Andrea Girolami

Andrea Girolami è una specie di piccola internet. La sua bio sta qui. Parto da un punto ovvio:

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diceva l’amico Technoiglesias (è l’ottantesima volta che lo cito), ai tempi gloriosi dell’esplosione witch house, che il monitor è il nuovo packaging. Nel video di Oneohtrix Point Never si dice che As you look to the screen, it is possible to believe you are gazing into eternity.

d’altra parte il pezzo/video stesso si chiama Still Life. Ti va di dire qualcosa prima che io ti faccia una domanda?

Ho letto tre volte la domanda e sarà che a questa ora sono un po’ bollito ma sono quasi certo sia una supercazzola. Siccome però mi pare brutto rispondere subito con un “no” mi sforzo di dire qualcosa d’intelligente. Pensa al concetto di videoclip, una parola che puzza di vecchio, di MTV degli anni 80-90 e invece siamo ancora qua a parlarne, anzi oggi più che mai. YouTube ha giocato lo scherzetto e la musica di oggi su internet è più che mai dipendente da questo mezzo promozionale, perché in fondo di questo si tratta. Insomma è sparito il supporto, pure quei pochi servizi fotografici nei giornali di musica cartecei ma l’immaginario attorno i gruppi bisogna pur crearlo in qualche modo. Ecco che il video che diventa allora valvola di sfogo assoluto di questi anni per raccontarci le storie di tutti, da Lady Gaga ai Club Dogo ma pure a quelli indie più sfigati di cui si parla qua su Bastonate. “Il monitor è il nuovo packaging” è un po’ approssimativo, gli esperimenti promozionali che coinvolgono l’interattività del computer mi sembrano ancora un po’ complicate e poco efficaci, invenzioni degli Arcade Fire comprese. Più semplicemente titolerei “Il ritorno del videoclip, vendetta a sorpresa

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Adesso ti metto io una foto, quella di Jake La Furia da giovane (o se non è lui gli somiglia una cifra). Primo perché fa ridere (e tenerezza). Poi perché credo che il primo motivo per cui la musica in Italia va peggio che altrove è perché i media/le case discografie/l’industria in generale non è capace di creare la mitologia necessaria attorno l’artista, quella che ci porta a comprare i dischi dei Daft Punk come degli Slint. La solita storia che in Inghilterra un gruppo va sulla cover di NME pure al secondo singolo e tra le tante scommesse molte se ne vincono pure, se uno invece non gioca mai o gioca male….

Il secondo motivo per cui non si riesce a campare di questo è invece per quello che dice Jake in Musica commerciale: “Se la gente non viene ai concerti, se i cd non li vuole pagare / non è che l’Italia è un paese di merda, siete voi che fate cagare”. Purtroppo negli vedo pochissimi gruppi italiani capaci di parlare davvero non dico ad un grande pubblico ma a qualcuno che non sia quello del proprio giardino. Per fortuna ci sono stati I Cani, Le Luci Della Centrale Elettrica e anche se non mi piacciono Lo Stato Sociale a raccogliere un po’ di consenso, ma insomma un panorama così asfittico in termini artistici (opinabile) e di numeri (dischi, gente ai concerti, voglia di fare) e di discorso non è normale. Tu che dici?

Boh ci sono cose su cui non sono d’accordo, e la domanda si compone di due cose. Per prima cosa il fatto che il monitor sia il nuovo packaging in senso stretto non vuol dire che qualcuno lo possa usare come veicolo promozionale, anzi, per certi versi il monitor è anche la liberazione dal concetto di promozione. mentre stai lì a guardare il videoclip dei Dogo arriva qualcuno da dietro e dice che questa cosa che stai guardando non va bene e devi fare altro. Magari tua sorella su gtalk o sedici citazioni su twitter in un minuto che ti obbligano a spostarti sul telefonino, poi ti rimetti a guardare il video ma c’è già una cesura, qualcosa che entra a far parte di un processo dinamico. Un processo nel quale il videoclip diventa una cosa che da una parte conta come numero puro (tipo nel rap sono ossessionati da quanti hit fa un dato video rispetto a un altro) e dall’altra è supposto NON essere guardato necessariamente da cima a fondo. Questa cosa per me nel pop è visibilissima: un video di Lady Gaga, che è comunque uno dei pionieri IMHO di questa comunicazione, è scomponibile. Tipo Applause consta di una ripetizione modulare degli stessi quindici secondi di video in cui Gaga è vestita come la morte o come una bomboniera e balla in un’ambientazione piuttosto che un’altra, e questi quindici secondi vengono ripetuti ad oltranza in un modo anche molto militare -alla fine ne hai la piena. Anche Occhio per occhio di Anna Tatangelo segue la stessa impostazione. E tra l’altro per me è una cosa molto diversa guardare il video di Anna e basta o guardare il video di Anna con tre persone che nel frattempo su talk ti chiedono come stai. Un’altra ancora è guardare il video di Anna, mandare il link a qualcuno che lo guarderà con un delay di un minuto e commentarci la cosa a vicenda, poi lui magari si mette a fare degli screenshot e va su 4chan o cose simili e diventa una questione di secondo grado (ancora il video di 0PN). Vado a capo senza ragione, l’immagine qui logicamente è la copertina del nuovo di Gaga, che potrebbe tranquillamente essere la copertina di un disco di Ferraro

