Piccoli fans: GERMANOTTA YOUTH

"Pronto, casa Bolognesi? Noi semo romani, si venimo lì ve famo un culo così!"

Nella stanza era calato il silenzio. “La camera si è svuotata come sono svuotato io” pensò lui. “Non c’è una legge della termodinamica che dice che il calore non si può distruggere, ma solo trasmettere? Però c’è anche l’entropia.
In questo momento sento il peso dell’entropia su di me. Mi sono scaricato nel vuoto, e non riavrò mai quello che ho dato. È un processo a senso unico. Sì. Sono certo che questa sia una delle leggi fondamentali della termodinamica.”
(Philip K. Dick, Scorrete lacrime, disse il poliziotto)



Ogni epoca ha l’icona pop che si merita: ieri Madonna, oggi Lady GaGa, domani cazzi vostri. Intanto c’è di che fottersi il cervello ora con il nuovo progetto di un sempre più incattivito Massimo Pupillo (se non avete anche solo una vaga idea di chi è e cosa fa andatevene immediatamente affanculo lontano da qui) e altri due regazzi de Roma, il metallaro Andrea Basili alla batteria e lo smanettone Fabio “Reeks” Recchia alle pianole e altre robe strane piene di valvole; quel che insieme hanno tirato fuori è roba che il Whitey Album se dovrebbe vergognà e annasse a nasconne. Non fosse bastato il micidiale The Harvesting Of Souls dello scorso anno (con dentro il pezzo definitivo per questi tempi: Indie rock, fuck off), rincarano la dose ora con un 7” che ti incrina le sinapsi già da titolo (che cita i Pere Ubu) e copertina (opera di uno scatenato Ice One). Dentro è un delirio che posso solo tentare di riassumere in: Crom-Tech, Genghis Tron, Locust, certa roba DHR assurda tipo Patric Catani, le colonne sonore di Cruising e Midnight Express in un frullatore assieme ai circuiti di un Amiga 500 e a badilate di speed, dei Fuck Buttons strafatti di crack che tentano di suonare cover dei Repulsion con una piovra alla batteria, i pezzi belli di Wonderful Rainbow dei Lightning Bolt ma senza la vocetta fastidiosa, suonini da videogame obsoleto tipo Pitfall però mandati a male, Suffocation, Philip K. Dick, benzedrina, Mega Man 3, morte, distruzione, odio per la razza umana. A che pro ascoltare altra musica?

 

Germanotta Youth myspace

Acquista The Final Solution

 

 

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 17-23 ottobre 2011

venerdì

 
Com’è andata a Roma? Avete incendiato tante cose? Gli sbirri vi hanno fracassato il setto nasale? In Rete siete stati segnalati come black bloc da qualche spione telematico anche se sabato pomeriggio eravate a casa a grattarvi il culo? Niente paura, in ogni caso questa sera ci pensa Michael Franti a dispensare camionate di peace & love in dosi da sedare anche un plotone di giaguari inferociti; al Vox di Nonantola, dalle 21, trenta euri. Martedì invece si torna a legnare: al Blogos i thrash revivalisti Gama Bomb più altri degni compagni di merende (Sworn Amongst, Chaos Theory + guest; dalle 22, dieci euro), mentre all’Estragon è di nuovo tempo di epiche battaglie, colossali scorpacciate di selvaggina e mastodontiche sbornie sidro pilotate, scatta l’Heidenfest 2011 e il gjallarhorn risuona ancora (dalle 21.30, trenta euro). Mercoledì Napo è nella casa: dalle 20.30 a MeryXM prima presenta il suo fumetto poi il nuovo set dei Uochi Toki con disegnini on the fly, il tutto come sempre gratis et amore. Che storia, gli US3 sono ancora in giro… te la ricordi Cantaloop? Sempre mercoledì ma al Bravo Caffè, dove poi giovedì arriva Martina, che storia (e due)…  Venerdì sti gran cazzi de I Cani al Covo: gran colata lavica black post metal all’XM24 con Altar of Plagues, Marnero, Gottesmorder e Rotorvator (dalle 22, quattro euro), oppure CAMPING, nuova installazione per Hundebiss Nights al RAUM con live di Jaws, Popol Gluant e Sea Urchin e proiezioni di deliri in VHS opera di James Ferraro e Hype Williams (non quello famoso). File under: incredibly strange music, ma con le palle (dalle 22). Sabato il delirio è addirittura triplo: Righeira al Locomotiv (dalle 22.30, dieci euro più tessera AICS), Acid Mothers Temple al Calamita a Cavriago (dalle 22.30) oppure STARLICKER (Rob Mazurek, Jason Adasiewicz, John Herndon) all’Area Sismica a Forlì (dale 22.30). Se domenica siete ancora vivi poi si può sempre fare la doppietta Acid Mothers Temple al Sidro Club a Savignano (dale 21.30, dieci euro più tessera due euro, posti limitati)…

