Raramente un’agendina dei concerti altrettanto povera, in pratica l’unica serata che valga davvero la pena è sabato 24, quando gli überintellettuali Enablers si esibiranno in piazza Verdi in mezz0 al casino tirato su da chiacchieroni inconsapevoli, spagnoli in erasmus, tossici, barboni molesti e stronzi incivili in genere (gratis dalle 21.30), a questo punto speriamo che piova così lo spostano dentro le Scuderie e forse si potrà sperare in una minore concentrazione di rompicoglioni a rovinare il concerto. Per il resto, stasera supergiovane Cesare Basile sempre in piazza Verdi (e sempre alle Scuderie in caso di rovesci, comunque gratis dalle 21.30), domani tali Hangovers ancora in piazza Verdi (idem come sopra per orari e prezzi), venerdì riapertura del Locomotiv con i Forty Winks (l’anno scorso c’erano i Suicide, l’anno prima i Jesus Lizard…) e sabato riapertura del Covo con gli Art Brut. C’è a chi piace. Del resto c’è anche a chi piace mangiare la merda, e chi siamo noi per giudicare? Resta il fatto che se siete a conoscenza di un qualsiasi concerto, happening, bar mitzvah o seratina in sala prove dalle parti di Bologna nei prossimi sette giorni ci fate un gran piacere se ce lo segnalate.
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MATTONI issue #16: MOGWAI
A differenza degli ultimi due dischi (che a loro tempo sono finiti a prendere polvere dopo pochi e frustranti ascolti) Hardcore Will Never Die, But You Will mi è piaciuto molto e da subito. È un disco di cuore fatto per gente con un cuore, roba sincera per stare bene soffrendo (più o meno, a seconda di quanto sia sviluppata la vostra capacità di provare emozioni), magari senza picchi stratosferici tipo May nothing but happiness come through your door o 2 rights make 1 wrong, ma anche senza un pezzo che sia meno che buono; il che è già di per sé un piccolo miracolo considerando che stiamo parlando di un gruppo al settimo album – più qualche dozzina tra singoli, EP e split quasi sempre esaltanti – che almeno fino al 2006 è riuscito a mantenere una media qualitativa elevatissima, e soltanto da allora sembrava essersi avviato verso un comunque apprezzabile auto-karaoke funzionale se non altro a (continuare a) giustificare la loro presenza sui palchi di locali e festival e in generale ovunque ci siano persone disposte a pagare per farsi triturare i timpani dalla live band più fragorosa del mondo dopo Dinosaur Jr e Manowar.
Oltre al solito gioco di rimandi condotto con il solito incomprensibile senso dell’umorismo da dissociati irrecuperabili (San Pedro, probabilmente in omaggio ai Minutemen, è il brano più corto del disco; l’ultimo pezzo si chiama You’re Lionel Richie ed è aperto da un delirante sample dove un tizio declama cose in italiano stentato), e al tutto sommato innocuo peccato veniale nell’intitolare un pezzo White noise (peraltro neppure il più ‘rumoroso’ del lotto), Hardcore Will Never Die, But You Will si segnala per la presenza, nell’edizione limitata in doppio cd o doppio vinile con download card, di una traccia di 23 minuti, Music for a forgotten future (the singing mountain), che se la memoria non falla è il brano più lungo mai inciso dai Mogwai (My father my king ne durava “solo” 20). Scritto e pensato come colonna sonora per un’installazione dal titolo “Monument for a Forgotten Future”, il pezzo (quasi del tutto privo di batteria) rivela un’inedita propensione alla grandeur da kolossal hollywoodiano con gran dispiego di violoncelli, viole e violini utilizzati come mai prima d’ora. Per i primi quattro minuti pare un loop preso a caso dalla colonna sonora di Brokeback Mountain, poi spunta un carillon tristissimo, da orfanello perso nella neve, che introduce a un nuovo gran lavoro di archi austeri – tastiere e chitarre moderatamente sferraglianti lasciate molto in sottofondo – non arrivasse a un certo punto un vibrafono sembrerebbe roba del Kronos Quartet giusto un pelo più allegra; s’insinua di nuovo la chitarra dolente in puro Mogwai style ma pacificato, duetta mestamente con il vibrafono poi lascia perdere, rientrano gli archi, una nenia funeralesca dove piange anche il cadavere. Al dodicesimo minuto un piano maestoso, pulviscoli di feedback come ruggine sgorgante dagli