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Ci sono numerosi casi in cui la presa per il culo, i video tarocchi su Vine e tutte quelle cose diventano il nodo centrale della campagna promozionale -tipo gli ultimi due mesi di Miley Cyrus ma anche boh, quella cosa del Winner Taco che immagino tu abbia tenuto sott’occhio- ma questa cosa non dà origine a una vera e propria tassonomia, serve solo a buttarti in mare -e da lì in poi se nuoti o non nuoti è un problema tuo, ecco. Tanto vale imparare a nuotare prima, credo: fare dischi e suonare. Da questo punto di vista io l’indie italiano non lo seguo moltissimo, ma il fatto che sia italiano, di per sé, lo squalifica. Gli Slint sono gli Slint anche perché qualcuno a un certo punto se n’è fatto carico dentro o fuori dagli USA e ne ha iniziato a parlare. Fosse dovuto dipendere dall’Italia, il loro successo artistico non sarebbe esistito. I Daft Punk sono un gruppo che qualcuno, anche qualcuno che scrive di musica (mi viene in mente un certo Pipitone sul blog del Fatto), dalle nostre parti considera un patetico gruppo da due singoli che ha incontrato un’onda critica favorevole. Tra l’altro l’attuale spostamento del canone critico su questa sorta di flusso, diciamo così, tende a fare perdere peso alla narrativa musicale, e questo alla fine è il principale motivo secondo cui il mito del rock (l’artista tormentato o il Liam Gallagher, non fa molta differenza) è molto più in crisi del mercato del rock.

Tu comunque sei uno dei maggiori responsabili di questo spostamento dell’asse cognitivo del pubblico (italiano) verso una dimensione della musica indie più concreta e da vita di tutti i giorni, per via di Pronti al Peggio. Cioè vedere Capovilla che fa il cameriere tende a stamparti in testa una dimensione “umana” del personaggio che o non fitta, con la dimensione istituzionale/artistica che lo stesso Capovilla vuole dare dalla sua apparizione a Pronti al Peggio in poi. Per dire. Per certi versi è lo stesso formato a diventare un tramite, un gestore di status. Non so, vedo Malika Ayane che risponde a un blind test e penso “ecco, lei fa parte dei regaz”, non che io sappia cosa si intenda per regaz. Mi sbaglio? Ti ci senti? Non ci sarà una s03 di Pronti al Peggio?

Hai detto un sacco di cose ma io prendo quello che mi interessa e butto il resto, che poi è quello che si fa oggi online ed il succo del discorso che stiamo facendo.

1) Il fatto di non vedere i video da cima a fondo è una cosa che è passata ormai da un po’, secondo un momento epocale è stato il video dei Canada per El Guincho, loro non so come in qualche modo han capito che l’unico modo di raccontare storie oggi era quello di raccontarne 1000 tutte assieme e lasciare lo spettatore col cerino in mano a dover capire come unire i puntini. Che se poi il regista è bravo un filo rosso per quanto sottile c’è sempre. Da lì li han seguiti tutti e oggi quello dell’accumulo caotico in video è quasi uno standard, guardati anche gli ultimi di David Guetta – Play Hard che tra l’altro è fatto da Andreas Nilsson che è un regista del cristo.

