Pikkio Music Awards 2k14 (parte 3)

L’intro è nella prima parte e i premi minori nella seconda leggetevele se volete capire il 2k14 in musica!!!

E ora ecco i  Pikkio Music Awards presentano i DISCHI DIO DELL’ANNO 2k14 IN ORDINE ALFABETICO ANON !!! perché la classifica è un’illusione del diavolo (i titoli sono cliccabili in quanto full streaming ascoltabili!).

Aphex Twin – Syro

FINAL MASTER SYRO DIGIPAK.indd

E’ ovviamente l’unico vero disco DIO.

 

Actress – Ghettoville

ghettoville

Actress (al secolo Darren Cunningham) venne a Roma l’estate 2k14 per suonare ad un festival, ma poi non si presentò. La colpa fu mia perché lo bloccai sulla metro b per intervistarlo su Ghettoville in quanto DISCO DIO, va bene?
“Ghettoville nasce da un sogno speciale che feci, in questo sogno dopo aver fumato un botto avevo l’illusione di far parte di una certa Voodoo Posse. Ecco il disco parla di Balotelli se fosse povero a Bergamo. No anzi è come se mi rappassi me stesso attorno a me.”
A Darren ma che cazzo stai a di? Nun c’ho capito un cazzo e hai pisciato un live solo per dirmi kuesto? 6 1 grande!!! Tornando a noi Ghettoville è DISCO DIO perché il suo sgrakkio, i suoi rallentati sciolti groove fatti di polvere di mp3, trasportano in menti altrui di gente che popola lo sprawl urbano. La musica e l’ambiente di Ghettoville è quello dello speaker dello smartphone o delle cuffione rotte di sto sfattone mentre si va a prendere uno skrokkio di fango al distributore della metro dietro casa, mentre balla con la sua posse, mentre fa il romantico con la ragazza del ponte, mentre ragiona su se stesso, per poi tornare in mezzo alle enormi catapecchie di foratini e acciaio degli gnomi spacciatori. Così facendo ti fai un viaggio cyberpsychunk 20k0 particolarissimo che mostra cosa c’è sotto l’HD dei grandi agglomerati urbani: un gran casotto di scarti prodotti dal risukkio dell’instikkio; tanto pure loro (gli scarti) finiranno li nel crystal universe 049b. I HAD A SPECIAL DREAM VOODOO POSSE CHRONIC ILLUSION.

D’Angelo and The Vanguard – Black Messiah

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A fine 2k14 è arrivato, risukkiato a stekka nel mese di dicembre, sto disco MAESTOSO così: BAM!, tipo una minkia in faccia!!! D’angelo, eroe del “nu-soul” fine ’90, sbroccò dopo aver creato il riassunto delle canzoni e musica black tramite astrazione del groove in quel MONOLITE di Voodoo. D’altronde chi tocca i monoliti sbrocca sempre, figuriamoci chi li crea! Per nostra fortuna non so come (un mix di incredibile forza di volontà e gente preziosa tipo ?uestlove dei Roots) D’Angelo si è ripreso e incoronandosi giustamente come Black Messiah ci ha donato la sua visione più aperta, meno astratta, ma non meno sorprendente, de LA STORIA (pisello) RIDDIM. Ci stan sempre Sly Stone/Miles Davis/James Brown/Prince/P-Funk e mille altri, ma c’è sopratutto D’Angelo stesso e la sua voglia di riappropiarsi, a sto giro, anche del rock. Ma sopratutto c’è tanta voglia de suonà de cristo, con suoni de cristo re (il suo produttore è uno dei pochi da cui posso sorbirmi i pipponi sull’analogico visto come usa bassi a mitraglia scaturiti da non si sa quale ragionamento malato di D’Angelo e che paiono triplette footwork ma so fatti col classico metodo del nastro dei pacchi regalo), con gente de cristo re, e con pezzi de cristo re. Tutto ciò rende Black Messiah il mio disco TOTAL preferito degli ultimi 10 anni credo. Il che lo fa anche mio disco rock preferito degli ultimi 10 anni. Con buona pace dei vari ripoff total rock che ci sono in giro tipo gli …………………….. (riempite voi i puntini con qualche band di quelle tipo Arcade Fire etc.) Ogni battuta su Nino D’Angelo (e quell’altro comico cretino) verrà punita con violenza inaudita quando meno ve l’aspettate.

