STREAMO – ZEUS! – Opera

opera

È il ritorno dei guaglioni sulla traccia, due anni e una manciata di mesi più tardi Luca & Paolo riprendono il discorso esattamente da dove l’avevano lasciato però spostando il tutto al livello successivo: più delirio, più ultraviolenza, più entropia, una struttura dei brani che definire escheriana è un eufemismo, roba che al confronto in Titicut Follies stavano in crociera, una produzione letteralmente devastante (il mastering finale è opera di James Plotkin, vedi alla voce uomini che ci aiutano a essere migliori) che sembra si siano materializzati nel tinello di casa a disintegrare tutto, c’è pure Justin Pearson che caccia quattro urla effettate in Sick and Destroy. E a proposito di titoli ‘divertenti’, questa volta è il turno di Lucy in the Sky with King Diamond (probabilmente Ringo Starr approverebbe), La Morte Young (ironicamente uno dei pezzi più brevi del disco, in aperto spregio al maestro da cui prende le mosse), Giorgio Gaslini is our Tom Araya (che innesca in chi sa una serie di cortocircuiti che evocano cerchi che si chiudono e matrimoni celebrati in Paradiso), Bach to the Future, si arriva a Eroica con le sinapsi già irreversibilmente incrinate, per poi annullarsi nell’uno-due finale e definitivo di Grey Celebration (bisognerebbe davvero farla sentire a Martin Gore questa) e Blast but not Liszt (di cui non voglio nemmeno iniziare a interrogarmi sulla genesi). Il disco esce oggi ed è il migliore regalo di San Valentino che possiate farvi, fare o ricevere. Potete ordinarne una copia fisica in vinile superlusso Qui, Qui o Qui. Qui le date del tour, che pure inizia oggi. Più sotto invece lo streaming.

La morte grippa, di musica non è bello parlare e altre cose del genere

nigga presi bene dalla vita

A sentirlo così, pare giusto infilarlo a forza nel mucchio dei nigga veramente incazzati  e con qualcosa più che il pregiudizio di un bianco merdoso qualsiasi a stanarlo fuori dal merdaio circostante. Fatto sta che davanti a obiettivi definibili meno che miseri (Mi Ami, Litfiba, Rolling Stone rivista, Sanremo) si sente il dovere e il bisogno di guadagnarsi il cumulo di droghe ed elettroshock mensili per, tipo, tre post in tre anni, e spargere violentemente i semi dell’odio. Da cui il fatto che, messa da parte la speranza di NON sostenere la campagna abbonamenti del Mucchio (né di Rumore, Blow Up o alcuna altra roba del genere), urge riconoscere che si è finiti sul pezzo  anche da queste parti. Il prossimo passo alla riconoscibilità totale del volemose bene nel volemose male sta forse nella forgiatura di una statua a grandezza naturale di – cazzoneso – Zach Hill, o uno qualsiasi del genere.
(E no, non c’è nessun insidejokes perché non siamo amici, non frequento i tuoi giri e non ti capisco quando parli)

Detto questo, visto che anche  gente tipo Roly Porter e Jamie Teasdale ha saggiamente (stocazzo) deciso di andare ognuno per la propria strada – strada che vede per l’uno massicce dosi di oscurità, droni industrialoidi, minacce psichico-tecnologiche varie e per l’altro la lingua fuori su culi luccicanti e pop e tremendamente d’ambiente – la strada, dicevamo, che è qualcosa di inferiore alla sottrazione delle parti che componevano Vex’d, ecco, per questo una volta in più è doveroso star dietro a sobillatori d’odio e rumore che abbiano voglia di far cagnara con modi musica e livore.
Il nome è Death Grips, la miscela è acida tipo hip hop sputato fuori a raschiare ugola e rancore. I testi sono primizie tipo “In the time before time eyes ‘bove which horns/Curve like psychotropic scythes/And smell of torn flesh bled dry/By hell swarms of pestis flies/Vomiting forth flames lit by/An older than ancient force /That slays this life with no remorse” o “Tie the chord kick the chair and your dead” e ancora “Cuz all I really need is some cool shit to mob /Like driving down the street to the beat of a blow job /I own that shit /On some throw back shit /You already know that shit /You even know ‘bout how I know the man /Who grows that, bitch ” , che manco un incrocio tra Sepultura e Michael Gira prima maniera renderebbero appieno. Sotto ci sono robe a tratti semplicemente grezze e momenti fantasmatici con strascichi di quelli che chiamano Steve Albini alla produzione e cose così. A farla da maggiore, comunque, a prescindere dai campionamenti, il rumore, l’overload e l’elettronica varia (compresa qualche parentesi di dancehall meccanica e catacombale splendida), è il senso di un disagio veramente concreto. Di  quei dischi insomma che ti fanno sentire ancora più di merda quando stai di merda; di quelli che consigli a pochi, fiducioso che se lo consumeranno digrignando i denti. Con in postilla l’augurio di un remix stile Kevin Martin dei momenti migliori, scansando e fottendosene della partecipazione di Zach Hill – sempre lui – alla faccenda.  E con un calcio in faccia per successo, magari, a Tyler the Creator e sodali. I tipi comunque, nel dubbio se ne sbattono e ti regalano anche chicche tipo questa. Oltre al disco stesso, certo.

