Abbassare il livello: BRUTAL TRUTH/BASTARD NOISE – The Axiom of Post Inhumanity

I Brutal Truth sono una delle cose più belle successe alla musica dall’invenzione dell’elettricità a oggi; implosi dopo una breve serie di dischi che dire monumentali è sminuire la categoria dei dischi monumentali, hanno capito che non era il caso e da qualche anno sono tornati, e per qualche miracolo che evidentemente non è dato comprendere ma solo accettare muti e grati i dischi nuovi sono buoni quasi quanto quelli vecchi. I Bastard Noise all’inizio erano i Man Is The Bastard che cazzeggiavano coi rumorini, poi i Man Is The Bastard si sono sciolti, Eric Wood ha continuato e sono rimasti loro; l’ultima volta che li ho visti c’era una tipa alla voce (devo essermi perso qualche passaggio nel frattempo). The Axiom Of Post Inhumanity documenta l’incontro tra questi grandi spiriti (sia detto senza la minima ironia). Sulla carta qualcosa di epocale, mastodontico, definitivo, roba che ha a che fare molto da vicino con il concetto di history in the making e che solletica l’immaginazione prefigurando scontri titanici alla Thor contro Galactus, Alien contro Predator, Godzilla contro Gamera; nella pratica una cosetta neppure troppo fastidiosa e men che meno ostica o perturbante.

Esce in due formati come le edizioni platinum della Marvel, CD e vinile con copertine di diverso colore e scalette differenti; come è logico che sia in entrambi i casi la porzione che compete ai Bastard Noise è quella che suona meglio (anni di pratica, strumenti autocostruiti e impalcature concettuali che ai Brutal Truth mancano quasi del tutto – dettaglio non da poco: il quasi è Prey, pezzo che chiude Sounds of the Animal Kingdom e che in 22 minuti dice sul rumore e sul caos più di quanto questo e qualsiasi altro disco potranno dire mai), ma è l’unica differenza: tanto nella versione LP quanto su CD il contenuto è parimenti tristo, baracconesco e deleterio. Una parata di sfrigolii, scrocchi e sibili di quelli che vengono fuori smanettando con la manopola della sintonia di una radio con l’antenna rotta, tetraggine da film horror di serie Q con pretese, scricchiolii e arricciamenti digitali tipo il modem a 56k quando non prende bene e fa fatica a connettersi (Mantis colony), folate minacciose, sirene che precedono i bombardamenti a tappeto (Preemptive epitaph), anatemi con vocione sepolcrale-orchesco, sfarfallii fruscii e pernacchiette (The antenna galaxies), ancora sirene pre-bombardamenti, urla di tregenda e scricchiolii più fastidiosi del solito (Frack baby frack, è più appassionante il film di Gus Van Sant). I pezzi dei Brutal Truth stessa sbobba ma più minimale e alla vecchia. Control room: peace is the victory mix: stasi da dopobomba, una voce che gracchia cose in un walkie talkie distrutto, uno scheletro percussivo carpito chissà dove – forse il batterista che si sta scaldando in sala prove – presto risucchiato nel gorgo di bruma digitale, ululati di fantasmi nella notte, casino montante, ronzii da tinnito permanente, batterista sempre più lanciato, climax, rilascio. Diciotto minuti. Control room: smoke grind and sleep mix: altri acufeni, il suono delle pale di un elicottero che girano a vuoto riprocessato in modo da sembrare una grattugia che sfrega contro una barra di tungsteno, il ‘beep’ che segnala quando qualcuno ha lasciato lo sportello aperto in macchina, gli stessi ululati di cui sopra però sepolti sotto coltri di rumore di fondo e con un fastidioso ronzio persistente tipo trapano del dentista rimasto acceso in uno studio vuoto, segnali acustici a sfare, parte pure il campionamento di un pezzo sul danzereccio arrogante, lento ma violento avrebbe detto Albertino, ma è un attimo, poi voci a random tipo disco di Peter Sotos ma incomprensibili che diventano urla che diventano latrati. Venticinque minuti. The Stroy, la più rumorosa, bruma digitale più aggressiva del solito (forse sono le onde corte invece delle onde medie, non so, non faccio l’antennista) e fischio tipo volatile incarognito o antifurto guasto di quelli veramente molesti, poi un urlo tipo suicida che si lancia dal balcone e infine le sole note suonate dell’intero programma, l’attacco di un pezzo che diresti sul doom-cazzeggio in sala prove ma filtrato e distorto come attraverso un software di quindici anni fa, tipo Fruity Loops ma ancora più basilare. Magari è pure un pezzo vecchio dei Brutal Truth, comunque non lo riconoscerebbe nessuno. Poi tutto si sgretola in un’orgia di feedback e ampli in saturazione. Sette minuti. È il 2013 e che questo disco esca a due settimane dalla morte di Lou Reed in qualche maniera strana e perversa ha un senso.