amplificatori, una chitarra stridente che sembra il lamento di un androide mentre ascolta Enjoy the silence dei Depeche Mode, un crescendo da colonna sonora di Danny Elfman subito azzoppato dall’incedere monco e montante di chitarre basso tastiere e finalmente qualche tocco di batteria, sembra il pezzo di Mr. Beast messo alla fine di Miami Vice ma meno epico e infinitamente più disperato, di quel momento in cui la disperazione si trasforma in rassegnazione, che è come dire il peggio del peggio. Non dura molto comunque: la musica si spegne all’improvviso lasciando spazio al gracchiare elettrostatico della radio quando si è persa la frequenza, poi tornano su gli archi, ma timidamente, sullo sfondo, una progressione ciclica che sta in mezzo tra il Philip Glass quasi totalmente neutralizzato delle colonne sonore miliardarie e ancora il Kronos Quartet dopo un’overdose di barbiturici, poi di nuovo il gracchiare della radio per un minuto, come a dire fine delle trasmissioni. Qualunque sia la vostra opinione sui Mogwai altri come loro in giro non ne trovi.
MATTONI issue #13: ELUVIUM
Matthew Cooper è il punto di incontro tra i Mogwai e Ludovico Einaudi. Nei suoi dischi puoi trovare con la stessa facilità tanto le scariche di feedback grondanti malinconia dei primi quanto il minimalismo alla buona da compilation new age nel cestone dell’ipermercato del secondo. Fino a qualche anno fa nei suoi dischi Cooper si dedicava alternativamente all’uno o all’altro aspetto, nel senso che un suo disco era solo chitarra lancinante ipereffettata o solo piano melenso da sala d’attesa dal dottore, ed erano i suoi dischi migliori (nello specifico, l’etereo Talk Amongst the Trees per quel che riguarda strati su strati di chitarre distorte che generano amarezza e chiamano rimpianto, e An Accidental Memory in the Case of Death per l’Einaudi-karaoke però preso male e autenticamente dolente). Da quando ha deciso di fare entrambe le cose contemporaneamente ho perso progressivamente interesse per la sua musica sempre più tetra e svenevole come un armadio polveroso pieno di bambole di ceramica, sarà anche perché inconsciamente lo ricollego a un periodo della mia vita in cui compravo a scatola chiusa qualsiasi disco Temporary Residence, roba che a posteriori probabilmente non rifarei (mi risparmierei così una buona dose di orchiti fulminanti e prese a male assolutamente gratuite).
Quando però sono venuto a sapere che il nuovo album di Eluvium prevedeva in scaletta un’unica traccia di 50 minuti un barlume di attenzione si è riacceso in me. Impossibile anche solo pensare di comprarne una copia fisica: la prima (e unica) tiratura di 200 esemplari assemblati a mano è andata bruciata in meno di 48 ore. È in compenso possibile ascoltare Static Nocturne (questo il titolo del tour de force cooperesco) integralmente su Bandcamp ed eventualmente acquistare l’mp3 al prezzo di otto dollari, ma è una mossa che personalmente non consiglierei a meno che non sentiate il disperato bisogno di un sottofondo vagamente fastidioso mentre sbrigate le faccende di casa più monotone, tipo dare la cera alle piastrelle del cesso; ci sono in realtà circa sei-sette minuti di chitarra languida all’inizio ed altri cinque-sei di piano lacerante verso la fine che sono tra le cose migliori mai incise dall’introverso polistrumentista, il problema è che nei restanti quaranta e rotti non accade assolutamente nulla a parte un continuo e irritante sciabordio di rumore bianco, e comunque anche quel poco di (ottima) musica è sepolto da strati di feedback ondivago e scariche elettrostatiche che rendono l’insieme soltanto lontanamente intellegibile. Io il disco l’ho ascoltato sotto Natale assieme al Christmas EP di Jesu, la neve sulle strade e tutto il resto, e l’effetto nel complesso è stato pure abbastanza deprimente (nel senso buono), e magari finché continua a fare freddo e a venire buio presto Static Nocturne può pure avere un suo perché, ma per ora non ho nessuna voglia di ripetere l’esperimento e difficilmente me ne tornerà in futuro. Peccato, a mettere insieme quei dieci minuti celestiali ne usciva il pezzo più bello di Eluvium, così invece è soltanto poltiglia sfrigolante per semiautistici e lunatici solipsisti irrimediabili.
