Non ho avuto il tempo di scrivere un pezzo sul ritorno dei Biohazard che Evan Seinfeld esce dal gruppo. I Biohazard senza Evan Seinfeld non sono proprio come i Nirvana senza Kurt Cobain, ma quasi. Bobby Hambel, che s’era tolto dai coglioni già prima di Mata Leao, dichiara “siamo amici ma è ora di andare avanti”. Nessuno mi venga a dire che sono io a portare sfiga.
Tornano i Rapture, quelli con l’articolo davanti, con un pezzo nuovo su DFA. Un tizio che conosco (spoiler: scrive su bastonate) definì Echoes “un indigeribile beverone di stimoli e luoghi comuni raffazzonati alla bell’e meglio con un patetico clone di Robert Smith alla voce a rovinare definitivamente quel poco di salvabile.” Claudio Sorge, riferendosi a loro di striscio, parlò di “quel ritmo fighetto in 4/4 tutto uguale e copiato dai PIL”. Verissimo, peraltro. Io continuo ad essere, irragionevolissimamente, un loro fan.
I redattori di Metalsucks hanno finito di compilare la lista dei 25 chitarristi metal più influenti della nostra epoca. Le regole per l’inclusione erano essere un chitarrista, suonare metal e avere pubblicato un disco negli ultimi cinque anni. La lista uscita fuori è piuttosto eterogenea: si divide quasi equamente tra pestone OALD (Alex Skolnick, Petrucci, Frederik Thordendal) e pestone NU (Ben Weinman, quei beccamorti degli Avenged Sevenfold etc) senza scordare un paio di declinazioni RAWK tipo Jerry Cantrell e Adam Jones e la roba weird tipo Buckethead e dio cristo il chitarrista dei Behold The Arctopus. Il vincitore è il chitarrista dei Revocation, che saran pure un gruppo discreto ma anche LOAL. Se pensate che la lista di Metalsucks sia ridicola, in ogni caso, avete due ragioni di ricredervi: la prima è che è sempre meglio della infinita lista rollingstoniana dei cento chitarristi più importanti della storia con Jimi Hendrix ancora al primo posto (D.Boon > Jimi Hendrix, ma anche Mia Mamma > Jimi Hendrix. Zecche demmerda); la seconda è che un paio di giorni dopo il sito ha pubblicato i risultati della poll dei lettori (avevo votato anch’io. King Buzzo, ovvio) e ha parlato di un clamoroso testa a testa tra quel beccamorto di Devin Townsend e il chitarrista dei Between the Buried and Me (l’ha spuntata il secondo).
Sempre su Metalsucks c’è un live dei folliTM Isis in streaming.
Sulla Blogotheque invece il concerto a portar via del giorno/settimana/mese è di Thurston Moore. Non ho ancora sentito il suo disco acustico. Mi dicono sia carino. Non mi fido.
Lady Gaga ha spaccato il culo all’Europride, piano e voce. Born This Way non è Monster (il quale, già si sapeva, rimarrà il suo insuperato capolavoro) ma è molto più bello di come lo dipingono in giro. Il mio pezzo-bolgia del mese comunque è Man Down di Rihanna. Ram-pa-pa-pam.
Abbiamo perso l’occasione di segnalarvi il contest per suonare al MiOdi, ma tanto il vostro gruppo FA CAGARE. Oggi dovrebbe uscire il vincitore del contest.
Domenica è uscito su Repubblica un articolo su The Room, che non so se avete presente (immagino di sì) ma è un cult movie della nostra epoca. A parte il fatto che un articolo su The Room sia di per sé una cosa stagionatissima, Paolo Pontoniere inizia la recensione scrivendo “probabilmente di film peggiori di The Room, se si fa eccezione per il recente The Expendables di Stallone e i vari film interpretati da Ronald Reagan, se ne sono visti raramente”. Cogliamo quindi l’occasione per ribadire che The Expendables è, nelle eterne parole di Giona A.Nazzaro, “un capolavoro che non si discute”. Ecco. The Room invece non l’ho ancora visto. Sostanzialmente in questo periodo sto solo riguardando Fast Five.
Jamie Wreck, cinquanta regole di base per chi studia graphic design. Non sono nemmeno un fruitore ma c’è scritta roba talmente sensata che l’ha ribloggato Glen Friedman.
Tornando a scriver male di Repubblica, c’è un articolo che cerca le ragioni alla base del disastro di pubblico di quella che è indubitabilmente la più brutta patetica e sbagliata edizione dell’Heineken Jammin’ Festival di sempre, titolando “il flop dei festival musicali” e “addio allo spirito di Woodstock”. WOODSTOCK, porca troia. Il pezzo ovviamente va letto, perché contiene cinquanta righe di lamentele generiche dei promotori e delle agenzie di booking che non guastano mai. Nella segreta speranza di venire assunto come consulente artistico, nel qual caso il prossimo anno gli headliner saranno gli Shellac, vado a elencare tre ragioni del flop del festival che sono MOLTO più plausibili di quelle culturali e strutturali srotolate nell’articolo in questione.
1 l’HJF non è un festival. I festival, quantomeno oggi, hanno una ragione alla base, una ventina di gruppi al giorno e una –anche trascurabile- dimensione umana. L’HJF è un concerto organizzato da Heineken in cui la gente che vuol vedersi l’headliner viene disturbata da tre o quattro pessimi gruppi di supporto.
2 il bill di quest’anno era ridicolo.
3 ci sono concerti migliori pochi giorni prima e dopo (tipo il Sonisphere. a proposito: il sabato sono al sonisphere, qualcuno di voi c’è?).
Aggiungo la 4: lo spirito di Woodstock ce l’avrà tua mamma.
Una bella storia a margine, parlando di festival in Italia, è quella del Rock in Idrho –che ovviamente ho considerato, perché è l’unica data dei Social D in Italia. Nel sito del Rock In Idrho era uscito un elenco delle regole da rispettare al festival: Divieto di uscire dall’arena concerti, obbligo di depositare gli zainetti al guardaroba, divieto di portarsi mangiare e bere da casa –in pratica mancava la voce “ad alcuni fortunati sarà tatuato un numero di sei cifre sull’avambraccio”. La gente è sostanzialmente esplosa. Il tutto è parzialmente rientrato. Se andate al Rock In Idrho sappiate comunque che gli Stooges suoneranno prima (e meno) dei Foo Fighters. È anche giusto: i Foo Fighters hanno un repertorio imponente.
Questo fine settimana c’è stato il MiAmi, che contrariamente all’HJF è un festival VERO (per quanto, sospetto, orribile). In qualche fashion blog o fashion magazine o fashion qualcosa italiano sono uscite foto che davano dritte sull’abbigliamento partendo da foto delle annate precedenti ed è uscito allo scoperto L’ORRORE, vedi appunto sopra.