 

venerdì (pure)

FOTTA: Hella (ancora nessun titolo, sorry)

Giuro su quel che volete, non sapevo che gli Hella fossero ancora un gruppo. Fino a qualche tempo fa, stando a Wiki, nemmeno Zach Hill ne sembrava troppo convinto. Il motivo principale per cui tutta la questione Hella se ne andò a puttane è il tempo fisiologico: il gruppo partiva da una base chitarra/batteria non troppo diversa dal modello Crom-Tech (il primo gruppo di Mick Barr, un disco poderoso su Gravity) ma più avventurosa e proggheggiante. Il disco d’esordio su 5 Rue Christine e tutte le cose pubblicate fino a The Devil Isn’t Red (compreso, oggi vogliamo rovinarci) sono opere di pregio che dovrebbero essere insegnate a scuola. Una versione magra e agile dei Flying Luttenbachers senza black metal, death metal e odio per la razza umana, tre giorni prima che la formazione a due inizi ad andare di moda a furia di Lightning Bolt e gente simile. Dopo un paio di giorni Zach Hill s’aggancia al giro grosso: suona nell’album dei Team Sleep (un terribile side project di Chino Moreno il cui disco, annunciato e rimandato per qualcosa come cinque anni, si è rivelato essere una delle più pretenziose ciofeche dell’ultimo decennio), inizia a lavorare da solista, presta la batteria più o meno a CHIUNQUE. Nello stesso periodo la band decide di pubblicare come terza uscita un album intitolato Church Gone Wild/Chirpin’ Hard, una roba tipo Speakerboxxx/The Love Below del math-noise ignorante (due CD, ognuno dei quali realizzato da un membro senza intrusioni dell’altro). Il disco è un mezzo disastro, una sega mentale di proporzioni bibliche senza manco la componente free-cialtrona dei primi passi del gruppo (molto più presenti, comunque, nella parte di Spencer Seim). Il passo successivo è quello di rendere Hella un gruppo vero e proprio, cioè sostanzialmente buttando nel cestino l’unica vera peculiarità del gruppo, presentandosi con formazione a cinque in occasione dell’ultima uscita, che esce nel 2007 e si chiama There is no 666 in Outer Space (me lo ricordo come una specie di deriva indierock senza pezzi di un disco degli ultimi Primus, ma non sento il disco da ANNI e potrei sbagliarmi). Da lì in poi la band smette di fare cose, Seim scompare quasi del tutto dalla circolazione, Zach Hill pubblica un disco al mese tra side-projects, uscite soliste e collaborazioni con musicisti di ogni estrazione (i dischi in cui pesa qualcosa tendono ad essere terribili menate da riccardoni). Oggi su Stereogum esce l’anteprima di un pezzo dal prossimo disco: la band è tornata a comporsi dei soli Spencer Seim e Zach Hill, ha buttato fuori un pezzo che sembra uscire dalle session di The Devil Isn’t Red e annuncia l’imminente uscita di un nuovo album. Suppongo come mea culpa sia un po’ tardi, ma sempre meglio che un altro 666. In allegato mettiamo la traduzione google del pezzo di Stereogum, una storia piuttosto buffa di una stroncatura dell’ultimo disco che finisce su una maglietta del gruppo.

Nel 2007 ho scritto una breve recensione tutt’altro che positivi di Hella There’s No 666 In Outer Space, il record in cui il duo noise-rock di Sacramento ampliato per un quintetto e ha iniziato a suonare come un roots Mars Volta. È apparso in SPIN. I ragazzi hanno coraggiosamente girato il midollo in una t-shirt. Il mio problema con There’s No 666 è (come quello che ho visto) la mancanza di scopo creata da quei membri extra – cioè lo spostamento non è sembrato necessario. Dunque, quattro anni più tardi, è bello essere in grado di annunciare che Hella hanno un nuovo album all’orizzonte che trova il nucleo del chitarrista Spencer Seim e lo straordinario batterista Zach Hill indietro come un flusso di coppia ben oliata. Ad oggi l’album di 10 canzone non ha alcun titolo. Idem questa canzone. Ma si può ancora ascoltare bene. E brandelli.

