DISCONE: EARTH – Angels of Darkness, Demons of Light 1 (Southern Lord)

Il leak è saltato fuori presto, molto presto, tanto che ancora prima di Natale praticamente chiunque era già in grado di esprimere un’opinione circostanziata su Angels of Darkness, Demons of Light 1, che esce ora. Angels of Darkness, Demons of Light 1 è il nuovo disco degli Earth, il terzo dopo la svolta western mentale operata nel traumatico Hex; Or Printing in the Infernal Method del 2005, in mezzo una marea di live album, ristampe, EP di pezzi vecchi risuonati con lo stile nuovo, qualche sciccheria per collezionisti matti (lo split coi Sunn O))) per il tour del 2006, 2000 copie in vinile dorato, l’allucinogeno remix album Legacy of Dissolution, ancora 2000 esemplari in vinile multicolore) e soprattutto l’ottimo The Bees Made Honey in the Lion’s Skull, ancora più terrigno, muschioso e malsano fin dal miasmatico artwork, opera dello spinellante Arik Roper e del jeffminteriano Seldon Hunt, un capolavoro di devianza e desolazione stepposa da acido salito male durante la visione dell’opera omnia di Sergio Leone, mandato in orbita dall’ospitata di Bill Frisell in assetto sciamanico da far salire le paranoie anche alla buonanima di Jerry Garcia.
Angels of Darkness è la logica prosecuzione di tutto questo, nonché probabilmente l’album che più di tutti mette a fuoco la visione di Dylan I mean” Carlson, sempre più ossessivamente perso in una wasteland polverosa e leonesca, un’ancestrale cosmogonia di città fantasma, miniere abbandonate, saloon deserti e praterie incolte in cui continua a vagare senza requie come Charlton Heston in Occhi Bianchi sul Pianeta Terra ma senza i vampiri e in generale senza altri esseri viventi in giro, al massimo qualche foto ingiallita di cowboy sporchi di tabacco e merda di vacca e pionieri coi baffi morti da secoli. È un west malvagio, arido, mortifero e perversamente languido, che così com’è esiste solo dentro la sua testa; nessuno lo abita e nessuno vorrebbe entrarci, eppure se ne resta ammaliati, rapiti da una serie di trenodie che sembrano la musica preferita di mandriani agonizzanti e cacciatori di taglie condannati a un eterno peregrinare in un non-luogo da qualche parte tra la Valle della Morte e le pieghe più oscure dell’ultimo dei film perduti di John Ford. L’innesto di Lori Goldston (al violoncello e ‘devices‘) contribuisce a rendere la musica qualcosa di molto simile a un incrocio tra i Rachel’s presi male e il Morricone del periodo western però nel pieno di una crisi depressiva devastante, il tutto con il flow di uno sciamano pazzo che ha appena fatto indigestione di peyote; la title-track, posta in conclusione e frutto di una lunga jam quasi interamente improvvisata, poteva essere un MATTONE (dura venti minuti e rotti), senonché a ben vedere è il pezzo meno bello del disco. Tutto quello che viene prima, in compenso, è roba che farebbe venire voglia a John Wayne di resuscitare solo per il gusto di poter ammazzarsi. Artwork misterico di Stacey Rozich e mixaggio finale di Stuart Hallerman (che tra le altre cose aveva già lavorato con Carlson ai tempi di Special Low Frequency Version, ma non si nota affatto). Per una volta vivamente consigliata la versione in vinile, dal momento che il disco è stato registrato interamente in analogico.

Prurito alle ghiandole inguinali

 

il nostro caporedattore si fuma una tromba con un giovin e disponibile virgulto

 