Il juke-box del suicidio
L’altro giorno Reje mi ha scritto che era uscito il nuovo dei Canaan. È una specie di rituale: Canaan e Colloquio sono i nostri Beatles e Rolling Stones, e la data esatta di uscita del nuovo disco è un evento da segnare sul calendario. In questo, Reje è sempre stato sul pezzo molto più di me, controllando quotidianamente il sito della Eibon – unica fonte per notizie di tal genere – e guai a sgarrare, con la perseveranza e la devozione che solo chi è stato un fan maniacale può conoscere. Quando è uscito l’ultimo dei Colloquio mi ha addirittura telefonato. Io, onestamente era da un po’ che avevo mollato il colpo, anche solo per una banale questione di autoconservazione: avessi continuato a sottoporre la mia mente e il mio fisico all’ascolto reiterato di quei dischi, a quest’ora non sarei qui a scrivere ma sotto un cipresso a farmi divorare anzitempo dai vermi. La ragione è che i Canaan (e i Colloquio, e i Neronoia, che è un progetto in cui confluiscono Canaan e Colloquio, il che è come dire morte più morte) avevano (hanno) il potere di amplificare ben oltre il limite dell’umanamente tollerabile una gamma di sfumature della tristezza virtualmente inesauribile.
Chi non ha mai sentito una canzone dei Canaan finora si è perso una delle colonne sonore migliori per i momenti (o giorni, o mesi, o anni, o vita) di disperazione più nera e dolore mentale più puro, senza filtri né barriere di sorta. Il leader e compositore principale del gruppo, Mauro Berchi, è un professionista della depressione; la sonda, la misura, la abita probabilmente da sempre, l’ha analizzata e vivisezionata instancabilmente, per anni, in lunghe interviste che somigliano piuttosto a esaurienti trattati di psicanalisi, l’ha plasmata a proprio piacimento (si fa per dire) lungo canzoni e dischi che sono la voce di chi la speranza l’ha già persa da un pezzo ma che comunque, per ragioni che ignoro, non riesce a farla finita, l’ha incanalata, attraverso una serie cruciale di uscite-chiave, in una piccola etichetta discografica che è stata un autentico faro nella notte senza fine degli afflitti, i deboli e gli umiliati (ma solo quelli con gusti musicali tendenti al dark più tetro, all’ambient più opprimente e al power electronics più molesto). Dopo aver subito un disco dei Canaan anche aver vinto alla lotteria sembrerà una disgrazia insormontabile. È roba pericolosa, roba che avvelena l’anima, che entra dentro la carne come una coltellata, ed è roba a cui – vai tu a sapere per quali masochistici motivi – non riusciamo a fare a meno.
Credevo di essermi liberato dell’allucinante cappa oppressiva dei Canaan dopo The Unsaid Words, disco che stranamente sentivo ‘distante’, che non mi rispecchiava al 300% come gli altri, e allora avevo lasciato perdere, avevo cercato altrove, ero perfino arrivato a dimenticarmi della loro esistenza dopo il secondo Neronoia; per alcuni mesi sono sicuro di non avere mai, nemmeno per un istante, pensato ai Canaan. Ma è impossibile cambiare quel che siamo, ecco perché non appena Reje mi ha scritto che sul sito della Eibon erano stati caricati due samples del nuovo album dei Canaan mi ci sono precipitato, e poi ho ritirato fuori l’intera discografia e me la sono sucata tutta dall’inizio alla fine, da Blue Fire a The Unsaid Words (che peraltro mi ha dilaniato come mai prima), un tour de force assolutamente scriteriato nelle pieghe dello stare male gratis, l’ultima idea che dovrebbe venire a un essere umano anche solo parzialmente sano di mente se non come anticamera del suicidio. Il prossimo step si intitola Contro.Luce, ed è una tortura a cui non vediamo l’ora di sottoporci. Non lo consiglio soltanto perché non vorrei cadaveri sulla coscienza, però insomma, sapete cosa fare.
