Nel 2011 la mia collezione di dischi è un mucchio di cassette inserite a cazzo in una libreria a casa dei miei genitori. Ci sono, mescolate a quelle di un corso di Inglese uscito con “La Repubblica”, cassette originali dei Cure dei primi anni ’90: “Show” e “Wish” ormai consumate, un “Ko de Mondo” mai davvero amato. Ci sono quelle che ho sdoppiato personalmente nel radione della cresima di mio fratello, ma la maggior parte sono resti di collezioni altrui finite per caso nello scatolone sbagliato durante chissà quale trasloco.
Il resto della roba è tutto rigorosamente sdoppiato da amici dei tempi del liceo e soprattutto del primo anno di università: lo scibile umano e niente di meno.
Alcuni sono pezzi unici, come la cassetta dei “Norimberga”, gruppo fake e bastardo creato da alcuni liceali per ridicolizzare un vecchio compagno di classe: compilation solo figa con dentro Tony Tammaro, Elio e le storie tese, un “Caro Gesù Bambino” inframmezzato da assoli dei Deep Purple, pezzi sparsi dei Cccp. Titolo del disco: “Un’erezione triste”, copertina hand-made con un cazzo moscio che si erge (sì) tra i palazzi.
Giuro cazzo che io ho visto il compagno di classe in questione tenerla in ordine nel cassettone della scrivania, alla lettera “N”, insieme a tutte le altre.
Poi arriva il ’96 e siamo in città a cercare di capire che fare del nostro stupido diploma, e ci sbattiamo tra lezioni di Ingegneria Ambientale, Economia, Matematica. Abbiamo ciascuno il suo bel walkman da quattro soldi e un conto in sospeso con le diverse marche di pile stilo: le superpila che costano un cazzo e durano meno, le duracell che effettivamente durano di più ma non è proprio il caso.
Non sono mai stato, fino all’avvento dell’era dell’ADSL, un grande scopritore di gruppi, nè ho mai trovato interessanti i dischi “giusti”. Ci pensava il mio coinquilino. Lo accompagnavo in giro per i negozi di dischi di cui ora non resta manco il ricordo: il nostro preferito era vicino al Bastione e si potevano noleggiare i cd. Un giorno dopo un pranzo alcolico abbiamo preso “Post” di Bjork e l’abbiamo portato a casa dello zio per farcelo mettere su cassetta. Dopo le prime battute di basso lo zio ha emesso il verdetto: “Mi ha già preso ai coglioni”.
La sua sì che era una parete figa, piena di vinili, ma non ne ricordo neanche uno.
L’ultimo che entrò nella nostra casa di poveri studenti fu “Waters” degli Uzeda, che io ribattezzai “tipo i Sonic Youth” tanto per darmi un tono e solo con tipe da MTV.
Ma quello che ricordo del periodo è la dittatura delle cassette da 60′. Le bastarde erano sempre troppo corte per i nostri dischi, e ok se ne eri consapevole e pace, ma con le cassette ereditate non c’era modo di saperlo. Non c’era Wikipedia, non c’erano gli archivi e insomma, se “Daydream Nation” ti finisce con “Candle” spaccata a metà e un accenno di fade non ci sono cazzi. Ti senti dire “però che figo come chiudono il disco”, finchè dieci anni dopo non te lo scarichi e scopri che, puttana eva, c’è dell’altro.
Con ‘900 di Paolo Conte, la stessa cosa. Pomeriggi a parlare di “Chiamami adesso” messa in chiusura di disco, per poi scoprire che no, ci eravamo sbagliati ancora.
(Ci sarebbe poi il grande rimosso di noi poveri stronzi neanche ventenni: i Cccp/CSI, ma di quello preferisco non parlare, al massimo per il tema: “Il mio concerto degli anni ’90”. Seriamente, meglio così, se entro nel loop del “Consorzio” sono cazzi.)
Quasi nulla di quello che ho ascoltato l’ho scoperto da solo, molto l’ho dimenticato, alcune cose non avevo la forza di dire: “Mi fanno cagare, dai”.
Di quegli anni non è rimasto molto, e quasi nessuno. Siamo andati in Francia, ci siamo sposati e lasciati, siamo disoccupati o impiegati o soldati e le nostre collezioni di dischi stanno tutte ordinate in case non nostre.
Per fortuna ci restano gli hard disk.
(Sed Wickford)
Come spesso accade per le cose piacevoli, la musica è entrata nella mia vita in maniera totalmente casuale ed improvvisa. Avevo solo otto anni e all’epoca avevo la mania di inserire nel lettore cd del mio vecchio PC Olivetti qualsiasi cosa avesse la parvenza di un videogame. La mattina del mio ottavo compleanno mi svegliai e andai in salone, su di una mensola ci trovai appoggiato un disco tutto nero con le scritte dorate ed un curioso disegno di due leoni sormontati da una “felice”. In realtà era una fenice, ma io ero fermamente convinto si dicesse felice. Su quel disco c’era scritto Queen ed era uno di quei merdosi Greatest Hits(il secondo per la precisione) realizzati dalla Sony per poter lucrare ancora un po’ sulla morte di Freddie Mercury. Potete immaginare l’ovvia delusione che provai nel momento in cui scoprii che quello che avevo inserito nel computer non era affatto uno strafighissimo videogame, ma un CD di musica. Lo ascoltai tutto, cominciò a prendermi. Dopo una settimana canticchiavo già le canzoni, l’inglese era un optional e i testi di quel Greatest Hits li avevo tutti reinterpretati secondo una mia personale visione dell’inglese, quella di un bambino di otto anni.