Gruppi con nomi stupidi “the Christmas edition”: SKITLIV

 

Il disco delle feste 2010 (ma anche del 2009, e del 2011, e del 2012, e se il mondo non sarà andato a puttane del 2013, e… insomma, avete capito) è stato senza dubbio Skandinavisk Misantropi di Skitliv. Skitliv (che significa “vita di merda” in norvegese) è il progetto principale di Maniac; per chi ha avuto un’adolescenza normale, Maniac è stato il cantante dei MayheM (sai, quei norvegesi matti che si ammazzavano tra di loro) dal 1986 al 1988 e dal 1995 al 2004. Pare sia stato cacciato dalla band perché costantemente ubriaco o strafatto di medicinali che avrebbero dovuto fargli passare la voglia di bere (al suo posto è rientrato il temibile ungherese tossico Attila Csihar, già negli psicotropi Plasma Pool, cantante per caso su De Mysteriis D.O.M. Sathanas poi sfruttatissimo dai Sunn O))) ogni volta che sentono il bisogno di vocals maligne) . Il vero nome di Maniac è Sven Erik Kristiansen; vive a Oslo, ha due figli, il corpo disseminato di tatuaggi più o meno da ergastolano e somiglia vagamente a Marco Materazzi. Soprattutto, canta in un modo assolutamente spaventoso, malsano e profondamente perturbante, impossibile da replicare quanto da raccontare; ci si è avvicinato più degli altri Malfeitor Fabban quando nella recensione di Wolf’s Lair Abyss scrisse che la voce di Maniac sembra provenire da un essere deforme incapace di aprire la bocca per bene (le parole precise non le ricordo ma il concetto era questo). Da quelle corde vocali indistruttibili prendono forma i latrati più raccapriccianti che mente umana possa concepire; dopo il trattamento-Maniac, ogni frase diventa un incubo senza fine, ogni periodo la strofa di una poesia in una lingua sconosciuta il cui suono delle parole basta a fare impazzire di terrore.
Insieme al problematico (Niklas) Kvarforth degli Shining svedesi (quelli depressi, non i segaioli jazz) ha dato vita a Skitliv poco dopo la cacciata dai MayheM (la line-up comprende anche tale Ingvar alla seconda chitarra, Tore Moren al basso e una serie già piuttosto lunga di batteristi avvicendatisi in puro Spinal Tap style). Skitliv è la proiezione del marcio universo interiore dell’artista, della sua squilibrata visione del mondo e delle cose del mondo; musicalmente si articola in un black doom metal strisciante, affilato e implacabile, indolente come un pluriergastolano la domenica pomeriggio e gradevole come un appestato che viene a bussare alla tua porta alle quattro del mattino. Ma la componente in assoluto più straniante è costituita dai testi, spesso chilometrici, in cui l’autore si mette a nudo con una brutalità e una totale mancanza di sovrastrutture perfino imbarazzante; il fatto è che il più delle volte le liriche di pezzi dai titoli già di per se emblematici (Slow pain coming, Hollow devotion, Towards the shores of loss, ecc.) sembrano riflessioni private dal diario segreto di un liceale particolarmente problematico dopo la prima pippa con Baudelaire, un devastante incrocio tra inettitudine cronica e intuizioni fulminanti, atroci velleità da poeta maledetto e dolore puro, affettazione sgangherata e disagio tangibile e tagliente come lame, su tutto il riflesso di un ego ipertrofico e straripante, frenetico e sgraziato e probabilmente rimasto imprigionato in un’età mentale che si aggira intorno ai quindici-sedici anni. Veramente micidiale. Forse soltanto i deliri poliglotti dei Worship del terminale Last Tape Before Doomsday sono riusciti a evocare parte degli stessi scenari (tanto per capire di cosa stiamo parlando, poi il gruppo – perlomeno la prima formazione – cessò di esistere dal momento in cui il cantante-batterista-compositore principale Max Varnier si suicidò lanciandosi da un ponte). Skandinavisk Misantropi è il disco che risveglia il peggiore lato oscuro dentro ognuno di noi, ricordi di emozioni che il subconscio si affanna quotidianamente a sotterrare. Pochi dischi, in questo senso, sanno essere altrettanto molesti. Dal 2009 in poi (anno di uscita di Skandinavisk Misantropi), probabilmente nessuno.
Messe di ospiti più o meno ininfluenti alla riuscita del tutto; tra gli altri un catacombale Gaahl, l’amico Attila Csihar e un esagitato David Tibet che declama stronzate nell’intro di Towards the shores of loss.

SWANS @ Locomotiv (Bologna, 4/12/2010)

 
Non si pretenda mai, da nessun essere umano, di garantire alcunchè: dopo tredici anni Micheal Gira resuscita Swans.”
(Paolo Bertoni)

THIS IS NOT A REUNION. It’s not some dumb-ass nostalgia act. It is not repeating the past. After 5 Angels Of Light albums, I needed a way to move FORWARD, in a new direction, and it just so happens that revivifying the idea of Swans is allowing me to do that.”
(Michael Gira fornisce la sua giustificazione non richiesta)

Decoroso.”
(Reje, a proposito di My Father Will Guide Me ecc. ecc. ecc.)

