Sabato scorso ero in viaggio in autostrada e durante una sosta pisciata-panino-acqua-caffé all’Autogrill ho avuto il piacere di vedere un indie che leggeva Libero comodamente seduto da solo ad un tavolino. L’ho insultato pesantemente ma lui non ha sentito nulla perché alle orecchie aveva auricolari + Ipod a volumi da lesione permanente al timpano, ed allora ho capito tutto. Ho avuto l’illuminazione. Non poteva sentirmi perché stava ascoltando il rock per culattoni dei Drums (un valente collaboratore di Rumore li ha definiti così nella recensione di un gruppo rock perdente chiamato Cheap Time, dunque deve essere per forza vero che i Drums fanno rock per culattoni – anzi per ”culatoni” come ha scritto il valente collaboratore di Rumore) e voleva far finta di essere aperto mentalmente visto che l’impero berlusconiano è lì lì per crollare.
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L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 13-19 settembre
Non si fa in tempo a chiudere la settimana con un devastante, eroico live dei Last Days of Humanity (portato avanti nonostante tutto e tutti, con la corrente che saltava di continuo, il microfono a singhiozzo e mezzo impianto praticamente fuori uso) che è di nuovo tempo di concerti. Si comincia questa sera all’Atlantide con una tripla da urlo nel segno del crust/d-beat più urticante in circolazione negli USA e in Finlandia: The Holy Mountain (questi sono veramente micidiali), Abrupt e i finnici Unkind (temibilissimi con il cantato in madrelingua). Dalle 22, l’ingresso dovrebbe stare sui cinque euro (per i fighetti e gli insonni cronici ci sono i Blonde Redhead all’Estragon a quindici euro). Martedì non mi risulta ci sia nulla a parte i Tre Allegri Ragazzi Morti (gratis con summer card – dieci euro) che suonano all’Estragon per la millesima volta quest’anno; meglio mercoledì con i Dub Pistols, sempre all’Estragon e sempre previa summer card. Se poi non siete troppo storditi dai cannoni basterà una breve passeggiatina rinfrancante fino al Kindergarten per godersi il dj set inaugurale del Robot Festival: masters of ceremonies, i Pastaboys, Nôze e Dani Siciliano (dieci euro). Giovedì 16 una scaletta serratissima, da maratoneti: alle 21 aperitivo con i Montefiori Cocktail alla terrazza del MAMbo (gratis), alle 21.30 DJ Balli a Palazzo Re Enzo (cinque euro), poi di corsa ancora all’Estragon per i grandi Real McKenzies (gratuito con summer card a dieci euro) e infine al Cassero per Daniele Baldelli (dieci euro, cinque se in possesso del biglietto di ingresso di Palazzo Re Enzo).
Venerdì 17 armati di ferro di cavallo, cornetto antisfiga e manina che fa il gesto delle corna, ci sarà ancora di che desiderare il dono dell’ubiquità: ancora crust punk alla vecchia all’Atlantide con Deathraid e Bhopal (dalle 22, cinque euro), un live set che si preannuncia devastante di Kevin Martin nella sua ultima incarnazione King Midas Sound a Palazzo Re Enzo (dalle 23, dieci euro), la prima serata dell’AntiMTVday all’XM24 (dalle 22.30, il prezzo dell’ingresso per ora non è dato saperlo), e tanto per non farsi mancare niente i Cassius al nuovo Link (quindici euro). Per i romagnoli ci sono i Uochi Toki in set semiacustico al Grottarossa (dalle 21, cinque euro con buffet vegano), per i fighetti e in generale chi della musica in fondo non ha mai capito un cazzo ci sono i Nouvelle Vague all’Estragon a quindici euro.
Sabato 18 seconda giornata dell’AntiMTVday (dalle 16.30, ingresso non pervenuto, tra gli altri ci sono anche gli ZEUS!), per i metallari panzoni attempati col mullet i Phantom-X a Comacchio (dalle 22.30 al Voodoo Club, il prezzo lo ignoro), per i nightclubbers più aggressivi la riapertura del SynkLab, per i nightclubbers strafatti di keta The Speed Freak al Redrum. Finale col botto per le teste metal più coriacee domenica con il Rock Hard Festival all’Estragon (dalle 11): per trentacinque bombe vi beccate dieci gruppi (tra cui spiccano Sodom, Grave Digger e i mitici Malnàtt – non i nazi di Milano), bancarelle a tema, ricchi premi, cotillons, e l’elezione di Miss Maglietta Bagnata durante lo show di quei fini stilnovisti dei Rain.
