XIU XIU (e/o fenomenologia dell’Avere Rotto il Cazzo)

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Di solito i gruppi che ti scordi sono gruppi che non sono mai contati un cazzo e magari pensavi di sì. Tipo, che so, Pelican o Interpol, Trans AM, Add N to X, Tortoise, At the Drive-In, roba così. Erano interessanti e poi riascolti i dischi e ti si sgonfia il cazzo, anche quelli che te li ricordavi belli1. Un giorno ti dici “cazzo questi me li devo davvero riascoltare, non so perché li ho persi di vista”. E poi li senti e c’è davvero dell’atrocità sotto, un’atrocità intima che ti impone oltre a voler smettere immediatamente di ascoltare quello che stai ascoltando ti fa venire il desiderio di sporgere un reclamo per l’ipotetico tempo che anni fa hai passato a sentire questa merda invece di concentrarti sui Liquido. Sacche di spreco delle facoltà cognitive e poco altro, ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio. Possiedo un disco dei The Music originale, per dire. Ho sentito il singolo e ho pensato “WOW, MADCHESTER!”, il tutto senza avere la minima cognizione di Madchester e possedendo un paio di dischi degli Happy Mondays che mi hanno sfondato i coglioni tre settimane dopo il primo ascolto.

Ecco, non parlo di questi gruppi. Parlo di un’altra categoria, quella del GRUPPO FIGO che a un certo punto ha fatto PUF pur non smettendo di essere figo, o quantomeno interessante, o comunque rimanendolo per me anche se non per l’opinione pubblica. I motivi per cui questo succede sono molteplici, ma credo che il principale sia la sovraesposizione del gruppo/artista rispetto al suo pubblico potenziale in un certo momento della sua carriera. L’assioma, insomma, secondo il quale questo o quel gruppo ha rotto il cazzo.

Questa cosa succede a tutti i livelli di fama/esposizione, anche se essendo il concetto di rompere il cazzo legato al concetto di hype la cosa assume questioni da dramma sociale solo quando si vendono milioni di copie (un universo cognitivo che funziona secondo regole sue e mentre dico “secondo regole sue” intendo “alla cazzo di cane”) . L’assunto secondo il quale gli Oasis hanno rotto il cazzo è venuto fuori verso il terzo disco ed è rimasto valido fino allo scioglimento del gruppo –trasferendosi poi, per comodità, sul nuovo gruppo formato da Liam Gallagher e ridando questa incredibile street-cred post-mortem2 al fratello, il quale senza cambiare di una briciola il modo di scrivere si è ritrovato autore di quello che è stato considerato il miglior disco degli Oasis da Morning Glory a oggi per almeno venti minuti. Ero lì quando è successo, peraltro High Flying Birds discone del gesù e della madonna, come peraltro quasi tutti i dischi degli Oasis compresi quelli che vi aspettate io possa definire merde totali tipo Heathen Chemistry. Dicevo appunto, la cosa di avere rotto il cazzo non è comunque appannaggio esclusivo dei gruppi baciati da iperesposizione; ricordo di aver assistito, ai tempi dei forum di Fastidis/Movimenta/etcetera, a una polemica molto violenta legata al fatto che in quel giro postpunk italiano che andava quegli anni, i festivalini in posti tipo Ekidna o XM Valverde Valtorto Acquaragia o quel che era insomma, “suonano sempre gli stessi gruppi che sono amici e il culo parato e le scie chimiche”, cioè un concetto secondo cui un gruppo tipo gli SPRINZI può rompere il cazzo, mica i Bud Spencer Blues Explosion voglio dire3. E poi ci sono tutte le vie di mezzo, sempre stando in Italia un caso eclatante di avere rotto il cazzo in quel giro lì è Le Luci della Centrale Elettrica (il quale è passato da più grande promessa del cantautorato italiano al cazzo rotto nel giro di un anno circa e SENZA realizzare un secondo disco, che è arrivato a cazzo abbondantemente rotto ed era, a conti fatti, buono grossomodo quanto il primo).

Nei primi anni duemila andava molto di moda (tra quelli che rifiutano il concetto di andare di moda) una quasi-onemanband di nome Xiu Xiu. Era una specie di postpunk cantautorale con sotto un briciolo di elettronica spicciola, a conti fatti lo potremmo definire indie-pop se con questa definizione si può pensare all’esatto contrario dei Belle&Sebastian. Roba oscura e depressa, pesantemente influenzata da Talk Talk e New Order e basata sulla ricerca di un arrangiamento quanto più scarno ed essenziale possibile (ma quasi sempre diverso dagli altri) ad ogni pezzo. Mentre mi arriva il nuovo disco penso a dove ho lasciato gli Xiu Xiu e che gli Xiu Xiu hanno davvero rotto il cazzo. Decido che il momento dell’abbandono è stato all’altezza del terzo disco, si chiamava Fabulous Muscles. Poi penso che no, se non sbaglio subito dopo (o subito prima) è uscito il live per Xeng che era bellissimo, e poi guardo la discografia su Wiki e in realtà ho ascoltato pure la roba con i Larsen e La Foret e The Air Force. Nessuno di quei dischi è brutto. Non è brutto nemmeno Nina, peraltro, anzi è molto bello: Jamie Stewart si mette a coverizzare Nina Simone e avrà pure rotto il cazzo ma ad esprimere quel senso di malessere insostenibile son capaci in pochissimi (forse nel pop contemporaneo giusto Matt Elliott e pochissimi altri), e da ogni cover esce fuori un amore per la musica che sembra venire da un’altra cultura. In giro l’hanno stroncato con abbastanza cattiveria, ma forse è in questa roba fuori tempo massimo che si riesce meglio a distinguere tra roba buona e roba di merda. Nel caso di Jamie Stewart, a quasi dieci anni dai primi dissensi diffusi, mi sembra abbastanza chiaro che stiamo parlando del primo caso.

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1Millions Now Living Will Never Die, mica i dischi prog sbagliati apposta usciti dopo quello che non mi ricordo come si chiama ma ha la grafica figa fatta per sembrare un cd masterizzato, a conti fatti la più grande influenza dei Tortoise sul mondo del pop. Quelli dopo son buoni tutti, ma avete riascoltato Millions di recente? Siete arrivati alla fine? Ne siete orgogliosi?

2Ho scritto davvero street-cred post-mortem, scusate.

3Ricevo i comunicati stampa dei Bud Spencer Blues Explosion, l’altro giorno me n’è arrivato uno sui nuovi concerti e non so perché tutte le volte mi viene da pensare che questi sono il gruppo che ha rotto il cazzo più di tutti in Italia, guardo la mail con un astio fangoso e allucinato come se non fossero manco un gruppo, come se fossero un esperimento in provetta iper-paraculato e fintissimo in culo. A dire la verità, comunque, non ho la minima idea del perché ho questa cosa in testa, cioè tutto sommato sono meglio di un sacco di altra gente che suona…

Lantern – Diavoleria

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Riminesi che suonano come dei forlivesi: magari fuori dalla Romagna questa cosa non sembra niente di che, ma credo che i Lantern se la vivano male. Il disco? Zero originalità, tanto cuore, tanta botta. Roba ultrasincera. Nel primo pezzo c’è una registrazione del professor Levy di Crimini e Misfatti, magari a voi non fa un baffo ma a ma me, insomma, basta e avanza per comprarmi a vita. Si scarica.

 

Violetta Bellocchio

La prima volta che ho letto qualcosa di Violetta Bellocchio è stata durante l’università, forse era il ’97 o ’98, non saprei dire esattamente. Lei scriveva su Duel, io lo leggevo (non posso garantire per lei ma questa cosa dice che ero una persona molto diversa da quello che sono ora). Lei era già brava, quindici anni fa. Ha continuato a esserlo, ha scritto per un mare di riviste, ha tenuto rubriche e blog, ha scritto un libro per Strade Blu e tutto il resto. L’ultima cosa a cui ha messo mano, in ordine di tempo, si chiama Abbiamo le prove ed  è una rivista online di nonfiction, scritta solo da donne. Livello medio dei pezzi molto alto, cadenza quotidiana, tutto quel che serve.
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[…] Numero uno: il Web italiano “per le donne” offre galassie di raccoglitori su moda e bellezza, e scarpe, e consumi, anche, nel senso più lato possibile, e alcuni di questi raccoglitori sono fatti molto bene, se è per quello; il resto a me manca.

Numero due: io, da lettore e non da femmina, sono stanca di passare opinioni, spin, corsivi, para-Amache, gomitini gomitini e commenti del commento del fatto di domani; io voglio un posto dove c’è solo la storia, dove c’è solo LA ROBA, le ossa e la pelle; io ne ho bisogno fisicamente.