L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 6-12 dicembre
Ancora tramortiti dal punitivo concerto degli Swans (oltre due ore di dolore e sopraffazione in quel forno crematorio legalizzato che è il Locomotiv) iniziamo la settimana in pesante debito di ossigeno, di sali minerali e di voglia di vivere; la seguente sarà dunque un’agendina ad alto coefficiente di disfattismo.
Se riusciremo a schiodare il culo dalla poltrona su cui restiamo per ore spalmati a fissare le pareti, questa sera dalle 21 al Nuovo Lazzaretto si prepara una bella infornata di punk’n’roll degli incapaci in compagnia della provocante Texas Terri, dei madrileni Tokyo Sex Destruction più altra robaccia sconosciuta di cui mi fa fatica cercare i link. Cinque-sei euro e tanta simpatia da parte del vicinato. Martedì 7 se gli Swans non vi sono bastati e volete farvi un’altra pera di allegria ecco gli Elf Power in funeraria commemorazione pre-anniversario della morte di Vic Chesnutt, al Covo dalle 22 (il prezzo come al solito non è dato saperlo se non previa telefonate astiose alla direzione il giorno stesso del concerto); altrimenti, visto che poi il giorno dopo è festa e quindi bisogna divertirsi, al Ruvido c’è Rexanthony (per un amarcord peso di quando eravamo giovani, belli e felici e l’ecstasy che spacciavano fuori dal Cocoricò era di buona qualità), mentre per gli irriducibili del cucchiaino l’appuntamento da non mancare è con Paul Kalkbrenner al Link, ma solo per i più previdenti: le prevendite sono infatti già esaurite da quel po’, e senza non si entra. Ah, per i necrofili ci sono i Sonics a Cesena.
Mercoledì 8 per i rockettari che non si rassegnano a restare in casa a cercare di smaltire il down al Nuovo Lazzaretto arriva l’indomito Kevin K con la sua bella paccata di reducismo decadentista; ad accompagnarlo gli inossidabili Titbits. Altimenti, Assalti canta e non manda in letargo le menti al Bartleby (per ora non ne so niente, ve la vendo come l’ho comprata). Giovedì riposo, non c’è un cazzo di niente di decente in giro anche ad andare a scandagliare l’intera regione.
In compenso venerdì 10 è il delirio: all’Estragon dalle 21.30 Massimo Volume + Bachi da Pietra GRATIS, al Voodoo Club di Comacchio il sovrano assoluto del death-rap Necro (più alcune prescindibilissime e fiacchissime crew italiane che per senso della decenza evito di nominare, dalle 21.30, non so il prezzo), al Circolo Onirica a Parma i Saint Vitus freschi di trapasso del povero Armando Acosta + altri quattro gruppi ultradoom (nello specifico, Swallow the Sun, Mar de Grises, Solstafir e Graviators, per sapere quanto cazzo spaccano chiedete a Reje, sempre se riuscite a risvegliarlo dal suo sonno millenario), e al Teatro Rasi a Ravenna gli elitari e sulfurei Æthenor (dalle 21, abbastanza euri). Troppa roba, considerando poi che sabato è ad esclusivo appannaggio di highlanders della keta (Onur Ozer al Kindergarten, quindici euro) e saltimbanchi da avanspettacolo (Bloody Beetroots al Link, ventisette euro); in compenso domenica all’Estragon gli High On Fire suonano di spalla ai Fear Factory. L’unico problema è il prezzo del biglietto: trentadue euro.
L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 29 novembre-5 dicembre
Anche se fa freddo e nevica e Bologna-Chievo è stata rinviata per questo e al Cioccoshow non c’erano i cioccolatini a forma di cazzo la città non si arrende: ecco il bellicoso programma della settimana.