Fhloston Paradigm – The Phoenix

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IL disco DIO PHUTURO dell’anno e miglior disco Hyperdub mai fatto (insieme a quelli di Kode9, Burial e DVA). Questo è l’ASTROBLACK 2k14 pari merito con Afrikan Sciences di cui dicevo nel precedente PMA. Sviaggi di arpeggi cyber acidoni, ritmi techno che si scontrano con spazi bass/step come se le macchine volessero liberarsi in jam funk/jazz, tappetoni di pad tra Blade Runner e Ghost In The Shell. Ci sono persino pezzi soul/lirici di future dive pop da spazioporto. Il tutto fluisce perfettamente grazie alla colla del groove (dietro il nome Fhloston Paradigm c’è un king dei beat come King Britt) e al concept dichiaratamente sci-fi: ogni brano nasce come sonorizzazione immaginaria di film di fantascienza amati da King Britt, con vari portali a introdurci in differenti scene. Ecco immaginatevi la tradizione afrofuturista applicata come colonna sonora dei film sci-fi della vostra vita! Vero e proprio NEGROPHUTURO.

Flying Lotus – You’re Dead

You're_Dead!

Dopo l’asfalto lo sciolto di Los Angeles, lo spazio tondo di Cosmogramma, e la meditazione interiore di When the Quiet Comes la nostra Lotulla Volante non poteva non esprimersi in un vero instikkio-concept. Ricordiamo come l’anno scorso i Boards Of Canada abbiano tentato l’instikkio tramite antichi rituali egizi. Giusto quindi che Flying Lotus recuperi tradizioni dei propri antichi antenati egizi! Per l’occasione il nostro ha comprato un turbocompressore dell’anima e ci ha buttato dentro tutta la sua esistenza (dall’amata free spjazz fusion agli amati videogiochi, dall’astroblack al dillatude, dallo sgrakkio rap al warpismo) per instikkiarla in una piccola puntina sonora. Quando noi andiamo a ripodurre You’re Dead questa puntina sonora ci esplode in faccia per circa 38 minuti di suoni TURBOBLASTATI in faccia, perennemente ROTEANTI, di esecuzioni live perfettamente morte dentro un’organizzazione da slittamento digitale che esplode con la vitalità di una TURBOBLASTATA in faccia che poi si va a richiudere proprio li dietro la vostra nuca, in una piccola puntina sonora. Quando andiamo a riprodurre You’re Dead questa puntina sonora ci esplode in faccia per circa 38 minuti di suoni TURBOBLASTATI in faccia, perennemente ROTEANTI, di esecuzioni ilvz perfettamente morte dentro un’organizzazione da skrikkiamento digitale che esplode con la vitalità di una TURBOBLASTATA in faccia che poi si va a instikkiare proprio li dietro la vostra nuca, in una piccola puntina sonora. Quando andiamo a riprodurre You’re Dead questa puntina sonora ci esplode in faccia per circa 38 minuti di suoni TURBOBLASTATI in lfacc, perennemente ROTEANTI, di esecuzioni kazz perfettamente morte dentro un’organizzazione da skroitamento zenitale che esplode con la vitalità di una TURBOBLASTATA in faccia che poi si va a riinstikkiare proprio li dietro la vostra nuca, in una puntina sonora.

Golden Retriever – Seer

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Synth modulare, clarinetto basso e lezioni di giovani montagne in just intonation. Ma pure pianoforti monofischi tagliaincollini. Ma anche cani fluffosi che guardano in estasi la valle che devono controllare spandersi attorno a loro, quei cani son dorati. Quel doro dei cani è materia sopraffina con cui il duo americano Golden Retriver ha creato il capolavoro di pura e cristallina eufonia che mancava alla recente generazione VIAGGIO/SVIAGGIO americana, di quelli che “er modulare/er drone”. Pare che infatti in Seer i Golden Retriever siano riusciti, attraverso particolari accorgimenti scientifici al limite dell’esoterico/alchemico, a sintetizzare in musica proprio il doro dei cani dorati. In realtà Seer è semplicemente un disco di psichedelia NaTuRaLiStA e minimalismo americano, per farci scrutare oltre al risukkio ed espandare la nostra mente verso nuovi universi.

Luke Abbott – Wysing Forest

luke

“Avete mai sentito il suono di una foresta che vive?” Me lo ripeteva sempre Guinnevere, la mia maestra dell’elementari. Noi bimbi tendevamo le orecchie verso la magica foresta che si affacciava fuori la finestra della nostra classe e rispondevamo convinti “si maestra lo stiamo sentendo proprio ora!” e lei “no quelli sono gli uccelli! la sentite la foresta che vive?” e noi ci rimanevamo male perché ‘sto phaNtoMaTico suono proprio non lo sentivamo. Finalmente a 32 anni posso ascoltare questo suono e se volete potrete ascoltarlo anche voi! E’ il suono della musica di questo DISCO DIO che Luke Abbot (druido inglese) ha creato in un ritiro nella Wysing Forest portandosi appresso il suo armamentario di sintetizzatori modulari allacciandoli al suo cervello e alle radici degli alberi per poi cavarne ritmi, melodie e magike armonie. Se il compare (e boss) James Holden aveva creato l’anno scorso (in The Inheritors) il suono dei rituali magici del moderno druido matemago, qui potrete ascoltare il risultato di uno di questi rituali: il rituale della foresta che parla, che lentamente si muove, balla persino, e che fa ovviamente sviaggiare. Wysing Forest ricrea vita di foresta anche in luoghi privi di significative foreste. Ricordo quel momento magico d’una notte di mezza estate, sull’ardeatina: Amphis (reprise) veniva riprodotta dallo scatolo dei suoni avvolgendomi mentre scivolavo nel caldo stagno blu, li in profondità la musica di Luke Abbot era in armonia con i riverberi di luce subacquea dei coleotteri notturni. Lentamente riemersi a galla a pancia in su e mi si rivelarono le stelle sopra di me mentre Wysing Forest sfumava via sentendomi parte del TUTTO. NATURALISMO.