Faccia giù a rovistare in merda e subprodotti culturali, non manca né l’aria né il colore. Più di sessant’anni di classe diligente nell’essere falsamente sobria e realmente idiota ci hanno fatto il culo a tag e strisce; il mondo, intanto, andava avanti. Quindi bestemmi, per scoprire poi di avere ascoltato in un mese più la colonna sonora di Samurai Champloo che le mille musiche del dopo-qualcosa, farsi una porra su One Piece, o Naruto, o altra troiata del genere, uscendone fuori di testa e piangendo l’italica sorte. Sta gente è omericamente in grado di catalogare quello che produce nel senso del percorso esperienziale stesso del tipo protagonista, da imberbe impotente imbecille a modello di perfezione transumana da imitare: ognuna di queste narrazioni un’epica del 8===D da esportare, progettando universi, architettando psicologie e setting storico-psichici. Dunque perché fottere nel culo gente tipo Warren Ellis o Moon Wiring Club o Kentaro Miura in Berserk (che grazie a dio dopo le ultime troiate fantasy power metal è tornato a sburare orrori chtulhuiani) o Warhammer 4000 (ché ha i Noise Marines e il Kaos e i cloni genetici di colui che è l’incarnazione di tutti i mistici – e per! Bacco! è tutto vero – e ancora non ho capito il tipo d’aritmia psichica nel collezionare e dipingere miniature) o il Neonomicon di Alan Moore (lui, la divina sublimazione spirituale di ogni vero fattone di ogni tempo) con chili di sesso e Lovecraft o Boris Vian che pubblica post-mortem con Stampa Alternativa o Mattin che insieme ad altri si spara dalla terra Basca (per dire, eh..) pose escatologiche su noise e dintorni, risultando tipo in tafferugli e barricate mentali da esportare. E potremmo finirla qui, ma anche no, perché in Berserk esiste un capitolo nascosto, dove Dio risulta essere semplicemente l’aggregato di tutte le energie psichiche negative esistenti nell’esistente; l’entropia, il caos, il male informe e tutte quelle così lì, che è (Lui) letteralmente il motore oscuro immobile della faccenda, ecco. Poi ci sono i dischi nuovi o semi-nuovi o malcagati tipo Residents, Legendary Pink Dots, Ramleh, Grey Wolves, Foetus (e Manorexia da camera), The Ex, Brian Eno, The Body, Monte Cazazza (cfr qui), The Secret, Uochi Toki, LeLucidellaCentraleE (cfr qui), Meat Beat Manifesto, Circle, Pain Jerk e John Wiese, GZA (con Liquid Swords 2: The Return of the Shadowboxer che non so se farà cagare ma solo a sentire liquidswords), Zola Jesus, Arp, AA.VV. Future Bass, K-X-P, eccetera, etc. Ed essendo questione di intel-design tutto interno al costruire livelli e universi e  textures e colonne sonore che siano, ecco, belle colonne sonore, allora mi val la pena di pipponi su Miike Takashi che fa Sukiyaki Western Django [guardare qui per un cappello introduttivo che riassume lo Stivale tricolore  ndcazzaro] e mi ricorda perché cazzo l’ho amato in the first place, su Spore che non ho ancora giocato e Peter Molyneaux e fLOW o Bioshock o Inception che è il più bel videogioco che abbia giocato ultimamente. Rimane sul limite della scarsa coscienza che si è bloccata la lavastoviglie e ha quasi finito di girare The Mouse and the Mask, dunque cadere a pesce sugli Eterni di Kirby, un Chiarelettere a caso, C. Govoni, un Urania, D. F. Wallace, G. Genchi, i Tarocchi di Crowley o A. O. Spare è in ogni caso una scusa per poltrire. Quindi o continuiamo a ridere vedendo The Big Bang Theory (in originale, va da sé), congratulandoci con noi stessi per come abbiamo sdoganato bene il non sapere stare al mondo – al prossimo che si vanta di essere un nerd offro una cagata in bocca gratuita -, oppure pensiamo che in Francia brucia il culo a un sacco di persone, e lo danno a vedere, e a noi brucia giusto la monnezza a Terzigno. Non avendo io mai cominciato a radermi petto o sopracciglia, pur avendone bisogno, né tantomeno a profumare come una regina moldava del marciapiede, mi permetto di dire comunque che la soluzione quasi sicuramente non sta in quattro puntate di Vieni via con me (ché Saviano se conferma la retorica della comparsata berlinese via Annozero è questione di narcotici, piuttosto che di racconto di) né di Santoro, ma piuttosto in un LHC a caso, perché la risposta forse sta davvero nella outer-fisica dei quanti.

 

Il nostro squat redazionale assalito da uno squadrone Ultracorps

 

 

Bagattelle per un rientro (ma i ciccioni sognano pecore affamate?)

Agosto, è il più crudele dei mesi. Sono dimagrito quest’estate pur pesando adesso tre chili di più, e per festeggiare la cosa ieri, tornando a lavoro, ho vagato per l’intera pausa pranzo nel deserto quartiere Trieste, alla ricerca di pizza, trovando chiuse persino le tane dei topi, e dunque non mangiando, sudando, dimagrendo ancora.

Il senso di vuoto dato da un’estate che ci ha portato via Cossiga senza, a sorpresa, ridarci Moro e nella quale ho letto due quotidiani al giorno (da cui ho tratto che tra destra e sinistra preferisco l’uva passa), Pedro Pàramo, un libro di antropologia del cibo (nonostante apprezzi il relativismo culturale, non per questo mangerò il mio cane stasera) e un Dylan Dog e un Martin Mystère brutti come non mai, è accentuato [il senso di vuoto, per chi come me si fosse perso] dalla fine della stessa. In realtà non ho provato alcun senso di vuoto quest’estate, amo l’ozio nel quale prosperano idee, felicità e blog, il vero vuoto è dato dal lavoro e dal fortissimo bisogno di fare qualcosa di bello nella vita.