L’hai scritto te. il punto due mi interessa più del punto uno, perchè in ALP (acronimo che userò da ora in poi, sorry) io non leggo una cosa “per le donne” (non credo che i pezzi che leggo mi tocchino/riguardino meno di quanto toccano la mia amica Sara).  invece il secondo è abbastanza mio: c’è un modo di funzionare di internet che non è corretto, o non mi rappresenta. Tu hai una routine nell’affrontare il tuo internet? tipo, svegliarsi il mattino e non cagarla per un po’, guardare cosa si muove, pesare i trending topic, qualcosa così?

GRAZIE DELLA DOMANDA. Il mattino io mi sveglio, faccio colazione, faccio la doccia, poi si vede di giorno in giorno. Se non mi sbaglio, nella storia di ALP non c’è stato UN giorno in cui abbia guardato i trending topic o gli Anniversari Importanti Oggi: se qualcuno ha un progetto per cui questi tratti servono / sono utili, more power to them. Alla fine a me interessa di più programmare un calendario che non tiene conto degli hot topic, pensare a un minimo di continuità, avere tre/quattro/cinque settimane di materiale pronto o quasi pronto davanti a noi su cui possiamo contare.

ANEDDOTO! (subito, dai.) Tu mi hai scritto la prima volta in quei giorni per me abominevoli dove CHIUNQUE diceva la sua a proposito dello stupro di Modena, compresi, ahinoi, una serie di opinionisti che hanno messo per iscritto frasi terrificanti nei confronti delle “ragazze di oggi” in generale (e se non era quello era “è colpa dei videogiochi e del porno su Internet”). Allora, io sapevo di poter buttare in home page SUBITO due diverse storie che andavano a parare da quelle stesse parti; ma nn l’abbiamo fatto.

In quel caso la decisione l’ho presa durante una chiacchierata con Nadia Terranova (accreditata come guest editor mica perché mi ha regalato cinque euro, appunto): saltare sull’argomento “del giorno” significava

a. bruciare due storie diverse prima che fossero magari editate al 100% delle loro possibilità;

b. far passare l’impressione che il macro-argomento “abusi” fosse una roba con dignità di racconto solo in quelle SEI ore dove tutta l’Internets si indigna e strilla la sua.

NO. In quei giorni abbiamo fatto uscire pezzi che non c’entravano niente e che -guarda un po’ – sono piaciuti e sono stati condivisi da chi li leggeva: io lo prendo come un buon segno per ALP e come il segno che i nostri lettori (CIAO LETTORI) non hanno nessuna ansia di venire da noi per leggere nuove variazioni sul “tema del giorno”.

A meno che il tema del giorno non sia Doctor Who, che saluto.

Ora i pezzi sono usciti tutti e due, per inciso: uno e due.

Li ho letti. Mi piace perchè se accetto quello che dici, il primo effetto è che la definizione di senso del tempo si contrappone alla definizione di tempismo. O che una delle due definizioni nella mia testa è sbagliata. E poi la cosa introduce un’etica del non scrivere e del non pubblicare a cui sembri credere, in qualche misura. E quindi la cosa più logica, una volta letto perchè hai aperto ALP, è di chiederti perchè hai aperto ALP alla fine del 2013 invece che in un qualsiasi altro momento storico.

Saggia domanda. ALP va online a Settembre 2013, ha dietro qualche mese di chiacchiere e PDF tra me e un primo giro di autrici / potenziali autrici; il primo credo che porti la data “16 maggio”. Era pieno di macro di Ann Perkins.

Erano (forse) due anni che mi stuzzicavo con MAH OK DOVREI FARE  UNA COSA MIA, POSSO?; in una prima fase ricordo che avevo pensato a un piccolo sito multi-autore come Jezebel o The Hairpin, una cosa tipo “Questioni di Genere in primo piano, LOL nei ritagli di tempo”. Non l’ho mai fatto perché mi ha stroncato il pensiero di quanto lavoro ci sarebbe stato da fare vs. bisogno mio di dormire, mangiare, scrivere altra roba eccetera (Se qualcuno vuole fare un progetto simile, io lo leggerei). Dopo di che la faccenda è evoluta in “nessuno (in Italia) raccoglie e pubblica narrative nonfiction a buon ritmo; FACCIAMOLO!!!!”. Ne ho parlato con un amico, non l’abbiamo fatto.  (Questo è il tema ricorrente di un sacco di cose, sì?)

E ora, IL FATTO SUPER PERSONALE: a gennaio 2013 consegno un libro e mi dicono che esce nel 2014 (inserire qui deer in headlights mode), a maggio 2013 smetto di fare un lavoro che a quel punto  facevo da due anni; mi trovo sotto mano abbastanza tempo e abbastanza voglia per provare a far partire un progetto.

(Sì, non abbiamo una origin story super eccitante.)

Forse il fattore “tempo” deriva dal mio non avere figli piccoli a cui stare dietro.

Avessi partorito nel 2012, ALP non avrebbe mai lasciato il limbo dell’OH NOES.

le origin story super-eccitanti in genere danno luogo a trame del cazzo, la seconda parte del film di solito è noiosissima.

LOOOOOL. Posso dire una cosa? Settimana scorsa ho ascoltato un podcast su Daredevil (il film) e ho pensato a quando lo vidi in una videocassetta noleggiata (credo fosse un VHS, almeno) con una Futura Autrice di ALP. Lei aveva preparato degli scones apposta. Dopo un quarto d’ora ci era già passata anche la voglia di deridere il film. Lo guardammo fino alla fine con un senso di avvilimento pauroso. Eravamo giovani allora.

Tot anni dopo ho guardato Jonah Hex da sola ed era brutto uguale ma mi ha avvilito MOLTO meno.

Forse il surplus SANTO DIO CHE CAZZATA deriva dal sapere che ci sono i testimoni di certe cose.

Io ho un tizio di internet che mi ha giurato per anni che se avessi visto il director’s cut di daredevil l’avrei trovato UN FILMONE, così maiuscolo, me l’ha menata così tanto da convincermi a guardarlo.

Il director’s cut è effettivamente un po’ meglio, almeno? L’ho sentito dire anch’io ma ho sofferto troppo per fidarmi così d’amblé. Comunque resterebbe un director’s cut con un cattivo non molto ben pensato (EUFEMISMO) e in generale un’aria da NAMO DOTTO’ OGGI AMO FATTO PRESTO.

Non è meglio, è una specie di remix del daredevil con momenti di trama noiosi extra, le cose che succedono in un momento diverso e un piglio tipo “sai sono Mark Steven Johnson ma se potessi scegliere sarei terry malick”, ma me lo ricordo vagamente.

(pausa di digestione culturale, segue intervallo. L’intervista continua a pestaggio ultimato)


 

Io una volta ho aperto un sito che doveva parlare di musica metal (vabbè). Ho pensato a che cosa volevo fare, e poi ho pensato a chi sarebbe stato meglio per fare questa cosa che avevo in testa. Li ho contattati, alcuni hanno detto sì e abbiamo iniziato a lavorare. poi questi qua hanno preso la mia idea e il mio progetto e l’hanno completamente stravolto, fortunatamente in meglio, e io ho preso altra gente che si conformasse un po’ a quello che era diventato e la gente nuova l’ha cambiato ancora. Magari è una cosa che vedo solo io, e qui se vuoi inserisco la metafora del genitore, ma se le mie aspettative non fossero state disattese probabilmente avrei chiuso la rivistina sei mesi dopo. Due domande:

1 Chi componeva il primo giro di potenziali autrici?

2 il tuo PIANO è andato già in vacca? 

1. un miscuglio tra persone che conoscevo direttamente e persone che non conoscevo  direttamente (ora le conosco). Nel campo “persone che non conoscevo” ci metto Nadia; le ho scritto perché avevo letto alcuni suoi racconti molto belli. Nel campo “persone che conoscevo” ci posso mettere  un’amica di vecchia data (name redacted) come ci posso  mettere Giusi Marchetta, con cui c’erano stati scambi di mail (e tweet) dopo esserci incrociate qualche volta in literary situations (festival, incontri etc. -va precisato, in contesti simili io sono sempre  la tipa che tutti indicano col dito sghignazzando e/o le guardano attraverso; la Marchetta mi aveva parlato in modo civile, chi se la dimentica più.)

2 Se mai, è migliorato: è molto diverso chiedere a qualcuno “senti, vuoi darmi un pezzo GRATIS per una rivistina che comincia a Settembre ma giuro sarà superstrafichissima?” e poter mostrare la suddetta rivistina a qualcuno. Man mano che si va avanti è più facile trovare persone adatte e disponibili. Almeno, a me sta succedendo.

Also, GRATIS. Mi dispiace un sacco ma non possiamo pagare.

Almeno lo diciamo subito.

E ALP in generale incassa qualcosa?

Non incassa nulla. Tra sei mesi (forse) potrei dare una risposta diversa.

L’ultima domanda sulle intenzioni, poi parliamo della cosa. perchè la nonfiction? perchè solo donne? Le risposte che ho avuto fino a ora sono “bisogno fisico” e “perchè non c’era”. Però non so, immagino ci sia dietro un motivo politico. o politico-culturale. Mi sbaglio?