Nastro – Terzo Mondo

nastro

I Nastro sono una delle mie band italiane preferite di sempre, proprio ever and evah 3000. Prima forse avevo dei motivi personali essendo band formata da due artisti, geni della vita, che conosco di persona (Manuel Cascone e Francesco Petricca) e che tanto, a loro insaputa, hanno contribuito alla mia pikkiomania. Ora però con questo disco i Nastro mi si sono instikkiati nella mente come tra i pochissimi ad affrontare e riportare la realtà odierna in musica, in maniera non codificata, estremamente personale, eppure saldamente ancorata a degli archetipi ben riconoscibili (di base tribalità ossessiva ritmica). O vi giuro che per me i Nastro battono i Black Dice sull’argomento asfalto traffic riddim, forse sarà perché hanno fatto il disco più SGRAKKIO SECCO SGRAKKIO TRAKEA che esista. Registrato con un telefonino, pentole e dark energy (e pifferi ed effetti etc.) il Terzo Mondo creato dai Nastro è un trip skrotomaniaco nell’esteso confusionario agglomerato umano/urbano di oggi. Un Terzo Mondo nato nel caos tra Roma (e i suoi trenini arruginiti ancora esistenti) e Latina (e le sue inedite campagne con immigrati che zappano il gombo) che in realtà pur non c’entrando nulla con techno/il clubbing/er cazzo uk è più vicino a Ghettoville di Actress che ad altro, condividendo entrambi un’amore per l’attuale strada che stiamo vivendo. Se in Actress però si sogna in maniera esistenziale nell’odierno sprawl, coi Nastro ci si vive per davvero senza schermi, senza scazzi, anzi partecipando e divertendocisi pure. Cellulari che rimbalzano da una parte all’altra informazioni di un tram affollato, persone che rimbalzano dentro a un camioncino scassato, il min amp portatile di un suonatore rompicojoni, pezzi di cassette di frutta, persone che si urtano perché hanno gli occhi sullo schermo, un motorino, echi di qualche musica truzza, etc. Tutto un globale incastro d’umanità sintetizzato alla perfezione in incastri ritmici, come moderno voodoo concreto delle vite 2k1x underground di tutto il mondo. E poi viene tutto risukkiato nel cesso.

Panoram – Everyone is a Door

panoram

Grazie agli esperimenti del coso che rotea particelle in svizzera si è scoperto che tutti quanti gli esseri umani sono una porta e ogni porta è un mondo. Panoram si è dunque munito della sua famigerata panoramica de gristo (che in musica si traduce in caldi tappeti melodici/sonori di synth super espressivi, e in accorti geometrici funk astrali) per documentare le viste più curiose e poetiche di alcune di queste porte. Il risultato è meraviglioso, dei bozzetti visionari che non superano mai i 3 minuti e mezzo, come un vero e proprio moderno disco di library music (no retromanie, no nostalgie) atto a trasformare le pareti della vostra stanza (o del vostro cortile, o del vostro kuore) in diversi scenari in cui perdersi. Il paragone più vicino potrebbe essere un eventuale raccolta degli skit dei Boards Of Canada, ma Everyone is a Door ha modalità e suoni diversi, c’è un personalità particolare nella trama sonora che risulta sempre lucida scintillante a volte skrokkiante, mai sfocata memoria. Il trucco è che Panoram dosa alla perfezione gli elementi nello spazio sonoro, ma questa perfezione è piena di particolari sfasature spaziali atte a mostrare cosa potrebbe esserci al di la di una certa vista, allargando l’ascolto verso ipotetiche altre porte sonore, in un risukkio continuo verso diverse dimensioni. Praticamente un compatto DISCO DIO per tutti i giorni, ma che può generare altri DISCHI DIO a seconda del vostro grado di attenzione. Un risultato più unico che raro!!! (erano anni che volevo usare quest’espressione)