L’agendina dei concerti Emilia Romagna – 3-9 dicembre 2012

vene nel sangue

La settimana a Bologna inizia giovedì 6 con il live dei Valerian Swing al Chet’s (dalle 22 prima c’è aperitivo, prima consumazione obbligatoria + tre euro)… Altrimenti al RAUM c’è Questo… Venerdì all’XM24 serata benefit per l’Iqbal Masih, manco a dirlo gran punk-hc come se piovesse, Qui il flyer extralarge, fate lavorare la Rank Xerox… Oppure per i romagnoli La Crisi + La Prospettiva + Lantern + Fall Of Minerva al Lughé, dalle 21.30… Annullata la prima (e finora unica e ultima) data degli Eryn Non Dae a Bologna (Qui il gigaflyer, peraltro ora inutile)… Un pezzo di storia: gli Uzeda di nuovo a Bologna, sabato 8 al SenzaFiltro (dalle 22, cinque euro più tessera – due euro giornaliera, dieci annuale)… Scott Kelly in data unica domenica 9 a Parma, allegria… Se invece preferite vivere, Mission Of Burma anche loro in data unica al Locomotiv (dalle 21.30, quindici euro più tessera AICS otto euro)… Fino alla prossima: lagendinadeiconcerti(at)gmail(dot)com

PICCOLO AGGIORNAMENTO ROMAGNOLO: venerdì sera al Bronson di Ravenna ci sono anche Calibro 35 e Fuzz Orchestra, più una serata danzereccia di solo colonne sonore che include anche la prima Fight Night a cura de I400calci. Abbiamo prodotto una locandina.

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 24-30 settembre 2012

 
Se dei Radiohead non ve ne frega un cazzo, fatevi servire: La Dispute + Title Fight + Make Do and Mend + Into It, Over It al Blogos (a partire dalle 20, quindici euro), oppure Cross Stitched Eyes (death-punk bello marcio alla vecchia con membri di UK Subs e Subhumans, aprono i Whiskey Ritual; dalle 21, sei euro) al Bologna Gran Bistrot. Entrambi martedì 25. Prosegue il festival Superficie alla Rocca Malatestiana a Cesena mercoledì con “Freak” Antoni e Alessandra Mostacci, a seguire djset, sangiovese come se piovesse e grigliata a prezzi politici; dalle 18, ingresso a offerta libera. Esauriti i biglietti per Alva Noto e Ryuichi Sakamoto al Teatro Comunale giovedì 27… Venerdì 28 a partire dalle 21 si recupera il concerto per l’anniversario di John Cage previsto per il 31 maggio poi slittato per terremoto; ingresso gratuito, cartellone da paura, Qui tutti i dettagli… Riapre il Locomotiv, celebriamo con il live dei Black Dice (dieci euro più tessera AICS 2013) per un’orgia di colori accecanti e suoni fastidiosi a incasinare le sinapsi; ancora venerdì, a partire dalle 22.30. Infine, gran cagnara all’Atlantide con Countdown to Armageddon, Ilegal e Frustration dalle 22 a un pugno di spiccioli. Ancora alla Rocca Malatestiana sabato, ve lo diamo noi Tim Leary: dalle 18 per la Giornata Europea del Patrimonio c’è anche Matteo Guarnaccia, che trip… Domenica 30 reading + concerto all’XM24, tutte le informazioni nel lisergico flyer che trovate qui sotto… Segnalazioni, anatemi, richieste di riscatto al solito indirizzo: lagendinadeiconcerti(at)gmail(dot)com

 

lista dei dieci-dodici-boh dischi più belli e importanti mai pubblicati da degli italiani (Bastonate is the new Rolling Stone but with no figa)