2) La storia del Winner Taco non so di cosa parli ma ho visto che han “ristampato” pure il Cono Palla, siamo alla retromania pure qua, butta così

3) Il fatto che il flusso di cose (immagini, canzoni, porno, articoli) in cui siamo immersi faccia perdere la narrativa che dici tu è una cosa da vecchi. Quella che abbiamo oggi è una nuova narrativa, come dicevo a proposito dei video qui sopra. Ultimamente ho letto questo illuminante saggio Athletic Aesthetics  che spiega perfettamente come sia passati da un’economia della scarsità (io sono l’artista e faccio un disco ogni 2 anni o più) a una dell’abbondanza (io faccio cose in continuazioni perché non mi costano nulla e ho più possibilità di farmi notare e beccare quella giusta). Potrei dilungarmi ancora 5356 mila battute ma dico solo una cosa: Se una notte d’inverno un viaggiatore, andatevelo a rileggere, lì dentro c’è già tutto.

4) co sta cosa di Pronti Al Peggio basta dai, sono anni che è fermo ed è incredibile come la gente ancora mi continui a scrivere per questa cosa anche se oggi con i video che produco per Wired raggiunto tipo 135mila volte più persone e spesso sono anche più professionali sotto molti aspetti. Con i documentari su i musicisti-lavoratori al tempo non volevamo rendere tutto più concreto ma invece cercare di rifondare una mitologia della musica italiana che spesso era basata su una disinformazione bestiale per cui spesso incontravo gente online che pensava che gli Offlaga Disco Pax e i Giardini di Mirò girassero in Ferrari solo perché avevano i video su MTV.

Invece secondo me la vera figata era nella tensione del musicista vicinissimo (quando lavora, quando ha le sbatte come tutti noi, quando lo becchi su i social) e lontanissimo (quando è sul palco, quando è in tv, sulle copertine). Una logica che oggi credo sia passata ovunque, che ritrovo anche nelle foto di Miley Cyrus sbollata in albergo con flash sparato in faccia subito dopo il red carpet mondiale. In Italia però siamo ancora troppo provinciali e non è mai passato questo discorso infatti Pronti Al Peggio non è mai andato in TV dove il trucco e parrucco sono d’obbligo. La colpa credo sia anche di chi vede X Factor e passa le serate a twittarci sopra. Volevo accusare te di intransigenza ma finisco con l’esserlo io: credo quello sia il male del nostro paese. A differenza dell’Inghilterra, dove  è ok perché c’è spazio per gli show tv di questo tipo ma anche per la musica da suonare nei locali, da noi quella roba ha finito per essere sinonimo di musica tout court cannibalizzando il resto (per poco che fosse) e riportandoci indietro di qualche decennio sotto tanti punti di vista di immaginario.

5) Pronti Al Peggio 3 non lo faremo mai perché non c’è il tempo, ci siamo finiti i gruppi italiani da spolpare e soprattutto non ci sono i soldi. Dici che col crowdfunding tiriamo su 40K per fare le cose per bene? Ne dubito. Ma va bene così sono format che hanno fatto il loro tempo, ora c’è bisogno di altro ancora e senza limitarsi alla musica che, se c’è una cosa che Internet e balle varie ci hanno insegnato, è un collante universale, un blob che amiamo ma che serve soprattutto a tenere assieme una serie di argomenti, riferimenti e mondi diversi e anche distanti tra loro (tecnologia e musica, moda e musica, lifestyle e musica etc etc).

Secondo me abbiamo già blaterato pure troppo, ti lascio solo con una delle immagini più forti, belle e vitali che racconta questi ultimi anni e quello di cui secondo me abbiamo parlato. Ci vediamo tutti su Tumblr che è il posto dove discutere di queste cose non certo questo blog da vecchi babbioni come noi.

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true believers e/o dischi stupidi: DREDG

I Dredg erano un gruppo di rock storto californiano. Il loro primo disco, Leitmotif, venne fatto uscire da indipendente a fine anni novanta e ripubblicato sotto il marchio Interscope nel 2001. Era una specie di outsider del periodo: se ne iniziò a parlare (non riesco a capire a che titolo) nel corso dell’esplosione del nu-metal, del quale vennero venduti a un certo punto come una balzanissima variante in salsa prog. Era un bel disco, Leitmotif. Non quello che si dice un disco con un senso, specie non se inserito in un contesto tipo “ha fatto poche copie da indipendente, lo prendiamo e lo facciamo diventare il gruppo degli anni duemila”, ma aveva qualcosa che funzionava. Sembravano i Jane’s Addiction emo e senza droghe dopo due anni di ascolto coatto di soli dischi incisi a Louisville, come avrei potuto tranquillamente scrivere (magari l’ho fatto) in una recensione a cui mettevo mano nel 2001. Un disco molto ruspante con delle belle chitarre grattone e un bel po’ di perizia tecnica. Successe che i Dredg diventarono uno dei nomi su cui puntare per il futuro.