Theo Parrish – American Intelligence

theo

Per questo disco la leggenda della Detroit House Theo Parrish ha deciso di chiamare tutta l’intelligence americana e dargli la seguente missione, nome in codice: Tutto Groove. No non è vero, in realtà Theo ha deciso di rappresentare l’intelligenza americana tramite un solo imperativo: Tutto Groove. No è na cazzata. Missione di sta intelligence di due ore (su 2cd) è usare house e techno come strumenti per riassumer tutta la cultura groovosa americana (facciamo che il groove è questo). La stessa black music narrata pure nel disco di D’Angelo, solo che Theo non ci fa le canzoni ma ci si arrovella mente, anima e zervello. I più rompicazzo direbbero “ce se fa le pippe co sti ridmy theo! sto disco nun parte maiii!” io invece che sono piccolo e indifeso dico “no no vi ripeto qui vedi proprio la sfida, a volte sofferta, a volte giocosa, a volte meditativa, dell’uomo nel conquistare il groove del popolo senza imporgli dittature fasulle!!”. Potrei scrivere quindi che Theo costruisce jam con drum machine, sampler, synth in maniera cruda e diretta come certa house di origine chicagoana, ma con uno spirito proprio della techno di Detroit di spingere in avanti ritmi o andare verso giustapposizioni rischiose. Per capirci non è lo spirito techno de ste mongoplettiche ritmiche pestone con due droni preset demmerda che mo i darke der nu-millennium hanno scoperto la techno, non è nemmeno il “futurismo” a buffo (per cui io ho un debole), e nonostante le fisse di Theo per l’analogico/l’old skool non è nemmeno la house retromaniaca “er vinile ahò!” (per quello basta vederlo dietro ai piatti dare anima e corpo per sette ore facendoti godere come non mai). Volendo in certe robe di American Intelligence ci si può vedere persino un’interpretazione particolare della footwork (ovviamente rallentata a battito umano) come spazio caciara ritmica nuovo, da cui titolo del miglior pezzo del 2k14, ma non del disco, facciamo che quello invece è il brodo de polpa di cazzo fica e cervello che corrisponde al nome di Be In Yo Self. tl;dr American Intelligence è DISCO DIO di convogliare e unire recuperando lo spirito progresskrotista della storia del groove.

Pikkio Music Awards 2k14 (parte 1)

CIAO IO SONO DJ PIKKIO E BENVENUTI ALLA SECONDA EDIZIONE DEI PIKKIO MUSIC AWARDS! (qui la prima)

per leggere questo articolo si consiglia questo sottofondo musicale

Prima di spararvi banali classifiche ripercorriamo quest’anno 2k14 in musica, sicuramente meno rivelatorio ed esplosivo del 2k13, ma proprio per questo figlio dell’onda d’urto dell’instikkio 2k13. Succede banalmente che rientrando nello stikkio, pre-vita post-morte, si finisce nello spazio universo, galassie, come già previsto d’altronde da Exai nel suo percorso umidità stikkio primordiale cd1 –> spazio sconfinato cd2. Spazio di un universo che gli Autechre fanno risucchiare poi nell’ultima traccia YJY UX: un buco nero/stikkio super massiccio atto in futuro a rigenerare altro universo. Ecco il 2k14 è proprio parte di questo risukkio, è pieno di SPAZIONAMANIA, trip nella morte, robe nel futuro 4k.

Grey Over Blue (EarthPortal Mix)

Grey Over Blue (EarthPortal Mix)

La cosidetta HDLIFE viene sempre più accettata e praticata, tant’è che oltre a quella puramente divertente materica ora ha altre branche come quella esi(sten)ziale  (b(l)ow(o)nd(a)sk(ar)fu) dell’esistere un giorno o speculativa dell’accelerazionismo. HDLIFE viene però anche subita tra capo e collo, come ha dimostrato la CULOMANIA Kim Kardashiana, una moda figlia della grande america turbocapitalista kanye westiana che è solo un tentativo rozzo ed egotico di contenere la vera CULOMANIA globale che è ben illustrata dall’unica vera CLASSI FICA (stikkiochart) possibile, quella di pornhub. In questo universo di incredibili statistiche pipparole, buona per 10mila articoli per blog orribili, trova ovviamente spazio l’argomento CULOMANIA sotto forma di sfida TETTE vs CULO nel mondo. Notate come tutta l’Africa e le due Americhe siano totalmente CULOMANIAKE, mentre metà Asia e tutta l’Europa siano ZINNOMANIAKE. Ora Zinne=Latte=Galak=Galassia=Via Lattea ovvero la nostra galassia. Culo invece non è uguale a merda come subito penserete voi merdoni! CULO=PROPULSIONE ATTRAVERSO L’ESPULSIONE DEL MERDONE !!!