Due giorni fa ne parlavo con Silvia Vecchini e lei ha riassunto la questione con estrema efficacia: “BASTA TAG”.

Dire che una cosa è politica o politico-culturale significa metterci sopra una tag pesantissima, etichettarla, presupporre che TUTTE le persone a bordo siano mosse dalle stesse ragioni. Se dico che Abbiamo le prove è “un progetto politico”, o che c’è dietro una formula tipo “politica della narrazione”, io faccio un torto a parecchie delle autrici che scrivono e scriveranno per noi; qualcuna di loro magari vede una ragione “politica” nel portare fuori un pezzetto della sua storia personale, ma qualcuna sicuramente no, eccetera.

Comunque io non l’avrei mai detto. Riassumere il senso di un’operazione grande o piccola con “OMG POLITICO/CULTURA!!11” per me tradisce un disperato desiderio di essere ammessi al tavolo dei ragazzi fighi in sala mensa. Grazie, ma no grazie.

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Però nelle cose che scrivi viene sempre fuori un po’ questa dimensione di confronto, che magari è filtrata coi miei occhi. Essendo questo un blog di musica, prendo ad esempio Miley Cyrus

“Ecco, io non ho dubbi in materia: le scelte creative di Miley Cyrus sono orientate in primo luogo alla salute del portafoglio di Miley Cyrus. Però queste scelte sono anche la trave nell’occhio di chi osserva «le ragazze di oggi» senza mai muoversi dalla terrazza di casa propria.”

 Questa per me diventa una dimensione politica. Non so se è politica della narrazione, ma è narrazione politica -prendi una parte sulla base di cose che hai letto. Un’alternativa è di prendere una parte e cercare prove a suffragio. C’è un sottotesto (che, ripeto, come niente vedo solo io) stile “nell’insieme delle cose che avete letto su questo argomento, non hai avuto cura di filtrare le cose da leggere”. io leggo la tua roba e faccio il punto di cosa penso di tutto quello che ho letto sull’argomento.

È anche legato anche al discorso di prima, al discorso del trending topic of the day. Voglio dire, c’è un modo di riportare i fatti che è simile al tuo e che per me è politico, scelta di campo. non voglio dire che riguardi qualcun altro che scrive dentro ad ALP, chiedo a te, insomma. SOLO donne, SOLO cose successe… ecco, non so, non voglio farti un torto. 

Senti, io lo so che poi non mettendo LE ETICHETTE GROSSE su quello che faccio c’è un’ampia fetta della popolazione che mi considera deficiente (I’ll take it), però: le cose che scrivo in prima persona nella mia vita non devono essere prese come “il segno” di quello che sta diventando / può diventare ALP, oppure una linea-guida ideale per ALP. Se così fosse, ALP ospiterebbe molte più storie sul rapporto con LA MERCE, ad esempio. (E molto più capslock.) E invece.

Della questione Miley: per me criticare con certi toni e certi argomenti il “fenomeno del momento”, chiunque sia quel fenomeno, è segno di una certa immoralità diffusa, se mai. Dico “LOL TROIA” e me la cavo in due secondi e sono convinto di essere un acuto osservatore della contemporaneità che dice “BASTA” al malcostume. O, peggio, un difensore del femminismo che nessuno ricorda di aver interpellato.

(Altro esempio: questa estate i blog in lingua inglese hanno dissezionato Blurred Lines in ogni direzione possibile, arrivando, di solito, a dare a Robin Thicke dello stupratore in potenza o del rape apologist, e alle signore/signorine che gradivano la canzone delle segretarie-ombra della dittatura patriarcale, quando non direttamente dei LOL TROIA ambulanti. Io ho alzato molto spesso gli occhi al cielo.)

Articolo vecchiotto ma utile, se vuoi approfondire, è questo.

Comunque: se avessi voluto fare una rivista di 200 cloni miei, avrei fatto una rivista di 200 cloni miei. Non l’avrei letta io, figuriamoci gli altri.

(mentre ti chiedevo questo è uscito anche un video di Lily Allen in cui qualcuno twerka e l’opinione pubblica, per così dire, s’è spaccata in diciotto)

Appena ho notato che sul video di Lily Allen si alzava uno sciame di OMG CONTROVERSO!!! ho deciso di non guardarlo, l’ho visto adesso che me l’hai girato tu e lo trovo un video scemo/simpatico come tutti quelli che avevo visto di lei negli anni passati; un paio di culi in più non spostano il mio parere su nulla.

A parte la seconda stagione di Teen Wolf, dove sin dalla puntata 2.01 riuscivi a visualizzare il memo spedito da MTV alla produzione (“BENE RAGAZZI ADESSO RIVESTITEVI”) e potevi pensare che la prima stagione fosse stata una gigantesca trollata rivolta allo spettatore. L’avevo recuperata di corsa e non ricordo nulla se non il fatto che tutti i personaggi maschili andavano in giro in mutande in continuazione (nb. età media dei personaggi 15/16 anni, attori tutti più che maggiorenni) e che pur di farli spogliare a buffo nella trama venivano infilate scene di “il protagonista corre nudo nella foresta – AH NO ERA SOLO UN SOGNO, guardate, si sta svegliando di colpo a casa sua. In mutande.”

Vorrei precisare che no non ho guardato due stagioni di Teen Wolf per motivi politici; io l’ho guardato per il LOL e per vedere come gestivano un paio di svolte narrative. Ma soprattutto per il LOL. E finché è durata, ho avuto moltissimo LOL.

Posto che questo particolare tipo di nonfiction mi interessa, cosa vado a leggermi in giro oltre ad ALP in italiano e inglese?

la versione “uno WHAAAAT a paragrafo” sarebbe senz’altro la sezione “It happened to me” di XOJane.comMa parecchi luoghi rispettabili ospitano personal essay, da Nailed Magazine a Two Serious Ladies, e ce ne saranno cento che ancora non conosco da lettore, per cui. la scelta esiste.

Domanda sull’oggi e poi chiudo. C’è questa campagna in corso. Tu vivi di scrivere, giusto? 

Io ho questo problema legato al fatto che scrivo, un po’ per chi me lo chiede, se mi piace un progetto posso scrivere gratis, se mi propongono un pagamento non commisurato all’impegno posso scegliere se scrivere o no, eccetera. Ok? Di fatto, quindi, la mia posizione di uno-che-lo-fa-per-hobby mi rende un potenziale ostacolo verso chi vuole fare questo lavoro venendo pagato. 

Ecco, guardo queste campagne, ce n’è una ogni due settimane, campagne, lamentele, tweet, FB eccetera, ma non so se c’è mai stata una mobilitazione di massa, di categoria, un momento in cui tutti hanno incrociato le braccia e hanno detto vaffanculo; e nemmeno uno che sia venuto da me a dirmi che il mio farlo per hobby sta togliendo occasioni a della gente migliore di me ma che si fa pagare. Non ti sembrano un po’ delle campagne prive di senso?

Non lo so, sai? Nel senso: non so se queste campagne siano davvero prive di senso. La cosa che so, e che mi irrita a non finire, è che  il mantra “cari giovani creativi, non dovete lavorare gratis, fatevi rispettare!” l’ho sentito uscire anche dalla bocca di gente famigerata per non pagare.

Comunque nel minuto secondo in cui una persona pronuncia la parola  “visibilità” l’unica azione possibile è andarsene senza guardarsi indietro.

Secondo me in realtà è una parola che nessun datore di lavoro pronuncia più. Oddio, forse quelli che si fanno ancora chiamare MEDIA GURU e ti mandano l’email copincollata. secondo me è più un giogo autoimposto, “vado lì, non mi pagano ma mi leggono in settemila ogni pezzo nuovo”. proporsi gratis alle riviste grosse, e tutto il resto. non so. forse è una mia paranoia. e se fosse vera probabilmente la campagna avrebbe senso, ma il senso sarebbe di far capire ai creativi che valgono qualcosa, una chiave tipo “ora anche i creativi hanno una cassetta col motivational per diventare più maschi”, nel qual caso il tag avrebbe dovuto essere #chebelletendine. Ok, forse non è una domanda. Non so.

Ieri sera ho visto per la prima volta The Decline of Western Civilization part II: The Metal Years.

Ora, a parte gli spezzoni famosi che hanno avuto una vita al di là del documentario intero (quello dei W.A,S.P. che si fa intervistare ubriaco fradicio in piscina con la madre lì presente), sono stata molto colpita dal tono medio degli intervistati “non famosi”: molto giovani, maschi e femmine, tutti appassionati di metal, quasi tutti che suonavano in un gruppo metal; quando viene chiesto loro “cosa farai se non sfonderai come musicista?”, quasi tutti rispondono “no, no! io sfonderò! Io diventerò una star!” (tieni conto che questo non era un reality show). Poi, quando la regista gli chiede “sì, ok, ma se poi non sfondi?”, un paio di questi ragazzi rispondono: allora finirò a dormire per strada.

