NO COUNTRY FOR YOUNG MEN // Le reunion dei gruppi anni ’90 seminano terrore tra gli HIPSTERS le cui urla sono soffocate da muri di distorsione

Dicono che il mondo sia stato fatto per due, e che meriti di essere vissuto solo se qualcuno ti ama: da ieri la nostra vita ha un senso, perché è confermato che, se gli anni novanta noi li abbiamo sempre amati, anche loro amano noi. In un funambolico susseguirsi di news e tweet, nel giro di pochi giorni sono di nuovo tra noi Afghan Whigs, At the Drive-In e Refused, ossia il rock degli anni ’90 è qui, per scaldare i nostri cuori gelati da un decennio insulso.
Le avvisaglie, a dire la verità, c’erano già state da tempo, con le inascoltate pattuglie di difesa del mondo hipster-rock (quello dei ragazzini che ritengono Strokes e Interpol band classiche, insomma) a segnalare invano le Avanguardie della Retroguardia anni ’90 che, pian piano, si impossessavano dei bill dei festival, fino a occupare per intero quello dell’I’ll Be Your Mirror, un festival che – nei giorni fatali e ominosi della morte di Amy Winehouse – schierava P. J. Harvey, Nick Cave, Godspeed You! Black Emperor e doppi Portishead, lasciando il massimo di rappresentatività della gggioventù a gruppi vecchi di dieci anni e coi capelli radi, Liars e Macvillain, entrambi del tutto passée e ormai proiettati alla reunion del 2024.

Ragazzini, è finita la pacchia, rieccoci, ormai padri di famiglia o quasi, pieni di consapevolezza e autorità, siamo qui, abbiamo occupato i vostri blog e imparato a usare i vostri social network e smartphones, e abbiamo ridato coraggio all’animo sperduto dei nostri eroi, B0lly, Greg, Omar e Cedric, che hanno trovato la forza di uscire dalla tana di Zwan, Twilight Singers e dinosaurismo prog in cui si erano rintanati a capo chino [Polly era rimasta, impavida e altera, perché le donne sono così, impavide e altere e non rinunciano alla propria femminilità anche se questo vuol dire scrivere la miglior canzone degli anni zero non cacata da nessuno perché stavano tutti a ascoltà Bon Iver; Nick Cave è rimasto dissimulandosi grazie al fatto che negli anni ’70-’80 era post-punk, quindi indie benché irrilevante, e i Grinderman erano un trucco, uno sberleffo che nascondeva agli occhi dei ragazzotti il fatto che in realtà, nel suo tugurio in Australia, sta scrivendo altre BALLATE, arrangiate e riarrangiate, coi TESTI, colle LYRICS NEL LIBRETTO!]

It’s you, it’s you, it’s all for you: i distorsori, l’overdrive, le chitarre elettriche ma suonate (hanno imparato persino gli At the Drive-In), il batterista in canottiera – l’orrore nei vostri occhi è MIELE sulle nostre ferite, sui nostri occhi colmi di sdegno per aver visto sul palco arpe suonate da stronze o uomini coi sandali (Devendra ho una notizia per te: REFUSED ARE FUCKING ALIVE), e sulle nostre orecchie offese da troppe nenie – oddio – “in punta di dita”. Bambini, ho qui nella stanza accanto Screaming Trees e Kyuss che affilano le armi, Mark e Nick non faranno più semplice blues o rock’n’roll – di cui comunque non capivate un cazzo preferendo in tal senso l’infame Casablancas – ma KARD ROCK, che poi sarebbe “hard rock” come lo pronunciano gli spagnoli che insistono giustamente su quell’acca iniziale che è la stessa di KEAVY METAL e che VE ROMPE ER CULO!

Piccoli, è inutile che scappiate urlando in ogni dove cercando aiuto in qualche adulto che vi protegga, in qualcuno di noi che abbia pietà – da chi andate, dai Radiokead? Ma a Thom Yorke non ha mai fregato un cazzo di voi, manco di noi, d’accordo, ma lui aveva un piano diverso, era un nerd solitario che ebbe successo col suo pop sentimentale approfittando dello smarrimento dei nostri ranghi alla morte del Re (Hurt Hobain, da leggere alla spagnola), e che sfruttò il vuoto cosmico per raggiungere la vetta del consenso coi suoi esperimenti filo-Autechre e, una volta in vetta, per dominare la scena con la sua elettronica datata. Datata, in ogni caso, capite? Se proprio dovesse Thom Yorke – che non credo ascolti musica, come del resto Dylan o Hancock o Nikki Sixx – metterebbe su un disco di Aphex Twin o Squarepusher, Lali Puna a dì tanto, non certo della vostra oscena Lady Gaga.

