Andrea Girolami

Andrea Girolami è una specie di piccola internet. La sua bio sta qui. Parto da un punto ovvio:

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diceva l’amico Technoiglesias (è l’ottantesima volta che lo cito), ai tempi gloriosi dell’esplosione witch house, che il monitor è il nuovo packaging. Nel video di Oneohtrix Point Never si dice che As you look to the screen, it is possible to believe you are gazing into eternity.

d’altra parte il pezzo/video stesso si chiama Still Life. Ti va di dire qualcosa prima che io ti faccia una domanda?

Ho letto tre volte la domanda e sarà che a questa ora sono un po’ bollito ma sono quasi certo sia una supercazzola. Siccome però mi pare brutto rispondere subito con un “no” mi sforzo di dire qualcosa d’intelligente. Pensa al concetto di videoclip, una parola che puzza di vecchio, di MTV degli anni 80-90 e invece siamo ancora qua a parlarne, anzi oggi più che mai. YouTube ha giocato lo scherzetto e la musica di oggi su internet è più che mai dipendente da questo mezzo promozionale, perché in fondo di questo si tratta. Insomma è sparito il supporto, pure quei pochi servizi fotografici nei giornali di musica cartecei ma l’immaginario attorno i gruppi bisogna pur crearlo in qualche modo. Ecco che il video che diventa allora valvola di sfogo assoluto di questi anni per raccontarci le storie di tutti, da Lady Gaga ai Club Dogo ma pure a quelli indie più sfigati di cui si parla qua su Bastonate. “Il monitor è il nuovo packaging” è un po’ approssimativo, gli esperimenti promozionali che coinvolgono l’interattività del computer mi sembrano ancora un po’ complicate e poco efficaci, invenzioni degli Arcade Fire comprese. Più semplicemente titolerei “Il ritorno del videoclip, vendetta a sorpresa

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Adesso ti metto io una foto, quella di Jake La Furia da giovane (o se non è lui gli somiglia una cifra). Primo perché fa ridere (e tenerezza). Poi perché credo che il primo motivo per cui la musica in Italia va peggio che altrove è perché i media/le case discografie/l’industria in generale non è capace di creare la mitologia necessaria attorno l’artista, quella che ci porta a comprare i dischi dei Daft Punk come degli Slint. La solita storia che in Inghilterra un gruppo va sulla cover di NME pure al secondo singolo e tra le tante scommesse molte se ne vincono pure, se uno invece non gioca mai o gioca male….

Il secondo motivo per cui non si riesce a campare di questo è invece per quello che dice Jake in Musica commerciale: “Se la gente non viene ai concerti, se i cd non li vuole pagare / non è che l’Italia è un paese di merda, siete voi che fate cagare”. Purtroppo negli vedo pochissimi gruppi italiani capaci di parlare davvero non dico ad un grande pubblico ma a qualcuno che non sia quello del proprio giardino. Per fortuna ci sono stati I Cani, Le Luci Della Centrale Elettrica e anche se non mi piacciono Lo Stato Sociale a raccogliere un po’ di consenso, ma insomma un panorama così asfittico in termini artistici (opinabile) e di numeri (dischi, gente ai concerti, voglia di fare) e di discorso non è normale. Tu che dici?

