Alle orecchie di uno cresciuto col mito del grindcore (mancarone) come possono essere io, il brutto grindcore non esiste. Nel senso che le sue caratteristiche peculiari -sostanziale inascoltabilità ed assenza di logiche interne- lo divide in grindcore bellissimo e non-grindcore. non puoi dare un giudizio estetico a una musica del genere, non puoi metterti a pensare a chi ha talento e a chi non ne ha, eccetera. Ci sono gruppi incredibili che puoi considerare maestri ma che per certi versi sono comunque dei fake mostruosi. La maggior parte dei gruppi grind che hanno iniziato a suonare grind hanno smesso di farlo nel giro di brevissimo e hanno intrapreso una sorta di carriera come musicisti, anche buoni, anche ben dotati, anche con dischi bellissimi. Non-grind. Il grind (mancarone) è sempre stata un’altra cosa, una specie di idea pura dietro la musica, un concetto buono sì e no per farsi delle seghe mentali fini a se stesse e/o pensare che la cultura pop di maggioranza sia tutto sommato un mucchio di merda (verissimo, peraltro). Un modo come un altro per buttar via gli anni migliori della propria esistenza dietro qualsiasi cosa che non fossero studi di marketing, analisi, semiotica e teoria dell’organizzazione. Non puoi capirlo a sedici anni, il grindcore. Neanche a vent’anni. Neanche a trentacinque. Se lo capisci non è grindcore. Se ti piace non è grindcore. Se ti senti in sintonia con quello che l’ha inciso non è grindcore. Questo pezzo non parla di nulla. Seth Putnam se n’è andato alla chetichella nel giugno di quest’anno, non sono stati messi in piedi funerali di stato, nemmeno un topic celebrativo sul forum di Metallus (mancarone), tra l’altro credo ormai chiuso da un decennio. Seth Putnam era una specie di John Lydon del metal: non particolarmente capace e dotato di per sè, non particolarmente in grado di scrivere cose epiche, ma abbastanza conscio di quel che s’ha da fare e -paradossalmente- tra i pochi dotati della volontà di farlo, il tutto senza un briciolo di cognizione di causa in merito a discorsi sulla domanda, sulla natura della musica, su ciò che va fatto o non fatto. Nella nutritissima discografia di Seth Putnam e dei suoi progetti è rintracciabile qualsiasi forma musicale, nella maggior parte dei casi ridotta ad una parodia ridicola e spompata, come quando un compagno di classe antipatico porta avanti uno sfottò su tuo cugino handicappato in terza media. Seth Putnam era un personaggio sgradevole, intendo nella cultura pop di cui sopra. Ha messo la firma su alcuni dei massimi capolavori del metal anni novanta, ha veleggiato incosciente (quattro o cinque overdosi lungo il decennio) tra un progetto musicale e l’altro, ha continuato fino alla fine a farsi a fettine e a prendersi i pomodori, scongelando il marchio Anal Cunt (la sua casa base, il punto da cui tutto inizia) poco prima di andarsene. L’estremo paradosso della vita artistica di Seth Putnam è che il suo testamento è una raccolta di demo ed EP pubblicata una settimana fa da Relapse (mancarone) e che mette insieme i primi tre anni di attività della band, una serie interminabile di cacofonie inintelligibili registrate col walkman dentro la tazza del cesso e brutali come niente che sia stato registrato prima, dopo o durante. Musica che sembra già la parodia avvoltolata di se stessa o della musica che ad essa si ispira, che per metà del minutaggio sembra un esercizio sportivo e per l’altra metà la cosa più lucida mai partorita dalla mente umana. Viene da scorrere mentalmente la lista dei dischi/gruppi che più ci hanno detto qualcosa (o no) negli ultimi dieci anni: Hospitals, Hunches, Sightings, Lightning Bolt, il giro Load in generale, n-collective, postcore, brutalità assortite, i migliori Converge, la migliore HydraHead, cinesi, harsh-noise, shitgaze (mancaroni). È triste scoprire che è quasi tutta la versione manco troppo ripulita di cose buttate dentro il calderone alla cazzo di cane vent’anni fa da qualcuno che ci ha tirato su sì e no uno stipendio da barbone e un briciolo di credibilità presso altri tossici col pallino del metal e del punk. È triste scoprire anche che l’album a cui (per motivi strettamente musicali) ci sentiamo quasi in obbligo di dare la palma di DISCO DELL’ANNO 2011, capslock voluto, è una raccolta di roba smerciata con scarso successo tra il 1988 e il1991. Avolte le cose non girano come vorresti. Seth Putnam. Mancarone.