Si comincia stasera al Nuovo Lazzaretto con una scarica di metalpunk alla zozza courtesy of i lerci Blunt Force Trauma del mitico Felix Griffin; aprono le danze Minkions e Zio Faster, inizio puntuale alle 22, cinque euracci l’ingresso e se non sei vestito come un vecchio punk londinese e/o un thrasher decerebrato americano degli anni ottanta ti lasciano fuori a gelarti il culo. Martedì a parte Paola e Chiara al Mediaworld di Imola e il pessimo Wavves al Bronson (21.30, quindici euro, pettinatura orrenda e guai a ‘suonare’ più di mezzora) non mi risulta ci sia altro in giro; io non mi voglio male fino a questo punto per cui penso proprio che resterò in casa larvale a fissare le pareti, in modo da tenermi in forma per il concerto dei nostalgici e malinconici Soviet Soviet mercoledì 1 dicembre all’XM24 (dalle 22, gratis). Per i più temerari in vena di avventurose gite fuori porta, al To Be or… di Civitanova Marche suonano gli sferraglianti Din [A] Tod (dalle 21.30); obbligatorio presentarsi mascherati da gerarca sadomaso. Giovedì 2 serata imperdibile per chi ama la musica: allo Scalo San Donato dalle 21.30 Vakki Plakkula e Banda Roncati, se siete vivi non avete scuse, non si può mancare. Non so il prezzo, ma difficilmente starà sopra i cinque euro.
Venerdì 3 ci sono gli HELMET al Bronson (21.30, quindici euro). Non credo di dover apporre ulteriori commenti, ma nel caso abbiate bisogno di motivazioni supplementari sappiate due cose: 1) Bastonate dj-set prima/durante/dopo il concerto a base di pezzi che non avete mai sentito in un locale e che probabilmente non sentirete mai. Non sognatelo, siateci. 2) After splitting with Winona in 2006, Page Hamilton has dated the bisexual hardcore porn actress Jezebelle Bond. She has talked about quitting the porn business for him on her blog @ myspace.com/jezebellebond13
Per completezza segnalo anche gli altri appuntamenti di venerdì 3 dicembre: Youth Brigade + guests al Nuovo Lazzaretto (dalle 22, cinque euro), Titor + Verme + Hazey Tapes all’Atlantide (dalle 22, pochi euri), Tilbury plays Cardew al Museo della Musica (dalle 21, dieci euro), OfflagaDiscoPax in tour acustico al Locomotiv (dalle 21.30, dieci euro più tessera AICS sette euro), Clinic al Covo (dalle 22, abbastanza euro), e per gli sbarazzini della notte Tying Tiffany dj-set al Decadence (dalle 24, quindici euro) e James Holden al Kindergarten (23.30, ingresso dai quindici euro in su).
Sabato i riformati Swans al Locomotiv (apertura porte alle 21), se venticinque euro più altri sette di tessera AICS che non userete da nessun’altra parte non vi spaventano è l’unica occasione in un tot di tempo per godersi l’abissale Michael Gira (che, a scanso di equivoci, è e resta un gigante); a patto che poi riponiate lamette coltelli corda barbiturici e in generale ogni altro tipo di oggetto contundente e/o nocivo alla salute, per accantonare i propositi suicidi e tornare ad amare la vita c’è Carola Pisaturo al Cassero (dalle 24, dieci euro). Gran finale domenica 5 (se ve la sentite) all’Estragon con gli Skid Row (dalle 21.30). Giusto un paio di deterrenti: i biglietti stanno a ventisei euro e alla voce non c’è Sebastian Bach ma quell’altro.
aggiunte romagnole:
LUNEDI’ 29/11
Un cazzo di niente, sembrerebbe. Serata interlocutoria a guardare Fazio sbronzissimi e/o a disegnare un nuovo episodio della serie a fumetti più bella del mondo che ancora voi non avete visto -mentre io sì. Puppatemi la fava. Un’alternativa possibile è l’esecuzione di Masticazzione con due zete, session per chitarra ed effetti vari ed eventuali in cameretta mia ad opera di me in persona, ingresso 13 euro a inviti. Approfitto della sponda per porre il copyright sempiterno sull’idea concerti a casa propria, molto evidentemente la COSA del 2011.
MARTEDI’ 30/11
Wavves al Bronson, nonostante l’abbiano beccato in Germania con del fumo (questo per dire che il nazionalsocialismo aveva dei vantaggi, insomma). 15 euro più i cerini.