Ho dichiarato in tempi non sospetti la mia stima per Rolling Stone. Cioè, Rolling Stone è Rolling Stone ma di tanto in tanto c’è un pezzo figo, o almeno sopra la media, ecco tutto. E ci scrive un sacco di nostri sodali (noi no). Comunque niente, è uscito il numero cento di Rolling Stone ed è stato celebrato con una lista dei cento dischi italiani più meritevoli di finire in una lista con cento dischi italiani. A compilarla è un gruppo di cento esterni, tra cui almeno quaranta tra scalzacani, incompetenti, teste di minchia e gente che scopa regolarmente (almeno sembra dai risultati). Costoro hanno partorito un elenco di cento titoli che a prima vista sembra la lista più carica di WTF mai pubblicata da un essere umano, e a seconda vista sembra quasi peggio. Dicono comunque che il numero sia molto bello, quindi andate in edicola e compratelo. Io lo farò, e nel frattempo magari colgo l’occasione per farmi la sponda e piazzare sul blog una lista dei dieci-dodici-boh dischi più belli e importanti mai pubblicati da degli italiani secondo una poll effettuata in seno allo staff di Francesco di Bastonate. Naturalmente non ci ho ragionato un secondo, ho escluso robe che mi piacciono ugualmente sulla base di discutibilissime scelte macro (tipo tutto sommato mi ascolto De Gregori molto più spesso di quanto ascolto i Frammenti, e Melma&Merda molto più di De Gregori etc), ma alla fine è solo per rompere il cazzo e dichiarare con malcelato orgoglio il nostro amore per le liste di qualsiasi tipo. Ingoiate la lista e non rompete i coglioni. Se avete liste migliori, ne sono assolutamente convinto, postatele sui vostri blog. Mancarone Splinder.

LAGHETTO – SONATE IN BU MINORE PER QUATTROCENTO SCIMMIETTE URLANTI
Io e questo disco siamo BFF. È un disco di genere non di genere e loro sono il più grande gruppo mai esistito al mondo, e quindi questo –essendo il loro migliore- è anche il miglior disco mai registrato. Contiene Uomo Pera, Devoured by Carlabruni, L’odore dei pomeriggi (quando li butti via) e svariate altre cose ugualmente belle.

SANGUE MISTO – SXM
Sì, insomma, dovevo sceglierne uno tra tutti quelli che in qualche modo sono legati a questa cosa e comunque probabilmente questo qua è il disco che ho ascoltato di più in assoluto. Non riesco a spiegarvi com’è che è il mio disco preferito.

ZU – IGNEO
Dovevo sceglierne uno anche degli Zu, vado con il migliore, piuttosto casualmente un disco uscito su Wallace che è un po’ il modo che ho di includere quella che nei duemila, una cosa o l’altra, è stata la mia etichetta preferita.

FAUSTO ROSSI – EXIT
Non so se avete mai fatto caso a questa cosa che tutti i tag di Bastonate sono pezzi del testo di Blues. Non fosse stato per Reje non l’avrei mai ascoltato. Omaggi.

CONCRETE – TIPO TUTTO
Dei Concrete se non erro è uscito solo un disco diciamo lungo, che si chiama Nunc scio tenebris lux, ma potrei anche avere sparato un nome a caso. Poi c’è un10” e alcune robe clamorose tipo uno split con Antisgammo. Se vai a cercare in Italia un gruppo più sofferto e preso male in quel genere lì non trovi nulla. Oddio, anche non in Italia è difficile. Ho sentito dire che a un certo punto qualcuno ha stampato un CD, forse SOA o qualcosa del genere, io non l’ho mai visto, non mi pongo domande –specie perché Google in queste cose non aiuta.

UOCHI TOKI – UOCHI TOKI
Quello con ottanta pezzi, una dozzina dei quali grindcore. Ci mancano.

