Lavoro nel bordello di un castello

 
Avevo perso le tracce dei Cradle of Filth subito dopo Nymphetamine, che per carità non è neppure un brutto disco però a un certo punto anche basta, dai. E che tristezza ancora una volta il solito copione che si ripete tale e quale a sè stesso, passo dopo passo: il gruppo metal che firma per una major, la conseguente trafila di interviste corredate da foto stilose e infarcite di dichiarazioni sul genere “cercavamo un’etichetta capace di supportarci al 100%” o “nessuno ha provato a cambiarci, ci hanno lasciato piena libertà”, il disco che esce e i metallari non lo cagano perchè sta su major, la major che scarica il gruppo metal a calcioni nel culo non appena si rende conto che il disco ha venduto in sei mesi meno di quanto Britney Spears vende in un pomeriggio, il gruppo metal che abbassa le pretese, torna a firmare per una “indie” (con tutte le virgolette e i distinguo del cas(zz)o, ma è per capirci) e comincia a sfornare dischi in pilota automatico puro, scritti e eseguiti con la mano sinistra e con l’unico scopo di compiacere quella fetta di pubblico beota che possa garantire loro un sereno tirare a campare. Quel pubblico che caccia i soldi e quindi si aspetta, anzi pretende di sentire sempre la stessa merda, una pallida fotocopia degli esordi però senza un briciolo di cuore o di vita o di slancio verso qualcos’altro. E allora quel gruppo è finito. Negli ultimi anni quello stesso percorso era toccato ai Paradise Lost, ai Satyricon, agli Amorphis; soltanto i Satyricon sono riusciti a uscire dall’implacabile tritacarne dell’umano con parte delle ossa intatte e una credibilità non totalmente andata a puttane. Gli altri hanno deciso di rassegnarsi e continuare a tirare la carretta al fienile con improbabili “ritorni al metal” e via ad ammannire la merda di cui sopra. A ognuno il suo. E i Cradle of Filth non erano nemmeno il mio gruppo preferito, non stavano nemmeno tra i miei primi 500 gruppi preferiti, quindi sticazzi, perchè assistere allo spettacolo, perchè intristirsi? A dirla tutta non sono mai andato giù di testa per i Cradle of Filth, mi facevano simpatia le copertine porcellone, certo, e da quando ho letto che in Inghilterra avevano arrestato un tizio avrei veramente voluto indossare la maglietta con sopra la suora che si sgrillettava (purtroppo nell’unico negozio che la teneva stava a un prezzo assolutamente proibitivo, tipo 45.000 lire ma anche di più, ora proprio non ricordo), ma l’unico disco ad avermi mandato vagamente giù di testa è stato Cruelty & the Beast, il mio favorito, praticamente un album degli Iron Maiden però con una gallina sgozzata al posto di Bruce Dickinson; il resto, prima e dopo, era roba davvero troppo barocca e teatrale per i miei gusti, i pezzi sovraccarichi di trovate baracconesche da brutto musical, e inevitabilmente, una volta superata la soglia del quinto minuto, l’attenzione se ne andava affanculo e la voglia di sbattere su i Discharge o un Motörhead a caso diventava insopprimibile. Imparo ora che da dopo Nymphetamine hanno pubblicato altri tre dischi (di cui uno dedicato a un serial killer); l’ultimo è uscito da pochissimo, ha un titolo orrendo e una copertina timburtoniana, e sta in streaming integrale su AOL.com. Per me, è come rincontrare dopo tanti anni una compagna di scuola di cui non mi è mai fregato un cazzo.
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