Ecco spiegato come mai gli album più esplorativi e spaziali dell’anno provengano quasi sempre dall’area afrofuturista/atlantica. La nuova propulsione culica ha dato una spinta alla retorica spaziale permettendo di esplorare non solo la galassia zinnica euroasiatica, ma anche le lande universali della morte o il recupero di nuove scienze. Significativo che l’anno-in-kulo del 2k14 sia stato esaminato in maniera pikkiomaniaca solo da una rivista online di videogiochi testimonianza della sempre più concreta esistenza di una VIDEOGAMEWAVE.

Pineal Mix

Risukkiati nell’instikkio 2k13, nel corso del 2k14 abbiamo finalmente recuperato altre memorie che vorticosamente volteggiavano attorno a noi già gli anni scorsi, ma che ci si ostinava a non afferrare, persi ad affilare improbabili coltellini dark-techno. Ora queste memorie dal futuro (Spaceape RIP) ci si stanno veramente incollando addosso e ci danno nuova forza per comprimerci tutti insieme in un solo spazio. Testimonianza massima di quest’andamento a spirale inversa della musica odierna è la densità sempre più massiccia di uscite di dischi significativi all’avvicinarsi della fine del 2k14. Dalla stella Syro il dragone in poi, l’universo musicale ha iniziato a comprimersi sempre di più in una giusta negazione del tempo e della stanca scansione annuale, privilegiando quella NATURALISTA del solstizio invernale. Giusto uscire tutti insieme nel periodo in cui il Sole sparisce lasciandoci freddi e soli: comprimendoci tutti in un solo punto possiamo così finire nel tesseratto dell’Amore e cambiare le variabili del presente per un phuturo migliore!!! Attenzione però, a cambiare queste variabili potrebbero essere entità maligne e base per altezza non genererebbero più Amore, ma Odio !!! Per questo dico schiacciatevi nel tesseratto, ma portate con voi solo i Dischi DIO. E sopratutto in Elite: Dangerous rifiutatevi di commerciare schiavi ! Non ripetete l’errore orrorifico dei terrestri !!!

The Long Road to SYRO: gli amici di Aphex pt. 1 – LUKE VIBERT

Disclaimer: quest’articolo fatto per bene, ponderato e limato per mesi in ogni suo angolo andrebbe pagato almeno, e sottolineo almeno, 100 euro. Che poi questo non si realizzi nella realtà di oggi non è affar mio e non cambia la realtà dei fatti: almeno 100 euro e pubblicazione su LIMES nella rubrica LiMaTuRe. Invece ve lo beccate spezzettato su Bastonate sotto forma di sovraccarico (overload overlord) di informazioni, sperando che conquisti ugualmente il vostro cervello invadendolo col mondo musicale creato dai personaggi che vi andrò a descrivere.

Come si è arrivati all’attesissimo e hypato SYRO? Approfittiamone per tuffarci nella musica degli amici di Richard D. James, per sfondare il muro dei soliti Selected Ambient Works/Come To Daddy e goderci un po’ di trappole mentali lontani da ogni chiacchiericcio e moda.

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Luke Vibert (aka Wagon Christ, Plug, Amen Andrews, Kerrier District etc.)

LIVIN LA VIDA PIGRA

LIVIN LA VIDA RELAXO

(tl;dr ovvero troppo lungo, non leggo: salta subito alla musica!!!)

Trovo giusto iniziare questa serie di articoli con Luke Vibert: il compagnone groovoso e ironico, sottovalutato da molti perché è quello che ha il profilo meno avant e meno serioso. Di tutti gli amici musici di Aphex, Luke me lo immagino li tranquillo e cazzone, ma sereno risoluto, che se vuole ne sa a pacchi pure più di te. Guardateli qui nel ’99 insieme nella loro Cornovaglia intervistati da John Peel dentro un cazzo di antico luogo okkvlt erbomuschioso che predice casualmente una delle correnti di questi PazZi anni 2k ovvero NATURALISMO.

I due si conobbero nel 1990 in quel di Redruth (luogo tributato più volte da Aphex: Redruth School; Girl/Boy Song (Redruth Mix)) con Luke già in fissa per le produzioni casalinghe di un Aphex lontano qualche chilometro, produzioni che incoraggiarono Vibert ad abbandonare velleità da band e mettersi a smanettare con atari, synth e samplers. Luke di contro insegnò a Richard armonie e melodie più complesse e jazz, almeno stando ad una delle tante interviste pazzesche/rivelatorie fatte a Vibert. Vero o no, non riesco a non pensare a Luke Vibert come a colui che ha sempre spinto per il lato concreto, di classe e ironico di tutta la faccenda dell’elettronica da cameretta anni ’90 inglese (no, non userò l’etichetta IDM!). Lui è quello che non vuole avere troppi synth, plug-in e macchine attorno a distrarlo con le loro troppe possibilità, che smanetta sui preset e non se ne crea mai uno nuovo da zero, che per praticità dettata da pigrizia ora si campiona tutto (synth drum machine etc.) per poi editare e comporre in tranquillità su un laptop scrauso (e con cose semplicissime tipo Reason). Eppure da amante dell’hiphop, e quindi del collage, e quindi della library music (di cui ha curato ben tre volumi chiamati Nuggets per la Lo-Recordings), Luke ha una sapienza funk ritmica unica che ho sempre immaginato come influenza principale per l’Aphex Twin più shuffloso, che potete ritrovare nel ritmo ciondolante di Alberto Balsam, o in quello sghembo3skazzo2 che sta alla base di ogni destrutturazione operata nella famigerata Windowlicker.