Boh ci sono cose su cui non sono d’accordo, e la domanda si compone di due cose. Per prima cosa il fatto che il monitor sia il nuovo packaging in senso stretto non vuol dire che qualcuno lo possa usare come veicolo promozionale, anzi, per certi versi il monitor è anche la liberazione dal concetto di promozione. mentre stai lì a guardare il videoclip dei Dogo arriva qualcuno da dietro e dice che questa cosa che stai guardando non va bene e devi fare altro. Magari tua sorella su gtalk o sedici citazioni su twitter in un minuto che ti obbligano a spostarti sul telefonino, poi ti rimetti a guardare il video ma c’è già una cesura, qualcosa che entra a far parte di un processo dinamico. Un processo nel quale il videoclip diventa una cosa che da una parte conta come numero puro (tipo nel rap sono ossessionati da quanti hit fa un dato video rispetto a un altro) e dall’altra è supposto NON essere guardato necessariamente da cima a fondo. Questa cosa per me nel pop è visibilissima: un video di Lady Gaga, che è comunque uno dei pionieri IMHO di questa comunicazione, è scomponibile. Tipo Applause consta di una ripetizione modulare degli stessi quindici secondi di video in cui Gaga è vestita come la morte o come una bomboniera e balla in un’ambientazione piuttosto che un’altra, e questi quindici secondi vengono ripetuti ad oltranza in un modo anche molto militare -alla fine ne hai la piena. Anche Occhio per occhio di Anna Tatangelo segue la stessa impostazione. E tra l’altro per me è una cosa molto diversa guardare il video di Anna e basta o guardare il video di Anna con tre persone che nel frattempo su talk ti chiedono come stai. Un’altra ancora è guardare il video di Anna, mandare il link a qualcuno che lo guarderà con un delay di un minuto e commentarci la cosa a vicenda, poi lui magari si mette a fare degli screenshot e va su 4chan o cose simili e diventa una questione di secondo grado (ancora il video di 0PN). Vado a capo senza ragione, l’immagine qui logicamente è la copertina del nuovo di Gaga, che potrebbe tranquillamente essere la copertina di un disco di Ferraro

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Ci sono numerosi casi in cui la presa per il culo, i video tarocchi su Vine e tutte quelle cose diventano il nodo centrale della campagna promozionale -tipo gli ultimi due mesi di Miley Cyrus ma anche boh, quella cosa del Winner Taco che immagino tu abbia tenuto sott’occhio- ma questa cosa non dà origine a una vera e propria tassonomia, serve solo a buttarti in mare -e da lì in poi se nuoti o non nuoti è un problema tuo, ecco. Tanto vale imparare a nuotare prima, credo: fare dischi e suonare. Da questo punto di vista io l’indie italiano non lo seguo moltissimo, ma il fatto che sia italiano, di per sé, lo squalifica. Gli Slint sono gli Slint anche perché qualcuno a un certo punto se n’è fatto carico dentro o fuori dagli USA e ne ha iniziato a parlare. Fosse dovuto dipendere dall’Italia, il loro successo artistico non sarebbe esistito. I Daft Punk sono un gruppo che qualcuno, anche qualcuno che scrive di musica (mi viene in mente un certo Pipitone sul blog del Fatto), dalle nostre parti considera un patetico gruppo da due singoli che ha incontrato un’onda critica favorevole. Tra l’altro l’attuale spostamento del canone critico su questa sorta di flusso, diciamo così, tende a fare perdere peso alla narrativa musicale, e questo alla fine è il principale motivo secondo cui il mito del rock (l’artista tormentato o il Liam Gallagher, non fa molta differenza) è molto più in crisi del mercato del rock.

Tu comunque sei uno dei maggiori responsabili di questo spostamento dell’asse cognitivo del pubblico (italiano) verso una dimensione della musica indie più concreta e da vita di tutti i giorni, per via di Pronti al Peggio. Cioè vedere Capovilla che fa il cameriere tende a stamparti in testa una dimensione “umana” del personaggio che o non fitta, con la dimensione istituzionale/artistica che lo stesso Capovilla vuole dare dalla sua apparizione a Pronti al Peggio in poi. Per dire. Per certi versi è lo stesso formato a diventare un tramite, un gestore di status. Non so, vedo Malika Ayane che risponde a un blind test e penso “ecco, lei fa parte dei regaz”, non che io sappia cosa si intenda per regaz. Mi sbaglio? Ti ci senti? Non ci sarà una s03 di Pronti al Peggio?

Hai detto un sacco di cose ma io prendo quello che mi interessa e butto il resto, che poi è quello che si fa oggi online ed il succo del discorso che stiamo facendo.