Un anno dopo, grossomodo, arrivò la doccia fredda d’ordinanza. Il secondo disco della band si chiamava El Cielo, e suona più o meno come il suo titolo –cioè una cagata pretenziosa e senza senso, un disco che dalla sera alla mattina buttava in soffitta tutte le asperità del suono del gruppo in favore di, ehm, provare a diventare dei Tool ad interim (da dopo Aenima i Tool esistono solo nella mente dei loro fan e/o negli anni a cavallo dell’uscita dei dischi sempre più indifendibili a cui SI DEGNANO di mettersi a lavorare ogni tanto). La missione tra l’altro riesce in pieno. El Cielo (elaborato intorno a un concept legato a un quadro di Dalì col quale c’entra –se ricordo bene- la narcolessia) diventa la più redditizia panacea per progster di area heavy metal di tutto il decennio scorso, il centro caldo a cui ogni fan del bel canto cerca d’aggrapparsi con le unghie per dar conto di sé come persona di gusti raffinati e/o a trecentosessanta gradi. Queste cose nelle cerchie metal vanno un sacco. Perdo le tracce dei Dredg dopo aver ascoltato El Cielo dalla prima all’ultima nota: dopo un passo del genere le cose non possono che finire in merda. Dei dischi successivi ho notizia leggendo riviste, forum e blog musicali: versioni ingentilite del loro secondo disco, momenti di prog assoluto, “musica per gente senza preconcetti”. Vaffanculo. Oggi a pranzo mi trovo a cercare robe su Youtube e scopro che qualche matto ha caricato i pezzi dell’ultimo album (è uscito cinque o sei mesi fa) a mo’ di playlist. Il disco si chiama Chuckles and Mr Squeezy, il titolo suona un po’ come se fosse un disco dei Primus, è prodotto da Dan Nakamura e insomma decido di sentirmelo. Si tratta di una delle cose più imbarazzanti e sbagliate abbia mai sentito in vita mia, una specie di svolta trip-prog-hop degli Anathema buttata in caciara e/o fortemente influenzata da certe cose che potrebbero stare in un disco degli ultimi Incubus. L’etichetta per cui esce è la stessa dei Trail of Dead e si chiama, nomen omen, Superball. Decido di smettere di fare battutine stronze e dare una spazzolata alle recensioni sulle webzine di settore: a leggere certi pezzi sembra il disco più coraggioso e mirabolante della storia dell’umanità, regalatoci dai Dredg in uno slancio di creatività assoluta senza regole né rete di protezione, il più grande schiaffo alla musica commerciale di ogni tempo. “Un disco che dividerà il pubblico”. Geniali. Scopro su Wiki che il gruppo suona da quasi vent’anni e non ha mai cambiato formazione. Il batterista si chiama Dino Campanella.

la posta del cuore di Bastonate: MICHAEL GIRA @ ROADBURN 2011

riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Ciao Bastonate punto it,

sono un tuo fedele lettore, ti volevo scrivere perché ieri sera ho visto qualcosa che non avrei mai voluto vedere, ma magari l’ho visto solo perché in fondo ci speravo perversamente, ed ho solo cercato simboli nella casualità. Da quando è uscito l’ultimo degli Swans, che io credevo fossero morti veramente (perché ci sono pochissimi modi di chiudere una carriera VERAMENTE, uno è morire senza mogli o eredi, l’altro è chiamare un live SWANS ARE DEAD), mi era presa lievemente malissimo l’idea di ascoltarli, anche se in fondo il disco non era bruttissimo – erano nuovi pezzi degli Angels of Light con delle chitarre poco più affilate, mi pare. Non lo ricordo troppo bene.