Chiudiamo su questa nota di speranza, che dici?

Abbastanza carini i primi, merda tutto il resto (1 di 2)

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di Benzina
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sulve

Rimastoni dell’oltreschermo! Derelitti dell’Internet!

E’ da tempo che volevo cominciare un pezzo così.

La storia è che gli ULVER fanno uno split coi SUNN O))) – si chiama Terrestrials, esce per SOUTHERN LORD, e sulla copertina ci sono dei quadrati e dei cerchi. La copertina è rossastra. A voi la copertina piace? Me sembra na copertina melensa (cit.)

Stephen O’Malley, parlando del disco, dice che ricorda l’atmosfera nella stanza: le pareti stavano letteralmente tremando per la forza del volume, era tutto così psichedelico. Tendenzialmente quello che potrebbe dire di qualsiasi altro disco che ha fatto. Garm – già Trickster G (e chissà quanti altri nomi) – non ha rilasciato dichiarazioni in merito, o perlomeno così pare. D’altronde, Garm è uno abbastanza timido: ricordo (parliamo del secolo scorso) un tizio su un forum che diceva di esserci uscito una sera per via di amicizie comuni; pare che in quell’occasione il silenzio si fosse fatto pesante.

Lo sapevate? Gli ULVER sono di recente entrati nella loro fase VIOLINI (parlo di Messe). Prima, Garm e soci si trovavano nella loro fase ARTEY (in realtà stavano soltanto riciclando le ultime cose degli ARCTURUS) – prima ancora c’era stata la fase TRIP HOP, per non parlare poi della fase BLACK METAL (intervallata da una brevissima parentesi FOLK ACUSTICO che tutti ricordiamo con una certa commozione)(parlo di Kveldssanger). I SUNN O))), al contrario, sono da sempre nella loro fase DRONE e penso difficilmente ne usciranno – tuttavia nell’ultimo disco (parlo di Monoliths&Dimensions) c’erano dei cori e il tutto faceva presagire una certa volontà di spostarsi verso qualcosa di più O)))RCHESTRALE (leggi: VIOLINI). Cosa che è accaduta con Terrestrials.

Prima di Terrestrials, gli ULVER e i SUNN O))) avevano già duettato. Il disco si chiamava Whitebox ed era una specie di compilation/best of (non esattamente il genere di cose che trovereste a poco prezzo in autogrill) che consisteva in White1+White2+bonustracks. Ad ascoltare la bonus track di Whitebox, ossia il pezzo in cui ci sono gli ULVER, non si direbbe affatto che ci sono gli ULVER. Evidentemente questa cosa non è stata presa granché bene dalla fanbase dei rispettivi gruppi, ragion per cui qualcuno deve essersi incazzato reclamando a gran voce PIU’ ULVER COI SUNNO))) DIOKRISTO!!1! Il tutto è probabilmente giunto alle orecchie di Stephen O’Malley, che ha ben pensato di metterci una pezza registrando Terrestrials. Quando dico che il tutto è giunto alle orecchie di Stephen O’Malley sto chiaramente usando una metafora: è probabile che nelle orecchie di Stephen O’Malley ci sia solamente un ronzio fisso perenne – e non da ieri.

In questo senso, si può ben sostenere che Terrestrials altro non sia che un’OPERAZIONE BONUSTRACK. L’OPERAZIONE BONUSTRACK è in potenza la next big thing dei nostri tempi dopo L’OPERAZIONE REUNION – e cioè, se finora avete visto i peggiori rimastoni di una non meglio identificata epoca d’oro tornare insieme per motivi generalmente assai futili, d’ora in poi vedrete gente che collabora-per-un-pezzo-quasi-fosse-una-roba-estemporanea finire poi inevitabilmente per incidere assieme un disco intero. Il passo successivo, chiaramente, è L’OPERAZIONE FUSION: per capirci, gli ULVER entrano a far parte dei SUNN O))), o viceversa – il progetto cambia nome in SULLVER o ULL O))) (fate voi) e le fanbase si mischiano. Ma stiamo chiaramente parlando di un futuro remotissimo e a tratti ignoto che sfugge alla percezione di chiunque non ci vada giù duro con le pallette e pochissimi altri.

C’era un punto di Bergtatt in cui i chitarroni si fermavano tutto d’un tratto e si sentivano i passi di una bambina che correva nella neve. Non so se fosse una bambina ma mi piaceva (e mi piace) pensare che lo fosse – così come mi piaceva (e mi piace) pensare che gli ULVER (allora in fase BLACK METAL) avessero davvero recuperato una bambina per registrare quella parte (cioè per farla correre nella neve). Non so quantificare il tempo trascorso a fantasticare sui come e sui perché di questa storia. Ad ogni modo, in Terrestrials non c’è nulla del genere. Per il resto: Play your gloom axe Stephen O’Malley.

Ah, già: il mio pezzo preferito degli ARCTURUS è ALONE (da La Masquerade Infernale). In sostanza, una messa in musica dell’omonima poesia di EDGAR ALLAN POE. E’ da tempo che volevo concludere un pezzo così.

BACKSTAGE KNOWLEDGE SUXXX

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di nuxx
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Mentre Giulio The Bastard vince la prima edizione di Masterpiece e il suo personaggio fragile e weird, ma anche forte e committed inizia a risultare credibile anche con le braghe calate e uno sbarrone da CINQUANTATRE CENTIMETRI in bella mostra, mentre XL di Repubblica chiude i battenti sbattendo in copertina Sara Tommasi e Giovanni Lindo Ferretti ubriachi di piscio, mentre il 2014 inizia con il TROLOL dell’anno (Arisa che si dà al depressive black fuso col funeral doom, cercando spudoratamente di diventare bastonatamente rispettabile), inauguriamo l’ennesima estemporanea rubrica di bastonate, una pesantata tipo Gramellini travestito da Guè Pequeno che intervista Colapesce nel backstage di Hai Paura del Remo?, il festival messo insieme da Costantino della Gherardesca e una sfrontatissima Giorgia Meloni in piena sbandata Ebullition. Gesù non si è fatto mettere croce per questa gente, così a pelle credo sia una cosa che va combattuta con mezz’ora di twerking di stampo matematico e una vita sessuale più regolare del pedofilo Salinger.

Immaginatevi la Shinjuku di metà anni ’80 (quella di Technoiglesias e Luther Arkwright, dai) abbastanza fedelmente raccontata da un Marco Pecorari a caso imbevuto di zeitgeist, però girate in fondo a destra dove c’è il vicolo che puzza di merda e troverete [*SPOILER*] una stazione orbitante-paradiso coi soffitti bassi e un impianto di serie Z dove tutti sono hipster wannabe borgatari e coinvolti/compromessi in ambiti diciamo così artistico-culturali e dediti all’atto sessuale in solitaria o di fronte a platee gremite di alpini gay dilaniati dal popper che ballano Gangnam Style: anti-femminismo o missione pedagogica buona solo per hater da tastiera e raver di pura razza augeiana, ma anche la fredda cronaca della risurrezione di un sistema di valori, tipo portare bandane in pelle di Mithrandir, tanga extratone di pizzo «Like a Virgin», tatuaggi del Cristo lunghi tutto il braccio e t-shirt con scritto da qualche parte CHAOS TO COUTURE [*fine SPOILER*].

Copparo primi anni 90, città universitaria di 30000 anime circa diventa il centro della “Qualità come Eccellenza Italiana da Esportazione” grazie a Emiliano Zanotti, collaboratore di CHIAMARSI BOMBER (fanzine bibbia della violenza negli stadi del meridione e del seppuku terrone) prima di diventare l’assessore alla cultura di Musica nelle Valli e fondare la chiesa di † SHAYTAN †. L’idea che mi sono fatto nel 2013 (ma va detto: è probabilmente una razionalizzazione dovuta al consumo esagerato di vino in compagnia del figlio ciccione e violento di Boy George, una roba che ti gratta via sette anni di dosso) è che un mix fra la grammatica di Bianca e Bernie innestata a forza nel Johnny Cash pre-American Recordings e i pezzi anni ’90 su Silvia Baraldini ascoltati in cuffia guardando il remake di Oldboy al rallentatore. Il tutto ha quel sapore un po’ da rovina, quello dei personaggi che hanno avuto miglior fortuna in un altro tempo, tipo il Pomini o Benty. Immaginatevi tipo al college che dovete decidere se giocare a football americano con Succi & Dorella mentre gli stipendiati di Forza Italia urlano BASTA POLITICA VOGLIAMO LA FIGA o fondare un gruppo di psychedelia occulta sgarzolina con l’ammaliante Lisa Casali per suonare al Thalassa Festival.