1) Il fatto di non vedere i video da cima a fondo è una cosa che è passata ormai da un po’, secondo un momento epocale è stato il video dei Canada per El Guincho, loro non so come in qualche modo han capito che l’unico modo di raccontare storie oggi era quello di raccontarne 1000 tutte assieme e lasciare lo spettatore col cerino in mano a dover capire come unire i puntini. Che se poi il regista è bravo un filo rosso per quanto sottile c’è sempre. Da lì li han seguiti tutti e oggi quello dell’accumulo caotico in video è quasi uno standard, guardati anche gli ultimi di David Guetta – Play Hard che tra l’altro è fatto da Andreas Nilsson che è un regista del cristo.

2) La storia del Winner Taco non so di cosa parli ma ho visto che han “ristampato” pure il Cono Palla, siamo alla retromania pure qua, butta così

3) Il fatto che il flusso di cose (immagini, canzoni, porno, articoli) in cui siamo immersi faccia perdere la narrativa che dici tu è una cosa da vecchi. Quella che abbiamo oggi è una nuova narrativa, come dicevo a proposito dei video qui sopra. Ultimamente ho letto questo illuminante saggio Athletic Aesthetics  che spiega perfettamente come sia passati da un’economia della scarsità (io sono l’artista e faccio un disco ogni 2 anni o più) a una dell’abbondanza (io faccio cose in continuazioni perché non mi costano nulla e ho più possibilità di farmi notare e beccare quella giusta). Potrei dilungarmi ancora 5356 mila battute ma dico solo una cosa: Se una notte d’inverno un viaggiatore, andatevelo a rileggere, lì dentro c’è già tutto.

4) co sta cosa di Pronti Al Peggio basta dai, sono anni che è fermo ed è incredibile come la gente ancora mi continui a scrivere per questa cosa anche se oggi con i video che produco per Wired raggiunto tipo 135mila volte più persone e spesso sono anche più professionali sotto molti aspetti. Con i documentari su i musicisti-lavoratori al tempo non volevamo rendere tutto più concreto ma invece cercare di rifondare una mitologia della musica italiana che spesso era basata su una disinformazione bestiale per cui spesso incontravo gente online che pensava che gli Offlaga Disco Pax e i Giardini di Mirò girassero in Ferrari solo perché avevano i video su MTV.

Invece secondo me la vera figata era nella tensione del musicista vicinissimo (quando lavora, quando ha le sbatte come tutti noi, quando lo becchi su i social) e lontanissimo (quando è sul palco, quando è in tv, sulle copertine). Una logica che oggi credo sia passata ovunque, che ritrovo anche nelle foto di Miley Cyrus sbollata in albergo con flash sparato in faccia subito dopo il red carpet mondiale. In Italia però siamo ancora troppo provinciali e non è mai passato questo discorso infatti Pronti Al Peggio non è mai andato in TV dove il trucco e parrucco sono d’obbligo. La colpa credo sia anche di chi vede X Factor e passa le serate a twittarci sopra. Volevo accusare te di intransigenza ma finisco con l’esserlo io: credo quello sia il male del nostro paese. A differenza dell’Inghilterra, dove  è ok perché c’è spazio per gli show tv di questo tipo ma anche per la musica da suonare nei locali, da noi quella roba ha finito per essere sinonimo di musica tout court cannibalizzando il resto (per poco che fosse) e riportandoci indietro di qualche decennio sotto tanti punti di vista di immaginario.

5) Pronti Al Peggio 3 non lo faremo mai perché non c’è il tempo, ci siamo finiti i gruppi italiani da spolpare e soprattutto non ci sono i soldi. Dici che col crowdfunding tiriamo su 40K per fare le cose per bene? Ne dubito. Ma va bene così sono format che hanno fatto il loro tempo, ora c’è bisogno di altro ancora e senza limitarsi alla musica che, se c’è una cosa che Internet e balle varie ci hanno insegnato, è un collante universale, un blob che amiamo ma che serve soprattutto a tenere assieme una serie di argomenti, riferimenti e mondi diversi e anche distanti tra loro (tecnologia e musica, moda e musica, lifestyle e musica etc etc).

