L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 24-30 ottobre 2011

prepararsi per il week-end

Se avete passato una domenica di merda perché hanno asfaltato Marco Simoncelli farete meglio ad aver preso la prevendita per gli Alter Bridge qualche millennio fa altrimenti il vostro lunedì sarà ancora peggiore: il concerto è sold-out da settimane e senza biglietto è perfettamente inutile che vi presentiate alla cassa dell’Estragon, rimarreste comunque fuori mentre circa milleottocento tamarri del tutto privi di gusto o di coraggio o di vita sono dentro a Celebrare. Meno male che al Clandestino ritornano Gentlemen & Assassins dopo aver già raso al suolo tutto quanto al centocinquantenario dell’unità d’Italia… come l’altra volta: ingresso gratuito, via al massacro dalle 22 circa. Prima o poi alla Morena bisognerà dedicare una strada o una piazza… Martedì si celebra the late great Mauro Mingardi (cineamatore dilettante per scelta e grande Uomo per vocazione) al Modo Infoshop con la proiezione di uno dei suoi capisaldi, Vita d’artista (dalle 21.30, tutti i dettagli Qui); non è un concerto ma fa rumore uguale. Mercoledì MeryXM in documentario + jazz fattanza, gratis dalle 20.30, che te lo dico a fare… e giovedì ancora XM24 con il release party degli Antares (gratis dalle 22), devasto… Ma non fatevi frantumare tutti gli ossicini nel pogo, perché venerdì e sabato scatta una due giorni psichedelica da far tremare i polsi anche a Tim Leary e convertire alla via dell’LSD anche Ian MacKaye, Ray Cappo, Henry Rollins, chiunque: venerdì Al Doum & the Faryds e Nau & the Green Panthers sono in città per un secret show che al confronto Matteo Guarnaccia diventa un travet daltonico (Per informazioni: blackmoss@libero.it e/o 320 2315886), e sabato all’XM24 prima serata “Brain Expanders” con PIVIXKI (ovvero il virtuoso del piano Anthony Pateras e la leggenda vivente grind Max ‘Crumbs‘ Kohane alla batteria) e Marco Fusinato (gran bailamme per chitarra maltrattata) dall’Australia, Karl Marx Was a Broker (delirio di basso e batteria da spettinare i Lightning Bolt), Fannullare duo (centrifuga di strumenti autocostruiti e pazzie analogiche assortite) + very special guests, dalle 22, quattro euro e sarà allora che la vostra testa esploderà!!! Per friggere definitivamente gli ultimi neuroni rimasti poi domenica di nuovo al Clandestino, mercatino dell’usato e a seguire concerto degli Ahleuchatistas (gratis, dalle 22), e chi ha più bisogno di droghe…

 

venerdì

sabato

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 25 aprile-1 maggio 2011

Siamo in un paese di campagna, sono circa le dieci e mezzo del mattino, tra poche ore in piazza suonano gli Youth of Today

Si festeggia il 25 aprile in un tripudio di trombe e tromboni alzati al cielo (ma anche tanti funghetti nello stomaco, dipende dai gusti), con addirittura l’imbarazzo della scelta: al Nuovo Lazzaretto i malmostosi Sourvein (ancora più amari e maligni da quando Liz Buckingham ha mollato marito e baracca ed è entrata negli Electric Wizard) assieme a Choriachi, Avant Gardener, Mother Propaganda e altri brutti ceffi spinellanti (dalle 22), mentre se siete in vena di lisergiche gite fuori porta al Sidro Club di Savignano sul Rubicone arrivano gli stupefacenti Dead Meadow (dalle 21.30, dodici euro). Portate i francobolli. Eventualmente per chi volesse fare il bis martedì i Sourvein suonano anche a Parma; il difficile semmai sarà arrivarci con almeno un paio di neuroni intatti, a martedì.
Mercoledì MeryXM si prende una settimana di (meritato) riposo; al Clandestino suona un gruppo chiamato “gli scaldafiga” (…), mentre per gli amanti dei suoni fastidiosi (KKRRRRRRRR FFFRRRRRRRRR FFFFFFSCHRRRRRRRR eccetera eccetera) c’è Nicola Ratti al CasaBettola a Reggio Emilia. Giovedì ancora tromboni come fiaccole e trip come caramelle, per la più che buona ragione che ci sono gli Earth al Locomotiv (dalle 22, quindici euro più tessera AICS); per i punk con la cresta invece sarà utile sapere che il concerto dei Riot Brigade all’Atlantide è stato spostato all’XM24 (dalle 22, quattro euro). Cancellieri vaffanculo.
Venerdì scatta la rassegna Contemporanea-mental, gran delirio di concerti mostre e djset molestissimi (dentro c’è anche DJ Balli) allo Scalo San Donato; a ricordarci quanto facevano schifo al cazzo gli anni ottanta, all’Estragon i Level 42 (22.30, venti euro). Sabato un’altra botta devastante ai neuroni: al Covo c’è il Moon Duo (con Edible Woman di spalla), tante volte aveste bisogno di una buona scusa per iniziare a drogarvi. Ma comunque sia andata la vostra settimana l’appuntamento imperdibile per celebrare degnamente la festa del lavoro domenica è a Russi per il concerto degli Youth of Today in piazza Farini, gratis et amore: probabilmente il primo maggio più bello e sensato dal 1891. Falla girare Ray…