A un certo punto la cosa cominciò a venir fuori, e ogni tanto arrivava gente – da Brooklyn, da Providence, da Gerusalemme – che arrivava e diceva: “Ma questa roba è meglio della Notte della Taranta! Bisogna farci un documentario! Bisogna farci un articolo! Bisogna farci uno speciale radiofonico! Bisogna farci un tweet!”. Ai tempi sembrò una specie di sabotaggio a freddo e il processo di rimozione collettiva è stato immediato e brutale. Arriverà un giorno, non so quando ma arriverà, che una guerra, la morte, o la muffa, o Apocalypse Disco di Balli Callahan, porranno fine a quelli che pubblicano foto del Pigneto su Instagram sognando una personale alla fondazione Tito Balestra. Voglio dire: non stiamo certo qui a farci le pippe come quel coglione di Benjamin sulla fame chimica, se non altro perché non l’abbiamo letto né abbiamo l’intenzione di farlo, ma siamo in molti, qui dentro, e siamo già in FOTTA e stiamo affilando le forchette per il prossimo sbrano post-giunto.

OT: vi siete mai fermati a riflettere che figata la storia di Barabba che sta nel vangelo? Quelle robe che piacciono ad Alberoni o ad Alborosie: gli Orchid presi a sassate al Palafiera di Forlì perché erano troppo SPEZZABOLGIA, Trucebaldazzi che urla di volersi scopare la propria madre durante un concerto all’Hanabi o quel che era, Matt Bayles che fa finta di suonare strumenti finti e di cantare in un linguaggio incomprensibile sopra un tappeto musicale da villaggio Alpitour, Justin Bieber rallentato a schiaffoni da Phil Anselmo, Papa Francesco che telefona a Burzum e lo nomina ambasciatore vaticano, Miss Violetta Beauregarde che ventila pubblicamente plagi della sua passera da parte di Beyoncé e Charlemagne Palestine si prende un libro sui templari in faccia da Baronciani. L’ho sognato o esiste/è esistito uno che si chiama Gesù? Non mi pare mi abbia mai mandato traffico. Non ho davvero qualcosa da dire su Gesù (è brutto ma c’è di peggio), ci sono inciampato l’altro giorno, ma mi fa piacere che in qualche modo esistano in una qualche forma il panda, le api, la democrazia, il dugongo, i negozi di dischi, le filarmoniche, il torrone morbido, l’apocalisse.

Michele Wad Colasanti è una delle maschere più tragicomiche della cristianità, il Gabriele Paolini della scena “backstage-hipster”, uno che vede nelle fiamme cose che poi puntualmente non si avverano e quando lui chiede perchè, si sente rispondere: “OAHAHAOA GAYNA P**C*****IIO PETTINATO!!!” e lui dice “ah ok”.

Che bomber il Colasanti oh. Continua a leggere

Quit The Doner

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“Quando i pesci grossi si annusano, le rispettive schiere di lacchè rimaste improvvisamente orfane di una guida fanno “sì sì” con la testa fra di loro e si scambiano biglietti da visita. Il designer è così: se non sta schizzando sedie a tre gambe su un foglio ti sta dando il suo biglietto da visita. Se non fa nessuna delle due cose è un fake o uno che lavora per l’Ikea. In mezzo a questo ufficio a cielo aperto del bar Basso c’è anche qualche free rider che se la spassa e prende per il culo un po’ tutti, e a quanto mi racconta Philippe, di solito sono proprio questi quelli che poi fanno le cose migliori.” (qui)

 

Cambiare idea è una cosa abbastanza fuori moda, sembra un concetto vintage che viene giù da un’epoca passata e misteriosa in cui ancora toccava zappare la terra –almeno il fine settimana- e le nostre mamme stendevano la piada a mano per tutta la famiglia (53 elementi). Quando leggi un pezzo e alla fine pensi “mi ha convinto”, hai sempre la sensazione di essere stato inculato. Ho qualche centinaio di following su facebook e twitter e quasi nessuno condivide un articolo dicendo “mi ha convinto”. La condividono tutti dicendo “ha detto benissimo quello che pensavo già” o “guardate quante castronerie in questo pezzo”. La condivisione è uno sport con regole abbastanza ferree e noiose, a meno che i giocatori non siano di livello.

Molto raramente, quando ti ostini a leggere riviste e siti internet, salta fuori uno tipo Quit The Doner. Quit The Doner è uno di quelli che non conoscevi (dopo qualche decennio a leggere riviste e siti internet, è un miracolo già di per sé) e con i quali sei sempre d’accordo e quando non lo sei ti convince del suo punto di vista. Quit The Doner lavora per Vice, Riders e Linkiesta, e ha un suo blog. La roba di Quit The Doner è una variante ideologicamente corretta di tutto quel sarcasmo ad ogni costo e di quella mentalità post-tutto o (wannabe) pre-tutto che è così facile leggere in giro.

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Perché Quit the Doner e non, boh, un nome di persona?

Perchè fino a questo momento non ci avevo mai pensato. Ottima idea in effetti. Sarebbe stato fantastico in effetti chiamarsi, che ne so, Eugenia Veltroni, però non ci ho pensato. Il nome deriva da quello del blog, che a sua volta deriva dal fatto che nel 2009 vivevo a Berlino e mangiavo una quantità smodata di kebab. A un certo punto ho incominciato ad avere male all’intestino, ma siccome bevevo anche un sacco di thè verde la prima cosa che ho pensato è stata “mh, dovrei smetterla con tutto questo thè verde”. Così ho smesso di bere thè ma il male non passava. Dopo due settimane senza the verde ho smesso anche di mangiare panini a base di carne priva di certificazioni sanitarie e sorprendentemente sono stato di nuovo bene.

Metti caso che io ora inizi a farti domande a scopo intervista: tu risponderesti o troveresti una scusa? 

Il fatto è che essendo un sfornatore di pipponi professionista tendo a non aggiugere meta-pipponi sui pipponi, ha un che di pornografico ma in senso negativo.

Forse condivido ma secondo me dovresti rispondermi comunque. La prima ragione è che se ti chiedessi di scrivere un pezzo per me mi sentirei una merda a non poterti pagare, e tu avresti la possibilità di non scriverlo, invece così ti faccio UN’INTERVISTA e in qualche modo TI PROMUOVO, aumenterò la tua VISIBILITA’ eccetera (tutte le corbellerie saranno scritte in caps lock d’ora in poi). Però in effetti non ti so dare una ragione per cui dovresti parlare con me, secondo me verrà fuori una roba interessante che avrà un suo senso. Ci provo.

La prima domanda vera su di te è chi sei e da dove vieni. sembra una domanda stupida ma di solito la gente che scrive questa roba e ti piace, non so come dire, la conosci tutta per qualche motive: ci scrivevi assieme su un sito nel 2002, la leggevi su una rivista, la conoscevi per certi posti comuni che frequentavate. Tu invece mi sei scoppiato dentro al cuore all’improvviso/all’improvviso e NON SO CHI SEI, mi fa stranissimo, so solo che sei di Bologna, nient’altro. Forse quindi la prima domanda non è “dimmi chi sei” ma “spiegami perchè non ti conosco personalmente”. 

Dunque, chi sono non ha molta importanza e soprattuto se te lo rivelassi manderei a puttane il mio core business che è fare da ufficiale di collegamento fra i forconi e il Bilderberg traducendo i piani per il nuovo ordine mondiale in improperi che anche un grillino deluso possa capire. Per questo sto studiando il linguaggio dei gesti.

Non mi conosci personalmente perché, escluse le persone con cui lavoro e qualche amico che stimo molto, non frequento molte persone che lavorano  nell’industria culturale o vi prestano volontariato in cambio di visibilità e denaro per Zuckerberg.  È la mia assicurazione sulla vita e sul mio lavoro. Credo che in Italia ci sia già un numero più che  sufficiente di autori ombelicali ed autoreferenziali che si citano a vicenda e non hanno un minimo di empatia con l’umanità e di onestà verso se stessi. Per questo cerco sempre di scrivere per le persone che abitano il mondo dove sono cresciuto, non quello dei vernissage o altre stronzate che mi danno l’orticaria. Ovviamente poi in tutti i campi ci sono anche persone per bene, persino nell’editoria, nel 2013 ne ho conosciute diverse. Il fatto è che il mio è un universo autosufficiente fatto da un lato dai libri che leggo, dall’altro dalle persone che la mattina vanno a fare lavori meno pretenziosi del mio.  All’ultimo vertice del triangolo ci sono i miei datori di lavoro, verso i quali cerco di essere leale come un samurai ma al tempo stesso chiedere sempre rispetto e retribuzioni dignitose. Questo diciamo è il triangolo del doner. Altro non mi serve. Scrivo molto anche perché non perdo tempo in stronzate.

Questa è la prima volta che guadagno punti-scena col fatto che per vivere vendo le sementi. comunque, dicevo, mi interessa il passaggio autori ombelicali ed autoreferenziali che si citano a vicenda e non hanno un minimo di empatia con l’umanità e di onestà verso sé stessi. A chi pensi quando mi scrivi questo? se non puoi rispondermi direttamente a chi, dimmi a cosa pensi. 