La carriera discografica di Luke iniza nel 1993 sulla Rephlex del compare Richard con Weirs, lp bleep’n’acid pregevole, ma canonico, che mi preme citare solo perché fatto insieme all’amico Jeremy Simmonds aka Voafose, uno che riapparirà nel 2006 con un album omonimo che fosse uscito ora e senza le inutili tracce di cazzeggio per nastro sarebbe osannato da tutti quelli che si riempiono la bocca con parole tipo “synth modulari/sequencer analogici/field recordings/la techno”. Così giusto per dire che anche i minori hanno una loro dignità sonora in questa storia di amicizie rave in cornovaglia. Carino il fatto che la coppia Vibert/Simmonds sia riapparsa nel 2008 con un album di scarti dalle sessioni di Weirs di nome Rodulate. Più strano e meno dritto dell’album madre ci troviamo sopra l’unica traccia RAP di Luke Vibert:

Il vero debutto solista di Luke Vibert avviene nel ’93 con Phat Lab Nightmare a nome Wagon Christ, un album ambient fatto su commissione per Rising High (che l’ambient tirava, inizio ’90, Orb, AFX stesso etc.) e in cui i beat -quando ci sono- servono a puntellare un’atmosfera sinistra da film onirico e misterioso non lontana dalle intuizioni horror-ambient/retrò di certa hauntology uk (ghost box e dintorni). Un Vibert da recuperare, l’unica sua testimonianza “avant” mai più replicata. E’ solo nel 1995, con quel gioiello di nome Throbbing Pouch, che inizia la vera esplorazione del groove dell’epopea Wagon Christ –che dura ancora oggi!– in quella maniera che nel ’90 piaceva chiamare downtempo (e infatti lo troveremo anche su Mo Wax), ma Luke ci metteva molto di più: ci metteva la psichedelia, l’electro, l’acidume, lo scherzo, le soluzioni inattese, evitando sia il salottino easyjazz che la paranoia oscura di bristol.

A un Luke in fissa coi beats non poteva non piacere la drum’n’bass e tra 95/96 si vendicò dei technoni (soliti rompicojoni) che gli dicevano (parole sue) “è stupida hardcore! perché perdi tempo con la drum’n’bass?” creando a nome Plug la vera nUovità nuOva: innestare il suo concetto di sinfonia sampledelica sui turboritmi della jungle per spargerli attorno all’ascoltatore in maniera libera. La musica di Plug sfrutta lo spazio sonoro, è perfetta per l’ascolto casalingo, e forse è primissimo esempio di breaks jungle non più al servizio del rave ma del trip mental, con suoni da spy-movie spaziale più che urbani e futuristici: un ascolto che disorienta anche oggi. Dopo quel capolavoro di Drum’n’Bass For Papa il nome Plug sparisce (tornerà solo recentemente in una raccolta di scarti inediti): troppa fissa da parte di tutti (in primis i suoi amici musici) per l’aspetto ritmi pazzi e complicati del disco, una competizione assurda sull’arzigogolo ritmico da cui Vibert si tira fuori in quanto non si ritiene all’altezza o non gli va. Anche qui, lo scazzo e la praticità al potere a favorire chiarezza e risolutezza del linguaggio, niente spazio per la frustrazione monomaniacale di perder tempo a spezzettare all’infinito un breakbeat. Luke Un-Plugga Plug (ehehEhehH) proprio prima che diventi un affare troppo sperimentale, Luke vuole ritmo e classe phunkona. EKKEKKAZZU !!