Poi, cagate a parte, viene da ripensare all’asse Def Jux/Anticon dieci anni fa, a come pareva fosse la salvezza del rap, di una certa idea militante di comunità e stronzate così.  Oggi, su quelle orbite, spuntano fuori anche IconAclass (robe post-Dalek, belle ma easy) che non mantengono nemmeno un’oncia di quanto vorremmo promettessero.

Dunque, stretta di mano su stretta di mano, è sinceramente preferibile ri-chiamare in causa accoltellamenti fraterni stile b/metal e dintorni, piuttosto che, ancora una volta, doversi sorbire impunemente schiere di tabulae rasae ambulanti, con due gambe, twitter e qualche collezione di dischi.
Fuor di metafora: le corse a condividere e condividere e condividere il nuovo FBYC a furia di like, plaudendo alla rincorsa sociale di stocazzo senza ancora averlo ascoltato, il disco: SentireAscoltare che butta fuori nomi e cognomi sull’autoreferenzialità della scena (e tra l’altro giuro ho l’impressione che prima vi fosse la foto dei tizi semi-desnudi con le loro facce disegnate sui genitali) e/o rincara la dose egotistica di casa Teatro degli Orrori: Elio Germano in combutta con Teho Teardo:  Mark Stewart pre-ritorno The Pop Group a far sboccare con Bobby Gillespie: Bugo che via twitter la conta a scribi e sodali: Bastonate che diventa paradigma per gentiluomini e via di questo passo.

Segnali precisi dal profondo: è tempo di tornare all’ostilità, pura e semplice e totale. Senza occhiolini, strette di mano, comunanze farlocche, pompini vicendevoli e null’altro. Sempre in nome dell’ODIOpuro (non sociale, non sentimentale, non politico) in quanto modello conoscitivo e mai contro un nemico specifico che non sia il tutto.
Colonna sonora: l’ossessività e reiterazione e palude cerebrale incluse nel pacchetto Death Grips.
Tanto per il resto frega un cazzo, tra un po’ esce il nuovo Disquieted By, arriva la botta Johnny Mox, è fuori Bologna Violenta, Wallace ha sfornato pure l’ultimo Miss Massive Snowflake e io  torno felice.
Benché l’odio e il disprezzo sincero per la comunità rimangano, certo.

Gruppi con nomi stupidi “the Christmas edition”: SKITLIV

 