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L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 11-17 luglio 2011
Adolescenza, periodo di maldestrezza
Giorni e giorni passano nella tristezza
Bruttezza contro magnificenza
Fuori, fuori, fuori dalla finestra
(Alexander Rocciasana, Adolescenza)
Stasera ci sono gli Adolescents all’XM24: un evento paragonabile ai Clash in Piazza Maggiore, solo con un gruppo migliore e in un posto più bello. Aprono Burning Heads, Cut e Howling Machines, inizio ore 21, quattro eurini. Arriva il supercaldo, e le priorità cambiano: innanzitutto restare vivi, poi magari Stan Ridgway gratis ai giardini di via Filippo Re (martedì dalle 21.30). Con una ventina di gradi in meno sarebbe stato un evento da non perdere per nessuna ragione al mondo, così rischia di essere qualcosa di piacevole tanto quanto rimanere bloccati in automobile coi finestrini chiusi a mezzogiorno; per una bella scampagnata blasfema in compenso al Rock Planet arrivano Deicide e Belphegor (dalle 20, venticinque euro), se accendono i climatizzatori magari si annaspa, altrimenti è una tortura che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico. Mercoledì è previsto il picco di calore con temperature percepite anche oltre i 38 gradi; l’unica roba in giro sono i Perturbazione in via Filippo Re, prendiamolo come un auspicio e preghiamo che la perturbazione la portino sul serio altrimenti c’è da piangere. Giovedì Wrathcobra + You Suck! + Axis Of Desolation al Nuovo Lazzaretto. Venerdì per chi non ha voglia di abbruttirsi con Canali al Bolognetti la scelta è tra due gite fuori porta un cazzo male: Jethro Tull in amarcord spinto per il quarantennale di Aqualung a Boretto, e Daddy Freddy a Ferrara per il festival High Foundation. Jah bless. In ogni caso sabato tutti all’XM24 per l’evento irrinunciabile della prima metà di questa estate malefica; tutti i dettagli qui sotto. Per finire domenica al Nuovo Lazzaretto 400 Colpi + atestabassa + The Adrenaline + Cervo. Dalle 22.
Still not loud enough, still not fast enough.
Il nostro sodale/amico/compagno Reje non fu tenerissimo con Evolution Through Revolution. La ragione è che la produzione del disco seguiva il canone ultra hi-fi di quel genere di produzione pro-tools moderna e bombastica che ha massacrato il metal in ogni sua forma (nota a parte: quando è iniziato questo scempio? A me vengono in mente i Killswitch Engage, ma forse mi sbaglio. Scrivetemi un commento o una mail). Probabilmente è vero, o forse no. Dentro Evolution Through Revolution c’è forse uno degli ultimi gridi d’allarme del metal (paradossalmente) classico, il rantolo furioso del vecchio che avanza (old is the new young, come nel retro della mia maglietta dei Nomeansno, che è l’equivalente poi di un Kevin Sharp che sale sul palco a Cervia e chiudendo pollice e indice dice “We’re Brutal Truth and this is grindcore“, facendomi piangere poco prima di travolgermi con il più bel concerto a cui abbia mai assistito). Reje parla di un disco pensato per le nuove generazioni di metallari, ma sotto il palco durante i tour ci sono vecchi bacucchi, nostalgici di un’epoca in cui non servivano pantaloni oversize o frangette per essere osservanti e panzoni alcolizzati ancora in botta per la vita. La musica dei Brutal Truth in ETR è riuscita in qualche modo a fondere le tendenze che la governavano dall’interno e dall’esterno e ributtarle fuori con il pragmatismo schifato di cui il gruppo è maestro indiscusso, e si è resa diversa non solo da tutto il resto, ma anche da se stessa. Probabilmente dico cazzate, ma mi ritrovo a riascoltare spessissimo –e sempre con estremo piacere- l’ultimo disco dei quattro newyorkesi e a ritrovarci ogni volta un altro me stesso, e se è vero che ultimamente mi ritrovo nella maniera e nella retroguardia MOLTO più di quanto mi ci potevo ritrovare a diciannove anni, d’altra parte ogni nuovo ascolto di ETR dà conto di quanto i Brutal Truth siano NECESSARI al sostentamento del metal e dell’accacì o di qualunque altra cosa siano diventati oggi.
L’ulteriore e non-necessaria conferma alla cosa viene da una sola traccia smerdata che è possibile ascoltare soltanto nel profilo Facebook della band, al prezzo di un clic sul bottone “mi piace” (almeno credo, io li ho fan-izzati il giorno dopo essere entrato su facebook tipo). I Brutal Truth, chitarrista a parte, sono gli stessi che mettevano le foto dei pescatori che uccidevano le foche a bastonate nel loro primo disco. Musicalmente sono quelli che sono diventati dal ’94 in poi, solo un po’ più metal. Il pezzo si chiama End Time e sarà inclusa nel disco che uscirà a fine settembre: stesso titolo, stessa etichetta, stessa formazione dell’ultimo lavoro. La tracklist (23 pezzi, uno in più di Sounds of the Animal Kingdom) è qua sotto, e solo a leggere i titoli vien voglia tipo di scendere in piazza a menare i fasci a mani nude.