Secondo me abbiamo già blaterato pure troppo, ti lascio solo con una delle immagini più forti, belle e vitali che racconta questi ultimi anni e quello di cui secondo me abbiamo parlato. Ci vediamo tutti su Tumblr che è il posto dove discutere di queste cose non certo questo blog da vecchi babbioni come noi.

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IL LISTONE DEL MARTEDÌ: dieci dischi di quest’anno che GRAZIE AL CIELO non ci porteremo dietro il prossimo anno.

beccati questa kotekino

Ad essere sincero questa settimana avevo mezzo preparato una lista di pezzi che provassero l’idea che mettere insieme calcio e musica rock fosse l’idea più stupida di sempre, e l’avevo fatto solo per inserirci Seven Nation Army e soprattutto Umbabarauma dei Soulfly (ve la ricordate? JOGA BOLA, JOGA BOLA, JOGADOR. Ai tempi sembrava qualcosa di rispettabile). Poi ho pensato che finito l’europeo avrei ri-smesso di essere uno dei cinquanta milioni di commissari tecnici italiani e sarei tornato a quell’attitudine tipo il calcio è una merda il vero calcio non esiste più io non ho tempo per queste cazzate mi dedico ai PROBLEMI VERI io. Assecondando questa mia attuale botta di impegno sociale, la presente è una lista di dischi che io o voi (o comunque qualcuno) abbiamo amato nel corso dell’ultimo anno solare, e che l’anno prossimo ci vergogneremo come cani di avere amato. Lo staff di Bastonate, nella persona di chi firma, si assume tutta la responsabilità delle opinioni sbagliate (ve piacerebbe) in seno alla lista, e ammette che in almeno quattro casi su dieci i dischi inseriti sono sassolini che ci togliamo dalle scarpe con fare rabbioso, abilmente bilanciati da altri dischi che invece amiamo alla follia e inseriamo per pararci il culo o perché abbiamo una tremenda opinione di noi stessi, e il fatto di averlo scritto non significa necessariamente che lo stiamo pensando. Diamo la precedenza a dischi usciti negli ultimi sei mesi, ma ci sono eccezioni. Un’ultima cosa: abbiamo volutamente lasciato fuori alcuni casi macroscopici tipo Il Teatro degli Orrori o DiMartino o sa dio che altro perchè le sacche di fanatismo sono quasi esclusivamente limitate ad un pubblico di appassionati specifici con cui non parliamo spesso e/o gente che non ha mai capito un cazzo di musica.

AFTERHOURS – PADANIA

Non riesco a smettere di sentirlo. Non è un disco con dei meriti musicali particolari, a parte quello di suonare sbroccato e privo di senso dalla prima all’ultima traccia. Voglio dire, cosa c’è di più esaltante nel guardare un alfiere del NUOVO ROCK ITALIANO (a vent’anni circa dalla sua istituzionalizzazione) sbroccare, trasformarsi in una vecchia e lavare i panni sporchi in pubblico con un disco di pretestuosissimi collage afterhoursiani affogati di feedback senza senso e slogan alla Agnelli? Probabilmente un sacco di cose, ma ai primi trenta ascolti di Padania non sembra. Il che non toglie che sia il disco di un ex alfiere del NUOVO ROCK ITALIANO che sbrocca e in diretta internet si trasforma in una vecchia, affogando in un mare di feedback senza senso e slogan alla Agnelli. Appena lo tolgo dall’auto va a finire sotto la colonna dei dischi Snowdonia.

