Un assalto noise-metal continuo, incessante, torrenziale e variegato nel quale giochi di chitarre e basso di vaga ascendenza jesuslizardiana si scompongono e ricompongono all’interno di un formato meta-heavy che alle volte assume tonalità quasi grindcore ed alle volte lambisce lussurioso certi aromi doom-korniani, rimanendo sempre estremamente tecnico e controllato. Sopra tutto la voce di Jacob Bannon, che si staglia imperiosa a celebrare un rituale di disperazione e morte. Tutto questo è un’agile mossa da webzinaro per dire, insomma, che il nuovo disco dei Converge contiene più o meno la solita sbobba che sta nei dischi dei Converge post-Jane Doe, e che soffre del solito problema di base dei dischi dei Converge post-Jane Doe –non essere Jane Doe, appunto. La nostalgia dei bei tempi andati (che poi era il 2001, mica ho detto il ‘45) gioca a favore, il resto lo fa la povertà di spirito e il solito packaging extralusso. La fine degli anni 2000 è anche la fine dell’epoca in cui i lemmi “carino” e “capolavoro” presentavano qualche differenza di significato, sarà quindi un vero piacere per tutti i fan della band trovarlo copiosamente e insistentemente al suo meritato posticino nelle classifiche di fine anno. A casa contenti. C’è un parere autorevole su Junkiepop: L’ennesimo grand guignol di hardcore noise e post metal che puoi sentire una volta nella vita. Se vieni dai centri sociali, se vieni dalle fanzine e se almeno una volta ti sei beccato una gomitata in faccia e sei stato felice di prendertela. Io mai stato felice di prendere gomitate in faccia e/o farmi rovesciare il tè ai concerti metal, e comunque con squat e fanzine ci ho avuto a che fare il giusto. In un post sui Bloody Beetroots apparso su Stercogram Emilio Torreggiani ha scritto una cosa bella e importante, la vado a copiare pari pari: non capisco perchè c’è la corsa, stile “metti il dito sotto” a dir “io vengo dal punk”, “supporto l’anarchia” e ad indossare gadget dei black flag, quando poi fai il solito video con delle sciacquette succinte. Dei Converge, tanto per dire, che vengano dal punk lo sappiamo di sicuro, ma dove sono ora? E dove cazzo se ne stanno andando? Il riff di chitarra iniziale è power metal, storta e pesante quanto vuoi ma è un riff power metal. Ed è tipo la cosa migliore di Axe To Fall: dopo arriva un copione che dir telefonato è un po’ poco, ivi compresi i bordoni più o meno grind/rock’n’roll e il pezzone neurotico di sette minuti –sette dei quali sostanzialmente da buttar giù per la china. Poi sì, io non vengo dall’accacì (son di verso Rimini), ma di accacì ne ho ascoltato un po’ qualche tempo fa e mi sembrava d’aver capito che la differenza non fosse solo il taglio di capelli. Nel caso no, errore mio. Comunque sì, bello e tutto, ma verso la settima traccia inizia a sembrare l’equivalente culturale di una sega a tre mani –da cui forse l’idea della ragazza con la bocca aperta in copertina- e s’inizia ad implorare di basta e di vaffanculo. Che con quel disco là che mi son rotto i coglioni di nominare non mi è MAI capitato. Così ho deciso di fare ‘sto fioretto per cui mi riascolto QUEL disco lì senza stare a disturbarmi ad andarmi a comprare una fotocopia col titolo diverso. Tanto mica ha la data di scadenza.