MERCOLEDI’ 01/12
What Contemporary Means (bella domanda) al Diagonal al posto di Julie Doiron, oppure The Jim Jones Revue al Clandestino
GIOVEDI’ 02/12
A Place To Bury Strangers al Bronson. O Texas Terry Bomb al Sidro, chiunque sia/siano.
VENERDI’ 03/12
Helmet al Bronson. Se non capite un cazzo di musica potete anche andare a Club Dogo al Velvet o Tokyo Sex Destruction + Small Jackets al Georg Best (Montereale, colline cesenati).
SABATO 04/12
Un sacco di robe, tra cui ovviamente preferirò di brutto andare a vedere Micah P.Hinson per la novantunesima volta, al Bronson di Ravenna. Concerto dell’anno. In alternativa tali Rock’n’roll Kamikazes al Sidro, Ennio Morricone a Pesaro da vedere strafatti di porra o Storm[O] e Abaton al Valverde di Forlì. I piatti più sugosi sono un tributo a Jeff Buckley al velvet con tanto di Gary Lucas, che suonerà con tre italiani qualunque. BRRR. Oppure Airway al Vidia di Cesena, probabilmente il peggior gruppo di sempre, Finley meets altre cose simili. Li ho visti a Cesena di spalla ai Get Up Kids.
DOMENICA 05/12
Un cazzo di niente, sembrerebbe. Serata interlocutoria a guardare report sbronzissimi e/o a disegnare grossi piselli sui muri degli stabilimenti all’Anic di Ravenna in segno di sgomento generazionale.
L’agendina dei concerti Emilia Romagna – 11-17 ottobre
Nascondete pistole, coltelli, lamette da barba, corde e cavi resistenti di ogni genere, sigillate le prese di corrente e cercate di tenervi lontani dai fornelli: Matt Elliott è in città. E siccome l’uscita del nuovo album – di nuovo a nome Third Eye Foundation dopo un letargo della trip-hoppeggiante ragione sociale durato una decina d’anni (probabile Tanto se ribeccamo nell’immediato futuro se mi girano) – è rimandata al mese prossimo, è più che probabile che questa sortita sia finalizzata ad annichilirci definitivamente con un’ultima letale passata delle sue ‘Songs’; si comincia domani sera in Romagna per una data di cui non so assolutamente nulla a parte che il concerto si terrà a Santarcangelo, il consiglio che posso dare è di contattare l’organizzazione nella speranza di racimolare ulteriori informazioni. Quel che invece è certo è che mercoledì 13 suonerà al Clandestino a Faenza, gratis a partire dalle 22 (giovedì invece sapete dove l’han messo? Al Forum di Assago. Probabilmente per il LOAL) .
Comunque vada, giovedì 14 si torna a desiderare il dono dell’ubiquità: all’XM24 1400 Points de Suture e Night Terrors (dalle 22, quattro euro), al TPO la prima data dei riformati e più pisellanti che mai One Dimensional Man performing the album You Kill Me (dalle 22, dovrebbero stare sui dieci euro), i Calibro35 alle Scuderie (so soltanto che inizia alle 21.30, capace che chiedono anche qualcosa) e perfino il redivivo RAUM riapre i cancelli per ospitare nel suo sciccoso salotto tre live da paura, ovvero Lasse Marhaug, Lorenzo Senni e quel cazzone di Mattin (non azzardatevi ad applaudire al termine del suo set, a meno che non vogliate essere coperti di insulti dal diretto interessato). Se avete una vista portentosa le info al riguardo stanno sul cibernetico sito del locale, altrimenti potete pure cavarvi gli occhi come è successo a me. Per i più spirituali in bolletta sparata c’è anche Lindo Ferretti alla chiesa di Sant’Agostino a Imola, gratis, dalle 21.