Il disco delle feste 2010 (ma anche del 2009, e del 2011, e del 2012, e se il mondo non sarà andato a puttane del 2013, e… insomma, avete capito) è stato senza dubbio Skandinavisk Misantropi di Skitliv. Skitliv (che significa “vita di merda” in norvegese) è il progetto principale di Maniac; per chi ha avuto un’adolescenza normale, Maniac è stato il cantante dei MayheM (sai, quei norvegesi matti che si ammazzavano tra di loro) dal 1986 al 1988 e dal 1995 al 2004. Pare sia stato cacciato dalla band perché costantemente ubriaco o strafatto di medicinali che avrebbero dovuto fargli passare la voglia di bere (al suo posto è rientrato il temibile ungherese tossico Attila Csihar, già negli psicotropi Plasma Pool, cantante per caso su De Mysteriis D.O.M. Sathanas poi sfruttatissimo dai Sunn O))) ogni volta che sentono il bisogno di vocals maligne) . Il vero nome di Maniac è Sven Erik Kristiansen; vive a Oslo, ha due figli, il corpo disseminato di tatuaggi più o meno da ergastolano e somiglia vagamente a Marco Materazzi. Soprattutto, canta in un modo assolutamente spaventoso, malsano e profondamente perturbante, impossibile da replicare quanto da raccontare; ci si è avvicinato più degli altri Malfeitor Fabban quando nella recensione di Wolf’s Lair Abyss scrisse che la voce di Maniac sembra provenire da un essere deforme incapace di aprire la bocca per bene (le parole precise non le ricordo ma il concetto era questo). Da quelle corde vocali indistruttibili prendono forma i latrati più raccapriccianti che mente umana possa concepire; dopo il trattamento-Maniac, ogni frase diventa un incubo senza fine, ogni periodo la strofa di una poesia in una lingua sconosciuta il cui suono delle parole basta a fare impazzire di terrore.
Insieme al problematico (Niklas) Kvarforth degli Shining svedesi (quelli depressi, non i segaioli jazz) ha dato vita a Skitliv poco dopo la cacciata dai MayheM (la line-up comprende anche tale Ingvar alla seconda chitarra, Tore Moren al basso e una serie già piuttosto lunga di batteristi avvicendatisi in puro Spinal Tap style). Skitliv è la proiezione del marcio universo interiore dell’artista, della sua squilibrata visione del mondo e delle cose del mondo; musicalmente si articola in un black doom metal strisciante, affilato e implacabile, indolente come un pluriergastolano la domenica pomeriggio e gradevole come un appestato che viene a bussare alla tua porta alle quattro del mattino. Ma la componente in assoluto più straniante è costituita dai testi, spesso chilometrici, in cui l’autore si mette a nudo con una brutalità e una totale mancanza di sovrastrutture perfino imbarazzante; il fatto è che il più delle volte le liriche di pezzi dai titoli già di per se emblematici (Slow pain coming, Hollow devotion, Towards the shores of loss, ecc.) sembrano riflessioni private dal diario segreto di un liceale particolarmente problematico dopo la prima pippa con Baudelaire, un devastante incrocio tra inettitudine cronica e intuizioni fulminanti, atroci velleità da poeta maledetto e dolore puro, affettazione sgangherata e disagio tangibile e tagliente come lame, su tutto il riflesso di un ego ipertrofico e straripante, frenetico e sgraziato e probabilmente rimasto imprigionato in un’età mentale che si aggira intorno ai quindici-sedici anni. Veramente micidiale. Forse soltanto i deliri poliglotti dei Worship del terminale Last Tape Before Doomsday sono riusciti a evocare parte degli stessi scenari (tanto per capire di cosa stiamo parlando, poi il gruppo – perlomeno la prima formazione – cessò di esistere dal momento in cui il cantante-batterista-compositore principale Max Varnier si suicidò lanciandosi da un ponte). Skandinavisk Misantropi è il disco che risveglia il peggiore lato oscuro dentro ognuno di noi, ricordi di emozioni che il subconscio si affanna quotidianamente a sotterrare. Pochi dischi, in questo senso, sanno essere altrettanto molesti. Dal 2009 in poi (anno di uscita di Skandinavisk Misantropi), probabilmente nessuno.
Messe di ospiti più o meno ininfluenti alla riuscita del tutto; tra gli altri un catacombale Gaahl, l’amico Attila Csihar e un esagitato David Tibet che declama stronzate nell’intro di Towards the shores of loss.

il download legale della settimana: GIRL TALK – ALL DAY (Illegal Art)

Nel comune di Cesena si chiama sfunezzo, con la Z di zanzara (da noi si dice ZZANZZARA, non DZANDZARA). È intraducibile, ma è quando arriva una persona e fa un gran casino senza chiedersi troppo di fino il motivo per cui lo sta facendo. Oppure quando qualcuno mostra di lavorare a una cosa senza realmente arrivare a un risultato finale compiuto e specifico, oppure un milione di altre descrizio
ni che si avvicinerebbero al concetto senza infilarlo. Comunque da noi è una specie di dispregiativo, tipo fai solo un gran sfunezzo ma alla fine diobò ti potevi anche stare a casa tua, cose che la figa lessa standard di Cesena non v’insegna (probabilmente perchè sullo sfunezzo non si può rosicare).