Penso che uno dei motivi per cui si vendono sempre meno libri e giornali è che spesso chi li scrive è scollato dalla realtà, chiuso in cerchie in cui piacere a questo o quel decisore è unanimemente considerato più importante che fare un buon lavoro. Penso a quanta gente passa la propria vita a costruire contatti e tagliare i ponti ai rivali invece che fare il proprio lavoro. Una vita d’inferno. Nessuna sorpresa poi che i risultati siano così modesti. È passata la mentalità, soprattutto fra i più giovani,  che l’importante non sia tanto fare un buon prodotto, metterci tutto se stessi (anche sbagliando qualche volta), quanto piuttosto ingraziarsi questa o quella persona più importante di te. Anzi, peggio ancora, siamo arrivati a una generazione che si prostra intellettualmente in cambio di visibilità o quattro soldi comunque insufficienti a vivere. Quando acconsenti a qualsiasi cosa in cambio di una cifra che non ti basta a sopravvivere puoi solo incominciare a scavare. Non hai manco più la giustificazione del “tengo famiglia”. La realtà è che questa mentalità è radicata quasi più nelle persone che scrivono che in quelle che poi devono prendere le decisioni. Uno dei tanti casi in cui i sudditi sono più realisti del re. Detto questo io non mi sento assolutamente quello che fa la cosa definitiva, anzi. Provo a fare il mio, cerco di farlo bene e assumere le cose in cui credo (o non credo) come metro ultimo del mio lavoro, è una questione assieme deontologica e di dignità personale. Cerco anche di divertirmi tutte le volte che mi è possibile, perché l’idea che non sei credibile se non sei una persona intimamente triste che si prende mostruosamente sul serio, credo sia l’ultimo rifugio della volontà di potenza dei mediocri. Da noi il trombonismo viene scambiato per serietà, per fortuna sempre meno spesso. Aggiungo però che ci sono anche molti ottimi professionisti in Italia, e in genere sono quelli che non si dedicano a tempo pieno alle guerre fra bande perché sanno di poter contare sul proprio lavoro per andare avanti. Ma mi stai facendo dire un sacco di cose serissime. Chiedimi qualcosa a cui possa rispondere con cazzi e vagine.

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Ma io in parte non so cosa dirti perchè scrivo per hobby (e quindi spesso gratis), in parte sono d’accordo con te, in parte mi preoccupo anche di più per questa cosa. C’è un sacco di gente che conosco, davvero parecchia, per la quale questa dinamica al ribasso è l’ambiente naturale in cui vivere. Per certi versi è anche strano star qui a darti ragione per una roba che quando ne parlo a chiunque altro vengo preso per un cretino o un comunista da operetta, che peraltro sono (da operetta, dico). 

La mia idea comunque è che la gente ci sguazza, in questa mentalità. Che la maggior parte della gente non si stia davvero auto-sabotando la prosa in cambio della pagnotta a fine mese, ma che semplicemente non abbiano voglia di sbattersi a fare pezzi di cui sarebbero capaci. È una mentalità tipo “giornalismo di serie A VS giornalismo di serie B”. Se la paga è di serie A, il pezzo dev’essere di serie B. Ben scritto e senza un guizzo. Se è di serie A il pezzo tocca accontarsi di una paga di serie B, tanti guizzi, zero contanti. E magari quelli che ce l’hanno fatta sono persone che avevano un blog in cui facevano le fiamme e ora compilano pezzi tutti uguali per chissà chi. Quindi la prossima domanda è se vedi una lucina alla fine del tunnel: cinque testate/siti in Italia che ti diverte leggere e magari pagano? me li sai dire?

Qui continuano a mancare le vagine, eh.  Comunque non sono del tutto d’accordo. Anche il giornalismo cosiddetto “serio”, se fatto bene implica un notevole grado di abilità e di impegno; sono standard e formule comunicative in cui puoi sempre metterci del tuo stando dentro il canone, non significa appiattirsi necessariamente sempre sulle solite tre o quattro formule del cazzo. Io ad esempio ho iniziato (e  scrivo ancora, anche) per giornali insospettabili e lo trovo stimolante. E ad ogni modo all’inizio un periodo in cui guadagni poco ci può stare ma devi usarlo per imparare e dare il meglio di te. E soprattutto, quando diventa chiaro (e fidati, diventa chiaro in fretta) che in un determinato ambiente lavorativo non andrai mai da nessuna parte, devi provare a cambiare. C’è anche un discorso di prospettive: ad oggi le assunzioni nei giornali stanno quasi a zero, e se qualcuno ti dovesse assumere non lo farà mai perché gli hai scritto 200 pezzi l’anno a 20 euro lordi per dieci anni (riconoscenza? Ahah), ma perché vede in te un valore aggiunto. Lo so per esperienza personale: anche io ho scritto per quelle cifre per un periodo mentre facevo altro, ma appena ho capito come girava il fumo ero sinceramente pronto a tornare a fare solo altro, i miei amici ricordano ancora bene quel periodo. Poi le cose sono andate diversamente, ma il punto è che in quel tempo morivo dentro ogni volta scrivevo un pezzo per cifre esigue (e comunque non ho mai toccato i vertici al ribasso della categoria), mi sentivo umiliato e mi vergognavo come un ladro. Un numero spropositato di persone invece trova perfettamente sensato prendere due noccioline e un calcio in culo  per scrivere semi-gratis su una testata che può giocarsi per fare il figo agli aperitivi, sai a tutti piace scopare con qualche ragazza che subisce il fascino di un principio di autorità aggiornato sugli standard salariali del 1988.

Siamo una generazione che ha abbandonato la dignità per abbracciare le velleità. Un misto di fashion decadente e autoassolutorio e retorica tardo-comunista per cui i soldi fanno schifo e tutti possono fare tutto fa lo stesso se ne nessuno ti paga. Finché ne hai di soldi, ovviamente.

Tu mi dirai “beh ma se uno sente che vuole fare quello altrimenti si farà di psicofarmaci?”. OK. Considera però due cose: 1. fare il giornalista non significa mica solo occuparsi di cose stra-interessanti. Nella maggior parte dei casi ti troverai ad intervistare un consigliere comunale semianalfabeta del movimento 5 stelle che ti dirà che le scie chimiche sono emanazione del fidanzato della Boldrini. Peggio, potresti trovarti ad inseguirlo. Peggio ancora questa storia farà sbavare il tuo caporedattore, che già visualizza la gente con profili lombrosiani che condivide migliaia di volte il pezzo sui social generando 5 euro di introito sui google ads. A questo non ci pensa mai nessuno perché sono tutti in modalità Watergate. Allora piuttosto che scrivere per quelle cifre e occuparsi di stronzate meglio farsi il proprio sito e prodursi le cose da soli. Tanto comunque dovrai fare un altro lavoro o (se puoi) farti dare i soldi dai tuoi, in entrambi i casi non vedo perché usare queste risorse per lavorare semi-gratis per qualcun’altro occupandosi del nulla. Oppure scrivi solo per divertimento ma allora è inutile stazionare per anni nel limbo inquinando il mercato. Oppure ancora hai veramente la vocazione e senti che sei disposto ad accettare qualsiasi cosa pur di fare quel mestiere lì, perché ti senti vivo solo se fai cronaca, ma quanti sono veramente le persone come queste? Esistono ma sono una minoranza sparuta. Quante sono quelle solo parcheggiate in attesa che passi la bufera  (spoiler allert: non passerà)? Molte di più.

Purtroppo questi sono discorsi che da fuori possono sembrare snobistici ma ti posso garantire che si vede subito se uno ha la stoffa, se sta copiando qualcuno o se ha qualcosa di interessante da dire, alle volte ci vuole tempo perché questo emerga ma in genere prima o poi succede. Per dire non è che se fai dei pezzi con gli screenshot di twitter allora vuol dire che sei Leonardo Bianchi, che è un mio amico e so il tipo di lavoro che fa e che si accollerebbero in pochi.  Oppure se dei miei pezzi vedi solo la battuta o la bottiglia di vodka che appare ogni tanto, beh, mi dispiace ma ti stai prendendo per il culo da solo e dovresti lavorare a costruirti uno stile tuo. Se vuoi posso dirti chi -dei giovani giornalisti web- fra dieci anni farà ancora questo mestiere,quando cioè i giornalisti professionisti saranno un quarto di quelli che ci sono oggi. Non ci vuole molto a capirlo. Altri ne emergeranno, altri invece staranno in una bottiglieria con un Mac aperto sperando che li veda più gente possibile. Questo al netto del fatto che se non godi almeno un po’ quando scrivi ci sono un sacco di altri lavori in giro per il mondo. Giornali che pagano, tutti bene o male pagano, ma bisogna vedere quanto riesci a farti dare, non sono un sindacalista e non ho un tariffario completo. In media però in ogni testata cartacea c’è gente che guadagna cifre che ti spaventerebbero e un sottoproletariato a mantenimento famigliare. Non sto dicendo che non sia dura perchè là fuori è durissima, ma anche la nostra generazione ha le sue responsabilità. Tipo intervistare gente come me.