PIERO CIAMPI – L’ALBUM DI PIERO CIAMPI
Non ho un disco di Piero Ciampi, ho scaricato degli mp3, questa passa per essere una raccolta supercompleta delle sue cose che per la maggior parte non ricordo manco che titolo hanno ma mi spaccano in due. Piero Ciampi è per me trentacinquenne quello che Fabrizio de Andrè è per me venticinquenne, vale a dire diobbò ma te non hai idea come me la vivo diobbò, però è morto povero e male ed è molto più crust. Contrariamente a Fabrizio de Andrè che invece negli ultimi anni è diventato per tutti IL FABER e gli stessi dischi che allora ci gasavano, adesso ci fanno schifo al cazzo a tutti.

BACHI DA PIETRA – NON IO
A caso, tra i Bachi da Pietra. Includiamo ancora Wallace, Bruno Dorella, i Madrigali Magri e i dischi dove invece che il cantante c’è un depresso che parla. A me i Massimo Volume non piacciono.

CRIPPLE BASTARDS – YOUR LIES IN CHECK
Gente tranquilla.

FRAMMENTI – L’APPESO
Alla fine dell’arcòr e del punk storico italiano, se mi faccio un esame di coscienza, non m’è mai fregato un cazzo.

CRUNCH – WORTH MENTIONING
Del noise invece sì. Questo è uno dei pochi dischi dell’italia diciamo PESA che non passava per i posti occupati usciti pre-2000 che riesco ancora ad ascoltare e anzi mi prendono meglio ad ogni nuovo passaggio.

THE SECRET – SOLVE ET COAGULA
Non volevo sembrare un nostalgico.

(Ma sì, mettiamoci pure un disco degli Uzeda o dei Bellini, chi se ne frega. E poi magari To The Ansaphone, l’ultimo dei Nativist, Assalti Frontali/Brutopop e altre cose simili)

Dischi stupidi: Is This Hyperreal?

Alec Empire sembra un cialtrone decerebrato, e gli si vuol bene anche per questo. In realtà la sua visione ha marchiato a fuoco gli anni novanta (e tutto quel che ne è derivato) come pochissimo altro; più prolifico di Scerbanenco, diecimila pesudonimi, sempre in moto, sempre pronto a collaborare con questo e quello, occhi e orecchie spalancati come voragini e ricettivi come paraboliche verso il mondo intorno, una curiosità inesauribile, pari soltanto al narcisismo tossico e a una volontà di ridefinire i confini della musica elettronica di qualsiasi tipo, forma e foggia (dalla techno alla musica concreta, dal rumore bianco all’ambient), l’uomo nato Alexander Wilke ha saputo essere produttore, imprenditore, DJ, squatter, ideologo, icona punk e uomo-copertina (per i dissociati), ha creato con il solo ausilio di macchine old skool e schede audio estrapolate da videogiochi scassati un genere (la breakcore o digital hardcore che dir si voglia) su cui legioni di nullità stanno ancora costruendo carriere, soprattutto, ha saputo fermare lo spirito del tempo in un’incarnazione tra le più vitali, irreplicabili e fieramente ignoranti di sempre. Gli Atari Teenage Riot (oltre a Empire un negro schizzato e una tipa che sembrava un travestito brutto) erano tutto questo: Berlino, la caduta del Muro, i rave. Puro spirito punk all’ennesima potenza declinato in salsa gabber, ribellismo a cazzo di cane in dosi da far cagare addosso Zack de la Rocha, testi sullo sloganistico spinto che al confronto i Discharge erano filosofi greci, riff campionati alla vecchia da dischi metal e non (dai Pantera ai Dinosaur Jr, tutto comunque sgamabile anche da un sordo), gran bailamme di 808 e 909 prese a pugni, un apparato iconografico che sapeva unire le fulminanti visioni cyberpunk dei Ministry degli anni belli a un modernariato pauperistico figlio di Tetsuo quanto di Jeff Minter quanto di Mimmo Rotella se fosse stato giovane ed eroinomane negli anni ottanta: se nel 1995 avevi tredici anni e una gran voglia di ascoltare musica che facesse incazzare gli insegnanti, questa era una vera e propria benedizione. L’apice lo raggiungono nel 1997 con No Remorse (I Wanna Die) assieme agli Slayer per la colonna sonora di Spawn (probabilmente il più brutto film su un supereroe mai realizzato; la colonna sonora non è molto meglio, ma il pezzo degli ATR spacca), nel frattempo era entrata in pianta stabile la giappo-ariano-texana Nic Endo, urla effettate, casino digitale e bella presenza; due anni più tardi 60 Second Wipe Out, stessa sbobba ma stavolta piace anche ai metallari, loro suonano al Dynamo e il video di Too Dead for Me gira nelle trasmissioni metal. Il merzbowiano Live At Brixton Academy 1999 (un solo pezzo di venticinque minuti di rumore fastidiosissimo) l’ultimo atto: pochi giorni prima dell’11 settembre Carl Crack muore, forse suicida. Il gruppo si scioglie, Alec Empire continua a fare uscire cose. Nel 2002 Intelligence & Sacrifice folgora simultaneamente sulla via di Damasco quel che è rimasto della stampa musicale italiana; il mega-marchettone collettivo non sortisce gli effetti sperati, l’interesse gradualmente scema e per i dischi successivi Empire torna a venire snobbato alla grande. Nel 2010 la reunion degli Atari Teenage Riot, oggi il nuovo CD. Al posto di Carl Crack c’è un altro negro, Hanin Elias non è della partita, dice che non ce la fa più a cantare; Alec Empire ha ancora il mascellone volitivo e sembra ancora la versione giovane di Lux Interior, e Nic Endo è sempre una gran figa – con o senza ideogrammi in faccia. Is This Hyperreal?, meraviglioso l’omaggio ai Wipers nel titolo, manco a dirlo è la stessa sbobba di sempre, riff metal rubati, slogan urlati e tutto il resto, e il fatto che esca a ridosso dei casini a Londra è una pura casualità; il valore aggiunto per noialtri vecchiacci è l’effetto-nostalgia, il ricordarci dolorosamente di un tempo in cui eravamo giovani e idealistici e animati da Giuste Cause a caso (Fuck the commercials! Burn down the system!!!, come recitava un biglietto da visita degli ATR del 1992, e crederci davvero). Però il disco è proprio brutto.