STREAMO: The High Confessions – Turning lead into gold with the High Confessions
The High Confessions è il nome del nuovo supergruppo in città. Il mastermind alla base dell’intera operazione è universalmente identificato in Steve Shelley, rubicondo batterista dei Sonic Youth, uno che, con quella faccia e quel fisico, te l’immagini al massimo a cuocere hot-dogs in una bancarella a Little Italy piuttosto che a sorseggiare Martini all’ultimo vernissage a SoHo con gli amici galleristi Lee, Kim e Thurston. E infatti si è scelto un degno compagno di merende: alla voce troviamo infatti un’altra faccia da relitto della working class che non farebbero avvicinare a un party in un loft neanche con un palo lungo trenta metri. Lui è il titanico Chris Connelly, uno che negli ultimi venticinque anni ha militato praticamente in qualsiasi gruppo industrial europeo e non, era tra gli amichetti preferiti di Al Jourgensen quando i Ministry erano ancora i re del mondo, e parallelamente a tutto questo ha portato avanti una carriera solista di assoluto rispetto (in particolar modo il materiale licenziato da Wax Trax! nel magico triennio 1990-92). La line-up è completata dal basettato Sanford Parker (bassista dei Minsk, chitarra e voce nei malmostosi Buried At Sea e nella grezzissima all-star black metal band Twilight, session man per i live dei Nachtmystium nonchè apprezzato produttore e ingegnere del suono) e dal bohemienne Jeremy Lemos (nella foto è quello vestito come un idiota), già nei dronanti White/Light e ingegnere del suono a sua volta.
L’esordio, pretenziosamente titolato Turning Lead into Gold (in italiano sarebbe “Trasformando il piombo in oro“) with The High Confessions, è uscito incredibilmente su Relapse il 20 luglio scorso; lo si trova in streaming quasi integrale (manca una bonus track inclusa nella sola edizione digitale, comunque assente nelle versioni ‘fisiche’ CD e doppio LP) a questo indirizzo. Sono cinque pezzi per una durata totale di cinquantatrè minuti e qualche secondo. Nell’ordine abbiamo: l’iniziale, robotica Mistaken for Cops, voce adulterata tipo dietro un megafono, chitarrismo acuminato e ossessivo, batteria pestona che evoca il ritmo di una catena di montaggio. Il pezzo finisce in dissolvenza dopo quattro minuti. La blaterante e PiLiana Along Came the Dogs, torrenziale tour de force (per meno di tre minuti non entra nella categoria MATTONI) tra incomprensibili vaniloqui stratificati e sovrapposti, tribalismi alla Metal Box (ma senza le chitarre stridenti e la paranoia) e dronate montanti sul finale. La cantilenante, notturna The Listener tra echi lunari, clangori metropolitani, minacciosi rintocchi di piano, drumming ipnotico e numeri da Jah Wobble degli incapaci.
In Dead Tenements è la voce a diventare lydoniana. Per il resto la solfa non cambia: salmodiare allucinato, feedback e bordoni a pioggia, drumming tribalistico/metronomico, qualche WOOOOOOOOOSSSSHH di synth analogico qua e là e tutto che sale sale sale e scende scende scende poi ancora sale sale sale poi ancora scende scende scende ma comunque non arriva mai a esplodere. In ogni caso la ventata desolante sul finale non manca.
Più o meno lo stesso nella conclusiva Chlorine and Crystal, solo che qui ci sono le chitarre lancinanti e la batteria fa tù-tùm stile primo disco dei Joy Division; sembrerebbe quasi un out-take di Exterminating Angel di Robin Crutchfield se solo al posto delle chitarre ci fossero le tastiere e il pezzo fosse un bel pezzo. Forse esagero ma per me questo disco è una mezza ciofeca.