BURZUM – UMSKIPTAR

“Accantonata senza rimpianti di sorta l’imbarazzante parentesi “ambient” degli ultimi dischi per sola pianola (al gabbio non gli lasciavano tenere nessun altro strumento), torna a dedicarsi al black metal grezzo e angosciante e ventoso e unico al mondo che faceva più che egregiamente prima di finire al fresco, e improvvisamente sembra di essere stati catapultati di nuovo nel 1993. Lui è una specie di totem per ogni dissociato con più o meno seri problemi relazionali che si rispetti: io ascolto Burzum = io sono necroelitario, sprezzante, superiore alla massa, odio la gente, amo solo la natura, sono pagano, ho capito bene Nietzsche. Qualsiasi emarginato dalla società, meglio ancora se metallaro, trova in Burzum la sua rivincita: un ammazzacristiani nazo e misantropo stimato e rispettato, famoso, in qualche misura perfino temuto, con un posto nella storia della musica già suo di diritto e un pugno di dischi di indiscutibile valore all’attivo. Praticamente un semidio. Il Leonardo da Vinci dei deboli e dei reietti.” Dai tempi in cui il collega m.c. scriveva queste cose sono usciti tre dischi, in modalità sempre più triste e automatica. Ancora oggi sentiamo il dovere di ascoltarli, in un gesto di stizza e foga che ci permette di essere così elitariamente conformisti e rigettare l’operato di centinaia di rottinculo che confezionano i loro dischi di imprendibile ambient-blackmetal sintetico nel caldo delle loro camerette come se solo noi avessimo provato la VERA sofferenza. Sfido chiunque a dirmi che la qualità dei dischi post-reunion di Burzum sia in crescita. Due euro al colpo.

GRIMES – VISIONS

Ormai gli hype li si costruisce partendo dalla smentita: il caso di Grimes, una ragazzetta senza talento con un disco di brutte figure di (te piacerebbe) pop contemporaneo, è abbastanza emblematico. S’è iniziato a sentirne parlare male prima di iniziare a sentirne parlare, come se gli hater si fossero mossi prima degli hipster, e poi qualcuno ha instillato il dubbio che non fosse poi così pessima e di lì a tre giorni ci siam trovati in tasca la nuova Karen O e l’idea che una nuova Karen O invece di gambizzare la Karen O vecchia fosse un’idea allettante. Conferme e smentite si sono spinte per settimane e settimane, mentre Visions collezionava una quantità impressionante di ascolti senza che nessuno avesse una pallida idea di cosa farsene. Poi fatto un giro per concerti da queste parti e s’è capito che manco gli hater avrebbero dovuto scomodarsi. Io purtroppo l’ho persa.

BARONESS – YELLOW / GREEN

Sulla fiducia. Il disco non è ancora uscito, ma quando sarà il momento forse qualcuno vorrà convincerci del fatto che un doppio album prog metal senza il tiro e senza la fotta sia –a qualsiasi titolo- una buona mossa o qualcosa a cui guardare per rintracciare dei segni tramite cui rifondare l’heavy metal della nostra epoca. Probabilmente avevamo sbagliato NOI a puntare una cifra anche simbolica su John Baizley, voglio dire, già il Red Album è noiosissimo, ma insomma.

PIL – THIS IS PIL

Altro disco che stiamo ascoltando a raffica, e col plurale intendo io, fatto di b-side della mente umana e deliri in forma di filastrocca che se fossero in italiano probabilmente si griderebbe al Vasco Rossi, con sotto musica da camera PILiana al minimo sindacale, che ci sta affascinando solo perché sfida le nostre certezze in merito a cosa sia pubblicabile e cosa no. Non in senso so bad it’s good, sia chiaro: è più che altro il solito discorso di non capire come la mancanza d’interesse possa elevarsi a forma mentis. John Lydon cavalca l’onda con una dignità rara, ma rimane comunque la questione di ritrovarsi tra due o tre o sei mesi al raduno mensile dei fan dell’ultimo disco dei PIL e saremo rimasti in sette, il ristorante farà schifo e twitter sarà in down.