Venerdì il reducismo assume nuovi e inquietanti significati al Covo con i Levinhurst, ovvero il gruppo di Lol Tolhurst e consorte più Michael Dempsey, ovvero lo sfigato che ha suonato il basso in Three Imaginary Boys (e pure portasfiga: finirà poi negli Associates, nei Lotus Eaters e perfino nei Roxy Music di Avalon, tutti gruppi che si scioglieranno poco dopo il suo arrivo); inizio ore 22, per conoscere il prezzo bisognerà interrogare gli aruspici. Magari si riesce pure a fare la doppia: appena finito il concerto di corsa al Decadence, suona Simone Spiritual Front Salvatori. Quindici euro e dresscode obbligatorio, e se va fatta bene si rimedia pure una sega nella dark room. Altrimenti, tutti al Naima assieme a Dente Di Fata a sentire gli Iron Butterfly (venti euro: onesto), o a Reggio Emilia al Teatro Valli per Diamanda Galas (20.30, biglietti da diciassette a trenta euro).
Sabato ancora al Covo con Bologna Violenta (dalle 22, per il prezzo si dovranno decifrare le interiora di animali), altrimenti ci sono i Dillinger al Vidia (coi cafonissimi Cancer Bats di supporto, inizio ore 21.30, biglietti ventidue euro), Paul Di’Anno a Scandiano (dalle 22, l’ingresso dovrebbe stare a sette pidocchiosi euro… siateci!), oppure una bella gragnuolata di zozzo d-beat alla vecchia al Nuovo Lazzaretto con Deathraid + Kontatto (dalle 22, cinque euro).
Domenica ancora Matt Elliott, questa volta al Mattatoio a Carpi. Per chi sopravvive, ci risentiamo settimana prossima.
Nuovi rimedi per combattere l’afa
Le sei del mattino. Questa notte la temperatura, già assurdamente folle durante il giorno, non è scesa di un grado. O meglio, se anche è scesa, un permanente e impenetrabile tasso di umidità che avrebbe mandato in paranoia la più tenace delle zanzare di Singapore non ci ha permesso di registrare comunque alcuna variazione. Si gronda al minimo movimento, muri e pareti sono ancora roventi (per non parlare dell’asfalto), immettere aria dentro ai polmoni diventa roba da sfiancare Carl Lewis, sembra di stare respirando della ghiaia; nei giorni scorsi almeno per due-tre ore nel pieno della notte la combinazione letale afa+umidità concedeva una tregua, la morsa si allentava, ad aver fortuna si alzava perfino un infinitesimale alito di vento. Si poteva perlomeno tornare ad annaspare senza per questo cadere preda di visioni mistiche; si riusciva addirittura a dormire qualche ora, e i più temerari potevano cimentarsi nel tentativo di tirare una cagata decente senza poi svenire. Non questa notte. L’afa emiliana vive di vita propria: non è paragonabile a niente, non risponde a schemi o regole di sorta, è implacabile, non conosce rimedi né scappatoie. Ci hanno provato a raccontarla ma nessuno c’è riuscito, semplicemente perché non può essere spiegata: è così e basta. L’effetto a livello psichico è paragonabile soltanto a un insostenibile stato di allucinazione perenne, un senso di paralizzante angoscia cosmica che anche Lovecraft, nella più particolareggiata e malsana delle sue descrizioni, è riuscito soltanto a sfiorare. Solo chi è molto fortunato possiede gli anticorpi necessari per contrastarne parte della molestia; tutti gli altri possono soltanto continuare a subire rantolando nel fango, rassegnarsi a rinunciare definitivamente alla dignità del vivere, arrancando pietosamente giorno dopo maledetto giorno nella vana speranza che il supplizio non si protragga oltre la soglia dell’umanamente tollerabile. E i bollettini meteorologici non portano nessuna buona nuova; pochi minuti fa ho sentito Giuliacci annunciare che da lunedì arriverà l’anticiclone africano (il che nel linguaggio dei comuni mortali significa che farà ancora più caldo), come se quelle degli ultimi giorni fossero state temperature da Polo Nord.