Ok, allora Girl Talk è il leader maximo dello sfunezzo applicato al pop. Dj Pikkio in chat lo definisce un riccardone del pop concettuale e/o una specie di Steve Vai del taglia/incolla. Sostanzialmente è un tizio che monta un pezzo con venti campionamenti da altri pezzi, perlopiù sgamabilissimi –anzi proprio in bella vista. Ne mette insieme venti e ci tira fuori un disco, lo mette in download gratuito e fa parlare di sé per un paio di giorni. Girl Talk è uno strano. A parte avere l’aspetto di una persona orribile, fino ad oggi il sampling è stato perlopiù affare del rap, all’interno del quale veniva disciplinato secondo regole non scritte (ma credo comunemente accettate) secondo le quali i break vanno presi e ricontestualizzati altrimenti è facile. Per così dire. Poi sono arrivati veri e propri generi di pop legati alla ricontestualizzazione millelire e/o alla reincisione di un pezzo rap con un ritornello dei Police, mentre più o meno la old school si barricava all’interno di un sistema sempre più autistico e schizofrenico (il che non è necessariamente un male, sia ben chiaro, tutt’altro). Nel nuovo millennio il campionamento è diventato più o meno uno sport, e allo stato attuale non è facilissimo capire cosa distingua il mash-up più becero da un furto ideologico dei Gang Of Four a caso o da un disco di cover country degli AC/DC piuttosto che da un mixone dei Soulwax con due ore di inizi di canzoni a caso. C’è anche tutta una letteratura che cerca di contestualizzare la cosa dal punto di vista degli affari legali e/o politici, problemi di difficile o difficilissima soluzione in qualsiasi caso. In tutto questo Girl Talk sembra semplicemente il più sciolto di tutti. Oggi esce il suo ultimo All Day, anche questo in download omaggio, e contiene dodici pezzi che mischiano una selezione più o meno casuale di tutto il pop in commercio senza troppi problemi di discernimento e con un’arroganza riccardona (grazie Pikkio) per nulla priva di gusto. Probabilmente a conti fatti il suo disco migliore, quello in cui anche la minima preoccupazione per la credibilità se ne va affanculo. Il tutto fatto per LO SFUNEZZO, ovviamente, ma se c’è un disco più carico da ascoltare in questi giorni me lo si segnali via mail. Grazie.

DISCONE: Monte Cazazza – The Cynic (Blast First Petite)

 

Si apre con i sette minuti di Interrogator, livida dark-ambient limacciosa e ostile punteggiata dall’inquietante rombo dei tuoni di un temporale in lontananza, un disco che – a dare retta alle voci – sarebbe dovuto uscire poco dopo il live Power vs. Wisdom del 1996; invece sono trascorsi quasi tre lustri prima di poter ascoltare una nuova produzione di colui che rimane tra i più grandi teorici della controcultura degli ultimi quarant’anni, instancabile esploratore e archivista di più o meno tutto quanto stia ai margini (della società, del vivere civile, del “buon gusto” comune), incontrollabile performer della body art più sfrenata decenni prima che l’intera faccenda diventasse affare per sciccose riviste d’arte e gallerie à la page, nonché comprovato inventore e principale promotore del movimento (oltre che del concetto stesso) di industrial music. Non è mai stato molto prolifico sotto il profilo discografico Monte Cazazza, troppo occupato a scandagliare il marciume dell’umanità fin nelle pieghe più profonde del sapere nascosto, a nutrirsi di quanto generato dalla paranoia, dalla devianza mentale, da ogni tipo di rigurgito antisociale, fedele nei secoli alle parole di Albert Camus: “Mi rivolto, dunque sono“. Ed è una rivolta da tempo silenziosa, nascosta, poco o per nulla appariscente (in dichiarato contrasto con gli eccessi grafici e sguaiati dei primi anni), che cova odio ma non lo grida, più interessata a destabilizzare lentamente ma incessantemente, rosicchiando come ruggine il metallo le fondamenta del sistema. The Cynic è un disco pericoloso. Un disco su cui ogni vero viaggiatore mentale tornerà di frequente. Materia sonora allucinata e allucinante, l’equivalente delle visioni sconvolte e apocalittiche di un Burgess, di un Topor, del Lynch di Eraserhead e di Louis Wain quando stava particolarmente in botta. È lounge per depravati (la spettrale rilettura di A Gringo Like Me, classico minore del Morricone western che nel nuovo trattamento diventa un glaciale numero da sogno lucido di un condannato a morte, a fronte del raggiante e stentoreo grido di speranza che era), spoken poetry per necrofili e tassidermisti (Terminal, agghiacciante murder ballad costruita su un crescendo di atrocità descrittive che proiettano definitivamente nell’orrore puro), techno per psicotici sotto sedativi in un pomeriggio di pioggia (Break Number One, ovvero se le pareti di una stanza delle torture potessero emettere suoni, e l’implacabile progressione di Venom, il pezzo che sentireste risuonare in una dark room deserta nell’ora del lupo), uno sguardo deformante che restituisce una visione del mondo obliqua e maligna, inevitabilmente fuori, profondamente non riconciliata. Con due regali sul finale: What’s So Kind About Mankind, ipnotica filastrocca da mandare in pappa il cervello seduta stante, roba che al confronto i Throbbing Gristle sorridenti e biancovestiti che ripetevano fino alla nausea parole come ‘friendly’ e ‘nice’ diventano un’accolita di pluriomicidi, dieci minuti di deragliamento mentale puro lungo un arrogante stomp da night club dell’Est Europa sopra cui si snoda un tunnel di caramellosi giri di tastiera che sono un clash tra Insomnia dei Faithless però malvagia e gli incubi di un clown drogato, e Birds of Prey, ancora spoken word su un destabilizzante tappeto synthpop freddo e asettico come un pavimento in linoleum, dove si materializzano i fantasmi dei Dark Day di Exterminating Angel e di Leer&Rental di The Bridge. Produce Lustmord, mai così spietato, efficace e sul pezzo dai tempi di The Monstrous Soul. In copertina la carcassa di un animale indefinibile e nel libretto una citazione di Ambrose Bierce. Doveva uscire nel 1996, si diceva, ma tra allora e il 2010, o il 1968 o il 3020, non avrebbe fatto comunque alcuna differenza. DISCONE (per gli alienati).