UNSANE – WRECK

Non posso nascondermi dietro a un dito e questa è l’unica musica che oggi ritengo imprescindibile e necessaria. Naturalmente è uguale identica alla musica prodotta sotto lo stesso nome e dalla stessa gente vent’anni fa, e quello che IO considero necessario dovrebbe essere preso ad esempio di cosa dovrebbe essere preso e buttato nel cestino con sdegno e disgusto in quanto appannaggio di una generazione di vecchi con la bava e la schiena malferma che pensano di insegnare qualcosa a qualcuno. Ieri ero in mezzo a un viaggio in auto con un programma radio di Assante e Castaldo, nel quale veniva più o meno snocciolata la playlist definitiva DEL ROCK, della quale ho fatto in tempo a sentire solo le prime tre posizioni che erano Bob Dylan, i Led Zeppelin e i Pink Floyd, massimo rispetto per Bob Dylan per carità, ma proprio vaffanculo. Ecco, gli Unsane sono i miei Led Zeppelin con meno idee e più fotta, e niente e nessuno riuscirà mai a giustificare la mia mancanza d’immaginazione, men che meno il fatto che gli Unsane di questa generazione non esistano o siano dei manigoldi con una mano sulla frangia e l’altra sull’iPhone. Se avessi diciott’anni probabilmente prenderei una chitarra e caccerei il me vecchio bavoso col trip del noise a piangere in un angolo, o morirei provandoci, o magari mi farei le foto dall’alto ascoltando gli I’m From Barcelona, e rimane comunque il punto.

LANA DEL REY – BORN TO DIE

Un altro caso di hype tipo quello di Grimes riguarda Lana del Rey, ma confronto a Lana del Rey Grimes è una caccoletta. Quando uscì Video Games era assolutamente indispensabile avere un’opinione su Lana del Rey (la maggior parte della gente ha scelto un’opinione tipo non è necessario farsi un’opinione su Lana del Rey dopo aver sentito un pezzo, ti pare?. Gli altri si sono divisi più o meno equamente tra quelli che boh il pezzo non è brutto, vediamo un po’ e chi si augurava che il mondo finisse prima che il disco andasse nei negozi. Alla fine il disco nei negozi c’è andato davvero, ha fatto un po’ di mossa (se non erro si parla di un milione e mezzo di copie) e Lana è stata –sostanzialmente- relegata a fenomeno marginale a metà tra i reality e la strada, occasionale ospite di qualche Saturday Night Live a caso senza che nessuno si sia preso il disturbo di attivarsi per farle fare quel passo che da fenomeno internet ti rende Adele. E dopo due mesi nei quali non ho pensato a Lana del Rey manco una volta, manco davanti a una tipa coi capelli lunghi e le labbra rifatte che minacciava di farmi pestare dal suo fidanzato, è uscito il video di National Anthem. Il video è una versione ipertiroidea del peggior immaginario glo-fi a disposizione della mente umana: Abraham Zapruder come padre putativo di tutti gli hipster col lomokino, A$AP Rocky (lo Snoop Dogg del drugapulco-hop) nel ruolo di Kennedy e ovviamente Lana moderna Jackie O. Un immaginario così tumblr non poteva che rilanciare per l’ennesima volta Lana del Rey come una specie di meta-popstar per quelli che trovano Lady Gaga troppo difficile o troppo carica, e Born To Die (che è il nome del suo primo disco, oltre che l’unica seria dichiarazione programmatica dell’artista) si sta facendo un ultimo giro nei lettori della fanbase inesistente di queste cose con un’onda autogenerata di consensi di secondo grado stile troppo frettolosamente accantonato da un pubblico di hater. Vaffanculo. A questo punto forse dovrei spiegarvi che senso abbia trollare una ragazzina rifatta e la sua fanbase solo perché odio il suo disco e l’estetica alla base del progetto, ma a che pro? Credereste comunque di essere persone migliori di me e/o superiori a queste cazzate. Bravissimi, ma se vi foste dati fuoco al vostro primo hit di Video Games  sul tubo, probabilmente avrei una buona opinione del mondo.