- Malice
- Simple Math
- End Time
- Fuck Cancer
- Celebratory Gunfire
- Small Talk
- .58 Caliber
- Swift And Violent (Swift Version)
- Crawling Man Blues
- Lottery
- Warm Embrace Of Poverty
- Old World Order
- Butcher
- Killing Planet Earth
- Gut-Check
- All Work And No Play
- Addicted
- Sweet Dreams
- Echo Friendly Discharge
- Twenty Bag
- Trash
- Drink Up
- Control Room
Was that your celebrated summer? MIODI – seconda edizione
Il 9 giugno a Milano c’è il secondo appuntamento con il MiOdi, cioè lo spin-off peso del MiAmi. Per l’occasione i ragazzi di SoloMacello, sempiterni amici e sodali di noialtri, decidono di fare le cose in grande e si aprono a gruppi esteri. Non voglio fare il noioso, quindi copio-incollo la scaletta dal comunicato stampa.
Main Stage: Ufomammut e Amen Ra
Messicano: Fine Before You Came, 16, Jacopo Zu + Giulio “Ragno” Favero, Lento, Viscera/// e Gandhi’s Gunn
OutFrog Stage: 3/4 Had Been Eliminated, Psychofagist con Luca Zu, Ovo+Nadja performing The Life & Death Of A Wasp, Putiferio, Vulturum, Tsubo, Orange Man Theory
InFrog Stage: Fuzz Orchestra, Dyskinesia, Mongolian Barbecue (con Massimo Zu), Be Maledetto Now!, gRÄFENBERg
Da qualche parte, a un certo punto: Zeus!
In altre parole, zitto zitto, il miglior festival italiano dei nostri tempi. Se non avete visto i 16 in una delle date italiane di qualche mese fa (io sì, gnè gnè gnè), semplicemente non avete scuse. Se li avete visti vorrete tornare a vederli. Se non ve ne frega un cazzo dei 16 proprio non so, resta il fatto che ci sono tutti gli altri.
Info e tutto il resto stanno qui.
Brutal Truth @ Sottotetto, Bologna (19/6/2009)

Se Henry Rollins avesse deciso di bere e drogarsi, e avesse continuato a farlo negli ultimi venticinque anni, oggi avrebbe le fattezze di Kevin Sharp. Le movenze, del resto, sono le stesse: gambe divaricate, piedi (nudi) ben piantati sulle assi del palcoscenico, calzoncini, pose da boss del quartiere. A fare la differenza sono lo stomaco tracimante, la maglietta “Sleep. Money. Food.” che scimmiotta la slayeriana “Sex. Murder. Art.”, il cappellaccio da mandriano mongoloide, la barba da redneck incestuoso appena uscito dal fienile. Dan Lilker, in compenso, non è cambiato di una virgola dai tempi del primo degli Anthrax; quasi due metri di pallore cadaverico, tatuaggi orribili e orbite scavate, fasciato da una lorda t-shirt senza maniche dei Rotten Sound, lo vediamo ciondolare dentro e fuori dal locale, fare la spola tra il bar e il banchetto del merchandise trangugiando una media dopo l’altra, chiacchierare svagato con qualcuno dei (pochissimi) presenti come con un roadie dall’aspetto ributtante, portando in giro con nonchalance oltre un quarto di secolo di leggenda. Mentre sfila l’obbligatoria parata di “guests” – annunciati ma non ben specificati nell’evasivo flyer – tutti più o meno gorgoglianti e sanamente ignoranti (i migliori ci sono sembrati i romani Tsubo), osservando l’incessante girovagare di Lilker ci viene spontaneo pensare: certo che ne avrà sentiti di gruppi-spalla, nella vita, questo qui. Un veloce cambio di palco – l’ultimo – giusto il tempo di notare che il chitarrista porta il grugno del cattivo di Star Wars tatuato su un polpaccio, e si comincia a Celebrare. Loro sono in bomba, perfino più carichi rispetto alla scorsa tornata di concerti (che ci vide muti testimoni, al Rock Planet di Cervia, di uno di quegli eventi in grado di cambiare profondamente un’esistenza), è tutto un mulinare di braccia e un susseguirsi di sputi e movenze da sex symbol mongoloide (Sharp) e un proliferare di smorfie e tic nervosi da omicida seriale del mostruoso Rich Hoak (storico batterista del gruppo); il set è generosissimo, oltre un’ora e un quarto tra i brani dell’ultimo Evolution Through Revolution (che viene riproposto quasi interamente) e le vecchie cose, alla fine suonano anche due pezzi che non erano previsti in scaletta, così, perché gli andava di farlo. Un sogno, non fosse stato per una deprecabile resa sonora assolutamente non all’altezza della situazione: non si capiva un cazzo, in poche parole, tra quel che succedeva sul palco e quello che arrivava all’orecchio c’era lo stesso scarto che potrebbe intercorrere tra vedere i Filarmonici di Berlino e sentire “Metal Machine Music“; eri fortunato se i brani riuscivi a intuirli, e il tutto spesso e volentieri si risolveva in un grottesco casino spaccatimpani senza causa né scopo. Il rimpianto alla fine è notevole considerando che, con un fonico capace o un impianto adeguato, sarebbe stato qualcosa di simile alla seconda venuta di Cristo; così è stato “solo” come assistere a una magistrale lezione di musica (e di vita) con la riproduzione di un 78 giri guasto al posto dell’audio. Peccato.