MATTONI issue #16: MOGWAI

 
A differenza degli ultimi due dischi (che a loro tempo sono finiti a prendere polvere dopo pochi e frustranti ascolti) Hardcore Will Never Die, But You Will mi è piaciuto molto e da subito. È un disco di cuore fatto per gente con un cuore, roba sincera per stare bene soffrendo (più o meno, a seconda di quanto sia sviluppata la vostra capacità di provare emozioni), magari senza picchi stratosferici tipo May nothing but happiness come through your door o 2 rights make 1 wrong, ma anche senza un pezzo che sia meno che buono; il che è già di per sé un piccolo miracolo considerando che stiamo parlando di un gruppo al settimo album – più qualche dozzina tra singoli, EP e split quasi sempre esaltanti – che almeno fino al 2006 è riuscito a mantenere una media qualitativa elevatissima, e soltanto da allora sembrava essersi avviato verso un comunque apprezzabile auto-karaoke funzionale se non altro a (continuare a) giustificare la loro presenza sui palchi di locali e festival e in generale ovunque ci siano persone disposte a pagare per farsi triturare i timpani dalla live band più fragorosa del mondo dopo Dinosaur Jr e Manowar.
Oltre al solito gioco di rimandi condotto con il solito incomprensibile senso dell’umorismo da dissociati irrecuperabili (San Pedro, probabilmente in omaggio ai Minutemen, è il brano più corto del disco; l’ultimo pezzo si chiama You’re Lionel Richie ed è aperto da un delirante sample dove un tizio declama cose in italiano stentato), e al tutto sommato innocuo peccato veniale nell’intitolare un pezzo White noise (peraltro neppure il più ‘rumoroso’ del lotto), Hardcore Will Never Die, But You Will si segnala per la presenza, nell’edizione limitata in doppio cd o doppio vinile con download card, di una traccia di 23 minuti, Music for a forgotten future (the singing mountain), che se la memoria non falla è il brano più lungo mai inciso dai Mogwai (My father my king ne durava “solo” 20). Scritto e pensato come colonna sonora per un’installazione dal titolo “Monument for a Forgotten Future”, il pezzo (quasi del tutto privo di batteria) rivela un’inedita propensione alla grandeur da kolossal hollywoodiano con gran dispiego di violoncelli, viole e violini utilizzati come mai prima d’ora. Per i primi quattro minuti pare un loop preso a caso dalla colonna sonora di Brokeback Mountain, poi spunta un carillon tristissimo, da orfanello perso nella neve, che introduce a un nuovo gran lavoro di archi austeri – tastiere e chitarre moderatamente sferraglianti lasciate molto in sottofondo – non arrivasse a un certo punto un vibrafono sembrerebbe roba del Kronos Quartet giusto un pelo più allegra; s’insinua di nuovo la chitarra dolente in puro Mogwai style ma pacificato, duetta mestamente con il vibrafono poi lascia perdere, rientrano gli archi, una nenia funeralesca dove piange anche il cadavere. Al dodicesimo minuto un piano maestoso, pulviscoli di feedback come ruggine sgorgante dagli amplificatori, una chitarra stridente che sembra il lamento di un androide mentre ascolta Enjoy the silence dei Depeche Mode, un crescendo da colonna sonora di Danny Elfman subito azzoppato dall’incedere monco e montante di chitarre basso tastiere e finalmente qualche tocco di batteria, sembra il pezzo di Mr. Beast messo alla fine di Miami Vice ma meno epico e infinitamente più disperato, di quel momento in cui la disperazione si trasforma in rassegnazione, che è come dire il peggio del peggio. Non dura molto comunque: la musica si spegne all’improvviso lasciando spazio al gracchiare elettrostatico della radio quando si è persa la frequenza, poi tornano su gli archi, ma timidamente, sullo sfondo, una progressione ciclica che sta in mezzo tra il Philip Glass quasi totalmente neutralizzato delle colonne sonore miliardarie e ancora il Kronos Quartet dopo un’overdose di barbiturici, poi di nuovo il gracchiare della radio per un minuto, come a dire fine delle trasmissioni. Qualunque sia la vostra opinione sui Mogwai altri come loro in giro non ne trovi.