 

In effetti non si può dire altrimenti del ritorno di Michael Gira alla ragione sociale Swans: il disco è un buon disco che si inserisce agevolmente nel percorso tracciato dal draconiano Gira nei lustri successivi allo split con Jarboe, unico cambio di rotta il ripristino di chitarre acuminate e bordate massimaliste al posto della chitarrina e delle orchestrazioni, comunque il mood alla base resta il medesimo; un disco che hai già metabolizzato al primo ascolto, calligrafico ma (miracolosamente) non opportunistico, blandamente oppressivo e vagamente ispirato, addirittura rassicurante nella sua prevedibile funzionalità da classico minore. Dal vivo è un’altra storia. Dal vivo non è cambiato niente, dici Swans ed è di nuovo ridefinizione radicale di concetti come sopraffazione, prevaricazione e umiliazione applicati alla musica. Brani dilatati sformati trasfigurati che diventano veri e propri strumenti di tortura adoperati scientemente per brutalizzare gli spettatori, sfinirli, prostrarli, annichilirli fino alla sottomissione totale e alla resa incondizionata; evidentemente con gli Angels of Light e i solo show il pubblico non soffriva abbastanza (in effetti ricordo un concerto del ’99, era il tour di New Mother, decisamente tranquillo e perfino piacevole; poi non l’ho più visto live fino ad oggi). Ecco quindi che con i nuovi Swans Michael Gira torna a essere quel che è sempre stato e a fare quel che ha sempre fatto: un sadico sensibile che trae forza vitale dal disagio del suo uditorio, un vampiro emozionale che si nutre esclusivamente di vibrazioni negative, inculcando come un cancro maligno nella mente e nel corpo di chiunque gli stia intorno il suo malessere personale (che poi è il malessere di per sé stesso, la cosmica malvagità dell’universo o come lo vogliate chiamare)  allo stesso modo in cui si marchiano i vitelli, violentemente, irreversibilmente e senza troppe cerimonie.
In questo Gira trova nel Locomotiv il locale ideale per veicolare il suo transfert malsano. Nella bella intervista pubblicata su Blow Up di dicembre aveva dichiarato: Ho scelto in diverse occasioni di spegnere i condizionatori del locale in modo che l’aria sia asfissiante e parte del pubblico per questo sembri al limite dell’essere presa dal panico. Mi piace l’idea che si crei un’atmosfera che sia simile al trovarsi in una delle capanne sudatorie che erano in uso nelle comunità indiane. Detto, fatto: il Locomotiv post-insonorizzazione è a tutti gli effetti un forno crematorio legalizzato, un budello ermeticamente sigillato dove non tira un filo d’aria e il tasso di umidità è superiore alla media pomeridiana di Singapore nel pieno della stagione delle piogge. Risultato: i vestiti zuppi, il fiato cortissimo e l’aria irrespirabile già al secondo pezzo dell’artista di spalla, un cinghialesco James Blackshaw davvero emozionante e comunicativo quanto tristemente fuori contesto – almeno a giudicare dalle reazioni del berciante e molestissimo pubblico, disattento e infastidito come non mai. Per movimentare ulteriormente la situazione, tutti i fari rimarranno costantemente accesi e puntati sul pubblico per l’intera durata dell’esibizione (è per questo che non trovate foto a corredo dell’articolo), aumentando in maniera considerevole la temperatura interna del locale, già insensata di per sé; sono a quanto pare le condizioni climatiche necessarie per un live degli Swans versione 2010. Un lungo drone montante precede l’ingresso in scena dei musicisti, per primo il segaligno Phil Puleo (batteria e xilofono), poi il pelosissimo Thor Harris (neanderthaliano percussionista già negli Angels of Light), quindi il rotondo Chris Pravdica (basso, da subito intento a rinforzare il drone previa massicce iniezioni di ulteriore feedback spaccabudella), l’elegante Christoph Hahn (slide guitar, peraltro molto meno incartapecorito di quanto mostra l’ingannevole ritratto nel booklet del disco), l’allampanato Norman ‘Pertica’ Westberg (chitarra, occhi pallati e tatuaggi orribili) e, da ultimo, il bucolico Michael Gira, camicia da mandriano e portamento solenne da sacerdote pazzo. Parte una gragnuola di riff sopra il drone di cui sopra, che si allunga e cresce e tira e manda in paranoia i centri neuronali; Gira è impossessato, misura il palco con passo febbrile, incassa la testa tra le spalle e scalcia l’aria come un cowboy deforme, è uno spettacolo ipnotico e perturbante al tempo stesso, è l’essenza stessa del dolore. Il suono cresce e si espande come miele caldo misto ad acido corrosivo, la gabbia toracica si squaglia come in un quadro di Francis Bacon, le tempie pulsano come prossime all’esplosione, i vestiti che indossiamo aderiscono al corpo come una seconda pelle. Perdo la cognizione del tempo, di colpo riacquisto un barlume di lucidità quando mi rendo conto con orrore che mi viene da vomitare e da cagarmi addosso simultaneamente, guardo l’orologio e scopro che è passata un’ora; porto alla bocca la bottiglia d’acqua che tenevo in borsa, il liquido è caldo come piscio rimasto a macerare al sole. I Crawled (per l’appunto), e Christoph Hahn a momenti si soffoca da solo per un sorso di cocacola ingurgitato male; sembra che il mondo intero stia sudando peggio che in una fonderia a ferragosto, Gira a petto nudo ci scruta come fossimo tanti piccoli scarafaggi indegni anche di finire schiacciati. Il bis arriva come la liberazione dopo un mese in cella di isolamento, la morsa si allenta, è come iniziare a riemergere dalle profondità degli abissi; in due ore e un quarto hanno suonato nove pezzi. Ho bisogno di ossigeno più di ogni altra cosa al mondo e potrei srotolare un delirio su quanto si esca mondati di parte della merda che abbiamo dentro dopo un’esperienza del genere ma sono troppo provato e debilitato e profondamente esausto e a questo punto mi accorgo che non ho più nemmeno le parole per dirne.
Scaletta:
1. No Words/No Thoughts
2. Your Property
3. Sex, God, Sex
4. Jim
5. ??? (questa non sono riuscito a identificarla)
6. I Crawled
7. ??? (anche questa buio totale, se ne sapete qualcosa fatevi vivi)
8. Eden Prison
9. Little Mouth (bis)