THE SMASHING PUMPKINS – OCEANIA

La maggior parte della gente aveva accettato in tempi non sospetti l’esaurimento della favella di Billy Corgan, si era messa il cuore in pace e si sarebbe potuta vendere la sua storia in una miriade di versioni una più romantica dell’altra. Il punto di frizione principale di tutta l’epopea C0rgan è il pubblico: anche volendo lasciar perdere i fan (che voglio dire, io sono un fan dei PJ e ti posso raccontare anche adesso, seduto a un tavolo, che Backspacer sia un ottimo disco) il mondo è costellato di analisti che hanno preso ogni singola ciofeca incisa dall’uomo da Adore/Machina in poi, smontata pezzo per pezzo, rimontata e rivenduta al pubblico con un inventario dei motivi per cui sì e dei motivi per cui no. Anche dopo cose tipo gli Zwan, Zeitgeist e Teargarden by Kaleidyscope c’è un pacco di gente che non considera Billy Corgan il figlio di Dio ma che comunque pondera dischi come Oceania per filo e per segno con più buona fede di quella riservata a qualsiasi altro artista. Così, come per magia, abbiamo dovuto riprendere in mano l’ultimo disco firmato Smashing Pumpkins e riascoltarlo per essere sicuri che non ci fosse del vero in quelle parole gentili e moderate, quei giudizi dal cautamente positivo all’entusiasta, quelle apologie tipo finalmente torna Billy a ricordarci cos’è il rock americano. Non vi odio ma sono perplesso.

JAMES FERRARO – FAR SIDE VIRTUAL

Ora, che James Ferraro e gli Skaters siano dei grandi non è una cosa che su B**tonate si mette in discussione, ma questa cosa ha a che fare più con il passato dell’uomo che col suo presente. E anche volendo essere indulgenti, abbiamo coscienza del fatto che Far Side Virtual (se non lo conoscete, immaginatevi la versione verista di Neon Indian: cut-up ad altissima fedeltà fatti con materiali di scarto culturale tipo musiche da videogame non-ripescabili e cose così) sia un disco molto conscio e rivelatore di certi scenari. Finito il primo giro d’ascolti, in ogni caso, non vogliamo fare i conti con l’impianto ideologico del disco, e se non possiamo fingere che non esista ALMENO possiamo pensare che non ci porterà da nessuna parte e verrà accantonato come un brutto scherzo nel giro di un altro annetto massimo.

MARK LANEGAN – BLUES FUNERAL

Nessun motivo in particolare, pura qualità: non possiamo permettere che la gioia per l’arrivo del primo disco a nome Lanegan da quasi un decennio distolga la nostra attenzione dal fatto che il primo disco a nome Lanegan da quasi un decennio fa cagare.

true believers: MARIAH CAREY (più o meno)