 

 

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 31 gennaio-6 febbraio 2011

una rarissima immagine di Mark Kozelek durante una giornata buona

 

Bologna e nevica. Tra sabato e domenica 22 ore non-stop di nevicata poi a seguire pioggia a secchiate che pareva di stare in India durante la stagione dei monsoni, ma ora è tutto finito e per stasera garantite strade percorribili e circolazione agevole almeno fino al Clandestino, dove suona il dissociato francese Bud McMuffin; uno spettacolo vero, gratis, dalle 22.30. Martedì 1 febbraio arrivano Thin Lizzy e Supersuckers all’Estragon (dalle 21); per ovvie ragioni manca lo storico frontman Phil Lynott (ha lasciato questa valle di lacrime venticinque anni fa), ma la notizia quantomeno bizzarra è che in questa occasione il suo ruolo verrà ricoperto da Ricky Warwick, l’isterico leader degli Almighty (ve li ricordate o avete avuto un’adolescenza felice?) nonché tra le ugole migliori dell’Irlanda del Nord, e alla seconda chitarra c’è Vivian Campbell dei Def Leppard. Un karaoke coi controcazzi per una delle più grandi band mai esistite sulla faccia della Terra. Unico inconveniente il prezzo: trentacinque euro non opere di bene. Per una serata più low-budget ma sempre pilotata da reducismo peso con vecchie carcasse barcollanti ai controlli, ecco i Members al Nuovo Lazzaretto; di spalla Rotten Boi!s e altri simpatici compagni di merende. Dalle 22, gradite creste da moicano, giubbotti di pelle lerci, pantaloni strappati e ascelle non lavate da almeno una settimana.
Mercoledì continua la rassegna MeryXM all’XM24 (gratis, da orario aperitivo ad oltranza) con la presentazione di un libro che farà molto piacere a Steve Jobs e in coda un concerto che si preannuncia particolarmente molesto (date un’occhiata a nomi, organico e foto…). Altrimenti Meteors (che ancora rompono culi dopo 30 anni) con annesso festivalino psychobilly all’Onirica a Parma (dalle 21, venti euro più tessera obbligatoria altri cinque euro), o il Doc Trio di Simone Zanchini al ristorante Zingarò a Faenza (dalle 22, gratis già mangiati oppure menù-concerto a venti euro tutto incluso). Giovedì non c’è niente fuori, non c’è niente fuori, credimi, non c’è niente fuori, tranne i Massimo Volume a Cadelbosco di Sopra (dalle 21.30. Per i non emiliani, per arrivarci bisogna passare per una frazione di nome Sesso, nel caso non dimenticate la macchina fotografica per tante tante pose stupide davanti al cartello).
Venerdì la bella notizia per chi andava al liceo negli anni novanta è che ci sono i Pennywise all’Estragon; la notizia perfino migliore per chiunque sia vivo è che di spalla suonano i Real McKenzies (purtroppo vista la posizione in scaletta non potranno deliziarci con un set eterno, ma non si può avere tutto dalla vita). Esserci diventa a questo punto una questione cruciale (dalle 20.30, ventidue euro – la stessa cifra chiesta dai Godspeed You Black Emperor! e ugualmente ben spesa se volete sapere la mia). Sabato l’overdose: festival devastante all’XM24 (dalle 23 a oltranza, ingresso sotto ai cinque euro), Gay Beast al Covo (dalle 22, prezzo ignoto), Mombu al Voodoo Club a Comacchio, Nile e Melechesch al Temporock a Gualtieri (poco dopo Cadelbosco di Sopra, il prezzo non lo so ma qualcosa mi dice che non sarà a buon mercato), festivalino noise al Grottarossa, e last but not least Goldie al Velvet (dalle 23). Comunque vada, è fondamentale arrivare vivi a domenica per Mark Kozelek alla chiesa di sant’Ambrogio di Villanova, ovvero qualcosa di molto vicino alla manifestazione di Dio in terra, ma con la chitarra al collo.

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 3-9 gennaio 2011

Le previsioni meteo per il 4 gennaio danno freddo e gelo intenso ovunque, specie al centronord, con nubi su alta Lombarda, ovest Piemonte e ovest Liguria.