 

 

N.B.: non ricordo da dove ho preso la foto più sopra. Tempo fa ho fatto una ricerca su google immagini inserendo come chiave “michael gira”, ho trovato quella, mi è piaciuta e l’ho salvata ma non ricordo nient’altro. Forse stava sul flickr di qualcuno. In ogni caso, chi volesse reclamarne la proprietà è più che benvenuto.

Bagattelle per un rientro (ma i ciccioni sognano pecore affamate?)

Agosto, è il più crudele dei mesi. Sono dimagrito quest’estate pur pesando adesso tre chili di più, e per festeggiare la cosa ieri, tornando a lavoro, ho vagato per l’intera pausa pranzo nel deserto quartiere Trieste, alla ricerca di pizza, trovando chiuse persino le tane dei topi, e dunque non mangiando, sudando, dimagrendo ancora.

Il senso di vuoto dato da un’estate che ci ha portato via Cossiga senza, a sorpresa, ridarci Moro e nella quale ho letto due quotidiani al giorno (da cui ho tratto che tra destra e sinistra preferisco l’uva passa), Pedro Pàramo, un libro di antropologia del cibo (nonostante apprezzi il relativismo culturale, non per questo mangerò il mio cane stasera) e un Dylan Dog e un Martin Mystère brutti come non mai, è accentuato [il senso di vuoto, per chi come me si fosse perso] dalla fine della stessa. In realtà non ho provato alcun senso di vuoto quest’estate, amo l’ozio nel quale prosperano idee, felicità e blog, il vero vuoto è dato dal lavoro e dal fortissimo bisogno di fare qualcosa di bello nella vita.