Non è proprio un post nuovo, nel momento in cui lo scrivo sono passate le cento battute che servono per arrivare qui, ma penso che insomma non andremo molto oltre e boh. La settimana scorsa ero in giro a comprare dolci dolci regali di natale* e dopo circa un’ora e mezzo avevo compilato una lista dei dieci principali motivi per cui il natale dà fastidio. La quale a sua volta era una specie di paravento per potere seppellire da qualche parte l’unico male a cui pensavo in quel momento, vale a dire Mariah Carey, incredibile ex-diva ed involontario genio del male (leggevo in giro che è tipo matta da legare) la cui esistenza ha perso senso in qualsiasi altro periodo dell’anno. Avete mai letto quella lista che girava su internet qualche anno fa? Dico la lista delle cose richieste da Mariah una volta arrivata in un qualsiasi hotel: divieto di interpellarla direttamente (pare che Mariah passi giorni e giorni in silenzio per non rovinare la voce), stanze invase di umidificatori e pupazzi di Hello Kitty, qualcuno che dica “sei bellissima oggi” a pochi minuti dal risveglio e svariate altre paturnie. Tutto questo naturalmente non entra nel clima natalizio, infestato a man bassa dalla gestione Tommy Mottola. La cosa si è ingigantita nella mia mente durante le feste fino a far coincidere l’inizio della mia deriva ateo-sostenibile da operetta e del mio odio feroce per il natale (grossomodo) con il momento in cui Mariah si impone come principale chanteuse della nascita di Cristo, che per me non ha una data vera e propria ma è come se l’avesse. Nel 1994 esce Merry Christmas. Io non ho ancora un lettore CD, anzi i CD sono ancora una specie di oggetto misterioso e futuristico che continuo ad allontanare dalla mia vista accumulando nastri da 90 come se non ci fosse un domani. Mi ritrovo nel pre-natalizio a casa di Umberto assieme a Nicola, nomi falsi, mentre Umberto sta registrando a Nicola il nastro di natale di Mariah Carey. C’è una specie di consenso trasversale su Mariah, nel senso che Umberto e Nicola hanno gusti orribili ma alcuni che avevano fatto il pullman per andare a sentire i Pink Floyd parlano di quanto Mariah abbia una voce incredibile e tutto il resto. Le darei una possibilità, ma sono entrato nel periodo più brutalmente oscurantista della mia vita di ascoltatore. Decido che non mi infastidisce sentirla a casa di qualcun altro per errore, o per radio, o in qualsiasi altro contesto. Arrivo a casa di Umberto. Ci sono progetti per il capodanno, bisogna organizzare e invece Nicola e Umberto stanno ascoltando quel cazzo di CD che sta registrando la cassetta. Finisce tutto e inizio a organizzare, ma NO cristo, mi fanno risentire una traccia che ero arrivato dopo e qui fa un acuto che ti strappa la pelle di dosso. O Holy Night. Finisce la traccia. Natale fa schifo tutt’a un tratto. Mi chiede se voglio una copia del disco che ha una cassetta in più, no grazie, esco di casa e da allora in poi il mese di dicembre è un solo grande brufolo informe sul calendario nel quale cerco di non buttare troppe paranoie alla ragazza con cui sto e di farmi coinvolgere in meno conversazioni sull’argomento. La boria è di qualche anno successivo. Mariah ha lasciato Tommy Mottola ed è diventata il principale rappresentante in terra di un pianeta tipo Marclar con i pupazzi di Hello Kitty al posto degli alieni. L’unica altra conversazione che ho su di lei (eccezion fatta per gli spoof) è con Nicola, qualche anno dopo: esce Il principe d’Egitto, il tema è cantato a due voci da Mariah e Whitney Houston (non ricordo il periodo ma credo Whitney fosse già dentro una valle di lacrime). Nicola mi dice che per comprendere la grandezza di Mariah basta sentire quanto la sua interpretazione umilia quella di Whitney in quel pezzo (il film è liberamente tratto dal Libro dell’Esodo: bestseller assoluto, persino più del Christmas Album di Mariah e dei Tool messi assieme). Finisce persino una volta su Bastonate, ma non è colpa mia. Sto allungando un po’ il brodo. Voleva essere un coso corto che menzionava il fatto che Cheeta** è morta (Wiki dice che si chiamava Cheeta, non Cita, non Cheetah, e comunque sia Cheetah Chrome che i CCM sono tra le mie principali influenze), che Hamilton Santià ha scritto un post che parte da quello sotto con simone rossi ospite e che il singolo a cui la redazione si prostra ufficialmente è THE MEGA SONG, perfetto vessillifero delle tendenze stile maximal nation e/o cattivo gusto 2011 (ringraziamo dj Pikkio per entrambi). Possibili argomenti di discussione su queste pagine future: (1) quanto fa ridere che uno dei dischi più presenti nelle playlist di fine anno alla voce avant colta/occhi aperti/scenari futuri sia stato partorito da uno degli Skaters in versione solista? (2) la musica brutta fa meno schifo se a produrla è una bella persona? Buone feste. Oppure no, stasera torniamo col tema di Aurelio Pasini.

*playlist dei regali ricevuti: agendina settimanale, borsa-toilette da viaggio fighetta, camicia fighetta, cintura fighetta, tazze da tè a buttare, calzini e magliette e mutande a buttare, cofanetto nove dvd DENTRO FABER, una cosa uscita a puntate sul Corriere, potenzialmente pericolosissima, sento che sto per finire un’altra volta dentro il tunnel emotivo del FABER. Fottuto FABER.
**drammaticamente in dubbio su quale Cheeta sia morta, non quella dei primi film di Tarzan ma forse anche sì.