Così, appurato che ne farò 31 a breve e presto verrò ceduto al Chievoverona o addirittura in B per finire in pace la carriera, sto vagliando al momento le seguenti ipotesi per il mio autunno indaffarato: imparare lo spagnolo (pro: quando andrò in Messico potrò parlare con la popolazione locale e dire in spagnolo yo no soy gringo ottenendo sconti e l’ammirazione di mia moglie; contro: detesto i giochi di ruolo che si fanno ai corsi di lingua e tempo fa ho scritto di odiare la Spagna e svelerei così la mia incoerenza; infine SI STUDIA), imparare (bene) il tedesco (pro: in prospettiva, non dovrò più fingere di capire quando i miei datori di lavoro tedeschi mi si rivolgono nella loro lingua, e i libri scritti in tedesco potrò leggerli oltre che citarli nella bibliografia della tesi – dove mi sono permesso anche di giudicarli, eh: ma qui faccio herauskommen e confesso che non ho mai letto una stracazzo di riga in tedesco in vita mia – e potrei azzardare altre risposte oltre a “ja” e “ich denke ja”; contro: odio il tedesco, e hitler aveva notoriamente una palla sola), imparare l’arabo (ho trovato un’associazione rivoluzionaria filopalestinese vicino casa mia dove fanno dei corsi a poco. Pro: possibilità di scrivere divertenti resoconti su Bastonate, presenza di droga assicurata, non necessità di lavarmi; contro: perdita di tempo totale, impegno notevolissimo per conseguire zero frutti, rischio di avvicinarmi per quieto vivere al popolo viola, possibilità di arresto o di tardiva mia adesione alla questione ebraica), fare yoga (pro: possibilità di carriera come yoghi, bubu o santone d’altro tipo; contro: scoperta dell’omosessualità pressoché certa, rischio di mia vestizione in lino bianco, abbandono di tutti i vizi, irritabilità dei miei cari a fronte della mia superiore saggezza), fare volontariato in un canile (pro: milioni di amici sinceri come solo i non umani sanno essere, sentimenti forti a cannone, lacrime calde, buone sensazioni riguardo a me stesso, buona impressione presso la gente o cattiva impressione abbinata a mio senso di superiorità, conoscenza dell’animale-cane da riutilizzare nella costruzione del rapporto con il mio cane personale, energie ora sprecate per lamentele nevrotiche e Bastonate reimpiegate in qualcosa di utile; contro: puzza de cane DEVASTANTE, difficoltà di conciliare una vita lavorativo-affettiva normale e un impegno in posti ultraperiferici con nomi tipo Casal Finocchio o Torre In Cula, il mio cane verrebbe trascurato da me, impegnato con altri cani, e dovrebbe essere trasferito in canile); volontariato per una associazione in difesa dei diritti degli obesi (pro: possibilità di sentirmi magro, sincera simpatia per la causa, disprezzo di chi usa ciccione come insulto; contro: essere genericamente considerato un obeso qualora mi presentassi al telefono con una frase tipo “Buongiorno sono Daniele della Associazione Amici Bucioni”; mangiare fuori never ever again), praticare il kendo (pro: materiale per Bastonate – che si chiama così proprio in onore di questo sport, nel caso non lo sappiate – come se piovesse, possesso di una maschera e di una corazza riutilizzabili ogni carnevale, possibilità di carriera e medaglia olimpica; contro: omosessualità impugnata e sfogata con altri omosessuali in maschera, docce in comune con i camerati del dojo e poi tutti in circolo a vedere chi ha davvero il bastone, piedi nudi esibiti). Infine c’è la possibilità-alfa, ossia di iscrivermi a un corso di ballo lindy hop con mia moglie (pro: possibilità di controllo-stalker sulla vita di lei, nonché di strapparla dalle possenti braccia muscolose dell’istruttore Roberto – pronunciato come nella canzone di Lady Gaga – dai fianchi stretti e dal culetto atletico; contro: la mia virilità definitivamente buttata al vento, goffaggine d’altri tempi, prese in giro dai bulli – anche se un film per donne nel 2060 mi rivaluterà mostrandomi come simbolo della libertà; io, anziano, farò un piccolo commovente cammeo in cui volteggerò leggiadro nonostante l’età -). Mi risolverò nel non far nulla salvo forse poche cure mediche, ma mi cullerò ancora nell’incertezza fino al ventinove o al trenta.

Non c’è comunque niente di peggio che aprire un blog e trovarci fastidiose considerazioni personali di un nessuno come me. E una voce da qualche parte urla COSA HA A CHE FARE LA MUSICA CON TUTTO QUESTO?, e io non posso darle torto pur ricordando che a ben vedere la musica non ha nulla a che fare con nessuna rock band ad oggi in attività fuorché forse la Rollins Band (che suppongo ancora in attività), il tour solista di Greg Dulli e la serie tv Californication. Ieri ho regalato a Valentina il nuovo disco degli Arcade Fire – lei lo ha ascoltato stamattina in macchina andando a lavoro e mi ha detto che è bello, e questo giudizio è definitivo e valevole per tutto il mondo: compratelo con fiducia a scatola chiusa -, cui ho aggiunto d’impulso Disintegration dei Cure (funziona sempre) e The Waste Land di Thomas Stearns Eliot (a parte un paio di riempitivi, è sempre un gran bel disco). Stasera ascolteremo Fred Neil e i Waterboys in vinile bevendo vino rosso.

La mia passione per la musica sta diventando sempre più retroattiva, come nel caso dei vecchi. I gruppi che vanno oggigiorno non mi interessano e a dire la verità non li conosco proprio – tempo fa ero al Circolo per vedere Micah Hinson e ho notato di non aver mai sentito nominare la maggior parte delle band in programma in quel periodo. Ha chiuso il negozio Vinile di Terracina, dove comprai Lies dei Guns n’Roses, un disco degli Scisma e uno dei Pitch, e anche se quanto ho appena scritto sembra alludere al 1995, in realtà tutto ciò è successo un anno o due fa. Ho letto su Bastonate che è uscito un nuovo disco dei Peeesseye, e questo mi ha scosso un po’ dal torpore (ma cercando Peeesseye su Google come primo risultato esce “after being in the wastelands for years…” e questo, nel mostrarmi che è tutto collegato e queste righe che scrivo erano il vero motivo per il mio acquisto di ieri, mi ha sgomentato e perciò non sono andato avanti), e su Libero che la Nannini è incinta a 54 anni, e che l’opinione pubblica si divide al riguardo. E’ giusto dunque che una donna abbia un bambino in tarda età e nonostante l’omosessualità? Avere figli è un diritto, lo è la stessa vita? Cosa dice bell hooks? E la Professoressa Mary Warnock? Bè, per fortuna qui non siamo a Filosofia ad Oxford (e manco al Dams di Teramo a dire la verità) e posso dire in tutta libertà che alla vecchia lellona j’ha scureggiato er teschio (© di alcuni ragazzini che ho sentito usare quest’espressione sull’autobus), e a ben vedere ha scureggiato ancor di più il teschio di chi l’ha messa incinta – ma forse è stato un demone, e dunque da quel ventre uscirà Uno Di Noi e tutto ciò deve essere accolto come un segno positivo.