Così, appurato che ne farò 31 a breve e presto verrò ceduto al Chievoverona o addirittura in B per finire in pace la carriera, sto vagliando al momento le seguenti ipotesi per il mio autunno indaffarato: imparare lo spagnolo (pro: quando andrò in Messico potrò parlare con la popolazione locale e dire in spagnolo yo no soy gringo ottenendo sconti e l’ammirazione di mia moglie; contro: detesto i giochi di ruolo che si fanno ai corsi di lingua e tempo fa ho scritto di odiare la Spagna e svelerei così la mia incoerenza; infine SI STUDIA), imparare (bene) il tedesco (pro: in prospettiva, non dovrò più fingere di capire quando i miei datori di lavoro tedeschi mi si rivolgono nella loro lingua, e i libri scritti in tedesco potrò leggerli oltre che citarli nella bibliografia della tesi – dove mi sono permesso anche di giudicarli, eh: ma qui faccio herauskommen e confesso che non ho mai letto una stracazzo di riga in tedesco in vita mia – e potrei azzardare altre risposte oltre a “ja” e “ich denke ja”; contro: odio il tedesco, e hitler aveva notoriamente una palla sola), imparare l’arabo (ho trovato un’associazione rivoluzionaria filopalestinese vicino casa mia dove fanno dei corsi a poco. Pro: possibilità di scrivere divertenti resoconti su Bastonate, presenza di droga assicurata, non necessità di lavarmi; contro: perdita di tempo totale, impegno notevolissimo per conseguire zero frutti, rischio di avvicinarmi per quieto vivere al popolo viola, possibilità di arresto o di tardiva mia adesione alla questione ebraica), fare yoga (pro: possibilità di carriera come yoghi, bubu o santone d’altro tipo; contro: scoperta dell’omosessualità pressoché certa, rischio di mia vestizione in lino bianco, abbandono di tutti i vizi, irritabilità dei miei cari a fronte della mia superiore saggezza), fare volontariato in un canile (pro: milioni di amici sinceri come solo i non umani sanno essere, sentimenti forti a cannone, lacrime calde, buone sensazioni riguardo a me stesso, buona impressione presso la gente o cattiva impressione abbinata a mio senso di superiorità, conoscenza dell’animale-cane da riutilizzare nella costruzione del rapporto con il mio cane personale, energie ora sprecate per lamentele nevrotiche e Bastonate reimpiegate in qualcosa di utile; contro: puzza de cane DEVASTANTE, difficoltà di conciliare una vita lavorativo-affettiva normale e un impegno in posti ultraperiferici con nomi tipo Casal Finocchio o Torre In Cula, il mio cane verrebbe trascurato da me, impegnato con altri cani, e dovrebbe essere trasferito in canile); volontariato per una associazione in difesa dei diritti degli obesi (pro: possibilità di sentirmi magro, sincera simpatia per la causa, disprezzo di chi usa ciccione come insulto; contro: essere genericamente considerato un obeso qualora mi presentassi al telefono con una frase tipo “Buongiorno sono Daniele della Associazione Amici Bucioni”; mangiare fuori never ever again), praticare il kendo (pro: materiale per Bastonate – che si chiama così proprio in onore di questo sport, nel caso non lo sappiate – come se piovesse, possesso di una maschera e di una corazza riutilizzabili ogni carnevale, possibilità di carriera e medaglia olimpica; contro: omosessualità impugnata e sfogata con altri omosessuali in maschera, docce in comune con i camerati del dojo e poi tutti in circolo a vedere chi ha davvero il bastone, piedi nudi esibiti). Infine c’è la possibilità-alfa, ossia di iscrivermi a un corso di ballo lindy hop con mia moglie (pro: possibilità di controllo-stalker sulla vita di lei, nonché di strapparla dalle possenti braccia muscolose dell’istruttore Roberto – pronunciato come nella canzone di Lady Gaga – dai fianchi stretti e dal culetto atletico; contro: la mia virilità definitivamente buttata al vento, goffaggine d’altri tempi, prese in giro dai bulli – anche se un film per donne nel 2060 mi rivaluterà mostrandomi come simbolo della libertà; io, anziano, farò un piccolo commovente cammeo in cui volteggerò leggiadro nonostante l’età -). Mi risolverò nel non far nulla salvo forse poche cure mediche, ma mi cullerò ancora nell’incertezza fino al ventinove o al trenta.

Non c’è comunque niente di peggio che aprire un blog e trovarci fastidiose considerazioni personali di un nessuno come me. E una voce da qualche parte urla COSA HA A CHE FARE LA MUSICA CON TUTTO QUESTO?, e io non posso darle torto pur ricordando che a ben vedere la musica non ha nulla a che fare con nessuna rock band ad oggi in attività fuorché forse la Rollins Band (che suppongo ancora in attività), il tour solista di Greg Dulli e la serie tv Californication. Ieri ho regalato a Valentina il nuovo disco degli Arcade Fire – lei lo ha ascoltato stamattina in macchina andando a lavoro e mi ha detto che è bello, e questo giudizio è definitivo e valevole per tutto il mondo: compratelo con fiducia a scatola chiusa -, cui ho aggiunto d’impulso Disintegration dei Cure (funziona sempre) e The Waste Land di Thomas Stearns Eliot (a parte un paio di riempitivi, è sempre un gran bel disco). Stasera ascolteremo Fred Neil e i Waterboys in vinile bevendo vino rosso.

La mia passione per la musica sta diventando sempre più retroattiva, come nel caso dei vecchi. I gruppi che vanno oggigiorno non mi interessano e a dire la verità non li conosco proprio – tempo fa ero al Circolo per vedere Micah Hinson e ho notato di non aver mai sentito nominare la maggior parte delle band in programma in quel periodo. Ha chiuso il negozio Vinile di Terracina, dove comprai Lies dei Guns n’Roses, un disco degli Scisma e uno dei Pitch, e anche se quanto ho appena scritto sembra alludere al 1995, in realtà tutto ciò è successo un anno o due fa. Ho letto su Bastonate che è uscito un nuovo disco dei Peeesseye, e questo mi ha scosso un po’ dal torpore (ma cercando Peeesseye su Google come primo risultato esce “after being in the wastelands for years…” e questo, nel mostrarmi che è tutto collegato e queste righe che scrivo erano il vero motivo per il mio acquisto di ieri, mi ha sgomentato e perciò non sono andato avanti), e su Libero che la Nannini è incinta a 54 anni, e che l’opinione pubblica si divide al riguardo. E’ giusto dunque che una donna abbia un bambino in tarda età e nonostante l’omosessualità? Avere figli è un diritto, lo è la stessa vita? Cosa dice bell hooks? E la Professoressa Mary Warnock? Bè, per fortuna qui non siamo a Filosofia ad Oxford (e manco al Dams di Teramo a dire la verità) e posso dire in tutta libertà che alla vecchia lellona j’ha scureggiato er teschio (© di alcuni ragazzini che ho sentito usare quest’espressione sull’autobus), e a ben vedere ha scureggiato ancor di più il teschio di chi l’ha messa incinta – ma forse è stato un demone, e dunque da quel ventre uscirà Uno Di Noi e tutto ciò deve essere accolto come un segno positivo.