STREAMO: VVAA – Stroked

Già che siamo lì a parlare di anniversari, dieci anni fa –più o meno esatti, o quantomeno più esatti dei venti di Nevermind- usciva Is This It degli Strokes. All’uscita l’avrei chiamato “niente più che un onesto disco garage-pop”. Si scoprì in seguito che non era affatto un disco onesto. Si scoprì che la band di Fab Moretti e soci era stata eletta a principale alfiere del ritorno in pompa magna del rock’n’roll. Dopo gli Strokes arrivarono duecento milioni di gruppi con l’articolo davanti, tutti vestiti uguali (agli Strokes) e tutti ugualmente incapaci di scrivere canzoni (diversamente dagli Strokes), di cui le nostre collezioni di dischi conservano triste memoria ai piani bassi della lettera T. Ognuno ne salvava un paio. Tutti iniziavano ad avere una connessione internet. Quasi tutti i gruppi si vedevano concessa la possibilità di un paio di minuti alla luce del sole. Il tutto venne accantonato in via definitiva solo quando iniziarono ad andare di moda i gruppi con la cassa e i pezzi copiati a man bassa dai PIL. A un certo punto, da qualche parte nel processo, questa musica venne chiamata indie. Non aveva a che fare con l’indie di cui si parlava fino a venti minuti prima. Gli Strokes pisciavano nello stagno delle fan dei Belle & Sebastian. Sei o sette anni dopo le stesse (ex) ragazzine inseguivano il sogno oscuro di certo imprendibile shoegaze da libro di scuola.

Nel 2001 conobbi Is This It. lessi la recensione entusiasta di un giornalista che poteva essere Rossano Lo Mele. Citava i La’s, non credo ancora i Television: loro arrivarono qualche settimana dopo, un nome di cui tutti sapevano tutto, quasi tutti in malafede. Comprai Is This It al Marco Polo, assieme a un album vecchio e minore e -diciamocelo- molto brutto degli Einstuerzende Neubauten che ho ascoltato qualcosa come una volta. Una commessa carina e un po’ sovrappeso mi guardò comprare il disco, mi guardò con occhi sognanti e sussurrò “è bellissimo”. Aveva qualche anno in più di me. Mainstream e rock indipendente smisero di farsi la guerra ai tempi di Is This It: in prospettiva la cosa non ci ha dato musica migliore, ma se non avessero la pace probabilmente sarebbe andata ancora peggio. Qualche mese dopo le ragazze carine con la fissa del disco degli Strokes uscivano dalle fottute pareti. Alcune passavano alla fase successiva e groupizzavano certe garage-band di Portland, giustamente malcagate, impegnate in tour italiani di tredici date l’uno. Schifavano il music-biz. Adoravano la loro frangia. Odiavano Julian Casablancas. Erano tutte bellissime e studiavano grafica della comunicazione comparata in qualche città inesistente. Il secondo disco degli Strokes rivelò che il suddetto Casablancas non era il nuovo Mick Jagger. La stessa commessa del supermercato, ma diversa, era andata a lavorare in un negozio di abbigliamento vintage da cui comprai una spilletta dei Neubauten. Indossavo pantaloni larghi da cantoniere. Mi chiese il nome del gruppo per essere sicura che non comprassi una spilletta a caso. Approvò la mia scelta. “Non pensavo li conoscessi.”