Dopo l’esperimento fusion cocktail in collaborazione con il musicista pedal steel BJ Cole (che se non altro ci ha permesso di sentire come suona Vibert in jam con Tom Jenkinson aka Squarepusher al basso: suona troppo prevedibile e manierista) negli anni 2000 abbiamo potuto godere di un Luke Vibert padrone del suo nome senza nickname dietro cui nascondersi. Ora più libero di acidonare e spaziare sui generi senza certe restrizioni imposte da Ninja Tune: “bello, ma non è troppo ninja tune” gli dissero varie volte per robe scartate da Wagon Christ con Luke che giustamente si chiedeva cosa cazzo volesse dire. Ci ha pensato prima la Warp che nel 2003 sciolse menti e culi con lo spettacolare singolo I Love Acid e un album, Yoseph, che mostra un Vibert a tutto tondo tra sperimentazioni a base di acidi-303 su funk, disco, electro e house, con tanto di pezzo astratto ambient. Poi è arrivata la Planet Mu (dell’amico Mike Paradinas a cui dedicheremo il prossimo capitolo di questa serie) che dopo il simpatico (e minore) Lover’s Acid ci ha donato forse il lavoro più classico, ma vario, di Luke: Chicago, Detroit, Redruth. Un riassunto di elettronica/rave che passa dalla drum’n’bass all’acid-house in 7 tracce mantenendo un sound immortale. Cioè per mettervela stile 2k14-clubberini dell’oggi inizia con un gioco drumnsteppo che potrebbe colorare un set Uk Bass e giunge ad un acidume techno che avremmo potuto godere nel ’91 così come in un odierno dj set di un PsYcOdeLico tipo Morphosis:

Se vi piace solo l’acidume lo troverete tutto raccolto in The Ace of Clubs, stesso anno (2007) dell’album su Planet Mu. Non contento di ciò il nostro se ne uscì pure con due album disco-funk a nome Kerrier District, su Rephlex. Raccolte che non sfigurano di fronte a certi coevi revival di metà 2000. Vi consiglio il secondo volume perché è DiVerTenTe, contiene Robotuss che anticipa il nome The Tuss usato dal solito Aphex, ma sopratutto si conclude con l’incredibile Ceephax Mix di Sho-U Rite. Ceephax è il fratellino sciroccato di Squarepusher (sempre giro amici afx) e batte tutti con sette minuti di giostra multicolore che vi porta avanti e indietro dentro rave immaginari mai esistiti:

Sempre a Rephlex dobbiamo la saga junglona drittona (quasi una versione basic-rave di Plug) di singoli 12″ Amen Andrews che su album divenne Amen Andrews vs Spac Hand Luke (la personalità qualcosa-step di Luke) roba che ha anticipato l’unione dubstep/hiphop/jungle, cara a Machinedrum e Om Unit, di almeno 5 anni. Nel frattempo Luke si è pure tolto la soddisfazione di una collaborazione da sogno con Jean-Jaques Perrey concretizzatosi nell’album Moog Acid. Perrey è stato una star della library/cocktail music, ma sopratutto uno dei pionieri dell’elettronica pop e del moog, di cui dovreste tutti guardare questo filmato per capire la portata del personaggio e capire così anche parte dello spirito di Vibert:

E’ al Luke Vibert anni duemila che dobbiamo il nome Analord, apparso per la prima volta sull’ep 95/99 per Planet Mu (nel 2000 proprio) utilizzato da Aphex Twin per la sua famigerata serie di 12″. E forse è sempre un’influenza vibertiana quella per cui Richard si spogliò degli editing digitali forsennati di Druqks dedicandosi solo al caro vecchio analogico della serie Analord dando spazio a semplicità e toni belli limpidi come nel fenomenale tributo a Mr Fingers (Larry Heard) che è Analord 02, in particolare ovviamente nella traccia di nome Laricheard. Quel tono gommoso, chiaro e lussoso (che ovviamente Richard rende fumoso e umorale) è proprio la caratteristica del nostro Vibert. Suono Lush che Luke porta avanti tutt’oggi nel 2014 in pezzi di una straordinaria presa a bene come questo (singolo dell’album Ridmik):

 

tldr
State in fissa con quell’assurdo breakbeat iniziale di Minipops67 ?
Eccovi qui un bell’ascolto retrospettivo di Luke Vibert per godervi il lato funk della faccenda. D’altronde è proprio Richard a nominare Luke in un’intervista per SYRO riguardo ad un 500gb di musica nuova che gli deve passare, dicendo che si sono sempre influenzati e ispirati a vicenda.

NO COUNTRY FOR YOUNG MEN // Le reunion dei gruppi anni ’90 seminano terrore tra gli HIPSTERS le cui urla sono soffocate da muri di distorsione

Dicono che il mondo sia stato fatto per due, e che meriti di essere vissuto solo se qualcuno ti ama: da ieri la nostra vita ha un senso, perché è confermato che, se gli anni novanta noi li abbiamo sempre amati, anche loro amano noi. In un funambolico susseguirsi di news e tweet, nel giro di pochi giorni sono di nuovo tra noi Afghan Whigs, At the Drive-In e Refused, ossia il rock degli anni ’90 è qui, per scaldare i nostri cuori gelati da un decennio insulso.
Le avvisaglie, a dire la verità, c’erano già state da tempo, con le inascoltate pattuglie di difesa del mondo hipster-rock (quello dei ragazzini che ritengono Strokes e Interpol band classiche, insomma) a segnalare invano le Avanguardie della Retroguardia anni ’90 che, pian piano, si impossessavano dei bill dei festival, fino a occupare per intero quello dell’I’ll Be Your Mirror, un festival che – nei giorni fatali e ominosi della morte di Amy Winehouse – schierava P. J. Harvey, Nick Cave, Godspeed You! Black Emperor e doppi Portishead, lasciando il massimo di rappresentatività della gggioventù a gruppi vecchi di dieci anni e coi capelli radi, Liars e Macvillain, entrambi del tutto passée e ormai proiettati alla reunion del 2024.