Quello che ho davvero fatto quest’estate è stato: compilare liste.

I miei intellettuali preferiti sono al momento: Hank Moody e il Papa.
Le persone morte che stimo: Akira Kurosawa, Francesca Woodman, Albert Ayler, E. E. Cummings.

Le vive: Luke Perry (in quanto Dylan), David Duchovny (in entrambi i ruoli), Kyle McLachlan (come agente Cooper e Ray Manzarek). E se ehi mi state dicendo che sono tutti attori di serie tv, posso aggiungere alla lista Leo Strauss e se ma ehi Leo Strauss è morto e neanche da poco, affanculo, dunque aggiungo il ciccione di Mean Creek e Ahmadinejad.

I miei dischi metal preferiti: Raza Odiada (Brujeria), Far Beyond Driven (Pantera), Blaze (Darkthrone).

I miei dischi black-metal preferiti: Blaze (Darkthrone), Filosofem (Burzum), Blaze (Darkthrone).

Le mie opere filosofiche preferite: Tractatus (Wittgenstein), Filosofem (Burzum), Blaze (Darkthrone).

I dischi pop: Se questo è un uomo, La Tregua, Disintegration.

I concetti: la Predestinazione; la Giustizia come disgiunta dalla Legge; la Relatività Culturale. Blaze (Darkthrone).

Le cose più fastidiose: il palio di Siena, la Repubblica, il viavai di cinesi sul trenino delle Ferrovie Laziali.

Le mie competenze preferite tra quelle che non ho: matematica, fisica, cinema d’avanguardia.

Arti marziali: kendo, budokan, Filosofem (Burzum).

Cani: 1. Kalami, 2. Pongo, 3. Miki. Nomi per cani: 1. Ufo 2. Fido 3. Fifa. Animali: il Cane, la Scimmia, la Giraffa. Animali odiati (dal più al meno): 1. La Blatta 2. L’Umano 3. Il Gatto.

La mamma o il papà? La mamma.

La moglie o la mamma? La moglie.

L’ebreo o il palestinese? L’ebreo.

Marx o Freud? La Yellow Pecora.

Segue un lungo post scriptum tratto da Yahoo Answers (domanda: “Qualcuno mi racconta la barzelletta della yellow pecora?”):
“— La yellow pecora —

C’era un pastore che aveva un gregge di pecore.
Era molto povero, ma la fortuna volle che un giorno una sua pecora partorì una pecorella speciale: era tutta gialla. Decise così di chiamarla “yellow pecora”.

Turisti provenienti dal mondo intero venivano a vedere la Yellow pecora pagando fior di quattrini, e il pastore cominciò presto ad arricchirsi.

Ma un giorno la Yellow pecora sparì nel nulla, senza lasciare traccia alcuna.
Così il pastore chiamò i suoi tre figli e gli disse:
“figlioli, io vi voglio molto bene, ma come ben sapete la yellow pecora era la nostra unia reale fonte di guadagno. Se non la ritrovate vi ammazzo.”

Sollecitati da tanta premura, i tre fratelli si riunirono; il più grande disse:
“sono il primogenito, andrò io a cercala.”

Girò tutta la campagna ma non la trovò; girò tutta la egione ma della pecora nulla.
“tornò dal padre e gli disse:
“babbo, l’ho cercata ovunque ma non cè!”
“ah sì, bene bene…”

E lo uccise con una fucilata.

Il secondogenito allora disse al fratello rimasto:
“Vado io a cercarla ora, sono rimasto il più grande”.

Girò tutta la nazione, andò in Tv, ma niente.
Tornato dal padre disse:
“Papà, mi dispiace, ho fatto del mio meglio ma non l’ho trovata”
“ah si? bene bene…”

E sparò anche al secondogenito, uccidendolo.

Il terzo e ultimo fratello rimasto decise che era ora di ritrovare quella maledetta pecora. Girò tutto il mondo, mise annunci in rete, andò in diretta internazionale: nulla.

Torno dal padre mesto, sperando nella pietà del genitore.
“papà, senti, sono l’ultimo figlio rimasto… non l’ho trovata la pecora… ho cercato ovunque!”

“ah sì, eh… bene bene…”

E lo uccise col solito fucile.

Fine.

Vabè dai ve ne racconto un’altra sennò vi deprimete:

C’era una vecchietta viveva sola col suo cane. I figli erano ormai grandi e vivevano lontani, e il suo compagno era passato a miglior vita.

Un girono decise di fare un viaggio in reno, ma la sfortuna volle che il treno deragliò.

La vecchia signora si svegliò in ospedale, e il suo primo pensiero fu per il suo amato cane. Chiese ai medici come stava, lro gli risposero che stava in infermeria per curare alcune ferite profonde. In realtà il cane era morto nell’incidente, ma preferirono non dare questa notizia così triste ad una anziana ancora in ricovero.

LA vecchia guarì e fu dimessa, ma ancora non gli venne detto del sua cane.

Una mattina, mentre lei si trovava sul suo letto, sentì grattare alla porta
“è lui!” pensò “lo hanno dimesso!”

piano piano si alzò dal letto, scese le scale
attraversò tutto il corridoio,

aprì la posrta e..