Dicevo, INTERVISTARE gente come te lo faccio per tre motivi fondamentali che secondo me mi mettono al riparo dalle critiche. il primo motivo fondamentale è che di solito i posti come il mio fanno le INTERVISTE ai musicisti (gente che non ha cose da dire o dovrebbe dirle nei pezzi), il secondo è che -se non intervistassi la gente come te- l’unica altra scelta per me sarebbe intervistare qualche web-guru di merda che mi spiega come fare a migliorare un sito, cioè tipo questo (per dire un esempio di roba leggibile in un panorama di roba illeggibile). Il terzo motivo è che i motivi sono sempre tre, o in alternativa che la parola intervista in inglese si usa anche per dire colloquio, di lavoro intendo, e quindi di base questo scambio di mail è esplorativo e ha un’utilità personale che potrebbe esulare dal pubblicare o meno il pezzo che ne esce. La domanda logica in ogni caso è che sì, tu potresti dirmi quali e quindi dimmelo. Chi dei giovani giornalisti web farà questo lavoro tra dieci anni?

Era una battuta (ride)

Non voglio portare sfiga a gente che si fa un culo così tutti i giorni, per cui non posso fare nomi.

Per quanto riguarda quella cosa tremenda che hai linkato, il web è pieno di gente che si spaccia per esperta e fa di tutto tutto per ignorare palesemente che quello che fa la differenza è sempre il contenuto e prova a giustificare a tutti i costi ogni stortura della contemporaneità. La realtà è che se non hai contenuti non vai da nessuna parte, puoi mettere il titolo catchy che ti pare ma non ti si incula nessuno. Questa è gente che sarebbe in grado di sostenere che uno come Zero Calcare fa fantastiliardi di pagine visualizzate perché il suo blog ha un bella impaginazione. Sono fattori non irrilevanti ma molto meno importanti di quello che si crede normalmente, questo perchè secondo alcuni studi recenti l’essere umano, al contrario di alcuni social media manager, ha un cervello.

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Parliamo di figa, ora. Nella tua roba che ho letto c’è uno schema che mi piace: vai in un posto, descrivi un certo tipo di comportamenti, trai conclusioni. Da una parte c’è questo bisogno di realtà empirica che mi piace molto, dall’altra appunto l’idea che i comportamenti in generale denotano una forma mentis (che arriva alla fine del pezzo, magari). e quasi tutto ha un punto di vista inedito, o comunque sembra che ti scomodi solo se c’è da dire qualcosa che non puoi trovare negli altri pezzi che trovi in giro. è corretta l’analisi? è una cosa voluta?

Certo. Diciamo che io assieme alle testate per cui lavoro cerco di raccontare quello che normalmente rimane fuori dall’occhio dei media classici, o almeno quelli italiani che -come dicono gli stessi manuali dell’ordine dei giornalisti- sono ossessionati dalla politica interna e dai suoi retroscena. È una cosa interessante questa passione dei giornalisti italiani per gli arcana imperii, per molti vedi chiaramente che quello che li attrae nel gioco cinico del potere, più che la sua fondazione e I meccanismi del suo funzionamento è lo stargli vicini. Se io avessi una simile fascinazione per il potere politico punterei a fare il politico, non il giornalista, questo è un meccanismo mi ricoda un po’ chi non avendo alcun talento artistico finisce a fare l’agente di spettacolo. Non che il problema del potere politico non mi interessi, mi interessa eccome ma voglio vederlo sempre nel contesto della società in cui si inserisce e si sostanzia, non come rito chiuso e autosufficente, a meno che non stia sceneggiando “House of cards”, ma allora è un altro discorso. Quando un quotidiano che costa un euro e trenta fa dieci pagine di retroscena parlamentari in un’epoca come la nostra, sta voltando la schiena ai lettori. Due pagine sarebbero più che sufficenti e aiuterebbero i politici italiani a non sentirsi il centro del mondo ma una parte, in realtà sempre meno importante, di esso. Per il resto se mi mettessi anche io a fare retroscena politici andrei incontro a 3 problemi 1. non ne sarei capace, 2. c’è un sacco di gente che li farebbe comunque meglio di me, 3. capisco che entro certi limiti sia un servizio necessario ma a me interessa poco.  C’era e c’è, invece, tutto un enorme territorio pressoché vergine da esplorare, tutta quella parte d’Italia che abitiamo ogni giorno e che non viene mai fuori nei media a meno che qualcuno non getti una bambina in un pozzo e un carabiniere non stermini la sua famiglia perchè sua moglie Nunzia lo aveva lasciato per il salumiere. A me interessa tutto quello che sta nella terra di mezzo fra le dichiarazioni tutte uguali dei sottosegretari e i casi di cronaca morbosi. La vita umana, fondamentalmente. I periodici che fanno reportage li fanno brevissimi e non ritengono quasi mai interessanti cose che per me lo sono, e molto. Vent’anni di Berlusconismo e antiberlusconismo ci hanno consegnato l’assieme pregiudiziale che “la gente non capisce un cazzo” e quindi devi fare testi a prova di analfabeta di ritorno, anche quando hai delle professionalità notevoli a stipendio. Ovviamente è un cane che si morde la coda, a forza di trattare il pubblico come avesse la freschezza intellettuale di un distributore di merendine, questo incomincia effettivamente a rincoglionirsi. Sul long-form journalism la stampa italiana è tendenzialmente imbarazzante e forse l’unica cosa di cui sono effettivamente orgoglioso, parlando del mio lavoro, è di aver dimostrato che è possibile far leggere anche agli italiani testi semi-giornalistici lunghi, e ti dirò di più: testi lunghi su internet, che un anno fa era una cosa che nelle redazioni ti ridevano in faccia.

Lo so perché la faccia era la mia.

Al giornalismo comunque ho sempre preferito la letteratura, la filosofia e la comicità, e questo anche credo che traspaia dal mio lavoro, io infatti mi considero un giornalista per sbaglio e fino a un certo punto. Sono un autore prestato part-time ai reportage e alle opinioni giornalistiche e infatti nella parte del mio lavoro sotto la linea del web scrivo anche cose che non hanno nulla a che fare con il giornalismo. Non voglio in alcun modo far passare l’idea che tutto il giornalismo dovrebbe diventare una forma ibrida come quella che pratico io, ma sicuramente il giornalismo narrativo è una forma che in italia non ha avuto recentemente lo spazio che merita. Così come d’altro canto la narrativa pura ma basata su ricerche rigorose non trova grande spazio in una tradizione letteraria che ha sempre visto “il pensiero del genio autosufficente” come punto di riferimento con risultati sotto gli occhi di tutti. Qualcuno parlando del mio lavoro ha citato il Gonzo Journalism: mi fa ovviamente molto piacere, Hunter S. Thompson è un grandissimo scrittore, ma la verità è che io fino a quest’estate avevo letto solo Paura e Delirio a Las Vegas  e quasi una decina di anni fa. Il paragone per quanto lunsinghiero è la classica semplificazione giornalistica. Le mie vere ispirazioni sono altre, comici come Bill Hicks, George Carlin, Steven Wright, Charlie Brooker, autori poliedrici come Flaiano e Aaron Sorkin, o ancora il realismo a più voci di Irvine Welsh e David Simon. Inoltre sono laureato in filosofia e mi è sempre parso naturale fondere le mie conoscenze in questo campo con il giornalismo.  All’inizio del mio primo taccuino di lavoro avevo scritto una frase  di Foucault che da lì in poi ho sempre posto come stella polare del mio lavoro: “in un certo senso, noi non siamo altro che ciò che è stato detto detto da secoli, da mesi, da settimane“. Foucault praticava quello che è stato definito una sorta di “giornalismo filosofico”, indagava gli aspetti apparentemente insignificanti della storia per farli parlare, senza mai calare la soluzione dall’alto a priori. Nessuno prima di lui aveva pensato di studiare i regolamenti interni alle caserme o ai carceri, ma in realtà sono documenti che possono risultare più importanti di mille simposi di filosofia metafisica. Allo stesso modo io sono interessato alle piccole pratiche quotidiane di potere, all’ utilizzo delle parole e della lingua, ai metodi di aggregazione, agli universi simbolici che faccio interagire con un tessuto comico, una sottotrama che dialoga con gli assunti interpretativi del pezzo e genera uno storytelling dove la soggettività autorale risuona empaticamente con le forze emozionali che incontra. O almeno questo è quello che racconto agli editor per farmi dare dei soldi per la droga.