 

Il primo concerto del 2011 è di quelli molesti: questa sera al Clandestino, gratis dalle 22.30, arrivano i Child Abuse. Loro appartengono alla nuova ondata di gruppi newyorkesi rumorosi, ovviamente depravati e con in mezzo almeno una tastiera tagliente, suonano a volumi altissimi e con una foga che diresti metal se il metal fosse una cosa chic da galleristi di SoHo; ma dal vivo aprono il culo, per cui vedete di superare i postumi di capodanno e lo scoglionamento cosmico da primo lunedì dell’anno e alzate le chiappe dal divano, per meditare il suicidio avrete tutto il tempo martedì che non c’è un cazzo da nessuna parte. Mercoledì non mi risultano festini aggressivi degni di nota ma potrei sbagliarmi, per ora l’unica cosa che so è che all’Arterìa suonano i Testadeporcu alle 23: prevaricazione e fomento (se avete in animo di spaccare la faccia a qualcuno) assicurati per tutti. Giovedì è come martedì, ovvero il vuoto totale. Venerdì 7 chiudete in casa le bambine, al Locomotiv arriva Federico Fiumani (inizio concerto intorno alle 22, otto euro più tessera AICS), a seguire dj-set anni ’80 con gli storici resident dello Small di Cento (Mortimer, Tetro e Max Peccia): formidabili quegli anni (per i giovinastri invece ci sono i Does It Offend You, Yeah? al Covo). Sabato Estragon Lab night dalle 21, i gruppi non sono un gran che ma è gratis è c’è Bologna Violenta (e, uh, in giro non c’è altro); poi a letto presto per essere belli freschi e riposati domenica, riapre l’XM24 con la bellicosa Donnabavosa Fest 5 di cui potete ammirare qui sotto lo psichedelico flyer in tutto il suo splendore.

 

MATTONI issue #10: LESBIAN

 
Vincono già dal nome, soprattutto in tempi in cui per non finire immediatamente nei peer-to-peer l’alternativa è tra stupidissimi termini di uso comune ricontestualizzati (tipo The Music, Girls, Tombs, ecc.) o sigle illeggibili piene di simboli criptici tipo triangolini e altre merdate a incasinare il tutto (tipo l’intero fenomeno witch house, che poi tra l’altro mica ho ancora capito di che cazzo si tratti, ma comunque). Loro scelgono una terza via: nome ultracomune e ultrabeota “perché quelli belli, tipo Black Sabbath o Venom, erano già presi“. Sono in quattro, hanno inciso per Holy Mountain (che già di per sè stessa è una bella garanzia di alterazione mentale) e a guardare la foto sul sito dell’etichetta sembrano, nell’ordine: un ciccione che ama i Neurosis, un professore ex-hippie col cervello fritto dai troppi acidi ai tempi dei fiori nei capelli, un immigrato clandestino e un buzzurro rissaiolo coi tatuaggi anche nel buco del culo. Insieme suonano uno strano incrocio tra sludge, doom old school e progressive metal, fangosissimo e lisergico eppure cronometrico e intricato al tempo stesso; immaginatevi, se riuscite, una sintesi tossica tra Dream Theater, Grief, Lake of Tears e Facedowninshit, sarete comunque piuttosto lontani da un’idea anche lontanamente esaustiva. Uno di loro, Dan La Rochelle, ha suonato la chitarra negli ASVA per un paio d’anni, magari questo dettaglio può essere di aiuto. Il primo album è del 2007; Power Hor, un gioiellino di psichedelia malata e deviante che con un buon cilotto sdruso di bella (o un paio di cartoni) a supporto è la morte sua. I numeri già dicono tutto: quattro pezzi per sessantadue minuti di durata. C’è già un bestione di quasi 25 minuti, Loadbath, ma non è il pezzo migliore del disco, e comunque a quei tempi Bastonate (con annessa la vostra rubrica preferita) ancora non esisteva. Sempre del 2007 è un ‘Tour EP” con un pezzo di quarantasette minuti (dal temibilissimo titolo, Fungal Abyss), che purtroppo non sono ancora riuscito ad ascoltare; ho invece mandato a memoria lo split del 2008 con gli Ocean americani (altro gruppo per cui vale la legge dei grandi numeri), ma purtroppo entrambe le compagini in quell’occasione mordevano decisamente i freni: ‘soltanto’ dodici e quattordici minuti le durate dei rispettivi pezzi.
Tornano ora con un nuovo disco fuori, Stratospheria Cubensis, titolo delirantemente pseudointellettuale, produzione paludosa del paludato Randall Dunn e artwork sideral-tentacolare del funghesco Seldon Hunt. Un disco che è un po’ il loro The Age of Adz: smodato, incontenibile, eccessivo, irraccontabile, radicalmente altro da sè e da tutto, con il brano più lungo posto alla fine a riassumere e a tirare le fila e a fornire il senso ultimo di un suono e un metodo compositivo che non asc0lterete altrove. Black Stygian è il nome del mattone finale, ventidue minuti di delirio psych-sludge-prog-doom da far precipitare dal cielo gli arcangeli con le trombe e schizzare dalle viscere della terra i diavoli coi tromboni, un’ininterrotta, sfrenata cavalcata della Morte ma con un cannone grosso come un carciofo incastrato tra le arcate dentarie; se esistesse un ipotetico mash-up tra Jerusalem degli Sleep ma con il tiro e senza la narcosi chimica, e A Change of Seasons dei Dream Theater ma senza i barocchismi e le leziosità e le tastiere d’avorio e la suddivisione in capitoli, magari reinterpretata dagli Eyehategod in jam alcolica con Fates Warning e (Men of) Porn, forse quel pezzo avrebbe il suono di Black Stygian. Veramente devastante.