L’agendina dei concerti Emilia Romagna – 9-15 agosto

 

Bologna è una wasteland da far scappare via piangendo tanto T.S. Eliot quanto Billy Idol; in compenso, i concerti in giro per l’Emilia Romagna non mancano. L’unica soluzione praticabile per i drogati di live risiede in un nomadismo ancora più serrato rispetto a settimana scorsa. Intanto i cyberterroristi che stanno sul pezzo questa sera saranno tutti a celebrare gli Skinny Puppy al Rock Planet; personalmente sarò altrove a rosicare semplicemente perchè me ne ero scordato e ormai è troppo tardi. Domani si torna tutti tredicenni foruncolosi alle prese con le prime tempeste ormonali di una pubertà complicata; camicia a quadri e calzoncini altezza ginocchio l’abbigliamento raccomandato, ci sono Lagwagon e No Use for a Name al Velvet. Unico handicap: il prezzo (venticinque euro per un amarcord di quanto eravamo brutti, repressi e impresentabili è decisamente troppo). Mercoledì 11 i reduci troveranno pane per i loro denti al Coccobello di Carpi con Federico Fiumani versione “Confidenziale”: via i panni del sodomita impenitente (forse) per una sensibile performance in acustico, voce e chitarra e tanta nostalgia per quando non avevamo ancora il ciuffo ramato. Giovedì 12 tutti a Marina a ingurgitare acidi come fossero caramelle, ci sono i Besnard Lakes al bagno Hana-Bi; consigliata maschera antigas per tentare di contrastare il fetore di piede lercio degli hippy con sandalo e ascella feroce che, ne siamo convinti, accorreranno a frotte. Venerdì 13, a dispetto della data minacciosa, l’appuntamento più atteso (perlomeno da queste parti): i Real McKenzies al What Is Rock? a Portomaggiore. Campeggiatori, sappiate quel che state facendo. Sabato e domenica tutti ad ammazzarsi di gavettoni e maratone dj-istiche nel delirio ferragostano; occhio giusto a non finire accoltellati da qualche napoletano in libera uscita.

Speciale Dischi Stupidi: Maxence Cyrin

 

Maxence Cyrin suona il piano fin da bambino. Poco più che adolescente scopre la new wave, ed è la prima folgorazione; la seconda sarà la techno, un amore vissuto con passione viscerale e coinvolgimento totale nel pieno degli anni d’oro del genere. E la fiamma non si spegne: Maxence è ancora un technoide pazzo quando conosce Laurent Garnier nei corridoi del network francese dove entrambi lavorano. Da qualche tempo sta cullando l’idea di riarrangiare pezzi techno per piano solo; accenna il suo progetto a un incredulo Garnier che lo mette sotto contratto per la sua etichetta Fcom sulla fiducia, senza avere ascoltato nemmeno una nota. Modern Rhapsodies esce nel 2005, e sulla carta sembra una gran puttanata: la scaletta è di quelle che ci si aspetterebbero da un dj set très-très chic a una festa privata tra miliardari o in localini di un certo livello, in perfetto equilibrio tra generalismo dance sofisticato (Go di Moby, l’hit planetario Don’t You Want Me di Felix, ma anche Sabres of Paradise e Windowlicker per i palati più esigenti) e improvvisi colpetti da stronzo che tradiscono una passione autentica (DJ Rolando, Sueño Latino, Laurent Garnier & Shazz, LFO), con i Massive Attack in mezzo a depotenziare e i Depeche Mode all’inizio per rompere gli indugi. E invece funziona; quasi tutte le riletture sono perlomeno interessanti nonchè perfettamente in grado di reggersi sulle proprie gambe, chi non ha mai ascoltato un pezzo techno in vita sua penserà di trovarsi di fronte a un Michael Nyman preso bene, e anche per gli introdotti ogni sospetto di gratuità dell’operazione viene spazzato via al cospetto di una Jaguar perfino commovente, tipo Steve Reich in trip ibizenco, comunque una cosa indescrivibile. Intanto l’uomo comincia a esibirsi dal vivo, ed è incontenibile, pare poter riarrangiare qualsiasi cosa, da Britney Spears agli immancabili Nirvana (ormai coverizzati in tutte le salse da chiunque) ai classici degli anni ottanta (quale che sia il genere non fa differenza), il tutto frullato dissezionato e ricomposto in un imprevedibile stream of consciousness condito spesso e volentieri da torrenziali improvvisazioni (a differenza di quel cialtrone di Allevi che non improvvisa mai un cazzo).
Per il recentissimo Novö Piano Maxence alza il tiro, titolo con umlaut e scaletta onnicomprensiva, non più soltanto limitata a un repertorio di stretta osservanza dance; il rischio è quello di trasformarsi anzitempo in un incrocio (ancora più molesto della somma delle parti) tra Tori Amos e Yanni. Rischio per ora dribblato in extremis grazie a due numeri francamente eccezionali: una malinconica, debussiana Where Is My Mind? (di gran lunga superiore all’originale) e la conclusiva, tonitruante Crazy In Love (capace di rivaleggiare con la frocesca versione di Antony). Il resto è robetta, tra scelte da francese snob del cazzo (My Bloody Valentine, Daft Punk), ciarpame attuale indifendibile (Arcade Fire, MGMT e gli orribili Justice), ancora Nirvana (Lithium) e una coraggiosa Ivo dei Cocteau Twins fortunatamente passabile. Bonus track per il solo mercato giapponese, ovviamente della Yellow Magic Orchestra. Tolti i due pezzi di cui sopra, ecco pronta la nuova colonna sonora degli aperitivi estivi più à la page: il produttore, del resto, è lo stesso dei Nouvelle Vague, e già da questo si doveva capire che sarebbe andata a finire male. Non metto link perchè praticamente tutto l’album è già finito su youtube, basta cercare.