Ragazzini, è finita la pacchia, rieccoci, ormai padri di famiglia o quasi, pieni di consapevolezza e autorità, siamo qui, abbiamo occupato i vostri blog e imparato a usare i vostri social network e smartphones, e abbiamo ridato coraggio all’animo sperduto dei nostri eroi, B0lly, Greg, Omar e Cedric, che hanno trovato la forza di uscire dalla tana di Zwan, Twilight Singers e dinosaurismo prog in cui si erano rintanati a capo chino [Polly era rimasta, impavida e altera, perché le donne sono così, impavide e altere e non rinunciano alla propria femminilità anche se questo vuol dire scrivere la miglior canzone degli anni zero non cacata da nessuno perché stavano tutti a ascoltà Bon Iver; Nick Cave è rimasto dissimulandosi grazie al fatto che negli anni ’70-’80 era post-punk, quindi indie benché irrilevante, e i Grinderman erano un trucco, uno sberleffo che nascondeva agli occhi dei ragazzotti il fatto che in realtà, nel suo tugurio in Australia, sta scrivendo altre BALLATE, arrangiate e riarrangiate, coi TESTI, colle LYRICS NEL LIBRETTO!]

It’s you, it’s you, it’s all for you: i distorsori, l’overdrive, le chitarre elettriche ma suonate (hanno imparato persino gli At the Drive-In), il batterista in canottiera – l’orrore nei vostri occhi è MIELE sulle nostre ferite, sui nostri occhi colmi di sdegno per aver visto sul palco arpe suonate da stronze o uomini coi sandali (Devendra ho una notizia per te: REFUSED ARE FUCKING ALIVE), e sulle nostre orecchie offese da troppe nenie – oddio – “in punta di dita”. Bambini, ho qui nella stanza accanto Screaming Trees e Kyuss che affilano le armi, Mark e Nick non faranno più semplice blues o rock’n’roll – di cui comunque non capivate un cazzo preferendo in tal senso l’infame Casablancas – ma KARD ROCK, che poi sarebbe “hard rock” come lo pronunciano gli spagnoli che insistono giustamente su quell’acca iniziale che è la stessa di KEAVY METAL e che VE ROMPE ER CULO!

Piccoli, è inutile che scappiate urlando in ogni dove cercando aiuto in qualche adulto che vi protegga, in qualcuno di noi che abbia pietà – da chi andate, dai Radiokead? Ma a Thom Yorke non ha mai fregato un cazzo di voi, manco di noi, d’accordo, ma lui aveva un piano diverso, era un nerd solitario che ebbe successo col suo pop sentimentale approfittando dello smarrimento dei nostri ranghi alla morte del Re (Hurt Hobain, da leggere alla spagnola), e che sfruttò il vuoto cosmico per raggiungere la vetta del consenso coi suoi esperimenti filo-Autechre e, una volta in vetta, per dominare la scena con la sua elettronica datata. Datata, in ogni caso, capite? Se proprio dovesse Thom Yorke – che non credo ascolti musica, come del resto Dylan o Hancock o Nikki Sixx – metterebbe su un disco di Aphex Twin o Squarepusher, Lali Puna a dì tanto, non certo della vostra oscena Lady Gaga.

Amici, quest’anno si torna al Circolo! LO FAMO SVUOTA’, cazzo!
Le notti di nuovo tutte nostre!
Strapperemo le nostre camicie e cravatte, e sotto indosseremo ancora t-shirt di gruppi di taglia un po’ larga, dei veri magliettoni anni ’90 tipo quelli con cui giocava Agassi, e a proposito: quand’è che torna Martina Navratilova?
Il derby finirà di nuovo sempre uno a uno, la Umbro farà maglie sgargianti e larghe, e ci daremo appuntamenti approssimativi per mezzo di telefoni fissi – si nun voglio che me rompete er cazzo, metto la segreteria o nun risponno proprio, e ve vojo vedé come me beccate! Pe’ dì na cosa a uno al piano di sopra BISOGNA ANNACCE! Un virus distruggerà questo e tutti gli altri blog entro 24 ore, e leggeremo tutti soltanto Il Mucchio. Cartaceo.

La restaurazione è in atto, siete finiti, e Kurt, seduto sul suo trono celeste, sorriderà al suono degli angeli che innalzeranno a lui le lodi di Touch Me, I’m sick.

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