Qualche anno dopo iniziano le lezioni di storia della musica della Maugeri su Virgin Radio. Sono brevi pezzi di agiografia rock’n’roll (lei lo chiama wackenwohl). Ascolto per caso una tirata sugli Strokes, che lei chiama Schwawks. Parla della loro poetica e del fatto che con loro il rock’n’roll sia diventato una questione di moda e di pantaloni giusti. Gli Strokes arrivano al quarto disco nel marzo del 2011: parchi, ma non per scelta artistica. L’utimo disco si chiama Angles: niente di incredibile, ma è ancora un disco di pop solido con qualche pezzo (in netta controtendenza con la moda contemporanea di pubblicare dischi pop senza pezzi) e la porta a casa senza strafare. La parabola discendente dei consensi critici attorno alla band invece è più drammatica e svilente di quella degli Oasis dopo il terzo disco. In data odierna esce un obbligatorio disco-tributo: si chiama Stroked ed è un reboot integrale di Is This It, scaricabile gratis da Stereogum e prevedibilmente orribile. In qualche modo racconta di tutto quel che ci è successo -ragazze, dischi e altre cose non importanti- nell’ultimo decennio, e di quello che non ci è successo e di tutto quel che ci sta in mezzo. Poteva andare peggio, o quantomeno non è tutta colpa degli Strokes.

QUATTRO MINUTI: A Storm of Light – As the Valley of Death Becomes Us, Our Silver Memories Fade (Profound Lore)

VIA
Il primo A Storm Of Light ci piaceva anche se non era un granchè: i motivi sono sostanzialmente due, cioè che 1 era molto meglio di come l’aveva dipinto la critica (la quale s’era accanita in un modo davvero allucinante, considerato il fatto che era un disco del giro Neurosis) e 2 VINNIE SIGNORELLI. Il secondo disco degli A Storm of Light era più o meno la stessa roba con meno verve. Nel frattempo il consenso popolare verso il giro Neurosis stava continuando a scemare, giustamente peraltro. Il presente è un’altra raccolta senza un perché, con meno verve ancora, un paio di componenti più irragionevolmente anni settanta e VINNIE SIGNORELLI ancora alla batteria. Va bene fare il tifo, ma già il precedente abusava della nostra pazienza. Boh. Però il titolo è molto lungo e molto goth metal.
STOP

Gente vera: EUGENE ROBINSON

(Gilles Rammant)

La foto sopra ritrae l’uomo che vorrei essere. Si chiama Eugene Robinson e canta in un gruppo chiamato Oxbow. Ultimamente lavora da solista e canta come guest-star in una pletora di gruppi; qui l’abbiamo incrociato con i Black Sun. Entra in studio, rantola per dieci minuti (i pezzi con Eugene a fare da guest-star son sempre lunghissimi) ed esce. Tutti amici come prima. Naturalmente per conoscere la qualità incredibile del suo lavoro vi consiglio di imparare a memoria ogni singolo secondo della discografia degli Oxbow, uno dei più straordinari ed intensi corpi letterari della musica rock di ogni tempo. Ma se volete un’istantanea immediata vi consiglio di linkarvi a R*ckit, dove oggi trovate il nuovo disco degli One Dimensional Man in streaming, dargli un paio di ascolti e rendervi conto di quanto una comparsata di Eugene Robinson riesca a far pensare bene di un disco irredimibile.

 

Per dire.