa sorte che tocca al personaggio da lui interpretato nel film, un cortocircuito che annulla definitivamente ogni residuo di barriera tra messa in scena e realtà: Bruno S. è Kaspar Hauser, e viceversa.
Il sodalizio con Herzog prosegue nell’ancora più radicale, negativista e spietato La Ballata di Stroszek, scritto dal regista in quattro giorni, pare, per compensare Bruno della mancata partecipazione alla rendition cinematografica di Woyzeck, allora in fase embrionale (il ruolo poi andrà a Klaus Kinski); ancora una volta Bruno interpreta sostanzialmente sè stesso, un emarginato in lotta costante contro la società da cui cerca di difendersi ogni giorno, in una guerra che si riconosce impari fin dal primo momento. Stroszek è il ruolo che proietta la figura di Bruno S., e quindi la sua vita, nell’olimpo dei massimi credenti bastonati dalla sorte in ogni tempo e in ogni luogo, dei Robert Neville, degli R.P. MacMurphy, degli Umberto D., e in generale di tutti quelli che riescono a trovare la forza, giorno dopo giorno, di rappresentare sempre e nient’altro che il proprio Io disperato.
Il problema è che Herzog, non appena si rende conto di avere esaurito le motivazioni dietro un progetto, e dunque sente il bisogno di correre dietro a qualcos’altro – possibilmente ancora più folle e scriteriato, ha un modo decisamente sgradevole di chiudere i rapporti: all’improvviso e in maniera irrevocabile, senza alcuna spiegazione. Convinto (chissà, magari pure a ragione; comunque non lo sapremo mai) che la partnership con Bruno avesse terminato la sua spinta propulsiva, il volitivo bavarese molla gli ormeggi e abbandona il matto miracolato al suo destino senza pensarci due volte. Da par suo, Bruno viene lentamente dimenticato da tutti (dai cinefili e dagli addetti ai lavori quantomeno) e torna – bisogna dire con la dignità intatta – al suo inesausto errare tra bar e baretti a suonare le sue fragili canzoni piene di orrore. Col tempo si fa anche una certa fama come pittore nel campo dell’outsider art
È in qualche maniera un cerchio che si chiude l’ultima apparizione in video di Bruno S.: un documentario, proprio come agli inizi (Herzog infatti lo scoprì grazie al fantomatico Bruno der Schwarze, pellicola di tale Lutz Eisholz su una banda di musicisti di strada capitanata – per l’appunto – da Bruno ‘Il Nero’). Bruno S. – Estrangement Is Death racconta la vita dell’uomo dopo che le luci della ribalta hanno smesso di brillare, senza patetismi ma anche senza alcuno sconto; vedere il degrado in cui Bruno conduce la sua esistenza è un rospo difficile da mandare giù in qualunque modo la si voglia mettere.
Cercando notizie sulla sua morte mi sono imbattuto in questo articolo; il sito è in tedesco e non ci ho capito un cazzo, ma nell’ultima foto Bruno indossa una t-shirt di J Mascis & The Fog. Mi venga un colpo se so il perchè, ma secondo me questo significa qualcosa.

MATTONI issue #3 e Dischi stupidi: Radu Malfatti

 

Beinhaltung (due pezzi rispettivamente di ventinove e venticinque minuti) e Dach (un unico pezzo di cinquantasei minuti suddiviso per assurde ragioni di praticità sul CD in quattro tranche distinte) catturano tre diverse esibizioni del trio composto da Phil Durrant (violino), Thomas Lehn (sintetizzatore analogico) e Radu Malfatti (trombone) rispettivamente a Graz (Beinhaltung 1), Bremen (Beinhaltung 2) e Ulrichsberg (Dach) tra il 1996 e il 1999. Il problema è che, nei suddetti CD, non è inciso praticamente niente: un sibilo, uno sbuffo quasi impercettibile, uno scricchiolio probabilmente ottenuto dallo sfregamento infinitesimale dell’archetto su una corda a caso, una scarichetta di onde radio praticamente inudibile (a questo dunque servivano i sintetizzatori analogici), il tutto intervallato da lunghissimi minuti di silenzio assoluto. “Dach” in tedesco significa tetto, infatti il CD si apre con la registrazione della pioggia che batte – per l’appunto – su un tetto. Ma è questione di attimi, e di nuovo si torna al silenzio quasi totale (in effetti a un certo momento qualcuno tra il pubblico tossisce, qualcun altro – forse alzandosi – fa scricchiolare la sedia) tra un soffietto, uno sfrigolio, ogni tanto un fruscio. (Leggi tutto)

Non ti ricordi di Ken Saro-Wiwa? (nel caso magari cercalo su google)

2415602In realtà più che la rece andrebbe fatta la telecronaca: questo pezzo è figo, questo pezzo non è figo, questo pezzo è così così, eccetera; senza contare che a seconda di come sei preso nel momento in cui l’ascolti, A sangue freddo sembra un discone o una ciofeca o una via di mezzo tra le due. Tassonomia della presammale e/o Il Teatro degli Orrori al secondo disco. Il secondo disco del Teatro è molto più maturo, a fuoco e controllato del disco prima. Il che non suona benissimissimo, se uno è come sono io e si aspetta dal Teatro musica immatura, fuori fuoco e fuori controllo. Nel secondo disco del Teatro degli Orrori non c’è Vita Mia, insomma. Che era il pezzo più bello del disco di esordio. C’è invece, grossomodo, il resto del programma, messo su in ordine sparso con tanto di retorica pelosa capovilliana -con punte di stare bene assoluto quando attaccano Mai dire mai e Alt!, e il cantante inizia a sbroccare dietro al suo stesso testo iniziando a dire cose bellissime a vanvera con frasi lunghissime del cui significato siamo spesso -e grazie a dio- esentati dalla ricerca. Quel che dispiace è che sia stato infilato tutto quel che non era nel disco d’esordio ed è qui ora, un po’ come prova di maturità un po’ come dichiarazione estetica -nel senso di voler essere in un certo gradino della scala e voler fare una certa cosa. Nel senso che i musicisti della madonna che fanno guest appearance nel disco (eccezion fatta per Jacopo Battaglia) probabilmente avrebbero potuto starsene a casa loro senza annacquare il risultato finale, e cose tipo l’iniziale Io ti aspetto o Majakowskij se le sarebbero dovute tener dentro la penna, senza contare il risultato tragicomico della collaborazione elettro-noise con i Bloody Beetroots. A me il Teatro degli Orrori continua a piacere un sacco e mi pregusto sempre le vigilie dei loro concerti pensando a quanto è figo Giulio Favero col basso addosso o a quanto mi spacca in due il batterista con gli occhi fuori dalla testa che mena come il cugino metallaro di Todd Trainer, ma nelle mie grigliate di carne io non ci voglio nè insalata nè sottaceti nè qualche figlio di papà che arrivi a metà cena con un barattolino di foie gras facendo la mossa di offrirlo a tutti per scusarsi del ritardo.