 
 
PS STREAMO: http://lesbian.bandcamp.com/album/stratospheria-cubensis

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 15-21 novembre

roba da ricchi

Il Bologna Jazz Festival 2010 è entrato nel vivo: per tutta la settimana si potranno sentire i più grandi negri eroinomani rimasti in vita a prezzi da seconda ipoteca sulla casa in locali molto chic. Visitate lo stilosissimo sito ufficiale per tutte le informazioni. Passando a roba accessibile anche a chi deve continuamente vedersela con il rosso a fine mese (e con tutto il resto che divora l’anima), questa sera l’unica valida alternativa a Saviano sono i Brown Wing Overdrive al Clandestino (Faenza, dalle 21.30), ovvero la sonorizzazione di quel che accade dentro la testa dopo aver ingurgitato un’importante quantità di cartoni intrisi di LSD, e senza dover nemmeno cacciare i soldi per i trip: è gratis.
Martedì ci si può far spappolare i timpani al Nuovo Lazzaretto con i pachidermici Black Breath (di spalla i malmostosi Grindine + guest, dalle 21.30, il prezzo lo ignoro ma sarà sui cinque euro), oppure massacrare di legnate qualche bulletto della bassa all’Estragon a un festivalino metalcore dove l’unico gruppo degno sono i Comeback Kid (gli altri sono Parkway Drive, Bleeding Through, War from a Harlot’s Mouth, We Came as Romans e tali Emmure, si inizia alle 19 e l’ingresso costa ventotto euro); c’è anche Sonny Rollins da qualche parte, ma solo leggerne il prezzo costa due euro al secondo quindi lasciamo stare.
Mercoledì 17 si potrà ammirare l’acconciatura nazi-frocesca del cantante dei The Drums; loro suonano al Covo, dalle 22, quindici euro. In piazza Scaravilli invece, gratis dalle 20.30, suona il gruppo del lurido clerk che non crede tu conosca Mark Lanegan se hai un aspetto ordinario. Brutta bestia, l’invidia. All’XM24 come ogni mercoledì c’è la serata MeryXM (gratis dalle 21, e i gruppi non sono male), infine, per chi ha ancora voglia di legnare un energumeno a caso, al Nuovo Lazzaretto planano gli olandesi The New Morality (dalle 22, vedi Black Breath per il prezzo): calci in faccia e mazzate da baseball sulla schiena assicurate in quantità industriali per tutti.
Giovedì è la serata da non perdere per chi ama la musica: Napalm Death, Immolation, Macabre e i nostri beniamini Waking the Cadaver al Sottotetto (inizio ore 20 tassativo, ventotto euro con tessera 2010 gratuita). Se siete a corto di grana e non avete voglia di scarpinare ci sono gli ZEUS! al Farm: sempre di legnate sui denti si tratta.
Venerdì 19 al Bronson gli Shrinebuilder recuperano la data annullata lo scorso aprile per le polveri del vulcano Eyjafjallajökull, e l’attesa non è stata vana dal momento che stavolta ci sono anche i Karma to Burn di spalla. Quindici euro, inizio intorno alle 21.30 e Bastonate dj-set prima, durante e dopo i concerti: annullate tutti gli impegni e venite a bere con Wino e a drogarvi con noi. Sabato ancora in Romagna con l’imbarazzo della scelta: ancora al Bronson per Massimo Volume + Bachi da Pietra (21.30, tredici euro) o al Boulevard di Misano Adriatico per gli Ataraxia (di cui per ora ignoro orari e prezzi)? Quel che è certo è che la data di Ross the Boss + Scott Columbus al Rock Planet è stata ANNULLATA (un vero peccato: poteva essere l’unica occasione per scoprire il vero motivo per cui Columbus non fa più parte dei Manowar, ammesso che la cosa interessi a qualcuno a parte il sottoscritto). Gran finale domenica di nuovo a Bologna per l’unica data italiana dei Burning Love (di spalla LaserGeyser, Cusack, Green River Killer e Chambers, dalle 21.30 prezzo vedi sopra). Ci sono anche gli OvO gratis in tour del decennale da qualche parte; dovevano suonare al Locomotiv, chissà dove li dirottano stavolta. (m.c.)