HEALTH + JAPANDROIDS @ Locomotiv (Bologna, 24/5/2010)

 

I Japandroids dal vivo hanno il tiro, la foga e la passione di band che potrebbero diventare la nostra vita, elementi purtroppo drammaticamente assenti dai loro sciapi dischetti pitchfork-friendly per mentecatti. Sono in due ma suonano come una band al completo con tanto di doppia chitarra tastiere e coro, riempiono agevolmente il vuoto del locale (poco più di una cinquantina i presenti, annichiliti dall’allucinante microclima interno al Locomotiv) con suoni crassi e pieni e ritornelli da urlare a squarciagola; nella loro urgenza tutta di stomaco e budella arrivano addirittura a ricordare i Latterman (in assoluto il gruppo più viscerale dello scorso decennio), e credetemi l’accostamento non è una bestemmia. Il cantante/chitarrista Brian King si muove con la velocità e l’imprevedibilità di una pallina da flipper, la coordinazione di un epilettico sotto antipsicotici e la grazia di un uragano dentro una fabbrica di miniature; il batterista David Prowse non è altrettanto coreografico, le tirate a perdifiato sullo strumento non glielo consentono. Vanno avanti per neanche mezzora ma è più che sufficiente per uscire a riprendere a respirare con la stessa sensazione che devono aver provato gli spettatori dopo i Butthole Surfers al Whisky a Go Go. Live band a dir poco eccezionale (infatti stanno girando tutti i festival estivi che contano, courtesy of la longa manus di shitfork che mantiene viva l’hype), il solo limite è nel repertorio, che – ohimè – su disco torna a suonare come poco meno di una sterile, inerte scoreggetta.
Segue live tribaloide (prima), fuzzoso (nel mezzo) e danzereccio (poi) degli Health, che a metà concerto si chinano tutti quanti simultaneamente sulle rispettive pedaliere per un’orgetta di feedback distorto portata avanti ben più del necessario. Il nostro fotoreporter Giacomo era sul posto e questo è quanto.

 

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La gigantesca scritta LOAL: la macchina spara insulti di Mel Gibson

Murtaugh non l'avrebbe mai fatto.

 
Le premesse le conoscete: in questi giorni la reputazione di Mel Gibson è stata totalmente e irrimediabilmente demolita dalla serie di telefonate che l’ex compagna ha registrato e consegnato agli sbirri, poi finite su Internet chissà come. C’è di tutto in quegli agghiaccianti monologhi, in cui Gibson pare un Henry Rollins prima maniera nel pieno del più brutale dei suoi psicodrammi: accuse a 360 gradi, lamentazioni da Laurence Olivier che recita Shakespeare sotto acidi, minacce di morte da fare impallidire colossi della violenza domestica tipo Patrick Bergin in A Letto con il Nemico. Ma anche: tirate sessiste che il più crasso degli scaricatori di porto si vergognerebbe, apocalittiche esplosioni di furia distruttiva per un pompino negato, e tanto per gradire una spolveratina di razzismo gratuito (prima erano gli ebrei, ora sono i negri). Una galleria degli orrori assolutamente perturbante, offerta in mondovisione dai soliti bloggers americani senza scrupoli e con diversi metri di pelo sullo stomaco (con Perez Hilton che probabilmente vince a mani basse la gara di chi si finge più disgustato). A sdrammatizzare (si fa per dire) ci pensa quel mattacchione di eBaum, che sul suo sito omonimo ha piazzato, con invidiabile tempismo, una soundboard tutta dedicata alle ingiurie dell’iracondo e iperventilante Mel; per i più creativi c’è anche un contest, attivo fino a venerdì prossimo: in palio cinquanta dollari e simpatici gadget a tema per chi assemblerà la concatenazione di insulti più creativa. Mani al mouse dunque, e vinca il migliore!

Clicca qui per utilizzare la soundboard di Mel Gibson.

A las cinco de la tarde // Lamentazione sulla vittoria della Spagna ai mondiali

Che palle, che gran par di palle, il solito finale da italiani pieno di ansie e di anelito al meno peggio: la finale dei Mondiali 2010 sarà tra quelle pippe degli olandesi – davvero inaccettabile quando sono gli altri a vincere a culo; e perdipiù, nella fattispecie, noialtri del popolo viola non possiamo sopportare che i Boeri tornino al successo in Sudafrica, ci piacevano tanto quei simpatici negri, Muslera, hai una birra pagata quando torni a Roma – e, ed è questo il brutto, il peggio, l’incubo totale e soverchiante, la SPAGNA.

La Spagna!, il che vuol dire gli spagnoli, non paghi di aver sconfitto il fascismo mentre da noi lo stesso rinasceva, non paghi di avere avuto il boom economico e di aver invaso le nostre città con le loro frangette e le magliette da fuorisede, non paghi di una musicalità che invade il mondo e contagia e non ti puoi fermare, di un sudamerica che parla la tua lingua e quindi puoi

Ma vaaaaaffanculo

andare in vacanza in Messico senza che ti diano le sòle perché parli inglese come un coglione, non paghi di potersi sposare tra maschi, di massacrare bestiole innocenti per gioco sublimando la propria omosessualità (quelli che non si vogliono sposare) nelle tutine rosa dei matador, non paghi di ballare per strada quando il boom economico è finito bevendo ORXATA e fregandosene della crisi, non paghi di avere il vezzo di diverse orgogliosissime etnie nel proprio paese, non paghi dei registi italiani bogalei che fanno i film sulla Spagna, Terra delle Libertà (in Italia solo il Popolo), non paghi degli esami da avvocato facili (anzi forse non ci stanno proprio), non paghi di Tenerife, non paghi di essere stati eliminati sì dall’Inter ma di aver aperto gli idranti rosiconi a Mourinho, non paghi dei calci di rigore agli Europei che se non era per quel tappo di Di Natale, più basso ancora degli olandesi, non sarebbero stati MAI campioni