Quello che ho davvero fatto quest’estate è stato: compilare liste.

I miei intellettuali preferiti sono al momento: Hank Moody e il Papa.
Le persone morte che stimo: Akira Kurosawa, Francesca Woodman, Albert Ayler, E. E. Cummings.

Le vive: Luke Perry (in quanto Dylan), David Duchovny (in entrambi i ruoli), Kyle McLachlan (come agente Cooper e Ray Manzarek). E se ehi mi state dicendo che sono tutti attori di serie tv, posso aggiungere alla lista Leo Strauss e se ma ehi Leo Strauss è morto e neanche da poco, affanculo, dunque aggiungo il ciccione di Mean Creek e Ahmadinejad.

I miei dischi metal preferiti: Raza Odiada (Brujeria), Far Beyond Driven (Pantera), Blaze (Darkthrone).

I miei dischi black-metal preferiti: Blaze (Darkthrone), Filosofem (Burzum), Blaze (Darkthrone).

Le mie opere filosofiche preferite: Tractatus (Wittgenstein), Filosofem (Burzum), Blaze (Darkthrone).

I dischi pop: Se questo è un uomo, La Tregua, Disintegration.

I concetti: la Predestinazione; la Giustizia come disgiunta dalla Legge; la Relatività Culturale. Blaze (Darkthrone).

Le cose più fastidiose: il palio di Siena, la Repubblica, il viavai di cinesi sul trenino delle Ferrovie Laziali.

Le mie competenze preferite tra quelle che non ho: matematica, fisica, cinema d’avanguardia.

Arti marziali: kendo, budokan, Filosofem (Burzum).

Cani: 1. Kalami, 2. Pongo, 3. Miki. Nomi per cani: 1. Ufo 2. Fido 3. Fifa. Animali: il Cane, la Scimmia, la Giraffa. Animali odiati (dal più al meno): 1. La Blatta 2. L’Umano 3. Il Gatto.

La mamma o il papà? La mamma.

La moglie o la mamma? La moglie.

L’ebreo o il palestinese? L’ebreo.

Marx o Freud? La Yellow Pecora.

Segue un lungo post scriptum tratto da Yahoo Answers (domanda: “Qualcuno mi racconta la barzelletta della yellow pecora?”):
“— La yellow pecora —

C’era un pastore che aveva un gregge di pecore.
Era molto povero, ma la fortuna volle che un giorno una sua pecora partorì una pecorella speciale: era tutta gialla. Decise così di chiamarla “yellow pecora”.

Turisti provenienti dal mondo intero venivano a vedere la Yellow pecora pagando fior di quattrini, e il pastore cominciò presto ad arricchirsi.

Ma un giorno la Yellow pecora sparì nel nulla, senza lasciare traccia alcuna.
Così il pastore chiamò i suoi tre figli e gli disse:
“figlioli, io vi voglio molto bene, ma come ben sapete la yellow pecora era la nostra unia reale fonte di guadagno. Se non la ritrovate vi ammazzo.”

Sollecitati da tanta premura, i tre fratelli si riunirono; il più grande disse:
“sono il primogenito, andrò io a cercala.”

Girò tutta la campagna ma non la trovò; girò tutta la egione ma della pecora nulla.
“tornò dal padre e gli disse:
“babbo, l’ho cercata ovunque ma non cè!”
“ah sì, bene bene…”

E lo uccise con una fucilata.

Il secondogenito allora disse al fratello rimasto:
“Vado io a cercarla ora, sono rimasto il più grande”.

Girò tutta la nazione, andò in Tv, ma niente.
Tornato dal padre disse:
“Papà, mi dispiace, ho fatto del mio meglio ma non l’ho trovata”
“ah si? bene bene…”

E sparò anche al secondogenito, uccidendolo.

Il terzo e ultimo fratello rimasto decise che era ora di ritrovare quella maledetta pecora. Girò tutto il mondo, mise annunci in rete, andò in diretta internazionale: nulla.

Torno dal padre mesto, sperando nella pietà del genitore.
“papà, senti, sono l’ultimo figlio rimasto… non l’ho trovata la pecora… ho cercato ovunque!”

