STREAMO: VVAA – Stroked

Già che siamo lì a parlare di anniversari, dieci anni fa –più o meno esatti, o quantomeno più esatti dei venti di Nevermind- usciva Is This It degli Strokes. All’uscita l’avrei chiamato “niente più che un onesto disco garage-pop”. Si scoprì in seguito che non era affatto un disco onesto. Si scoprì che la band di Fab Moretti e soci era stata eletta a principale alfiere del ritorno in pompa magna del rock’n’roll. Dopo gli Strokes arrivarono duecento milioni di gruppi con l’articolo davanti, tutti vestiti uguali (agli Strokes) e tutti ugualmente incapaci di scrivere canzoni (diversamente dagli Strokes), di cui le nostre collezioni di dischi conservano triste memoria ai piani bassi della lettera T. Ognuno ne salvava un paio. Tutti iniziavano ad avere una connessione internet. Quasi tutti i gruppi si vedevano concessa la possibilità di un paio di minuti alla luce del sole. Il tutto venne accantonato in via definitiva solo quando iniziarono ad andare di moda i gruppi con la cassa e i pezzi copiati a man bassa dai PIL. A un certo punto, da qualche parte nel processo, questa musica venne chiamata indie. Non aveva a che fare con l’indie di cui si parlava fino a venti minuti prima. Gli Strokes pisciavano nello stagno delle fan dei Belle & Sebastian. Sei o sette anni dopo le stesse (ex) ragazzine inseguivano il sogno oscuro di certo imprendibile shoegaze da libro di scuola.

Nel 2001 conobbi Is This It. lessi la recensione entusiasta di un giornalista che poteva essere Rossano Lo Mele. Citava i La’s, non credo ancora i Television: loro arrivarono qualche settimana dopo, un nome di cui tutti sapevano tutto, quasi tutti in malafede. Comprai Is This It al Marco Polo, assieme a un album vecchio e minore e -diciamocelo- molto brutto degli Einstuerzende Neubauten che ho ascoltato qualcosa come una volta. Una commessa carina e un po’ sovrappeso mi guardò comprare il disco, mi guardò con occhi sognanti e sussurrò “è bellissimo”. Aveva qualche anno in più di me. Mainstream e rock indipendente smisero di farsi la guerra ai tempi di Is This It: in prospettiva la cosa non ci ha dato musica migliore, ma se non avessero la pace probabilmente sarebbe andata ancora peggio. Qualche mese dopo le ragazze carine con la fissa del disco degli Strokes uscivano dalle fottute pareti. Alcune passavano alla fase successiva e groupizzavano certe garage-band di Portland, giustamente malcagate, impegnate in tour italiani di tredici date l’uno. Schifavano il music-biz. Adoravano la loro frangia. Odiavano Julian Casablancas. Erano tutte bellissime e studiavano grafica della comunicazione comparata in qualche città inesistente. Il secondo disco degli Strokes rivelò che il suddetto Casablancas non era il nuovo Mick Jagger. La stessa commessa del supermercato, ma diversa, era andata a lavorare in un negozio di abbigliamento vintage da cui comprai una spilletta dei Neubauten. Indossavo pantaloni larghi da cantoniere. Mi chiese il nome del gruppo per essere sicura che non comprassi una spilletta a caso. Approvò la mia scelta. “Non pensavo li conoscessi.”

Qualche anno dopo iniziano le lezioni di storia della musica della Maugeri su Virgin Radio. Sono brevi pezzi di agiografia rock’n’roll (lei lo chiama wackenwohl). Ascolto per caso una tirata sugli Strokes, che lei chiama Schwawks. Parla della loro poetica e del fatto che con loro il rock’n’roll sia diventato una questione di moda e di pantaloni giusti. Gli Strokes arrivano al quarto disco nel marzo del 2011: parchi, ma non per scelta artistica. L’utimo disco si chiama Angles: niente di incredibile, ma è ancora un disco di pop solido con qualche pezzo (in netta controtendenza con la moda contemporanea di pubblicare dischi pop senza pezzi) e la porta a casa senza strafare. La parabola discendente dei consensi critici attorno alla band invece è più drammatica e svilente di quella degli Oasis dopo il terzo disco. In data odierna esce un obbligatorio disco-tributo: si chiama Stroked ed è un reboot integrale di Is This It, scaricabile gratis da Stereogum e prevedibilmente orribile. In qualche modo racconta di tutto quel che ci è successo -ragazze, dischi e altre cose non importanti- nell’ultimo decennio, e di quello che non ci è successo e di tutto quel che ci sta in mezzo. Poteva andare peggio, o quantomeno non è tutta colpa degli Strokes.