Da quel momento in poi la musica è diventata una costante nella mia vita, sono partito dai Queen e sono finito qualche anno più tardi a trafugare vinili da casa di mia nonna, cominciando dall’ellepì di Nord Sud Ovest Est degli 883 e passando per The Final Countdown degli Europe. Credo di aver svaligiato l’intera collezione di LP di tutti i miei zii/zie/parenti, ma d’altronde non potevo stare lì a guardare mentre i miei cugini piccoli li usavano a mo’ di frisbee. Frequentavo le scuole medie e a parte gli ellepì rubati e i dischi di mia madre non potevo dire di avere dei CD che fossero miei nel vero senso della parola. La mania del collezionismo c’è l’ho avuta sin da piccolo, ma non ho mai avuto tutti i soldi che hanno i collezionisti, quelli seri e convinti, perciò mi sono sempre limitato a comprare quello che reputavo più giusto e meritevole comprare, senza dar troppo peso a pensieri da feticismo collezionistico.
Ho vent’anni e conosco pochissimi miei coetanei che hanno tanti o tantissimi dischi originali, alcuni suonano in una band e conoscono gente che suona in altre band, molti ciddì magari glieli regalano anche. Ho vent’anni e conosco tantissimi miei coetanei che hanno pochissimi dischi, al massimo un paio, alcuni non hanno neanche un disco originale. Non gli interessa dicono, non hanno soldi, dicono. A cosa serve? tanto i dischi “te li puoi scaricarteli da internet”, dicono loro. Io invece i dischi ho cominciato a comprarli a quattordici anni, prima di allora ascoltavo solo dischi masterizzati, mi collegavo su Limewire o su E-mule e scaricavo tutto lo scibile. Fu proprio grazie ad un’altra incredibile coincidenza che cambiai decisamente ascolti, passando dagli 883 al punk dei Clash, dei Sex Pistols e soprattutto dei Ramones, per i quali tutt’ora coltivo una sana dipendenza mista ad ossessione. Stavo cercando un pezzo dei The Calling, una di quelle rock-band da one-hit wonder e via; per la cronaca la loro era Wherever you will go, che la conoscete per forza perché l’hanno usata nella pubblicità della Mulino Bianco dove c’era il tizio con la mongolfiera che tornava a casa dalla famigliola felice per poter inzuppare allegramente i biscotti nel latte. Ma non divaghiamo, stavo perdendo tempo a cercare questo stramaledetto pezzo dei The Calling, ed ero convintissimo che da li a poco avrei finalmente potuto ascoltare il pezzo che avevo sentito nella pubblicità dei Galletti Mulino Bianco. Invece mi trovai inconsapevolmente ad ascoltare London Calling, e questo lo devo ai The Calling.
Il primo disco “serio” lo comprai in un negozietto del mio paese, entrai per cercare Never Mind The Bollocks ed uscii con Schizophrenia dei Sepultura in mano. La metà dei dischi in mio possesso li ho acquistati lì, alcune erano delle vere e proprie rarità, stampe originali pagate una miseria. Devo buona parte della mia formazione musicale al commesso di Woodstock(il nome del negozio rispecchiava a pieno il modus vivendi del succitato commesso), un personaggio nel vero senso del termine, con cui trascorrevo piacevoli pomeriggi a parlare di black metal con lui che mi diceva di ascoltare “roba più seria” tipo i Misery Index. Quando ha chiuso ho smesso di acquistare dischi per un bel po’ di tempo, qualche volta li ho acquistati in blocco su internet, ma ci trovavo qualcosa di profondamente sbagliato, non riuscivo a sentire le stesse identiche sensazioni che provavo quando entravo in un negozio di dischi. La ricerca folle, le richieste assurde ai commessi, la foga di comprare quanti più dischi possibile spendendo il meno possibile, per poi finire con lo spendere un fottio di soldi senza neanche rendersene conto.
Da qualche mese ho scoperto l’esistenza di un negozio di dischi nella città dove studio, così ho ripreso ad acquistare dischi regolarmente; i commessi sono sgarbati ma almeno i prezzi sono buoni. Possiedo meno di cento dischi, sono pochi lo so, ma ho ancora la scusa dell’età. Non sono mai stato uno preciso e ordinato, di conseguenza i dischi non li ho mai contati con precisione, anche se li ho sempre trattati con l’amore e l’affetto che probabilmente si riserva solo alla propria donna o alla propria macchina, a seconda dei casi. Ho anche provato a catalogarli, ma dopo la chiusura di Woodstock ho smesso di aggiornare l’elenco. Avevo addirittura iniziato ad ordinarli in modo che fossero alfabeticamente consecutivi, ma a furia di prenderli, rimetterli a posto, riprenderli e spostarli è andato tutto a puttane ed ora li tengo tutti accatastati in un angolino di una libreria stracolma di fumetti, libri e altro ciarpame. Lo spazio a disposizione per i dischi sta finendo, ma io sono troppo pigro per andare all’Ikea.
(Giovanni Pontolillo)
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internet:
Adesso i CD sono sparsi per casa, non li ho mai catalogati e neppure contati però sono un numero giusto (che tanto poi sono sempre gli stessi qelli che si riascoltano), un po’ sono i miei, un po’ sono quelli di mia moglie, buona parte di tutt’e due, ultimamente quelli acquistati sono pochi, presi a qualche concerto o a qualche banchetto di etichetta indipendente, una buona parte sono “liquidi” infilati dentro a qualche cartelle file dentro al PC.
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Anche io ho iniziato con il greatest hits dei Queen (un gruppo che forse solo i metallari possono capire davvero) e soffro di un’ossessione per i Ramones con i caratteri della dipendenza, tocca capire se c’è un legame tra le due cose
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