Visto che gli scorsi rimedi per combattere l’afa hanno portato fortuna (il giorno dopo si è scatenato un temporale durato quarantotto ore ininterrotte che ha abbassato le temperature di almeno dieci gradi), e che considerata la situazione ci si aggrappa a tutto, ecco un altro consiglio musicale che non fallisce mai (perlomeno da queste parti) nel portare l’inverno almeno nella nostra testa. La cosa bella (per noi) è che questa volta non si tratta di un singolo brano bensì di un disco intero – il che significa durata più lunga, il che significa sollievo maggiore; ed è The White Birch, ultimo (in tutti i sensi) lavoro dei Codeine. Personalmente lo preferisco di gran lunga al pluricelebrato (da quelli che pensano di capirne di musica più degli altri) Frigid Stars, un gran disco ma decisamente ancora troppo allegro e positivo nonché impregnato di fastidiosi umori ‘siderali’ degni piuttosto di qualcuno dei miliardi di cloni incapaci degli Spacemen 3. The White Birch è un’altra cosa; è un disco capace di rovinare la giornata e far precipitare nel gorgo dei rimpianti e dei ricordi senza ritorno anche il più ricco arrogante fottuto pornodivo sulla faccia della terra. Uno straordinario capolavoro di sconforto, rassegnazione e dolore elevati alla massima potenza, nonché – ed è quel che ci interessa qui – uno dei dischi dal suono più gelido che io conosca; credetemi, non esiste black metal band al mondo che riesca a portare le folate di vento della più incarognita delle tempeste di neve direttamente nel salotto di casa come sono riusciti a fare i Codeine. Ogni riff, ogni variazione di tono, ogni passaggio è come se trasportassero nell’epicentro di una tormenta in cui a uccidere è il gelo che lentamente penetra nelle ossa, la visibilità ridotta a una decina di metri (ma tanto non servirebbe a un cazzo comunque), il ghiaccio che entra negli occhi e li fa lacrimare, le dita delle mani ormai blu. Oltre a fungere da megafono per dare voce ai deboli e agli umiliati di tutto il mondo (i testi sono tra i più tristi, empatici e universali di sempre), The White Birch è anche probabilmente il resoconto più fedele in musica delle fasi finali dell’ipotermia. L’ideale da mettere su in queste interminabili giornate terrificanti. Buon fine settimana, ovunque voi siate.
Gruppi con nomi stupidi: AN AUTUMN FOR CRIPPLED CHILDREN
Campioni di buon gusto: il loro nome tradotto suona più o meno come “Un autunno per bambini azzoppati“, e l’artwork di lancio dell’esordio Lost è tutto un tripudio di carrozzelle disseminate in androni malmessi che ricordano l’inizio di Session 9 e foto di bimbi tumefatti da mandare in fregola preti sadici. Loro sono olandesi e si nascondono dietro foto sfocate sile primi In The Woods e sigle da codice fiscale: txt al basso, cxc alla batteria e l’eclettico mxm ad occuparsi di voce, chitarra e tastiere. Sul loro myspace han messo metà album, tre tracce più il naturalistico video di I beg thee not to spare me che raccontano di un depressive black metal con innesti doom sulla scia degli ottimi Austere ma con registrazione ignobile. Gli ingredienti sono gli stessi: chitarre zanzarose o languide a seconda dei momenti, urlacci da gemello deforme rinchiuso in cantina, tupa-tupa-tupa-tupa di batteria che pare provenire da una catacomba, su tutto un senso di malinconia avvolgente e contagioso, malinconia che diresti autentica. Poi dai uno sguardo ai titoli delle canzoni – To Set Sails to the Ends of the Earth, Tragedy Bleeds All Over the Lost, In Moonlight Blood is Black, financo Gaping Void of Silence e per chiudere addirittura Never Shall Be Again – e cominci a chiederti se ci sono o ci fanno. Nel dubbio, aspettiamo di vederli suonare come special guest alle Paralimpiadi.
Tanto se ribeccamo? – Refused
La notizia è rimbalzata alla velocità della luce dopo che un dj della BBC ha messo sul suo Twitter: “This. Is. HUGE!!!!!, Refused have reformed” (me lo immagino dirlo con la voce di Henry Rollins che imita Bruce Dickinson). Interpellato a proposito, il singer Dennis Lyxzén ha prontamente smentito. In compenso, sul sito ufficiale della band da qualche giorno compare questo. Se è un pesce d’aprile non fa ridere manco per il cazzo. Se la cosa fosse vera, li aspettiamo performing the album The Shape Of Punk To Come a qualche festival estivo del cazzo. In entrambi i casi la bile travasa.