“ah sì, eh… bene bene…”

E lo uccise col solito fucile.

Fine.

Vabè dai ve ne racconto un’altra sennò vi deprimete:

C’era una vecchietta viveva sola col suo cane. I figli erano ormai grandi e vivevano lontani, e il suo compagno era passato a miglior vita.

Un girono decise di fare un viaggio in reno, ma la sfortuna volle che il treno deragliò.

La vecchia signora si svegliò in ospedale, e il suo primo pensiero fu per il suo amato cane. Chiese ai medici come stava, lro gli risposero che stava in infermeria per curare alcune ferite profonde. In realtà il cane era morto nell’incidente, ma preferirono non dare questa notizia così triste ad una anziana ancora in ricovero.

LA vecchia guarì e fu dimessa, ma ancora non gli venne detto del sua cane.

Una mattina, mentre lei si trovava sul suo letto, sentì grattare alla porta
“è lui!” pensò “lo hanno dimesso!”

piano piano si alzò dal letto, scese le scale
attraversò tutto il corridoio,

aprì la posrta e..







PITCHFORKIANA – SPECIALE DEATH METAL (2): Aeon, Grave, Order of Ennead, Thulcandra, Trauma

AEON – Path of Fire (Metal Blade)
I dischi precedenti erano qualcosa sul genere versione europea dei Deicide con testi che al confronto Glen Benton è un chierichetto laureato ad Harvard. Qui provano ad ampliare leggermente lo spettro delle influenze andando a pescare dalla scena polacca dell’asse ultimi VaderDecapitated dei primi tre dischi, riuscendo a rileggere il tutto in modo efficace, coerente e personale. I testi sono deliziosi come sempre, e c’è pure un intermezzo atmosferico alla Nile dal titolo più stupido sentito negli ultimi mesi: Total Kristus Inversus.Grande album. 7.7

GRAVE – Burial Ground (Regain)
I vecchi dischi non è nemmeno il caso di ritirarli fuori come termine di paragone. Da quando i Grave si sono riformati escono con un nuovo album ogni due anni esattamente identico al precedente, logo e copertina puntuta da inferno dantesco compresi. Qualche sussulto di vita nel precedente Dominion VIII (decisamente un buon disco) ci aveva fatto ben sperare per il futuro, ma con Burial Ground si torna al solito piattume zanzaroso con testi da mongoloide, scritto e registrato modello ‘buona la prima’ e confezionato in fretta e furia nella speranza di turlupinare qualche reduce. Il fatto che loro siano stati tra i fondatori dell’intera corrente death svedese non costituisce un alibi per l’esistenza di prodotti del genere, ma – semmai – un’aggravante. 4.2

ORDER OF ENNEAD – An Examination of Being (Earache)
Progetto voluto da Steve Asheim in un momento in cui i Deicide erano in pausa forzata (forse Glen Benton era finito al gabbio, non si è mai saputo, comunque non poteva espatriare); dopo il debutto omonimo di due anni fa, An Examination of Being è il loro secondo disco. Quanto proposto è un death metal a forti tinte black con tempi di batteria da maratoneta sotto anfetamine (come è lecito aspettarsi dal personaggio), testi introspettivi portatori e generatori di paranoie assurde, assoli melodici da guitar hero giapponese e screaming vocals al vetriolo atipiche e malsane. Molto inquietante e non privo di un certo fascino perverso da culto minore. 7.3

THULCANDRA – Fallen Angel’s Dominion (Napalm)
Divertissement di Steffen Kummerer degli Obscura nato appositamente per plagiare i Dissection (ma dentro c’è anche qualcosa dei Necrophobic svedesi e dei dimenticati Eucharist), con tanto di intro identica a At the Fathomless Depths, gran dispiego di riff e accordature “alla Thorns” (il vero nume tutelare a cui tutti hanno rubato tutto), cover di The Somberlain finale e copertina di Kristian Wåhlin che per l’occasione torna a firmarsi con l’antico nom de plume Necrolord: il disco ideale per i nostalgici più disperati (ma solo quelli di bocca particolarmente buona) ora che l’ammazzafroci si è fatto saltare le cervella. Noi torniamo ad ascoltare gli originali. 5.2

TRAUMA – Archetype of Chaos (Witching Hour)
Ritorno della leggenda polacca con un altro tassello, l’ennesimo, di un percorso inattaccabile per coerenza, ispirazione e rigore, che sembra davvero non conoscere cedimenti. Death metal spaccaossa e svitacollo dal primo all’ultimo secondo (eccetto l’intro tastierata di prammatica), brutale e intenso, suonato con una foga e un trasporto che commuovono, tecnico senza mai eccepire, al passo coi tempi senza per questo dimenticare la vecchia scuola. Una benedizione. 8.0