È strana questa percezione di internet come un posto che detesta il testo lungo, considerando anche il fatto che è l’unico posto dove lo spazio per un articolo non è un problema. Ma anche le gallerie a scorrimento con dieci foto uguali che hanno senso nella generazione degli ad e tutta quella roba lì, vabbè. Non so, c’è un modo per evitare il rincoglionimento magari? Io sono abbastanza intrigato dalla campagna abbonamenti ad elemosina del Manifesto, che vuol rimanere tutto bianco e formale e senza ad. Però insomma, non è un modello sostenibile. Tu che dici?

Gli auguro tutta la fortuna del mondo. Le persone devono capire che l’informazione e in generale i prodotti culturali vanno pagati. Anche su internet, per questo consiglio tra l’altro di sottoscrivere l’abbonamento volontario a Linkiesta che fa uno sforzo enorme per produrre giornalismo di qualità. Se non paghi o il prodotto sei tu o qualcun’altro sta pagando per te e allora è facile che prima o poi ti veicoli delle informazioni appositamente per i suoi scopi. Che poi è il motivo per cui i giganti monopolisti del web stanno investendo nell’editoria, stanno chiudendo il cerchio (per usare l’immagine di Dave Eggers in The Circle), e si apprestano a diventare la narrazione univoca del pianeta. Al netto delle gravi manchevolezze dei giornali italiani di cui parlavo qui sopra,  se tu consumatore non paghi, stai vendendo il tuo futuro ai grandi gruppi industriali e stai facendo ripiegare l’economia su se stessa, affamando chi contribuisce a rendere il mondo un posto un po’ più sopportabile -scrittori, artisti, musicisti, attori, registi eccetera. Certo c’è la crisi, ma un certo tipo di persona non ha alcun problema a spendere 4 o 5 euro per una birra, ma si guarda bene dal comprare i giornali o dei libri. È il modello di consumo ad essere cambiato, la wal-martizzazione della cultura. Ehi visto i dieci orsetti lavatori più buffi del mondo gratis su Facebook, questo appaga il mio bisogno di indagare il grande mistero dell’uomo e delle sue contraddizioni!Uno aveva degli occhiali da sole!

Senza informazioni  di qualità non puoi ambire ad altro che ad essere una pedina influente qualsiasi cosa tu faccia per vivere,  e senza intrattenimento ed arte di alto livello la vita è una landa ancora più triste e desolata di quello che già è. Internet ha portato la mentalità che tutto deve essere gratis e ha sostanzialmente ucciso l’industria culturale creando una generazione di schiavi che, come si diceva prima, spesso non combattono neppure contro questa condizione. Pagare un prodotto culturale significa non solo consentire standard qualtitativi più alti ma anche permettere a chi non è ricco di famiglia di esprimere le proprie capacità. È una questione di equità. Una buona idea è frutto di ricerca, anni di studio, tanto tanto lavoro, un po’ di talento e anche il tempo di lasciarla maturare, ma mentre pensi devi anche pagare le bollette. Ci sono tutta una serie di pregiudizi molto diffusi sul lavoro intellettuale (che non sarebbe “vero lavoro”, o la dannosissima retorica del talento vs etica del lavoro), che hanno contribuito a fissare i criteri della produttività intellettuale in termini puramente quantitativi. Anche la retorica del non professionista come regola è un disastro, non solo eticamente ma anche pragmaticamente perché non tiene presente che più fai una cosa più migliori nel farla, e comunque già in partenza devi avere una serie di competenze la cui acquisizione costa denaro. Il problema è che il tempo stesso oggi è denaro e di denaro grazie soprattutto a internet ce n’è sempre di meno. Il risultato è che si va a grandi passi verso una società acefala, con tecnici prestati part-time ai problemi culturali, persone che ovviamente non avranno le competenze necessarie per affrontarli tenendo conto di secoli e secoli di cultura umanistica. Siamo nel mezzo di un cambiamento epocale che dovrebbe essere oggetto di grande riflessione e invece è lasciato alla libertà di azione delle aziende del web, che agiscono seguendo i principi dell’anarco-capitalismo radicale. Non accettano altre regole se non le loro. Qui deve essere molto chiaro che una società costruita ad immagine e somiglianza degli ingegneri è un incubo distopico.

Il nuovo disco dei Soil (evento cruciale del 2013 da noi perso in tempo reale)

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Ai tempi sembrò una specie di sabotaggio a freddo del genere e il processo di rimozione collettiva è stato immediato e brutale, ma c’è stato un periodo in cui il nu-metal ha smesso per un attimo di essere la festa del jump the fuck up ed è andato a finire in mano a un branco di tristoni. Ve lo ricordate? Un attimo prima era una questione legata ai soli Deftones, i quali comunque sono un gruppo figo dal primo disco a oggi e questa cosa dei Korn mica la puoi dire; dopo è diventata appannaggio di una nuova schiera di gruppi, probabilmente preesistenti e costretti a calci a ribassare le chitarre.

(Tra l’altro girava una storia, confermata da Wiki, secondo la quale nella seconda metà degli anni novanta un tizio si comprò l’etichetta degli Wrens e offrì al gruppo un contratto megamilionario a patto di rivedere il suono e pompare le canzoni. Il gruppo mandò l’etichetta in culo, l’etichetta mandò i dischi del gruppo fuori catalogo e si concentrò sul rendere i Creed delle rockstar)

(Un paio di volte tra l’altro scrissi articoli nei primi anni duemila sul fatto che nei Korn e quindi nel primo nu-metal l’influenza degli Alice In Chains era drammaticamente sottovalutata, e poi insomma iniziarono ad uscire queste copie carbone bruttissime e mi vergognai come un cagnaccio. E poi uscirono i dischi degli Alice in Chains e insomma, questa cosa di dichiarare di avere scritto qualcosa dieci anni fa mi rende l’Andrea Scanzi dei blogger musicali, ammesso e non concesso che l’Andrea Scanzi dei blogger musicali non sia lo stesso Andrea Scanzi, il che farebbe sì che io non rischi di venire pestato da gruppi come i grandi Negrita. Il pestaggio Negrita/Scanzi, tra l’altro, è davvero il più patetico della storia dei pestaggi rock in Italia a parte forse l’aggressione al grande Max Collini da parte del grande Dario Parisini nel backstage dei grandi Massimo Volume.)

(da un punto di vista etico mi sento costretto ad avvertire che nel 2014 userò spesso e a caso l’appellativo “il grande” parlando di musicisti, artisti, giornalisti, blogger e fornai)

Dicevo, il primo segnale appunto furono i grandi Creed, una copia dei Pearl Jam con le chitarre basse, e i secondo se non sbaglio furono i Godsmack dei quali ancor oggi (sbagliando) penso che quei dischi non fossero poi male, e poi arrivarono tutti gli altri. Sicuramente avete sentito parlare di gruppi tipo i grandi Nickelback, i grandi Staind, i grandi Days of the New, e probabilmente di qualcuno possedete i dischi. Ecco, io non so esattamente perché ma lego anche i grandi Soil a questo periodo, anche se i Soil erano un gruppo più metal con gli urloni e la depressione, ma non era proprio la classica depressione Alice in Chains mimata da qualcuno che non ha mai considerato di farsi di eroina, era una depressione un po’ più metal-anselmiana, se capite cosa intendo.

(la cosa peggiore di quel periodo fu che a un certo punto, completamente a buffo, le riviste metal smisero anche in Italia di portare avanti con l’orgoglio quell’attitudine fascista da rivista metal secondo la quale la musica di Iron Maiden e Metallica (fino a Master) era pura e qualsiasi evoluzione delle stesse fosse per definizione impura. La maggior parte di queste persone iniziarono a paventare svolte ed evoluzioni e apocalissi -questo ammesso e non concesso che il plurale di apocalisse sia apocalissi e già di per sè sto usando apocalisse/i nell’improprio significato di fine del mondo- senza avere gli strumenti culturali e alcuna idea di cosa stessero cianciando, con il risultato che l’anno prima gruppi tipo Crisis venivano snobbati come brodaglia insignificante e l’anno dopo qualunque disco depresso con una chitarra ribassata aveva composto il disco più eccitante e pericoloso dell’anno)

Il primo disco dei Soil che ho sentito si chiama Scars ed è uscito nel 2002; bruttino. Il secondo disco dei Soil che ho sentito si chiama Whole ed è uscito qualche mese fa. Non ho davvero qualcosa da dire sul disco (è brutto ma c’è di peggio), ci sono inciampato l’altro giorno, ma mi fa piacere che in qualche modo esistano in una qualche forma il panda, le api, la democrazia, il dugongo, i negozi di dischi, le filarmoniche, il torrone morbido, i grandi Soil, i dischi bruttini ma votati album dell’anno in epoca non sospetta da altrettanto non-sospette riviste di settore che l’anno prima probabilmente avrebbero votato Whitesnake, la pittura, l’università. C’è pure di peggio, voglio dire, tipo i grandi Staind. Ecco, gli Staind ho anche paura di cercarli su google per dire.