cercasugoogle: SERATA CON BOCELLI (brainstorming)

Il seguente brainstorming riguarda chiavi di ricerca con cui la gente è entrata su Bastonate nelle ultime settimane. Grazie a tutti per il contributo. Grazie ad alcuni più che ad altri.

COCAINA PRIMA DEI CONCERTI
Non di recente. In effetti sono talmente povero che spesso e volentieri passo le settimane prima ad elemosinare accrediti a destra e a manca, in genere senza successo. Altro che cocaina. Però venerdì sera a Shellac accanto a me in prima fila c’era un fuorisede palesemente sotto cocaina che rompeva il cazzo.

JUSTIN BIEBER DA PICCOLO
Già è difficile pensare al J.Biebz sedicenne, mollami un secondo

QUANTO MANCA?
Diciassette minuti, quattro dei quali potrei impiegarli per una rece.

NON TI RICORDI DI KEN SIRO
Certo che mi ricordo, l’ultimo discendente della scuola nigeriana di Hokuto.

BASTONATE KEKKO E’ FROCIO?
Non è propriamente una domanda da minestra, ma continua ad apparire nelle statistiche, evidentemente per farmici fare un CSG all’uopo. Grazie. Allora, diciamo che a me piacciono molti maschi, alcuni dei quali proprio me li farei e per i quali non escludo di aprirmi anche alla passività, prima o poi. Perlopiù sono musicisti, economisti e tuttologi di quarta categoria, ma anche certi amici stretti me li farei senza forchetta. Per ora comunque sono un omosessuale non praticante.

VOCE DI JOHN FRUSCIANTE COME AVERLA
Diciamo che il risultato non varrebbe il sacrificio.

COME FARE PER CONTATTARE LA SUB POP PER
Non saprei, mandagli una mail.

MI BASTEREBBE PENSARE KEKKO 2010
Sì, beh, questa è un’autoanalisi brutale.

ENRICO GHEZZI COLPA DEL SOLE
Molto francamente non credo che Ghezzi abbia mai visto il sole in vita sua –tipo io l’ho incrociato due volte verso mezzanotte (trivia: una delle due volte era all’XM24 a vedere i Wolf Eyes. Eroe.) quindi probabilmente è colpa della madre o dei troppi film.

SIGNIFICATO DI DRONES
In inglese drone è il maschio dell’ape.

SERATA CON BOCELLI
Bocelli Andrea? Lo staff consiglia di non indulgere troppo in conversazioni sull’arte, perché di musica sembra non capirne molto e insomma, il cinema non è propriamente il suo campo.