Aggiornamenti anche dalla Romagna, a ‘sto giro. Stasera c’è DDMMYYY al Bronson di Ravenna a ingresso gratis.  Domani sera al Sidro di Savignano c’è una serata di Luigi Bertaccini sugli AC/DC, in attesa di tali The Situations il giorno successivo  (garage-pop neozelandese + articoli). Lo stesso giorno, cioè mercoledì sera, al Diagonal c’è un gruppo locale di indietronica pesa che si chiama M+A e di cui mi sono innamorato pesantemente a vederli venerdì sera di spalla ai Port Royal.  Giovedì sera a naso sarebbe la sera del Clandestino, invece questi tali Emanuel and the Fear (postpunk-cassa) suonano il mercoledì e ci lasciano il giovedì libero per vedere Annozero o quel che l’è. Il venerdì vi ha già intimato m.c. di venire tutti quanti al Bronson, ma lo diamo per scontato, GIUSTO? Mandateci una mail con le richieste dei vs pezzi macilenti preferiti.  Il sabato tutti in fuckin’ ferie dalle nostre, chè i Cat Claws sono in città.

 

Gruppi con nomi stupidi: MOANAA

 
Loro sono polacchi e sicuramente nella loro lingua “Moanaa” significa qualcosa di oscuro e tetro e introspettivo o comunque in tema con l’introverso e umbratile post metal che propongono, ma a chi di język polski non mastica nemmeno una parola, e magari è stato giovane in Italia intorno agli anni ottanta, il loro nome evocherà tutt’altro. O forse è soltanto una mia fissazione, la stessa che per esempio mi ha impedito di prendere minimamente sul serio il pastiche fantahorror-ultragore Il Labirinto del Fauno dal preciso istante in cui viene fuori che il nome di un personaggio era – per l’appunto – Moana. A scanso di equivoci, questi Moanaa sono quanto di più lontano possa esistere dal più vago odore di proibito e pornesco: musi lunghi, sguardi fissi verso il pavimento, magliette dei Minsk a tutto andare, e spesso e volentieri il temibile grugno dell’inquietante visual artist K-vass (una specie di Z’EV rasta se riuscite ad immaginarvelo) sbattuto in faccia ai concerti. Roba da ammazzare la libido anche al più infoiato dei camionisti dopo sei mesi passati ininterrottamente al volante. Lo scorso maggio hanno messo in rete un EP di tre pezzi che per qualche incomprensibile movimento della psiche mi ricorda Sweet Daisy degli Sludge (uno dei gruppi più criminalmente ignorati di sempre), chissà perchè, forse perchè dura mezz’ora; lo si può ascoltare su bandcamp o dal loro myspace. Non è male. Chitarre liquide alternate a legnate moderatamente cattive tipo versione blanda dei Mouth of the Architect, sporadici inserti di vocals filtrate (altrimenti il mood è sul sofferente andante), da qualche parte i santini dei Pelican, dei folli Isis e dei Neurosis post-A Sun that Never Sets (il che non è che sia esattamente una bellezza, ma fa lo stesso), qualche fuga psichedelica di tanto in tanto, ma roba tranquilla, da cannetta leggera poco prima di addormentarsi, e il disco termina veloce così come era iniziato, e ridendo e scherzando un ascolto tira l’altro mentre il sonno tarda ad arrivare. Con una produzione più sporca sarebbe stato un gioiellino. Sono giovani, si faranno.

Gente che ne sa: ATOM HEART for beginners.

Stile.