Il problema è che i Sentenced hanno fatto The Funeral Album e poi hanno cominciato a morire suicidi per davvero in giro per la Finlandia, mentre appunto, volevo dirti, che Gira io l’ho visto in piedi, zompettare e schitarrare da headliner sul palco, e pareva fin troppo su di giri. Gira che ti rigira, comunque, Mika Tenkula s’è ucciso, mentre Michael si prende generosi soldi per suonare alla fine di 3 giorni di Roadburn, due ore di Swans nella sala principale, e quest due ore diventano due e mezza abbondanti, perché lui se n’è girate troppe, di canne, ma siamo in Olanda daiiii. Dopo dieci minuti in cui m’ero convinto che questa reunion quasi s’avesse da fare, dato l’attacco violentissimo e coeso, è successo il fatto che volevo raccontarti. Il problema è che pure io mi ero drogato, e soffrivo di quel distacco parossistico in cui quando vivi una situazione sconfortante ti chiedi se la stai immaginando tutta o se sei l’unico a vederla. Michael Gira ha attaccato Sex, God, Sex, e dopo pochissimo s’è messo le mani in faccia come preso da una disperazione primigenia, ha iniziato ad agitarsi ad occhi chiusi, per poi voltarsi e inveire contro i compagni di sventura, urlando e gesticolando di non sentire il basso – cosa abbastanza impossibile, dato che c’era gente in posizione fetale con le mani schiacciate sulle orecchie, sotto al palco. Con molta probabilità, era solo la botta di erba devastante che gli era arrivata al cervello.

Da quel momento la performance si è inabissata dal devastante all’angosciante, e l’angoscia proseguiva su due livelli – quello effettivo del provare vergogna per un anziano visibilmente alterato chimicamente che non si ricorda i testi dei suoi pezzi pur avendoli sul leggio a venti centimetri, e quella più subdola del fatto che in effetti tu dalla reunion degli Swans non vorresti il compitino fatto bene, i pezzi vecchi riarrangiati e i bei tempi di gloria riproposti con l’occhietto nostalgico – vorresti il marciume, la melma, la merda e il vomito nero, i denti, boh. E a tratti, Michael Gira che ondeggia perso in trip acidi mentre il resto dei musicisti continuano a suonare lo stesso giro per quindici minuti, aspettando che lui si decida a cantare, lanciandosi occhiate inviperite, presi dal panico, costretti a improvvisare variazioni mentre parte del pubblico boccheggia confuso, a pensarci bene, è una cosa abbastanza forte, decisamente marcia. E quando inizia a urlare fuori tempo, a biascicare versi ripetendoli fino a impazzirci sopra, preso dal gusto di fare casino per il loal, con i soldi in tasca e un’amplificazione che manco i Sunn o))) sono riusciti a spremere al massimo, ti domandi – ed è questo che io volevo domandarti, caro Bastonate punto it: Michael Gira strafatto che non accenna a voler smettere di suonare medley infiniti di scampoli di sue canzoni che gli tornano brevemente in mente, mentre la band scazzatissima si dissocia dalle sue azioni con sguardi che chiedono pietà al pubblico, è o non è la morte (ennesima) del rock, o qualcosa di simile ad essa? Perché io ho avuto dei dubbi. Soprattutto quando, dopo venti minuti in cui continuava a mugugnare cose a caso nel microfono, con la chitarra penzoloni sotto la panza, si è infilato una mano nelle mutande in pieno arrapamento da trip, per poi tirarla fuori bagnata e pulirsela sui pantaloni con nonchalance. Avendo buona parte del pubblico fumato e bevuto più di lui, la schitarrata a casaccio sui loop di basso e batteria reiterati alla Orthrelm (finché Gira non si ricordava di attaccare la strofa) funzionava perfettamente come catalizzatore random da dare in pasto all’audience in cerca del RUOCK ipnotico da reunion culto, ed infatti io ancora non ho letto nessun commento che dicesse “maddai era svongolato dalla droga e del whiskey, che live di merda”, anzi. Buona parte del pubblico commentava positivamente all’uscita, nonostante Gira sia rimasto per mezz’ora in più sul palco a suonare cose casuali mentre il buon Norman Westberg se ne stava immobile a ciancicare una gomma da masticare infinita e forse immaginaria, e Christoph Marq (con questa faccia) manifestava uno scazzo di proporzioni cosmiche scoccando occhiate di fuoco a Michael perso nell’estasi dell’ascoltare i propri mugugni amplificati da dodicimila watt, il microfono incastrato in bocca, le palpebre pesantissime, le mani appese, per finire caracollando fuori dal palco sbattendosi una mano sulle chiappe, in scherno al pubblico che lo aveva persino applaudito. Io credo che tutto questo sia stato molto rock – solo che a questo punto il rock è una merda.

PS: Per una fenomenologia del live che presenti un esempio inverso di PAZZO SPACCACULI, posseduto dal fuoco di Gesù Cristo e dei capi indiani morti di raffreddore si veda David Eugene Edwards et al. (2011), EA!

salutoni a tutta la redazione
Carmine