Amici, quest’anno si torna al Circolo! LO FAMO SVUOTA’, cazzo!
Le notti di nuovo tutte nostre!
Strapperemo le nostre camicie e cravatte, e sotto indosseremo ancora t-shirt di gruppi di taglia un po’ larga, dei veri magliettoni anni ’90 tipo quelli con cui giocava Agassi, e a proposito: quand’è che torna Martina Navratilova?
Il derby finirà di nuovo sempre uno a uno, la Umbro farà maglie sgargianti e larghe, e ci daremo appuntamenti approssimativi per mezzo di telefoni fissi – si nun voglio che me rompete er cazzo, metto la segreteria o nun risponno proprio, e ve vojo vedé come me beccate! Pe’ dì na cosa a uno al piano di sopra BISOGNA ANNACCE! Un virus distruggerà questo e tutti gli altri blog entro 24 ore, e leggeremo tutti soltanto Il Mucchio. Cartaceo.

La restaurazione è in atto, siete finiti, e Kurt, seduto sul suo trono celeste, sorriderà al suono degli angeli che innalzeranno a lui le lodi di Touch Me, I’m sick.

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RIVAL SCHOOLS – PEDALS (se lo sapevo smettevo in tempo)

(non è la ristampa di Power Corruption & Lies)

Quando uscì United by Fate, era il 2001, fu come se piovesse realtà dal soffitto della cameretta. La band che l’aveva inciso si chiamava Rival Schools e figurava come il primo progetto post-Quicksand di Walter Schreifels ad arrivare alla pubblicazione di un disco. United by Fate era una specie di informale rivincita dell’FM-rock su tutta una serie di movimenti di mercato volti a sommuovere l’impianto di base per farlo sembrare sempre più post (gli anni del crossover, At The Drive In etc): un disco che era bello senza essere qualcos’altro. A volte serve solo un bel disco. Serve a farci rendere conto che nonostante quel che importa alla fine della fiera sono le canzoni. Su United by Fate le canzoni c’erano alla grande, spaccavano più o meno tutte e hanno creato una base di fan insospettabili che ha tenuto abbastanza nel tempo da lasciare qualcuno col fiato sospeso alla notizia della reunion e/o di un disco nuovo. Me compreso, probabilmente: Walter Schreifels è uno dei miei scrittori di canzoni preferiti di sempre. Basterebbe Start Today, ma Manic Compression potrebbe essere semplicemente uno dei dieci più bei dischi rock di SEMPRE (voi e i vostri cazzi di bob dylans, diceva un tizio della mia città). Ma anche i periodi più opachi della sua carriera, tipo Walking Concert e il disco solista dell’anno scorso, pisciano sopra a chiunque. Il problema che abbiamo a questo giro, invece, è che il nuovo disco dei Rival Schools (titolo Pedals, etichetta PhotoFinish/Atlantic, copertina che sembra un Monet periodo cieco o un effetto blur casuale di Photoshop, o tutte e due) è una ciofeca. Un disco pensato composto e inciso con la seria intenzione di 1 suonare identico a United by Fate, 2 pagare la bolletta della luce e 3 (probabilmente) giustificare un reunion tour adunastronzi sufficientemente capillare. Nella fattispecie, Pedals contiene più o meno la stessa scaletta di allora (tipo: un pezzo tirato, un pezzo emo, un pezzo quasi-acustico e via daccapo) senza un briciolo della botta che stava dentro canzoni come Travel by Telephone o che so, Undercovers On. Sembra una specie di fiera della normalità o il primo disco di inediti di una cover band dei Rival Schools: non c’è nemmeno più il gusto di rilevare che sono, che so, meglio di tutto quello che li circonda, perché non è vero e perché anche se lo fosse non ci basterebbe. Difficile dire perché l’uomo non si sia tenuto questa raccolta di canzoni nella penna; la cosa più probabile è l’ipotesi 2 di cui sopra, ovviamente. E sia ben chiaro che se c’è un musicista che nel 2011 ha il diritto di passare all’incasso si chiama Walter Schreifels, anche solo per il culo che s’è fatto in venticinque anni di attività. Ma forse nel caso sarebbe stata più divertente una vaccata vera e propria, tipo Rival Schools performing United by Fate, pietra sopra e niente nuovo materiale. A questo punto, come niente, il prossimo anno uscirà un nuovo disco dei Quicksand.