Pensavo di introdurre chiedendo “esiste un rimasuglio del grunge che si è sputtanata negli anni successivi al grunge peggio di Chris Cornell?”, poi mi è venuto in mente Billy Corgan. Però siamo lì: musicisti fighi che contribuivano in maniera determinante (o esclusiva) alla musica dei gruppi con cui sono diventati rockstar e che una volta scioltisi i gruppi hanno fatto SEMPRE e SOLO la scelta sbagliata. Ma dove Billy Corgan ha pagato di tasca sua la scelta di continuare a portare avanti la sua visione musicale nonostante a un certo punto gli fossero palesemente finite le canzoni, Chris Cornell ce lo siamo beccato una volta ogni due anni sotto i riflettori, nel disperato tentativo di diventare il Bono Vox della sua epoca (o meglio dell’epoca dopo la sua) e/o una versione grunge di Madonna costantemente al passo coi tempi in maniera sbagliata. È difficile, anche in prospettiva, separare la storia del gruppo dalla carriera del cantante.
Che poi se ci si pensa tutto questo processo di auto-svecchiamento cornelliano possiamo farlo risalire ancora ai tempi di Superunknown, momento in cui Cornell prende il comando nella band e che corrisponde giustamente al periodo di massima esposizione del gruppo: non fosse stato così bello, sarebbe stato un disastro assoluto. Il successivo Down on the Upside fu considerato una ciofeca dai più, ma ne era solo il logico successore senza tutti quei pezzi fighi. I Soundgarden non erano ancora un’istituzione del rock’n’roll da vecchiacci tipo U2, ma vennero comunque accusati di volerlo diventare. Un paio d’anni dopo Chris Cornell si presentò con una chitarrina acustica e un disco di canzoni normali non bellissimo ma manco da bruciare in pubblico, con cui finì dentro a certe colonne sonore dell’epoca (sono sicuro di Paradiso Perduto, ma mi sembra pure qualche action famoso che ora non ho voglia di controllare) e vendette qualche centinaio di mila copie che bastarono a fare massa critica guadagnandogli la fama di autore sottovalutato. Mentre Kim Thayil si mette a cazzeggiare con Krist Novoselic e Jello Biafra in un gruppo messo insieme per suonare alla protesta di Seattle del 2000, Zack De La Rocha esce dai RATM e viene rimpiazzato da un Cornell in botta da rocker politico: terribile il video di Cochise, bracciatone tra amici maschi e fuochi d’artificio. Con gli Audioslave, considerati da qualcuno la peggior cosa della musica negli anni duemila, poteva andare comunque molto peggio. Vengono salvati armi e bagagli dall’inserimento di loro brani in momenti particolarmente poetici dei due più bei film di Michael Mann, ma già all’altezza del secondo disco i membri non si parlano. Chris Cornell, a questo punto la voce più presente nei film americani del decennio, fa capolino con un quasi-terrificante brano da solista nei titoli di testa di Casino Royale, il più bel James Bond dai tempi di Sean Connery (più o meno). Poco dopo esce con Carry On, secondo disco solista che fin dal titolo invita i non più così numerosi fan a tenere pazienza. Già a questa altezza i tempi sarebbero maturi (AKA: lo stan facendo già cani e porci) per una reunion dei Soundgarden, ma mentre Thayil continua a vivacchiare e Ben Shepherd racconta tranquillamente di essere sul lastrico, Matt Cameron è diventato il batterista storico dei Pearl Jam (la cui scelta di ostinarsi a fare rock babbione per fan babbioni, in prospettiva, è la più encomiabile) e Chris Cornell decide di provare a fare un disco con Timbaland: su disco l’accoppiata funziona ancora meno che sulla carta, nonostante le dichiarazioni entusiaste dello stesso Timbaland all’uscita. Il disco esce davvero, si intitola Scream e viene sepolto dalle risate di quasi chiunque. Nove mesi dopo iniziano i primi annunci di una reunion dei Soundgarden. Un live e un brutto pezzo per la colonna sonora di The Avengers e sono tutti in attesa del disco nuovo.
King Animal esce in questi giorni. La musica è straordinariamente simile a quella di Down on the Upside: rock’n’roll da birreria, pezzi melodici-ma-cafoni, metà del materiale la potresti tranquillamente buttar via e l’altra metà è buona giusto per un riascolto. Nel corso degli anni ho sviluppato un tale odio per Cornell e i Soundgarden da essermi prefigurato il più rovinoso disastro della storia della musica. Non è così, naturalmente: King Animal, nel suo non avere pubblico fuori da quelli che hanno la rotella del tuner impostata fissa su Virgin Radio e riescono a distinguere i gruppi che vengono passati, è un prodotto piuttosto professionale e ben confezionato. Per certi versi sarebbe anche scemo accusare i Soundgarden di sellout: non si fossero messi a sfornare singoli a ruota verso il ’94, oggi li ricorderemmo come degli Screaming Trees qualsiasi. E soprattutto King Animal ha un boost e una messa in piega così vecchia scuola da lasciarti almeno in bocca la sensazione, quando lo ascolti, di avere avuto tutto quello per cui hai sborsato i soldi (che se ci si pensa è una sensazione molto Audioslave). Rimane comunque il fatto che con tutto lo scintillio di mezzi coinvolti, King Animal non dispensa nemmeno quel piacere colpevole di metterlo su e sentirsi diciottenne per una mezz’oretta. Ascoltando una Been Away Too Long, anzi, penso di non essermi mai sentito così vecchio.