Uwe Schmidt è un gran cazzone. Di quelli poco appariscenti, che di sicuro non noti sul posto di lavoro e che magari alle feste aziendali nemmeno aprono bocca, per il semplice fatto che nessuno si prende la briga di rivolgergli la parola; ma che, se interpellati, se ne uscirebbero subito con la battuta più sgradevole e caustica possibile sul momento. Ha la faccia di un impiegato sull’orlo dello sbrocco dopo nove ore in compagnia di una fotocopiatrice difettosa e la postura ingessata e fremente di chi sta per combinare uno scherzo terribile, tipo cospargere la sedia di puntine da disegno, incollare l’una sull’altra con l’attak le pagine di documenti importantissimi o versare di nascosto un lassativo nel caffè che stai per bere; quell’espressione e quel modo di fare non lo abbandonano mai. Ha anche l’aria di uno capace di ironizzare su qualsiasi cosa, dal cancro alle tasse ai porno con animali alla coda alle poste all’ischemia miocardica, il tutto sempre e comunque con lo stesso sguardo vitreo e lo stesso sogghignetto appena accennato sotto quegli improbabili baffoni da motociclista frocio, unico elemento stravagante in un profilo che altrimenti sarebbe la personificazione assoluta del concetto di ordinario. Forse Uwe Schmidt è anche un genio, chi lo sa; troppo sterminata e perennemente sfuggente la sua produzione per poter azzardare anche solo un accenno di visione d’insieme. Quel che in compenso è certo è che il suo modo di operare ha del manicomiale; quella pazzia pericolosa perché metodica, implacabile, che fa paura perché segue schemi e traiettorie indecifrabili per chiunque non ne sia l’autore. Un esempio? Più di cinquanta pseudonimi diversi possono bastare? Personalmente mi ci sono voluti anni soltanto per scoprirne alcuni e ricondurne altri che magari conoscevo benissimo ma non avevo la minima idea che coinvolgessero la sua persona; come Lassigue Bendthaus ha sonorizzato i miei peggiori incubi cibernetici di bimbo plagiato da William Gibson, Il Tagliaerbe e i ClockDVA, come Atom Heart mi ha accompagnato alla scoperta della techno (prima) e dell’ambient più molesta e drogata (poi – in particolar modo nel terminale Second Nature realizzato assieme a Bill Laswell e Tetsu Inoue, per anni colonna sonora irrinunciabile per le più spericolate esplorazioni tossiche), come Señor Coconut Y Su Conjunto mi ha regalato innumerevoli ore di allegria al suono di quello che probabilmente rimane il tribute album più geniale di sempre in senso assoluto (alla pari soltanto con l’ugualmente folle The Moog Cookbook, dove però – per una volta – Schmidt non c’entra nulla). Questo per citare soltanto alcuni dei misfatti dell’uomo che abbiano rivestito una qualche importanza nella mia vita. Ce ne sono almeno altrettanti che ignoro del tutto. Probabilmente il capolavoro definitivo di Uwe Schmidt sta tra quei dischi che ancora non sono riuscito a trovare, figuriamoci a sentire. Sicuro che sta lì. Intanto lui continua la sua folle corsa verso la destrutturazione dei rancidi cascami alla base di, beh, più o meno qualunque sottogenere della musica elettronica; tocca ancora alla minimal techno nel recente Music Is Better Than Pussy (pubblicato come Atom™, tra i suoi alias più longevi), titolo assolutamente geniale (doppiato in chiusura di scaletta da una temibile Suck My Groove, nientemeno) e copertina da autentici sociopatici racchiudono una serie di numeri in cui il suono che – assieme all’electroclash – più ha fatto danni nello scorso decennio viene impietosamente sminuzzato con metodica tenacia, da omicida seriale, e blandamente ridicolizzato anche tramite l’uso di sinistri loop circolari e inserti vocali piuttosto perturbanti. Vince anche soltanto perché si intitola La musica è meglio della fica, ma non guasterà sapere che nonostante la durata di cinquanta minuti il disco viene venduto al prezzo di un EP perché la tracklist è di soli sei pezzi. Che gli dèi lo conservino.

pensieroso

Naturalmente i suoi live corrispondono a quel che c’è dentro la sua musica a livello speculare; chi lo ha visto al Dissonanze l’anno scorso potrà ben testimoniarlo. Questo sabato Atom™ suonerà a Palazzo Re Enzo nell’ambito del Robot Festival. Sapete cosa fare.

PITCHFORKIANA DEATH METAL: Gortuary, Hideous Deformity, Insidious Disease, Interment, Parasitic Extirpation

INTERMENT – Into the Crypts of Blasphemy (Pulverised)
3/5 dei Centinex si riappropriano del moniker originario e continuano a fare quel che sanno: una mazzata dietro l’altra di puro swedish death metal di origine controllata, con testi che parlano di morte distruzione morti che ritornano e malattie ripugnanti, produzione da cantina gelida, batterista fisso sullo stesso tempo per tutto il pezzo e chitarre “a zanzara” Tomas Skogsberg style. La sostanza non cambia, semmai aumenta il putridume; un disco che ti fa sentire il ghiaccio nelle vene qualsiasi giorno della settimana, in qualsiasi stagione. Ci sono anche due riletture (di Where Death Will Increase e Morbid Death) dai demo del 1991-92, e nell’edizione limitata in vinile una cover di Torn Apart dei Carnage. Loro han sempre fatto questo. Rispetto assoluto. (8.0)