(prendo fiato)

Non paghi nemmeno delle gote (furie?) rosse di Torres; delle ramblas; della affabilità e della simpatia; delle spiagge più belle d’Europa; della cena alle 23 (¿che dite, oggi comiamo un po’ prima che domani mi alzo presto per andare al lavoro, sì guarda, una cosa terribile, devo essere in ufficio alle 11.30 precise?); della città a misura d’uomo; dei festival musicali più fichi e indipendenti e liberi anche se attirano un sacco di italiani e perciò non è così bello andare come, ricordate, nel 2002 quando non c’erano così tanti italiani e a noi ci si rivolgevano in spagnolo così ci sentivamo un po’ di Madrid anche se preferisco Barcellona per via di Messi e del fatto che i madrileni sono fascisti mentre i catalani sono comunisti a parte i tifosi dell’Espanyol che sono fascisti e infatti sono gemellati coi tifosi della Lazio che sono fascisti mentre i romanisti sono comunisti come il Barcellona comunista e infatti è un po’ così ahahah la Roma è il Barcellona di Roma e la Lazio è l’Espanyol di Roma e c’hanno i complessi undici anni di B con Di Canio e Lotito in B vai spedito. Spagnoli comunisti. Italiani fascisti. Durante il franchismo, gli spagnoli erano tutti partigiani. I franchisti erano italiani. Franco era italiano, se no si sarebbe chiamato Pablo non Franco.  E le donne, ah, le donne spagnole; e gli uomini, ah, gli uomini spagnoli; la passione, il sangre, l’ARENA, e la sangria, il vino, la vida, la VERA VIDA! L’insegna Tio Pepe a Puerta del Sol; la movida; la fermada degli autobus deserta alle sei del mattino, ma i taxi costano poco in Spagna e ti fregano solo se sei italiano (e quindi te lo meriti); Rec, l’unico buon film horror degli ultimi 10 anni (noi quello di Zampaglione); le sagome di tori sulle autostrade e sulle nostre magliette; la strada di Barcellona con tutti i negozi di dischi (in Spagna vendono solo dischi belli e li danno via gratis, le vecchine ascoltano Isolée e i manager cattivi Wavves e Los Planetas); a Cadaques mi divertii moltissimo, ancor di più a Benicassim, meno a Lloret de Mar che è una merda di città piena di italiani. Una ragazza italiana venne uccisa proprio lì qualche anno fa, ma l’assassino era uruguaiano (gli spagnoli non uccidono ragazze, solo tori e fascisti, e per giunta ¡l’Uruguay non è in finale, la España envyece asì!); Mahòn già meglio, ci sono gli inglesi, maestri di Vacanze e di Football (loro amano arrivare al massimo agli ottavi, poi si annoiano e tornano a Southampton a mostrare agli immigrati turchi quanto sia superiore il calcio inglese. E sportivo! Italiani fallosi e sleali col catenaccio. E in Inghilterra ci sono certi ristorantini spagnoli che lèvete). La pubblicità in cui la ragazza spagnola diceva si es asì te perdono. Le italiane non perdonano, e sono brutte. E grasse perché in Italia si mangia tanto e male e i ristoranti sono cari. In Spagna invece si mangia tanto e bene e a poco. La paella non ingrassa. Se sei ciccione il cibo spagnolo ti fa dimagrire. Il pesce è tutto fresco. I calamari fritti in Spagna si chiamano “alla romana” (da noi “calamari fritti”), e in questo ci vedo un insulto ben peggiore dei significati soft-porno che otteniamo noi declinando al femminile e sostantivando l’aggettivo “spagnolo” (Italiani sessisti. In spagnolo le parole maschili si tolgono il cappello prima di essere dette, quelle femminili sono Forti e Fiere e ballano in continuazione un sensuale flamenco del cazzo).

Piazza Càvour a Foggia

Ai bimbi spagnoli insegnano che Cristoforo Colombo era spagnolo, puà, ridicolo, lo sanno tutti che Cristoforo Colombo era di Foggia. E in ogni caso ha scoperto un continente DI MERDA. Se non era per lui, niente guerra in Iraq. L’Afghanistan finalmente russo. Pace in tutto il mondo. Comunismo imperante. Piano quinquennale ogni cinque anni. Soviet da Aosta a Terracina. The Power of Viet Now. Popolo viola in libertà. Niente Berlusconi, gli autobus tornano a fare la fermata di Via del Plebiscito. Ora che ci penso, Cristoforo Colombo era proprio italiano, si vede dal male che ha fatto, e ha sulla coscienza ogni palestinese morto per mano israeliana. Israele amico dell’Italia. E intanto l’attentato di Madrid ha commosso l’Europa. Quello di Roma non ha commosso nessuno, anzi, quasi nessuno se ne ricorda più. L’ETA è fica e innocente (noi solo terrorismo nero, greve e maleducato). C’è un complotto italo-sionista ai danni di Arafat. Bin Laden è nascosto a Siviglia, nella plaza de toros, con una tutina rosa, e il pubblico APPLAUDE!, e sì, lui ha distrutto le Torri Gemelle quindi questo sarebbe un bene, se non fosse che in realtà è un agente C. I. A. e questo è male. La C di C. I. A. sta per Catalogna. La A per Atlètico Madrid (comunista; Real Madrid fascista. Rayo Vallecano radicale, ma simpatico), la I per Iniesta, che sa palleggiare, è comunista e ha sposato un uomo (Xavi), in Spagna si può! In Italia non si può. In Italia non si vive, in Italia non si scopa (manco tra maschi e femmine), in Italia solo i preti e il papa, in combutta con la mafia, una storia di scandali e di miserie. In Spagna no, Isabella era cattolica ma non troppo, Hernan Cortès lo avevano messo sulle pesetas (l’unica moneta col buco, ¡è sia soldo sia ciondolo per collanina!, non come quelle brutte lire) perché il progresso non si ferma, gli Aztechi che cazzo vogliono erano imperialisti e gli altri indigeni, quelli buoni, in realtà aiutarono gli Spagnoli nella conquista di Città del Messico (bel nome, eh, hanno dato alla vecchia Tenochtitlan, strano che il Messico lo abbiano chiamato così e non semplicemente Paese) e Moctezuma morto in catene se ne stia zitto all’inferno, al massimo mandando la sua proverbiale maledizione ai turisti (italiani, che non sanno stare al mondo). Seneca era spagnolo. Spagnolo Lorca. Spagnolo Ortega y Gasset, due palle così da leggere, ma quanto stile. Spagnolo era Alessandro Borgia, l’unico papa fico. Era spagnolo Mendieta, il solo calciatore di serie A che suonava la chitarra punk rock e leggeva saggi di filosofia. Era una pippa solo perché giocava nella Lazio, lo faceva apposta, per far perdere quei fascisti. Spagnoli erano infine Cervantes, Velasquez, El Greco (a proposito, vi consiglio el greco sotto casa mia:  http://nuke.italiagrecia.com/Portals/0/Immagine%20egeo%20056.jpg); e Dalì, Gaudì, Floro Flores e Che Guevara. Josep Pla.