IN ITALIA NON SI SCOPA PIÙ
Questo è un equivoco piuttosto comune. In realtà il coito è stato semplicemente privatizzato in seguito alla stretta dei conti pubblici durante la gestione Padoa-Schioppa. Esiste tuttavia una serie di esenzioni in merito alle quali ti puoi informare presso gli sportelli ASL.

CHE COS E’ UN ESTREMO
può essere un parassita distruttivo delle colonie dell’ape mellifera, esso infatti causa il danneggiamento dei favi cbandosi del miele immagazzinato e del polline. Se l’infestazione diventa sufficiente pesante, le api possono essere indotte ad abbandonare il loro alveare.

CHIUSURA DEI MANICOMI IN ITALIA
Fu un grave errore. Sarebbe stato meglio aprirli al pubblico come scuole di vita. (cit.)

IL CRACK SI FUMA
Ma anche no.

SHELLAC ESTRAGON SOLD OUT PERSONE
Non erano persone. Erano SCOIATTOLI! VERI SCOIATTOLI! Ed erano migliaia. Questa non è una qualche metafora o che. Cristo di un dio, questo è VERO.

LA BASTONATA ROMAGNOLA
Non esiste una traduzione letterale, e comunque il dialetto romagnolo non è una cosa scritta. Io tradurrei con slèpa.

L’agendina dei concerti Emilia Romagna – 27 settembre-3 ottobre

"EEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEHHHHHHHHHHH!!!" (foto presa dal blog di Paolo Liguori)

 
State meditando il suicidio perché oggi e domani c’è il Blasco in città e i biglietti sono andati esauriti sei anni fa? Niente panico e rimandate l’insano gesto: questa sera potrete scegliere tra A Birthday Party Band + Jack & the Themselves al Nuovo Lazzaretto (dalle 22, cinque euro) o i folli Heraclite gratis al Clandestino (dopo aver sentito questi ultimi vi garantiamo personalmente che il vostro cervello finirà in vacanza permanente su Saturno). Poi c’è sempre martedì per farla finita eventualmente, visto che in giro non c’è un cazzo. Mercoledì 29 ancora al Clandestino a farsi friggere quei pochi centri nervosi rimasti in attività dopo gli Heraclite al suono del Legendary Tiger Man (gratis, dalle 22), mentre giovedì 30 tutti ad arrostire cinghiali grossi come elefanti e a tracannare sidro di pessima qualità da corni luridi e bisunti: il gjallarhorn risuonerà in tutto il suo assordante furore bellico intorno alle 19 all’Estragon, in occasione della Heidenfest 2010. Trenta euracci il prezzo per l’ingresso nel Walhalla (valkyrie infoiate non incluse). Per i fighetti in vena di sporcarsi le mani col rock invece ci sono i Black Mountain al Bronson.
Venerdì 1 bisogna veramente tornare in pellegrinaggio al Clandestino per celebrare il manifestarsi di uno dei più grandi eroi di tutta la storia della musica (e dell’umanità): direttamente dal sottoscala degli uffici ormai abbandonati della Skin Graft, ecco Mr. Quintron e tutto il suo sterminato armamentario di strumenti autocostruiti che faranno del vostro cranio una pastosa e coloratissima omelette. Poi per chi è ancora vivo c’è sempre Josh Wink a dispensare le sue bordate di 303 a mitraglia che con il giusto dosaggio di MDMA è la morte sua; al Kindergarten dalle 23.30, metterei anche il prezzo ma quei bastardini non l’hanno scritto (facile che è sulla quindicina).
Sabato tutti a farci del male alla serata Slego remember al Velvet: ad aiutarci ricordare quanto eravano giovani belli e (in)felici ci penseranno il satiro Fiumani con i Diaframma (probabilmente i brani più recenti Pacciani style verranno momentaneamente accantonati a favore di una scaletta più improntata sul reducismo peso), e a seguire Thomas Balsamini dj. Qui tutte le informazioni. Per i b-boys invece, Assalti canta e non manda in letargo le menti dalle 22 al TPO a prezzo non pervenuto. Domenica dovevano esserci gli Hardcore Superstar all’Estragon ma mi sa che hanno annullato; magari è rimasto qualche biglietto per il Blasco al Palamalaguti. Chissà.

La gigantesca scritta LOAL: la macchina spara insulti di Mel Gibson

Murtaugh non l'avrebbe mai fatto.