PARASITIC EXTIRPATION – Casketless (Sevared)
Grinding deathcore con produzione scintillante (pure troppo), eseguito con perizia e indubbio mestiere ma senza i pezzi. Si salvano giusto i simpatici samples (da Le colline hanno gli occhi remake e un episodio di X-Files che visto da ragazzino mi aveva fatto cagare addosso – per la cronaca, l’attore è il sottovalutatissimo Timothy Carhart), e l’uno-due Stabwound Symmetry/Vertical Human Splicing, che quasi riesce a far salire un minimo di fomento; il resto è routine ipertecnica con abuso di breakdown e gran tripudio di assoli ipershreddati come piace adesso. Un esercizio di brutalità gradevole quanto innocuo, esattamente identico a troppe altre uscite del settore. (6.2)

HIDEOUS DEFORMITY – Defoulment of Human Purity (Sevared)
Un logo tra i più illeggibili di sempre e una copertina che sembra disegnata da un bambino di sei anni con seri problemi comportamentali nascondono l’esordio più interessante dell’anno (per ora) quando si parla di brutal death tecnico; loro sono norvegesi ma non lo diresti mai, sono in due (vocals suine e chitarre affilate) e si fanno aiutare da turnisti di gran pregio (il bassista di Blood Red Throne, Deeds of Flesh e miliardi di altri, e l’ex batterista dei Vile, ora negli Arsis). Insieme danno vita a un malsano incrocio tra Deeds of Flesh e primi Cryptopsy ma con un tocco personale magnetico e perturbante e la cieca ignoranza propria di culti minori della Osmose più sommersa, tipo i Ravager; il tutto in meno di mezzora, con (commovente) cover dei Cadaver posta in chiusura a depotenziare. Veramente devastante. (8.3)

INSIDIOUS DISEASE – Shadowcast (Century Media)
Ennesimo progetto all-star (si fa per dire) in cui finisce coinvolto l’onnipresente Shane Embury; gli altri sono il mercenario Tony Laureano, Silenoz dei Dimmu Borgir, Jardar degli Old Man’s Child e il redivivo Marc Grewe, ex vocalist dei dimenticati Morgoth (due grandi dischi di death metal tecnico nei primi novanta, poi la svolta “alternative rock” con l’inascoltabile Feel Sorry for the Fanatic, imbarazzante raccolta di plagi dei Killing Joke dei dischi più tristi che ancora oggi mi vergogno di aver comprato ai tempi). Grewe da una decina d’anni è un travet della Century Media, e la pubblicazione di Shadowcast è evidentemente il suo premio-fedeltà; non si spiegherebbe altrimenti l’esistenza di un disco di ‘blackened death metal’ così fiacco e sciatto, prevedibile come la diarrea il giorno dopo una sbornia e noioso come una coda alle poste coi vecchi che tentano di fregarsi il posto a vicenda litigando ad alta voce, con “bombastica” produzione finto grezza e momenti ‘atmosferici’ reboanti e molesti da gruppetto black metal melodico di quint’ordine che anche il più sprovveduto dei preadolescenti avrebbe già spostato nel cestino prima di arrivare al quarto pezzo. Ospitata frettolosa di Killjoy e scolastica cover dei Death di Leprosy sul finale; un passatempo da dopolavoro giusto un pelo più divertente rispetto a collezionare pipe o sottobicchieri da birra, per Laureano un altro lavoretto si spera ben retribuito. (4.7)

GORTUARY – Awakening Pestilent Beings (Sevared)
L’esordio Manic Thoughts of Perverse Mutilation (2008) era un piccolo capolavoro di brutal death marcissimo e autenticamente ferale, suonato come se non ci fosse un domani (tutti i brani terminavano di botto con coda di qualche secondo in cui potevi sentire gli amplificatori fischiare) e registrato con un feeling live che ti si spalmava addosso tutto il sudore direttamente dalla sala prove. Awakening Pestilent Beings è diverso: pur continuando a legnare come una mandria di sbirri in tenuta antisommossa, la band è molto più ‘controllata’ e pare voler in parte mordere il freno, e i pezzi – indubbiamente più ragionati rispetto al furente attacco frontale del debutto – guadagnano in lucidità di scrittura quel che perdono in spontaneità. Comunque non si capisce la scelta di piazzare la strumentale Interlude, cinque minuti di virtuosismi alla Joe Satriani con chitarre pulitissime e arzigogoli spagnoleggianti in sottofondo, tra due pezzi intitolati rispettivamente Compulsive Ocular Torture e Necrotizing Infection. (6.8)