Cosa ci succederà, cosa faremo quando non più tardi del giorno undici alle ventidue e ventidue (la numerologia ci indica per certo a che ora finirà il mondiale) la Spagna alzerà la Coppa del Mondo al cielo, completando il quadro di Nazione Perfetta, Italia Senza Difetti, primi al mondo per diritti, libertà e centrocampo? La nostra unica, flebile speranza è nell’Olanda (che nella lingua locale di chiama tipo Nerdeland, ossia “Paesi Pieni di Sicumera”), nonostante i giocatori siano così antipatici da starsi sulle palle persino tra loro, nonostante la loro corsa sgraziata dovuta agli zoccoli di legno che calzano durante il tempo libero, nonostante quell’imbecillona bionda – forse la regina – che, ebbra di gioia, saltellava salutando con la mano ad ogni goal sculato e immeritato che gli Orange segnavano al povero, eroico Uruguay.

Ma tanto lo sappiamo già che non succederà. Hanno già vinto. Un’altra lezione di civiltà dalla Spagna. Altra sangria. Quel bruttone di Puyol. Letizia Ortiz, magnatela ‘na cosa. Il nostro re ha ammazzato un innocente. Il loro anche, però poi ha fermato la rivoluzione. Jamon serrano. Tortillas. Le tapas.

Mi sento solo, spaurito, vorrei essere ancora bambino quando mia nonna romana di sette generazioni mi preparava i calamari prima di mettermi a letto. Guardo con diffidenza un cd dei Migala che ho per caso (non so che musica contenga), penso al mio povero cagnolino e al fatto che se fosse un toro e fossimo in Spagna lo prenderei a spadate.

Ma è tempo di concludere con qualcosa di propositivo.

A chiunque abbia avuto la pazienza di leggere queste righe e provi il mio stesso sgomento, dedico una formazione dell’Italia piena di sconforto: Marchetti. Zambrotta. Cannavaro vecchio. Chiellini. Criscito. Montolivo. De Rossi. Marchisio. Iaquinta, Gilardino. Tio Pepe. A un certo punto entra Camoranesi.

La fine.

i Pearl Jam colpiscono ancora.

 
Dal blog dell’Heineken Jammin Festival (tranne naturalmente i commenti tra parentesi):

Una pioggia torrenziale ha impedito l’esibizione dei Green Day del 4 luglio. L’evento metereologico, non particolarmente inaspettato e comune in questa stagione, in ogni caso non ha provocato danni irreparabili alla strutture nè alle persone: solo una cinquantina di ragazzi che audacemente hanno sfidato le intemperie rimanendo sotto il Palco hanno dovuto ricevere delle cure per delle crisi di panico e ipotermia. Si può dire che è andato tutto bene (considerando chi suona domani direi che è andata proprio alla grande): nei paesi limitrofi ci sono state trombe d’aria e danni gravi alle abitazioni (chissà, magari i Pearl Jam si trovavano proprio da quelle parti). Soprattutto nulla a che vedere con il DOWN BURST, la spaventosa colonna d’aria fredda, acqua e grandine che ha danneggiato irreparabilmente il Palco nel 2007 e provocato dei feriti gravi (indovinate chi erano gli headliner quando si scatenò la tromba d’aria).

Speriamo che d’ora in poi, in caso di partecipazione a un qualsiasi concerto/festival/evento che implichi anche alla lontana la presenza o il coinvolgimento di Eddie Vedder e soci, non diventi necessario stipulare preventivamente un’assicurazione sulla vita (sempre che siano rimaste sulla piazza compagnie assicurative disposte a offrire una “polizza Pearl Jam“). Quel che è certo è che domani bisognerà fare molta attenzione.

Oldies but goldies: Danzig canta Shakira

ora la mia testa è così.

 

A proposito di Danzig, questo video gira da anni, era già popolarissimo e probabilmente lo conoscerete più che bene, ma io l’ho scoperto adesso e mi sto pisciando addosso dalle risate. Chiunque sia l’artefice è un fottuto genio. Danzig è un mito. Buona settimana a tutti.