 
Le premesse le conoscete: in questi giorni la reputazione di Mel Gibson è stata totalmente e irrimediabilmente demolita dalla serie di telefonate che l’ex compagna ha registrato e consegnato agli sbirri, poi finite su Internet chissà come. C’è di tutto in quegli agghiaccianti monologhi, in cui Gibson pare un Henry Rollins prima maniera nel pieno del più brutale dei suoi psicodrammi: accuse a 360 gradi, lamentazioni da Laurence Olivier che recita Shakespeare sotto acidi, minacce di morte da fare impallidire colossi della violenza domestica tipo Patrick Bergin in A Letto con il Nemico. Ma anche: tirate sessiste che il più crasso degli scaricatori di porto si vergognerebbe, apocalittiche esplosioni di furia distruttiva per un pompino negato, e tanto per gradire una spolveratina di razzismo gratuito (prima erano gli ebrei, ora sono i negri). Una galleria degli orrori assolutamente perturbante, offerta in mondovisione dai soliti bloggers americani senza scrupoli e con diversi metri di pelo sullo stomaco (con Perez Hilton che probabilmente vince a mani basse la gara di chi si finge più disgustato). A sdrammatizzare (si fa per dire) ci pensa quel mattacchione di eBaum, che sul suo sito omonimo ha piazzato, con invidiabile tempismo, una soundboard tutta dedicata alle ingiurie dell’iracondo e iperventilante Mel; per i più creativi c’è anche un contest, attivo fino a venerdì prossimo: in palio cinquanta dollari e simpatici gadget a tema per chi assemblerà la concatenazione di insulti più creativa. Mani al mouse dunque, e vinca il migliore!

Clicca qui per utilizzare la soundboard di Mel Gibson.

la gigantesca scritta LOAL: il concerto nei cerchi nel grano dei KORN

Neanche noi.

 
Tanto per alimentare l’insensatezza generale che ammanta tutto quel che riguarda l’uscita del nuovo Korn III, qualche executive pieno di cocaina fino alle orecchie qualche settimana fa se ne è uscito con l’idea geniale: perchè non tempestiamo la Rete di una serie di video “virali” in cui si vedono tanti tanti cerchi nel grano realizzati appositamente? Così, per sport: a quanto pare oggi le cazzate sui marziani sono tornate di moda. E poi tanto, peggio di Untitled non può andare, giusto? Detto, fatto: viene ingaggiato un plotone di “esperti” a deturpare una serie di incolpevoli campi di cereali. Il disco esce, ed è a quel punto che qualche altro executive farcito di amfe fin sopra la punta dei capelli deve aver partorito l’idea geniale: facciamoceli suonare dentro uno dei cerchi. Scommetto che Shyamalan non ci avrebbe mai pensato. Questo è il risultato: un’ora e venti di concerto dei Korn dentro un cerchio nel grano. Per aggiungere componenti ritualistiche a random il concerto è stato registrato durante il solstizio d’estate. A vedersi è anche divertente: con tutti quegli elicotteri in volo radente, pare un reboot di Apocalypse Now. Mancano giusto la Cavalcata delle Valchirie e Robert Duvall che dice stronzate sul surf. A un certo punto Jonathan Davis piange. Se poi nei prossimi giorni arrivano gli alieni e cominciano a distruggere tutto il mondo (a partire dalla Casa Bianca) a sparaflashate di raggi laser, perlomeno sapremo con chi prendercela. Nel frattempo, ecco il concerto:

KORN LIVE: THE ENCOUNTER Video di Korn – Video MySpace.

oldies but goldies: Neil Hamburger vs. King Buzzo

Questa è un po’ vecchia ma vale la pena ricordarla. Nel 2006 King Buzzo è stato ospite del programma Poolside Chats with Neil Hamburger, lo stand-up comedian più rivoluzionario, anarchico, perturbante e lunare dai tempi di Andy Kaufman – per molti versi perfino superiore. Lui (King Buzzo) è stato probabilmente l’unico ospite capace di tenere testa al conduttore, perchè se quest’ultimo è un vero matto, in egual misura il primo è un autentico dissociato. Ne è venuto fuori, più che un programma, una pièce beckettiana in piena regola. Giorni fa ho trovato per puro caso su youtube questo riassunto, assolutamente da non perdere se si vuole danneggiare irreparabilmente la propria salute mentale: