VENGONO FUORI DALLE FOTTUTE PARETI

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di Folagra
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(da #SELFIE, di Francesco Farabegoli. clicca sull’immagine per il link)

 

Critici letterari, critici musicali, conduttori radiofonici, conduttori televisivi, opinionisti, scrittori, blogger: SIETE POCHEZZA. Ciao. Anzi SIAMO, perché ci si mette dentro anche chi scrive (chiunque sia). Siete (anzi siamo) pochezza e lo siamo in una maniera disarmante. È difficile infatti guardare alla classe intellettuale italiana under-40 senza provare (ovviamente con qualche -rara- eccezione) una sensazione di disarmante mestizia. Non sappiamo niente. Disperatamente cerchiamo di nascondere sotto panneggi voluttuosi di “dissacrante ironia” e di “citazionismo postmoderno” (con pratiche sempre più simili a un readymade delle idee) un’ignoranza lancinante. Siamo (siete) persone che dovrebbero scrivere cose che la gente paga per leggere. Cose che hanno un valore economico superiore a quello della media delle opinioni espresse al bar. Un valore economico derivante dallo studio e dall’opportunità che VOI (NOI) avete (abbiamo) avuto di approfondire un argomento mentre gli altri stavano facendo altro. La differenza tra un idraulico e un freelance, alla fine, è questa: l’idraulico ha deciso di andare a lavorare, il freelance (che è non è un mestiere ma un modello contrattuale; è come dire “il part-time”) di approfondire, studiare, specializzarsi in un tema immateriale come la musica, il teatro, la letteratura, il cinema, l’economia, la politica e altre cazzate prive di senso. Tutto questo ha un nome e si chiama formazione. La formazione è ciò che rende un creativo simile, per potere contrattuale, a un idraulico. Guardandomi intorno però spesso noto che l’unica cosa che differenzia l’opinione di un critico da quella dell’idraulico è semplicemente l’essere inserito nella mailing list di un ufficio stampa.

 

Di lavoro faccio l’impiegato in una ditta che vende roba. La mia mansione è di registrare gli ordini che arrivano, fare offerte ai clienti, gestire gli stock di magazzino e un briciolo di logistica, tutta roba che in linea di principio non ho voglia di fare (e che comunque non ho mai proposto di fare gratis), e quindi per me il mio stipendio non è tanto commisurato al numero di ore, anche se sono inchiodato a un cartellino e a una scrivania che NON sta nella mia camera da letto; è una cosa legata ai costi-opportunità, grossomodo, un pagamento per non fare tutto quello che farei potendo disporre di quel tempo –è carino dirlo così perché con questo sistema gli scatti di anzianità diventano in sostanza dei premi al progressivo rompersi dei coglioni a fare sempre la stessa roba. Sono assolutamente convinto che si debba rispettare il proprio lavoro, ma sono cresciuto in un periodo di quasi-piena-occupazione e il fatto che ora il lavoro non ci sia più non mi ha portato ancora a credere che il lavoro vada amato sempre e comunque, con passione viscerale. Quella è mia mamma. Mia mamma è fermamente convinta che il DATORE DI LAVORO sia appunto l’imprenditore che ti dona il lavoro dando di fatto un senso alla tua vita, il che ti impone di sopportare ogni angheria da loro perpetrata e di aspirare alla perfezione della servitù, al saperlo servire con la massima efficienza. È un parere che rispetto perché è di mia mamma e io a mia mamma voglio bene nonostante abbia fatto di tutto per crescermi vicino a Dio, lontano dal Partito Comunista e vittima di un certo fantozzismo anni 80 per cui non era carino scendere in piazza. Se andavi in piazza voleva dire che guadagnavi poco e volevi qualcosa di più. Mentre quelli che guadagnavano tanto, a rigor di logica, non avrebbero dovuto rompere i coglioni. Se volete sapere la mia opinione: masquerade borghese, ricerca dell’approvazione sociale e dell’ostentazione del benessere. Le cose che ce l’han messa in culo (la nostra generazione), intendo. Pensateci. Sto divagando… dicevamo?

 

In un bel pezzo personale che trovate qui il giornalista Simone Spetia (factotum di Radio24, in grado di passare da una trasmissione di approfondimento economico come Focus Economia al commento dei fatti del giorno fino al divertissement a sfondo storico de “Il Gazzettino del Risorgimento”) parla proprio dell’importanza dello studio nel mestiere di giornalista. La sua chiosa “Cercherò di scrivere meno, di leggere di più, di non prendere posizioni prima di aver capito più a fondo” risuona come un violentissimo j’accuse (in chiave passivo-aggressiva) a tutta la categoria di giornalisti/pubblicisti/senza contratto che pensano che i social network siano strumenti formativi. Non lo sono, fatevene una ragione.

 

Pasolini (per un intellettuale che tale si definisce, problema suo peraltro) è tipo quando al primo giorno di scuola ti insegnavano a fare le aste. Tipo la base. Citare Pasolini significa sostanzialmente dire ovvietà. E invece siamo ancora fermi lì, a parlare di/attraverso Pasolini come fosse il più grande maître à penser italiano o, ancor peggio, internazionale. Gli sguardi interrogativi, anno dopo anno, a seguito dell’assegnazione del Nobel per la letteratura la dicono lunga sulla consapevolezza e sulla conoscenza della realtà culturale da parte dell’italo-intellighenzia.

 

(qualcuno in platea si alzerà e dirà che ehi, io avevo letto Mario Vargas Llosa molto prima che vincesse il nobel per la letteratura quest’anno. Qualcun altro probabilmente sta ridacchiando e facendosi il gomito col vicino sapendo che quest’anno il Nobel per la letteratura l’ha vinto Alice Munro –strappato di mano per un pugno di voti al grande Roberto Vecchioni- e Mario Vargas Llosa l’ha vinto nel 2010; alcuni continuano a firmare annualmente la campagna per insignire Stephen King del Nobel per la letteratura, soldi e legittimazione culturale di cui King ha estremo bisogno. Non sto giudicando, sia chiaro: una volta stavo per farmi arrestare per una serie di eventi messi in moto allo scopo di far dimettere Rosa Russo Iervolino da ministro della Pubblica Istruzione)

 

Sintomo e frutto (c’è un termine per indicare quando le due cose combaciano ed è bubbone pestilenziale) di questo progressivo, indecente e autoindulgente impoverimento di competenze è la critica ragionata ai dischi italiani. La musica italiana degli ultimi, diciamo, vent’anni è “canzonetta”. Indie o non indie, anzi non. Le parole le si è già spese per Battisti e Baglioni tipo trent’anni fa, indossando occhialoni da vista che poi sono fortunatamente caduti in disuso e oggi sono tornati disgraziatamente in auge per colpa di certe scelte di marketing e/o della stessa musica di merda che sta continuando a copiare quegli anni. Oggi, per il reazionario e statico pop italiano, basterebbe ricopiare pari pari la critica dell’epoca, limitandosi a una riga di commento mi piace/non mi piace. Eppure ci sforziamo tutti (chi scrive per primo, questo pezzo peraltro è copiato quasi tutto da un articolo uscito su Musica di Repubblica quindici anni fa) di trovare paragoni arditi, scovare paralleli pretestuosi, citare nomi altisonanti (e per altisonanti intendo tipo I PIXIES, voglio dire) che inducano il lettore a pensare che noi, scriventi, si attraversò lo stretto di Gibilterra per inseguir virtute e canoscenza. Sapete perché in una recensione a un disco italiano si evocano gli Slint? Per farsi succhiare il cazzo in fase di commento.

 

Tra l’altro gli Slint e Pasolini a conti fatti sono più o meno la stessa cosa, e curiosamente anche Battisti e Baglioni sono la stessa cosa (sia tra loro che rispetto a Pasolini, cosa che a pensarci dà credito alle ipotesi di suicidio del PIER). È curioso parlarne ora perché da quando leggo le riviste musicali (3/4 riviste al mese per una ventina d’anni, ai prezzi di oggi mi sono costate tra i cinque e i seimila euro, comunque bazzecole rispetto alla collezione di dischi) non c’è mai stato un momento più classic rock di questo, e come sempre in questa cosa la pubblicazione che detta il passo è Blow Up -nell’ultimo numero un articolo sul LISCIO ROMAGNOLO (peraltro meraviglioso, essendo io di Cesena), oltre a un pezzo di BERTONCELLI su BOB DYLAN alla ROYAL ALBERT HALL e un pezzo di Guglielmi sui BLACK FLAG, non ho ancora letto la sezione Collateral ma il menu dice che c’è una cosa su tale Pasolini CAZZO CAZZO. Rumore ha inaugurato il nuovo corso con una copertina ai Clash. Il Mucchio è il Mucchio (i fuoriusciti direbbero di no, ovviamente). L’ex direttore del Mucchio tra l’altro (già parlato) ha dato i natali a una rivista nuova (la roba più contemporanea nel numero in uscita sono i Primal Scream, sembra). Rimane fuori Rolling Stone, che questo mese in copertina ha Paul McCartney e dentro roba tipo TENCO e CHARLES MANSON, manco Marilyn dico proprio CHARLES e una cosa sul trentennale di Radio GaGa dei QUEEN. Benissimo, sia chiaro, e comunque Charlie >>> Marilyn, sia Manson che Monroe. Ma pare (non l’ho ancora comprato) che il numero di Rolling Stone sia da collezione: c’è un’intervista ai Cani che per un errore è andata in stampa col titolo PERCHÉ NON BIDET ALLORA? e occhiello pure più divertente. Domanda: perché non mettere roba che ha senso che esca oggi? Risposta: perché i pezzi sulla roba che ha senso esca oggi non vengono letti. Birsa Alessandri è un editor in forza a Noisey (Vice) e passa il tempo a spingere avanguardie oscure e poco cagate tipo Father Murphy, Von Tesla, Kevin Martin, Wolf Eyes o Silent Servant. Occasionalmente coglie l’occasione per trollare qualcuno che secondo lui non dovrebbe fare musica, o non dovrebbe farlo in questo modo; recentemente è successo con Brunori SAS, di cui ha demolito un video parlando anche di quella influenza culturale nefasta del cantautorato anni settanta di cui sopra. Risultato: 171 commenti, quasi tutti dentro lo spettro di valori che va da “state sempre dietro a sparlare perché va di moda” a “non capisci un cazzo di musica” a microvariazioni del lemma “sentenziare”. Nell’articolo sui Father Murphy c’è un solo commento; ci si aspetterebbe che almeno dieci persone di quelle che amano Brunori SAS possano odiare i Father Murphy, giusto? E CHE CAZZO SE NE STANNO ZITTI A FARE? Manco un dieci per cento di coraggiosi che si prendano il disturbo di puntualizzare che anche nel caso in cui non sta lì a sentenziare o sparlare il redattore Birsa Alessandri non capisce un cazzo di musica? E soprattutto: di cosa stavo parlando? Non ricordo.

Che poi voglio dire, ecco, dispiace pure a me. Non c’è niente di più costoso, in termini di tempo, concentrazione, fatica e scoglionamento, di farsi una cultura. Lo era ieri. Lo è oggi. Avanti di questo passo, quando lo capiremo sarà troppo tardi. O forse lo è già, e nel caso stasera offro io.

Saltimbanchi si muore: il doveroso pezzo che punta alla rivalutazione di Cochi e Renato dal punto di vista della loro produzione musicale

Il nostro ruolo di agitatori culturali ci impone di guardare oltre le solite categorie liberalismo e laburismo e quindi a foto come queste

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o queste

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Il nostro ruolo non è poi, in questo contesto, discutere dell’importanza di film come Sturmtruppen (solo per il fatto di avere Lino Toffolo nel cast o una scena in cui lui, Boldi e Cochi e Renato si fanno in vena, manco fosse Amore Tossico o L’Imperatore di Roma) o ancora più facilmente dei film solitari di Renato tipo la Patata Bollente (primo film ad affrontare con uno sguardo libero da pregiudizi il tema dell’omosessualità, giusto per ribadire che l’unico Vanzina che ha una dignità è Steno, tanto è che si chiama come il cantante dei Nabat), Il Ragazzo Di Campagna (che anticipa di anni il trend della fuga dalla città ed è un dissing lungo un film a Milano, quindi ci piace a priori) o per fare i fighi Saxofone (anche come ritratto dell’ultima vera Milano che ci piace, assieme a quella della colonna Walter Alasia).

Il pretesto per una doverosa retrospettiva viene dall’acquisto, nei cestoni degli ex gombagni della Coop ( diciamolo pure: i prodotti Coop son messi lì nella foto per creare un immaginario stile La Gigantesca Scritta Coop, me li ha presi mia mamma che ci crede ancora allo spirito iniziale della Coop ma io oramai alla Coop prendo solo i cd e i dvd nei cestoni), come il cd che vedete, pagato 2,90, di una raccolta antologica di Cochi e Renato che, assemblando a caso brani del loro noto repertorio, racchiude probabilmente quasi tutto il meglio della produzione di questi magnifici outsiders alla Barlow-J Mascis (senza tra l’altro aver mai litigato per problemi di ego) della comicità barra canzone d’autore italiana. Affermiamo poi la dignità di Cochi e Renato come autori anche se i testi poi probabilmente li hanno scritti assieme a Jannacci, Viola e tutta la cricca del Derby, quindi li consideriamo facenti parte della tradizione della canzone d’autore, con buona pace di chi sostiene che per essere autore non devi scrivere cose che fanno ridere, a meno che non facciano riferimento diretto alla satira politica che è responsabile di 20 anni di Berlusconi e allo stesso tempo produttrice della grande bellezza etc etc.

Coop

In ogni modo avevo pensato questa cosa di passare in rassegna tutta la scaletta, facciamo così:

La Vita La Vita

Il reduce

Come porti i capelli bella bionda

Mamma vado a Voghera

Lo Sputtanamento

Sturmtruppen

Il Porompopero

La Cosa

La Gallina

Cos’è la vita

A me mi piace il mare

Canzone intelligente

(intervallo)

nebbia in val padana

Non vogliamo fare i critici snob di una certa sinistra che fa ancora la spesa alla Coop schifando il Lidl e le sue offerte etniche per cui innanzitutto non neghiamo l’importanza storica di canzoni come La Vita La Vita (vittima della censura Rai: non si trovano in giro versioni che recitino “basta una sottana puttana”, per cui non pagheremo il canone nemmeno quest’anno, anche perchè la pubblicità nuova l’avete vista? Quella dove il nonno cazzia i nipoti perchè gettano via la cartolina per pagare il canone?).

La seconda canzone è sicuramente uno dei capolavori minori del duo padano: 

Trattasi in pratica di una miscela ante litteram di freestyle e spoken word del solo Pozzetto, che a briglia sciolta (dialoghi col fiume Piave, lo Stadio di San Siro a 70 metri dalla trincea nel Carso…) riporta dignità narrativa al primo conflitto mondiale, in sei minuti di puro delirio che ci convincono dopo un secondo della follia della guerra molto di più di certe altre canzoni sloganistiche italiote, e bona lì.

 Come porti i capelli bella bionda  è un Pozzetto talmente sicuro del suo essere uomo che è perfettamente a suo agio nei panni di una bionda e un Ponzoni che tira dritto nel suo sbertucciare la figura del cantantautore, ignorando la bionda, il tutto in una forma canzone (un ritornello ripetuto sette volte, controllate) che sembra Repetition dei The Fall se Mark E. Smith invece del Manchester avesse tifato o il Milan o l’Inter.

Mamma vado a Voghera è la celebrazione del non luogo e della modernità liquida prima che dei ciarlatani come Augè e Bauman diventassero mainstream fra i tristi topici dei lettori di MicroMega, Internazionale e Wikipedia, quelle cose lì. Il testo poi pare sia di Dario Fo, che è come Massimo Troisi: non si è mai capito cosa dice, però Cochi e Renato sono così geniali che nelle loro mani anche Dario Fo diventa comprensibile e pop.

Lo Sputtanamento è forse uno dei testi più criptici e critici verso gli italici costumi del duo, moderni Savonarola che sotterrano con una risata il malcostume italico del rosicare e del criticare per il gusto di farlo, tirare il sasso e nascondere la mano. Una canzone quasi oi! ma come se la cantasse un gruppo tipo i FBYC che non puoi dire che fanno oi anche se hanno dei coretti oi ( e lo sputtanamento che cos’è forse è voglia d’imparare abbracciare e non toccare ma è già largo il pantalone e robusto il pendolone 
dico che è maleducato quel che l’hanno già sgonfiato olé olé olé olé. E lo sputtanamento olé, e lo sputtanamento che cos’è 
è guardare il suo balcone che si sa che non è in casa è andata via a fare una cosa sul balcone c’è le rose e la luce ancora accesa 
poi c’è lui che sputa giù)

Di Sturmtruppen ci sarebbe poco da dire una volta che si è visto il film: testo scatologico (“culen, piscen”) per un film scatologico, punto zero della comicità ma proprio per questo uno dei capolavori cinematograficomusiali dell’epoca e non solo.

El Porompompero è ancora giocata sulla contrapposizione  Ponzoni-Pozzetto (Ponzoni: Che dise el nos poetas andaluses… Pozzetto: boh? Ponzoni: boh! o ancora Pozzetto che parte per la tangenziale con Ponzoni che continua a cantare in spagnolo) poi la canzone prende il largo con un Pozzetto scatenato (dammi indietro gli orecchini di mia suocera!) nei suoi nonsense apparenti.

La Cosa: canzone sul sesso e sulla sua concezione italica, scritta tipo boh, nel 1970 e ancora attualissima (del tipo che anche dal titolo si capisce che parla di quella cosa lì ma non si può dire, però si capisce che insinua).

C’è chi fa quella cosa guardando all’insù 
o le mosche che giocano sull’abat-jour 
c’è chi fa quella cosa pensando all’argent 
chi si ispira ai sobbalzi di un treno o di un tram. 
C’è chi fa quella cosa e si chiede perché 
chi la fa come se fosse fatto di tek 
c’è chi giusto a metà sta a rifletterci su
Non hanno verve… son sempre giù… 
i senza tetto dell’amore 
fanno all’amor… con su il paltò… 
gli schiavi del qui non si può. 

La Gallina non ne parliamo che non ho niente da scrivere, sicuramente uno dei maggiori successi del duo, dal punto di vista del cantato una delle canzoni che è rimasta di più nell’immaginario, insomma una cosa che la saltiamo per far quelli che trovano le perle nelle cose minori. Sicuramente ancora echi di The Fall, nel suo essere sardonica.

Cos’è la vita leggo su Debaser.it da dove sto copiando la recensione (lo sto facendo davvero, o meglio: ci sto provando) che come testo è stata scritta da Massimo Boldi e da Enzo Jannacci. La recensione di Debaser è questa qui:  Boldi (si proprio lui, prima che il cervello gli si spappolasse per eccesso di “Vanzinina”…!) E’ un’altro dei momenti topici dell’album: dopo un monologo di Pozzetto assolutamente incomprensibile su di “uno al quale volevano portare via l’orto” parte questo magnifico ritornello che fa “cos’è la vita, senza i danè…” tutto incentrato (in maniera assolutamente comica) su una serie di situazioni di povertà metropolitana, dopo il quale di nuovo ritorna il monologo intramezzato dalla frase-tormentone “Manon lo so!” e ancora il ritornello… Una gioia questo brano! Tutto da ascoltare!.

Facciamo così, mettiamoci il link su youtube perchè in questo caso bisogna solo che rinunciare a scrivere e lasciare parlare il genio dell’artista: 

A me mi piace il mare è la versione balneare o balearic se si vuole, del Ragazzo Di Campagna: un dissing a Milano fatto da milanesi doc, anzi, per esser più precisi: un dissing del provincialismo milanese e allo stesso tempo una dichiarazione d’amore a Milano (ma non ai milanesi della Milano Da Bere che avrebbe spazzato via anche la scuola del Derby):

 A Genova ho incontrato un signore
che con un giro di parole
mi ha fatto capire che a Genova c’è il mare.
Il mare l’abbiamo avuto anche a noi a Milano,
tutto cosparso del suo bel ondeggìo che esso c’ha dentro,
esso andava da Porta Lodovica fino in via Farini,
via Torino tutto un scoglio,
che c’è ancora il pesce adesso in via Spadari.
Poi sono arrivati i tedeschi
e hanno spaccato su tutto… c’è rimasto l’idroscalo
che c’è ancora la gente abbronzata adesso.

 Chiude Canzone Intelligente:  già per il fatto che cita gli Shocking Blue (“che farà ballar, che farà cantar…) , coverizzati dai Nirvana, potrebbe già mandare a casa tutti.  Aggiungiamoci poi la profetica critica alla logica lib delle majors ( la casa discografica adiacente veste il cantante come un deficiente lo lancia sul mercato sottostante) e come abbiamo accennato all’inizio soprattutto  alla logica lab del cantautorato impegnato che negli anni 70 ha fatto più danni dell’eroina e che continua a far danni nel 2014 ed ecco servita la pietra miliare.

Insomma per concludere: Cochi e Renato già 40 anni fa ci indicavano una terza via che mai è stata praticata e praticabile in Italia. Rimangono non già inascoltati, ma ascoltati in maniera distratta, superficiale, riduzionista. In Italia tutto deve essere buttato in commedia farsesca d’altronde:

Per me è finita
sto già pensando ad altro

cochi2

Violetta Bellocchio

La prima volta che ho letto qualcosa di Violetta Bellocchio è stata durante l’università, forse era il ’97 o ’98, non saprei dire esattamente. Lei scriveva su Duel, io lo leggevo (non posso garantire per lei ma questa cosa dice che ero una persona molto diversa da quello che sono ora). Lei era già brava, quindici anni fa. Ha continuato a esserlo, ha scritto per un mare di riviste, ha tenuto rubriche e blog, ha scritto un libro per Strade Blu e tutto il resto. L’ultima cosa a cui ha messo mano, in ordine di tempo, si chiama Abbiamo le prove ed  è una rivista online di nonfiction, scritta solo da donne. Livello medio dei pezzi molto alto, cadenza quotidiana, tutto quel che serve.
bzz

[…] Numero uno: il Web italiano “per le donne” offre galassie di raccoglitori su moda e bellezza, e scarpe, e consumi, anche, nel senso più lato possibile, e alcuni di questi raccoglitori sono fatti molto bene, se è per quello; il resto a me manca.

Numero due: io, da lettore e non da femmina, sono stanca di passare opinioni, spin, corsivi, para-Amache, gomitini gomitini e commenti del commento del fatto di domani; io voglio un posto dove c’è solo la storia, dove c’è solo LA ROBA, le ossa e la pelle; io ne ho bisogno fisicamente.

L’hai scritto te. il punto due mi interessa più del punto uno, perchè in ALP (acronimo che userò da ora in poi, sorry) io non leggo una cosa “per le donne” (non credo che i pezzi che leggo mi tocchino/riguardino meno di quanto toccano la mia amica Sara).  invece il secondo è abbastanza mio: c’è un modo di funzionare di internet che non è corretto, o non mi rappresenta. Tu hai una routine nell’affrontare il tuo internet? tipo, svegliarsi il mattino e non cagarla per un po’, guardare cosa si muove, pesare i trending topic, qualcosa così?

GRAZIE DELLA DOMANDA. Il mattino io mi sveglio, faccio colazione, faccio la doccia, poi si vede di giorno in giorno. Se non mi sbaglio, nella storia di ALP non c’è stato UN giorno in cui abbia guardato i trending topic o gli Anniversari Importanti Oggi: se qualcuno ha un progetto per cui questi tratti servono / sono utili, more power to them. Alla fine a me interessa di più programmare un calendario che non tiene conto degli hot topic, pensare a un minimo di continuità, avere tre/quattro/cinque settimane di materiale pronto o quasi pronto davanti a noi su cui possiamo contare.

ANEDDOTO! (subito, dai.) Tu mi hai scritto la prima volta in quei giorni per me abominevoli dove CHIUNQUE diceva la sua a proposito dello stupro di Modena, compresi, ahinoi, una serie di opinionisti che hanno messo per iscritto frasi terrificanti nei confronti delle “ragazze di oggi” in generale (e se non era quello era “è colpa dei videogiochi e del porno su Internet”). Allora, io sapevo di poter buttare in home page SUBITO due diverse storie che andavano a parare da quelle stesse parti; ma nn l’abbiamo fatto.

In quel caso la decisione l’ho presa durante una chiacchierata con Nadia Terranova (accreditata come guest editor mica perché mi ha regalato cinque euro, appunto): saltare sull’argomento “del giorno” significava

a. bruciare due storie diverse prima che fossero magari editate al 100% delle loro possibilità;

b. far passare l’impressione che il macro-argomento “abusi” fosse una roba con dignità di racconto solo in quelle SEI ore dove tutta l’Internets si indigna e strilla la sua.

NO. In quei giorni abbiamo fatto uscire pezzi che non c’entravano niente e che -guarda un po’ – sono piaciuti e sono stati condivisi da chi li leggeva: io lo prendo come un buon segno per ALP e come il segno che i nostri lettori (CIAO LETTORI) non hanno nessuna ansia di venire da noi per leggere nuove variazioni sul “tema del giorno”.

A meno che il tema del giorno non sia Doctor Who, che saluto.

Ora i pezzi sono usciti tutti e due, per inciso: uno e due.

Li ho letti. Mi piace perchè se accetto quello che dici, il primo effetto è che la definizione di senso del tempo si contrappone alla definizione di tempismo. O che una delle due definizioni nella mia testa è sbagliata. E poi la cosa introduce un’etica del non scrivere e del non pubblicare a cui sembri credere, in qualche misura. E quindi la cosa più logica, una volta letto perchè hai aperto ALP, è di chiederti perchè hai aperto ALP alla fine del 2013 invece che in un qualsiasi altro momento storico.

Saggia domanda. ALP va online a Settembre 2013, ha dietro qualche mese di chiacchiere e PDF tra me e un primo giro di autrici / potenziali autrici; il primo credo che porti la data “16 maggio”. Era pieno di macro di Ann Perkins.

Erano (forse) due anni che mi stuzzicavo con MAH OK DOVREI FARE  UNA COSA MIA, POSSO?; in una prima fase ricordo che avevo pensato a un piccolo sito multi-autore come Jezebel o The Hairpin, una cosa tipo “Questioni di Genere in primo piano, LOL nei ritagli di tempo”. Non l’ho mai fatto perché mi ha stroncato il pensiero di quanto lavoro ci sarebbe stato da fare vs. bisogno mio di dormire, mangiare, scrivere altra roba eccetera (Se qualcuno vuole fare un progetto simile, io lo leggerei). Dopo di che la faccenda è evoluta in “nessuno (in Italia) raccoglie e pubblica narrative nonfiction a buon ritmo; FACCIAMOLO!!!!”. Ne ho parlato con un amico, non l’abbiamo fatto.  (Questo è il tema ricorrente di un sacco di cose, sì?)

E ora, IL FATTO SUPER PERSONALE: a gennaio 2013 consegno un libro e mi dicono che esce nel 2014 (inserire qui deer in headlights mode), a maggio 2013 smetto di fare un lavoro che a quel punto  facevo da due anni; mi trovo sotto mano abbastanza tempo e abbastanza voglia per provare a far partire un progetto.

(Sì, non abbiamo una origin story super eccitante.)

Forse il fattore “tempo” deriva dal mio non avere figli piccoli a cui stare dietro.

Avessi partorito nel 2012, ALP non avrebbe mai lasciato il limbo dell’OH NOES.

le origin story super-eccitanti in genere danno luogo a trame del cazzo, la seconda parte del film di solito è noiosissima.

LOOOOOL. Posso dire una cosa? Settimana scorsa ho ascoltato un podcast su Daredevil (il film) e ho pensato a quando lo vidi in una videocassetta noleggiata (credo fosse un VHS, almeno) con una Futura Autrice di ALP. Lei aveva preparato degli scones apposta. Dopo un quarto d’ora ci era già passata anche la voglia di deridere il film. Lo guardammo fino alla fine con un senso di avvilimento pauroso. Eravamo giovani allora.

Tot anni dopo ho guardato Jonah Hex da sola ed era brutto uguale ma mi ha avvilito MOLTO meno.

Forse il surplus SANTO DIO CHE CAZZATA deriva dal sapere che ci sono i testimoni di certe cose.

Io ho un tizio di internet che mi ha giurato per anni che se avessi visto il director’s cut di daredevil l’avrei trovato UN FILMONE, così maiuscolo, me l’ha menata così tanto da convincermi a guardarlo.

Il director’s cut è effettivamente un po’ meglio, almeno? L’ho sentito dire anch’io ma ho sofferto troppo per fidarmi così d’amblé. Comunque resterebbe un director’s cut con un cattivo non molto ben pensato (EUFEMISMO) e in generale un’aria da NAMO DOTTO’ OGGI AMO FATTO PRESTO.

Non è meglio, è una specie di remix del daredevil con momenti di trama noiosi extra, le cose che succedono in un momento diverso e un piglio tipo “sai sono Mark Steven Johnson ma se potessi scegliere sarei terry malick”, ma me lo ricordo vagamente.

(pausa di digestione culturale, segue intervallo. L’intervista continua a pestaggio ultimato)


 

Io una volta ho aperto un sito che doveva parlare di musica metal (vabbè). Ho pensato a che cosa volevo fare, e poi ho pensato a chi sarebbe stato meglio per fare questa cosa che avevo in testa. Li ho contattati, alcuni hanno detto sì e abbiamo iniziato a lavorare. poi questi qua hanno preso la mia idea e il mio progetto e l’hanno completamente stravolto, fortunatamente in meglio, e io ho preso altra gente che si conformasse un po’ a quello che era diventato e la gente nuova l’ha cambiato ancora. Magari è una cosa che vedo solo io, e qui se vuoi inserisco la metafora del genitore, ma se le mie aspettative non fossero state disattese probabilmente avrei chiuso la rivistina sei mesi dopo. Due domande:

1 Chi componeva il primo giro di potenziali autrici?

2 il tuo PIANO è andato già in vacca? 

1. un miscuglio tra persone che conoscevo direttamente e persone che non conoscevo  direttamente (ora le conosco). Nel campo “persone che non conoscevo” ci metto Nadia; le ho scritto perché avevo letto alcuni suoi racconti molto belli. Nel campo “persone che conoscevo” ci posso mettere  un’amica di vecchia data (name redacted) come ci posso  mettere Giusi Marchetta, con cui c’erano stati scambi di mail (e tweet) dopo esserci incrociate qualche volta in literary situations (festival, incontri etc. -va precisato, in contesti simili io sono sempre  la tipa che tutti indicano col dito sghignazzando e/o le guardano attraverso; la Marchetta mi aveva parlato in modo civile, chi se la dimentica più.)

2 Se mai, è migliorato: è molto diverso chiedere a qualcuno “senti, vuoi darmi un pezzo GRATIS per una rivistina che comincia a Settembre ma giuro sarà superstrafichissima?” e poter mostrare la suddetta rivistina a qualcuno. Man mano che si va avanti è più facile trovare persone adatte e disponibili. Almeno, a me sta succedendo.

Also, GRATIS. Mi dispiace un sacco ma non possiamo pagare.

Almeno lo diciamo subito.

E ALP in generale incassa qualcosa?

Non incassa nulla. Tra sei mesi (forse) potrei dare una risposta diversa.

L’ultima domanda sulle intenzioni, poi parliamo della cosa. perchè la nonfiction? perchè solo donne? Le risposte che ho avuto fino a ora sono “bisogno fisico” e “perchè non c’era”. Però non so, immagino ci sia dietro un motivo politico. o politico-culturale. Mi sbaglio?

Due giorni fa ne parlavo con Silvia Vecchini e lei ha riassunto la questione con estrema efficacia: “BASTA TAG”.

Dire che una cosa è politica o politico-culturale significa metterci sopra una tag pesantissima, etichettarla, presupporre che TUTTE le persone a bordo siano mosse dalle stesse ragioni. Se dico che Abbiamo le prove è “un progetto politico”, o che c’è dietro una formula tipo “politica della narrazione”, io faccio un torto a parecchie delle autrici che scrivono e scriveranno per noi; qualcuna di loro magari vede una ragione “politica” nel portare fuori un pezzetto della sua storia personale, ma qualcuna sicuramente no, eccetera.

Comunque io non l’avrei mai detto. Riassumere il senso di un’operazione grande o piccola con “OMG POLITICO/CULTURA!!11” per me tradisce un disperato desiderio di essere ammessi al tavolo dei ragazzi fighi in sala mensa. Grazie, ma no grazie.

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Però nelle cose che scrivi viene sempre fuori un po’ questa dimensione di confronto, che magari è filtrata coi miei occhi. Essendo questo un blog di musica, prendo ad esempio Miley Cyrus

“Ecco, io non ho dubbi in materia: le scelte creative di Miley Cyrus sono orientate in primo luogo alla salute del portafoglio di Miley Cyrus. Però queste scelte sono anche la trave nell’occhio di chi osserva «le ragazze di oggi» senza mai muoversi dalla terrazza di casa propria.”

 Questa per me diventa una dimensione politica. Non so se è politica della narrazione, ma è narrazione politica -prendi una parte sulla base di cose che hai letto. Un’alternativa è di prendere una parte e cercare prove a suffragio. C’è un sottotesto (che, ripeto, come niente vedo solo io) stile “nell’insieme delle cose che avete letto su questo argomento, non hai avuto cura di filtrare le cose da leggere”. io leggo la tua roba e faccio il punto di cosa penso di tutto quello che ho letto sull’argomento.

È anche legato anche al discorso di prima, al discorso del trending topic of the day. Voglio dire, c’è un modo di riportare i fatti che è simile al tuo e che per me è politico, scelta di campo. non voglio dire che riguardi qualcun altro che scrive dentro ad ALP, chiedo a te, insomma. SOLO donne, SOLO cose successe… ecco, non so, non voglio farti un torto. 

Senti, io lo so che poi non mettendo LE ETICHETTE GROSSE su quello che faccio c’è un’ampia fetta della popolazione che mi considera deficiente (I’ll take it), però: le cose che scrivo in prima persona nella mia vita non devono essere prese come “il segno” di quello che sta diventando / può diventare ALP, oppure una linea-guida ideale per ALP. Se così fosse, ALP ospiterebbe molte più storie sul rapporto con LA MERCE, ad esempio. (E molto più capslock.) E invece.

Della questione Miley: per me criticare con certi toni e certi argomenti il “fenomeno del momento”, chiunque sia quel fenomeno, è segno di una certa immoralità diffusa, se mai. Dico “LOL TROIA” e me la cavo in due secondi e sono convinto di essere un acuto osservatore della contemporaneità che dice “BASTA” al malcostume. O, peggio, un difensore del femminismo che nessuno ricorda di aver interpellato.

(Altro esempio: questa estate i blog in lingua inglese hanno dissezionato Blurred Lines in ogni direzione possibile, arrivando, di solito, a dare a Robin Thicke dello stupratore in potenza o del rape apologist, e alle signore/signorine che gradivano la canzone delle segretarie-ombra della dittatura patriarcale, quando non direttamente dei LOL TROIA ambulanti. Io ho alzato molto spesso gli occhi al cielo.)

Articolo vecchiotto ma utile, se vuoi approfondire, è questo.

Comunque: se avessi voluto fare una rivista di 200 cloni miei, avrei fatto una rivista di 200 cloni miei. Non l’avrei letta io, figuriamoci gli altri.

(mentre ti chiedevo questo è uscito anche un video di Lily Allen in cui qualcuno twerka e l’opinione pubblica, per così dire, s’è spaccata in diciotto)

Appena ho notato che sul video di Lily Allen si alzava uno sciame di OMG CONTROVERSO!!! ho deciso di non guardarlo, l’ho visto adesso che me l’hai girato tu e lo trovo un video scemo/simpatico come tutti quelli che avevo visto di lei negli anni passati; un paio di culi in più non spostano il mio parere su nulla.

A parte la seconda stagione di Teen Wolf, dove sin dalla puntata 2.01 riuscivi a visualizzare il memo spedito da MTV alla produzione (“BENE RAGAZZI ADESSO RIVESTITEVI”) e potevi pensare che la prima stagione fosse stata una gigantesca trollata rivolta allo spettatore. L’avevo recuperata di corsa e non ricordo nulla se non il fatto che tutti i personaggi maschili andavano in giro in mutande in continuazione (nb. età media dei personaggi 15/16 anni, attori tutti più che maggiorenni) e che pur di farli spogliare a buffo nella trama venivano infilate scene di “il protagonista corre nudo nella foresta – AH NO ERA SOLO UN SOGNO, guardate, si sta svegliando di colpo a casa sua. In mutande.”

Vorrei precisare che no non ho guardato due stagioni di Teen Wolf per motivi politici; io l’ho guardato per il LOL e per vedere come gestivano un paio di svolte narrative. Ma soprattutto per il LOL. E finché è durata, ho avuto moltissimo LOL.

Posto che questo particolare tipo di nonfiction mi interessa, cosa vado a leggermi in giro oltre ad ALP in italiano e inglese?

la versione “uno WHAAAAT a paragrafo” sarebbe senz’altro la sezione “It happened to me” di XOJane.comMa parecchi luoghi rispettabili ospitano personal essay, da Nailed Magazine a Two Serious Ladies, e ce ne saranno cento che ancora non conosco da lettore, per cui. la scelta esiste.

Domanda sull’oggi e poi chiudo. C’è questa campagna in corso. Tu vivi di scrivere, giusto? 

Io ho questo problema legato al fatto che scrivo, un po’ per chi me lo chiede, se mi piace un progetto posso scrivere gratis, se mi propongono un pagamento non commisurato all’impegno posso scegliere se scrivere o no, eccetera. Ok? Di fatto, quindi, la mia posizione di uno-che-lo-fa-per-hobby mi rende un potenziale ostacolo verso chi vuole fare questo lavoro venendo pagato. 

Ecco, guardo queste campagne, ce n’è una ogni due settimane, campagne, lamentele, tweet, FB eccetera, ma non so se c’è mai stata una mobilitazione di massa, di categoria, un momento in cui tutti hanno incrociato le braccia e hanno detto vaffanculo; e nemmeno uno che sia venuto da me a dirmi che il mio farlo per hobby sta togliendo occasioni a della gente migliore di me ma che si fa pagare. Non ti sembrano un po’ delle campagne prive di senso?

Non lo so, sai? Nel senso: non so se queste campagne siano davvero prive di senso. La cosa che so, e che mi irrita a non finire, è che  il mantra “cari giovani creativi, non dovete lavorare gratis, fatevi rispettare!” l’ho sentito uscire anche dalla bocca di gente famigerata per non pagare.

Comunque nel minuto secondo in cui una persona pronuncia la parola  “visibilità” l’unica azione possibile è andarsene senza guardarsi indietro.

Secondo me in realtà è una parola che nessun datore di lavoro pronuncia più. Oddio, forse quelli che si fanno ancora chiamare MEDIA GURU e ti mandano l’email copincollata. secondo me è più un giogo autoimposto, “vado lì, non mi pagano ma mi leggono in settemila ogni pezzo nuovo”. proporsi gratis alle riviste grosse, e tutto il resto. non so. forse è una mia paranoia. e se fosse vera probabilmente la campagna avrebbe senso, ma il senso sarebbe di far capire ai creativi che valgono qualcosa, una chiave tipo “ora anche i creativi hanno una cassetta col motivational per diventare più maschi”, nel qual caso il tag avrebbe dovuto essere #chebelletendine. Ok, forse non è una domanda. Non so.

Ieri sera ho visto per la prima volta The Decline of Western Civilization part II: The Metal Years.

Ora, a parte gli spezzoni famosi che hanno avuto una vita al di là del documentario intero (quello dei W.A,S.P. che si fa intervistare ubriaco fradicio in piscina con la madre lì presente), sono stata molto colpita dal tono medio degli intervistati “non famosi”: molto giovani, maschi e femmine, tutti appassionati di metal, quasi tutti che suonavano in un gruppo metal; quando viene chiesto loro “cosa farai se non sfonderai come musicista?”, quasi tutti rispondono “no, no! io sfonderò! Io diventerò una star!” (tieni conto che questo non era un reality show). Poi, quando la regista gli chiede “sì, ok, ma se poi non sfondi?”, un paio di questi ragazzi rispondono: allora finirò a dormire per strada.

Chiudiamo su questa nota di speranza, che dici?

LE 50 MIGLIORI FRASI DETTE SU INTERNET NEL 2013

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1) SO’ DIECI ANNI CHE SCOPO [@SanNuvola]

2) c’è una frase di berlusconi / a cui penso spesso / e ogni volta che ci penso mi fa viaggiare nei mari polifonici / quando telefona a gad lerner e dice: “ho visto una rappresentazione della realtà all’incontrario del vero” [ikke]

3) oggi mi sento molto ralf, infatti entro stasera ho deciso di dire a mia mamma questa frase: “levati dalle palle, coglione” [Ragazzo dell’Italia]

4) “AJAJUJUAUAU AP<!DOCTYPE html PUBLIC “”>” [@Pikkio che ride dopo aver installato 35 app in una sera, maggio 2013]

5) “cercare internet nell’interstizio creato da due schede di chrome adiacenti” [Experience]

6) – biagi dammi qualche idea: su cosa posso indirizzare la mia discussione social del giovedì

– i muletti dei supermercati, la vita personale di kanye west, gli ugonotti protestanti in francia e il quadro “il naufragio della speranza” di friedrich

– biagi la tua lista dei temi è la sintesi perfetta della mia vita

[Smart Living Trio]

7) “mamma mia!! mi viene un nodo alla gola…. troppi ricordi … rimpiango quel periodo rimpiango me stesso com’ero … che nostalgia, ero pieno di sogni” [Gino A.]

8) poi che bello che la mattina mi sveglio con actress, che mi fa i suoni strambi post-legrottaglie [Prestanome Gino Peruzzi]

9) EVVIVA MI HA SCRITTO SALVATORE PAROLISI [@betrayal]

10) vorrei chattare gratis [Max Payne]

11) http://i.imgur.com/zaFs1kx.jpg [Angel.. a proprosito di Twitter]

12) Twitter un macchinario che rinforza la solitudine [Massimo ceccherini @cecchegrappa a proposito di Twitter]

13) cmq io me ne vado in campagna, ma vi lascio con questa riflessione: ma voi ci pensate ogni tanto, ci avete pensato mai, all’uccello di eros ramazzotti? si/no/come [Prestanome Bruno Banani]

14) MY OTHER COMPUTER IS A SUNSET [Anonimo via Tumblr]

15) voglio un cane per vedere cosa vede il mio cane su twitter tramite una telecamera che non rispecchia la sua visione delle cose [Ucchio Parale]

16) è così: 30 punti di vivere e morire in cina nel 2024, 30 punti di sutura sulle mie mani, 20 punti di quella volta quando mi sono buttato da uno scoglio alto 10 metri e ho visto in volo uno squalo che poi in realtà era un materassino, 19 punti di ikke che cammina a piedi, 1 punto di spaced che la sente per sbaglio e dice “eh, ma renato soru” [Dario P. a proposito di Tomorrow’s Harvest]

17) “ciao scusa sei bellissima, sembri varenne” [Il Superbo]

18) OGGI GIORNATA DELLA VIOLENZA SULLE DONNE, IO E IL MIO STAFF PARTECIPIAMO COSI. AMEDEO [Amedeo Minghi]

19) ti chiamerò sexystar come il gatto di valeria marini [Anonimo via e-mail]

20) it is true that enzo biagi was the first man on earth to do one squilletto with cellulose to communicate affection, in 92? [Google Inc.]

21) don gallo morto e millions preti now living will never die [Proto-CJM]

22) Freud nelle “Lettere al figlio” ci parla di una Confartigianato interiore. [Alessandro Gori]

23) “un Rolex che ti perseguita nella notte, una Ferrari che non ti appartiene” [L’Incantato]

24) allora ikke non solo è things that exist, non solo è bronchite, ma è pure un finto giardiniere dell’assurdo e last but not least il direttore artistico della dreamworks Mr. Ikkeston [Il Ministro]

25) http://i.imgur.com/WfMV2fx.png [Elena Orsoni]

26) io sedurrò la tua segretaria offrendole sornione un mazzolin di fiori di zucca, ti ipnotizzeremo con un disco di colpapesce suonato al contrario a 78 giri e ti sottrarremo tutto il maltolto, fuggendo poi in polinesia o a forlimpopoli strafatti di etere e ubriachi di propoli [Smargy]

27) @motivatore10 domani ho un esame importantissimo all’università, me lo faresti un tweet motivazionale x caricarmi?

@imax_dj Se l’esame è importantissimo tu sei sotto l’esame quindi andra’ nn bene… TU SEI IMPORTANTISSIMO, L’ESAME E’ IMPORTANTE = SFONDALO

[The motivatore10 Experience]

28) se non torna il 1993 mi ammazzo [Anonimo Giardiniere]

29) i tuoi capelli / vaporosi / RI-CON-CI-LIANOOOOOOO [Fabio Mancini]

30) Non sopporto gli inferiori, i disabili, i disadattati sociali, coloro che provano e falliscono, i depressi, i suicidi, i vinti, gli ignoranti, i deboli, gli anglosassoni, i samoani me stesso e le vostre becere facce da culo. [Anonimo]

31) “ma veramente a casa mia le sottilette le usiamo come tovaglioli” [Il Disonesto]

32) Capire che il vero lusso è non secernere mai il seme (l’ho capito davvero a Milano) [Tyler Brûlé]

33) E bellissimo / Moolto carino ho sterminato l umanita i n un giorno(reale)merita un 5 stelle [Federico Mellone via Google Play]

34) dormire mi piace tanto quanto vivere [Marina]

35) – ZOMBY ® ‏@ZombyMusic: Make sure ur on the level to appreciate this shit no point walking into givenchy if u really want Adidas

– ma che cazzo vordì? ahahaha ma poi perché è fissato con Givenchy? che c’ha ?

– so fisse hd, generazione logoquiz

[Vari]

36) sì alesi gira voce era anfibio, prima delle gara nel gp malesia lo tenevano in uno stagno [Prestanome Alviero Martini]

37) – doro sei un opel kadett? dimmi ti senti forse un opel kadett alata?

– biagi sono tante cose tra le quali un opel kadett alata, thereau del chievo, un satellite, un portamine, una cintura di sicurezza sfilacciata per l’usura, tante cose. [Deleuze & Guattari, Capitalismo e schizofrenia]

38) A me piace molto quando sono al semaforo con la mia Impreza Sb 3000 e vinco le gare di chi parte per primo in sgommata e arriva a Cinisello da viale Zara. very pride [Anonimo del nord]

39) Ci spostiamo da Gubbio poiché la popolazione si è estinta. Andremo a Spoleto in cerca di nuovi morti 🙂 [Don Matteo via Facebook]

40) as i grow older, i become less amazon [Anonimo]

41) c’è un telefono triste nel mio cuore [Paolo B.]

42) il mio amore ha cacciato un politico stronzo dal litorale di lignano sabbiadoro [Una di quelle zone]

43) Emma Marrone ha detto che scambierebbe volentieri un giorno della sua vita con un giorno della vostra. [Emma Marrone, entourage]

44) stay loopish / stay ten [Marco C., filosofia di vita]

45) http://i.imgur.com/I77UcFx.jpg [Treno Space, lezione di storia contemporanea]

46) 2014: serietà aerodinamica alla luca castellazzi [@strofinaccio]

47) ok ora per dormire / che devo fare / quale pulsante per dormire [Sdraio]

48) mi sa che prendo un aereo per palermo e ti inculo [Prestanome Enrico Coveri]

49) ora berlusconi apre la giacca e sotto c’ha una maglietta con scritto: “perfetto come tu mi vuoi” [@betrayal]

50) Ma non sarà il caso di crescere e passare alla cocaina? [Anonimo]

 

 

Si ringrazia HDBOYZ e Collettivo Carmine per il data mining

BACKSTAGE KNOWLEDGE SUXXX

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di nuxx
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Mentre Giulio The Bastard vince la prima edizione di Masterpiece e il suo personaggio fragile e weird, ma anche forte e committed inizia a risultare credibile anche con le braghe calate e uno sbarrone da CINQUANTATRE CENTIMETRI in bella mostra, mentre XL di Repubblica chiude i battenti sbattendo in copertina Sara Tommasi e Giovanni Lindo Ferretti ubriachi di piscio, mentre il 2014 inizia con il TROLOL dell’anno (Arisa che si dà al depressive black fuso col funeral doom, cercando spudoratamente di diventare bastonatamente rispettabile), inauguriamo l’ennesima estemporanea rubrica di bastonate, una pesantata tipo Gramellini travestito da Guè Pequeno che intervista Colapesce nel backstage di Hai Paura del Remo?, il festival messo insieme da Costantino della Gherardesca e una sfrontatissima Giorgia Meloni in piena sbandata Ebullition. Gesù non si è fatto mettere croce per questa gente, così a pelle credo sia una cosa che va combattuta con mezz’ora di twerking di stampo matematico e una vita sessuale più regolare del pedofilo Salinger.

Immaginatevi la Shinjuku di metà anni ’80 (quella di Technoiglesias e Luther Arkwright, dai) abbastanza fedelmente raccontata da un Marco Pecorari a caso imbevuto di zeitgeist, però girate in fondo a destra dove c’è il vicolo che puzza di merda e troverete [*SPOILER*] una stazione orbitante-paradiso coi soffitti bassi e un impianto di serie Z dove tutti sono hipster wannabe borgatari e coinvolti/compromessi in ambiti diciamo così artistico-culturali e dediti all’atto sessuale in solitaria o di fronte a platee gremite di alpini gay dilaniati dal popper che ballano Gangnam Style: anti-femminismo o missione pedagogica buona solo per hater da tastiera e raver di pura razza augeiana, ma anche la fredda cronaca della risurrezione di un sistema di valori, tipo portare bandane in pelle di Mithrandir, tanga extratone di pizzo «Like a Virgin», tatuaggi del Cristo lunghi tutto il braccio e t-shirt con scritto da qualche parte CHAOS TO COUTURE [*fine SPOILER*].

Copparo primi anni 90, città universitaria di 30000 anime circa diventa il centro della “Qualità come Eccellenza Italiana da Esportazione” grazie a Emiliano Zanotti, collaboratore di CHIAMARSI BOMBER (fanzine bibbia della violenza negli stadi del meridione e del seppuku terrone) prima di diventare l’assessore alla cultura di Musica nelle Valli e fondare la chiesa di † SHAYTAN †. L’idea che mi sono fatto nel 2013 (ma va detto: è probabilmente una razionalizzazione dovuta al consumo esagerato di vino in compagnia del figlio ciccione e violento di Boy George, una roba che ti gratta via sette anni di dosso) è che un mix fra la grammatica di Bianca e Bernie innestata a forza nel Johnny Cash pre-American Recordings e i pezzi anni ’90 su Silvia Baraldini ascoltati in cuffia guardando il remake di Oldboy al rallentatore. Il tutto ha quel sapore un po’ da rovina, quello dei personaggi che hanno avuto miglior fortuna in un altro tempo, tipo il Pomini o Benty. Immaginatevi tipo al college che dovete decidere se giocare a football americano con Succi & Dorella mentre gli stipendiati di Forza Italia urlano BASTA POLITICA VOGLIAMO LA FIGA o fondare un gruppo di psychedelia occulta sgarzolina con l’ammaliante Lisa Casali per suonare al Thalassa Festival.

A un certo punto la cosa cominciò a venir fuori, e ogni tanto arrivava gente – da Brooklyn, da Providence, da Gerusalemme – che arrivava e diceva: “Ma questa roba è meglio della Notte della Taranta! Bisogna farci un documentario! Bisogna farci un articolo! Bisogna farci uno speciale radiofonico! Bisogna farci un tweet!”. Ai tempi sembrò una specie di sabotaggio a freddo e il processo di rimozione collettiva è stato immediato e brutale. Arriverà un giorno, non so quando ma arriverà, che una guerra, la morte, o la muffa, o Apocalypse Disco di Balli Callahan, porranno fine a quelli che pubblicano foto del Pigneto su Instagram sognando una personale alla fondazione Tito Balestra. Voglio dire: non stiamo certo qui a farci le pippe come quel coglione di Benjamin sulla fame chimica, se non altro perché non l’abbiamo letto né abbiamo l’intenzione di farlo, ma siamo in molti, qui dentro, e siamo già in FOTTA e stiamo affilando le forchette per il prossimo sbrano post-giunto.

OT: vi siete mai fermati a riflettere che figata la storia di Barabba che sta nel vangelo? Quelle robe che piacciono ad Alberoni o ad Alborosie: gli Orchid presi a sassate al Palafiera di Forlì perché erano troppo SPEZZABOLGIA, Trucebaldazzi che urla di volersi scopare la propria madre durante un concerto all’Hanabi o quel che era, Matt Bayles che fa finta di suonare strumenti finti e di cantare in un linguaggio incomprensibile sopra un tappeto musicale da villaggio Alpitour, Justin Bieber rallentato a schiaffoni da Phil Anselmo, Papa Francesco che telefona a Burzum e lo nomina ambasciatore vaticano, Miss Violetta Beauregarde che ventila pubblicamente plagi della sua passera da parte di Beyoncé e Charlemagne Palestine si prende un libro sui templari in faccia da Baronciani. L’ho sognato o esiste/è esistito uno che si chiama Gesù? Non mi pare mi abbia mai mandato traffico. Non ho davvero qualcosa da dire su Gesù (è brutto ma c’è di peggio), ci sono inciampato l’altro giorno, ma mi fa piacere che in qualche modo esistano in una qualche forma il panda, le api, la democrazia, il dugongo, i negozi di dischi, le filarmoniche, il torrone morbido, l’apocalisse.

Michele Wad Colasanti è una delle maschere più tragicomiche della cristianità, il Gabriele Paolini della scena “backstage-hipster”, uno che vede nelle fiamme cose che poi puntualmente non si avverano e quando lui chiede perchè, si sente rispondere: “OAHAHAOA GAYNA P**C*****IIO PETTINATO!!!” e lui dice “ah ok”.

Che bomber il Colasanti oh. Continua a leggere

Quit The Doner

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“Quando i pesci grossi si annusano, le rispettive schiere di lacchè rimaste improvvisamente orfane di una guida fanno “sì sì” con la testa fra di loro e si scambiano biglietti da visita. Il designer è così: se non sta schizzando sedie a tre gambe su un foglio ti sta dando il suo biglietto da visita. Se non fa nessuna delle due cose è un fake o uno che lavora per l’Ikea. In mezzo a questo ufficio a cielo aperto del bar Basso c’è anche qualche free rider che se la spassa e prende per il culo un po’ tutti, e a quanto mi racconta Philippe, di solito sono proprio questi quelli che poi fanno le cose migliori.” (qui)

 

Cambiare idea è una cosa abbastanza fuori moda, sembra un concetto vintage che viene giù da un’epoca passata e misteriosa in cui ancora toccava zappare la terra –almeno il fine settimana- e le nostre mamme stendevano la piada a mano per tutta la famiglia (53 elementi). Quando leggi un pezzo e alla fine pensi “mi ha convinto”, hai sempre la sensazione di essere stato inculato. Ho qualche centinaio di following su facebook e twitter e quasi nessuno condivide un articolo dicendo “mi ha convinto”. La condividono tutti dicendo “ha detto benissimo quello che pensavo già” o “guardate quante castronerie in questo pezzo”. La condivisione è uno sport con regole abbastanza ferree e noiose, a meno che i giocatori non siano di livello.

Molto raramente, quando ti ostini a leggere riviste e siti internet, salta fuori uno tipo Quit The Doner. Quit The Doner è uno di quelli che non conoscevi (dopo qualche decennio a leggere riviste e siti internet, è un miracolo già di per sé) e con i quali sei sempre d’accordo e quando non lo sei ti convince del suo punto di vista. Quit The Doner lavora per Vice, Riders e Linkiesta, e ha un suo blog. La roba di Quit The Doner è una variante ideologicamente corretta di tutto quel sarcasmo ad ogni costo e di quella mentalità post-tutto o (wannabe) pre-tutto che è così facile leggere in giro.

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Perché Quit the Doner e non, boh, un nome di persona?

Perchè fino a questo momento non ci avevo mai pensato. Ottima idea in effetti. Sarebbe stato fantastico in effetti chiamarsi, che ne so, Eugenia Veltroni, però non ci ho pensato. Il nome deriva da quello del blog, che a sua volta deriva dal fatto che nel 2009 vivevo a Berlino e mangiavo una quantità smodata di kebab. A un certo punto ho incominciato ad avere male all’intestino, ma siccome bevevo anche un sacco di thè verde la prima cosa che ho pensato è stata “mh, dovrei smetterla con tutto questo thè verde”. Così ho smesso di bere thè ma il male non passava. Dopo due settimane senza the verde ho smesso anche di mangiare panini a base di carne priva di certificazioni sanitarie e sorprendentemente sono stato di nuovo bene.

Metti caso che io ora inizi a farti domande a scopo intervista: tu risponderesti o troveresti una scusa? 

Il fatto è che essendo un sfornatore di pipponi professionista tendo a non aggiugere meta-pipponi sui pipponi, ha un che di pornografico ma in senso negativo.

Forse condivido ma secondo me dovresti rispondermi comunque. La prima ragione è che se ti chiedessi di scrivere un pezzo per me mi sentirei una merda a non poterti pagare, e tu avresti la possibilità di non scriverlo, invece così ti faccio UN’INTERVISTA e in qualche modo TI PROMUOVO, aumenterò la tua VISIBILITA’ eccetera (tutte le corbellerie saranno scritte in caps lock d’ora in poi). Però in effetti non ti so dare una ragione per cui dovresti parlare con me, secondo me verrà fuori una roba interessante che avrà un suo senso. Ci provo.

La prima domanda vera su di te è chi sei e da dove vieni. sembra una domanda stupida ma di solito la gente che scrive questa roba e ti piace, non so come dire, la conosci tutta per qualche motive: ci scrivevi assieme su un sito nel 2002, la leggevi su una rivista, la conoscevi per certi posti comuni che frequentavate. Tu invece mi sei scoppiato dentro al cuore all’improvviso/all’improvviso e NON SO CHI SEI, mi fa stranissimo, so solo che sei di Bologna, nient’altro. Forse quindi la prima domanda non è “dimmi chi sei” ma “spiegami perchè non ti conosco personalmente”. 

Dunque, chi sono non ha molta importanza e soprattuto se te lo rivelassi manderei a puttane il mio core business che è fare da ufficiale di collegamento fra i forconi e il Bilderberg traducendo i piani per il nuovo ordine mondiale in improperi che anche un grillino deluso possa capire. Per questo sto studiando il linguaggio dei gesti.

Non mi conosci personalmente perché, escluse le persone con cui lavoro e qualche amico che stimo molto, non frequento molte persone che lavorano  nell’industria culturale o vi prestano volontariato in cambio di visibilità e denaro per Zuckerberg.  È la mia assicurazione sulla vita e sul mio lavoro. Credo che in Italia ci sia già un numero più che  sufficiente di autori ombelicali ed autoreferenziali che si citano a vicenda e non hanno un minimo di empatia con l’umanità e di onestà verso se stessi. Per questo cerco sempre di scrivere per le persone che abitano il mondo dove sono cresciuto, non quello dei vernissage o altre stronzate che mi danno l’orticaria. Ovviamente poi in tutti i campi ci sono anche persone per bene, persino nell’editoria, nel 2013 ne ho conosciute diverse. Il fatto è che il mio è un universo autosufficiente fatto da un lato dai libri che leggo, dall’altro dalle persone che la mattina vanno a fare lavori meno pretenziosi del mio.  All’ultimo vertice del triangolo ci sono i miei datori di lavoro, verso i quali cerco di essere leale come un samurai ma al tempo stesso chiedere sempre rispetto e retribuzioni dignitose. Questo diciamo è il triangolo del doner. Altro non mi serve. Scrivo molto anche perché non perdo tempo in stronzate.

Questa è la prima volta che guadagno punti-scena col fatto che per vivere vendo le sementi. comunque, dicevo, mi interessa il passaggio autori ombelicali ed autoreferenziali che si citano a vicenda e non hanno un minimo di empatia con l’umanità e di onestà verso sé stessi. A chi pensi quando mi scrivi questo? se non puoi rispondermi direttamente a chi, dimmi a cosa pensi. 

Penso che uno dei motivi per cui si vendono sempre meno libri e giornali è che spesso chi li scrive è scollato dalla realtà, chiuso in cerchie in cui piacere a questo o quel decisore è unanimemente considerato più importante che fare un buon lavoro. Penso a quanta gente passa la propria vita a costruire contatti e tagliare i ponti ai rivali invece che fare il proprio lavoro. Una vita d’inferno. Nessuna sorpresa poi che i risultati siano così modesti. È passata la mentalità, soprattutto fra i più giovani,  che l’importante non sia tanto fare un buon prodotto, metterci tutto se stessi (anche sbagliando qualche volta), quanto piuttosto ingraziarsi questa o quella persona più importante di te. Anzi, peggio ancora, siamo arrivati a una generazione che si prostra intellettualmente in cambio di visibilità o quattro soldi comunque insufficienti a vivere. Quando acconsenti a qualsiasi cosa in cambio di una cifra che non ti basta a sopravvivere puoi solo incominciare a scavare. Non hai manco più la giustificazione del “tengo famiglia”. La realtà è che questa mentalità è radicata quasi più nelle persone che scrivono che in quelle che poi devono prendere le decisioni. Uno dei tanti casi in cui i sudditi sono più realisti del re. Detto questo io non mi sento assolutamente quello che fa la cosa definitiva, anzi. Provo a fare il mio, cerco di farlo bene e assumere le cose in cui credo (o non credo) come metro ultimo del mio lavoro, è una questione assieme deontologica e di dignità personale. Cerco anche di divertirmi tutte le volte che mi è possibile, perché l’idea che non sei credibile se non sei una persona intimamente triste che si prende mostruosamente sul serio, credo sia l’ultimo rifugio della volontà di potenza dei mediocri. Da noi il trombonismo viene scambiato per serietà, per fortuna sempre meno spesso. Aggiungo però che ci sono anche molti ottimi professionisti in Italia, e in genere sono quelli che non si dedicano a tempo pieno alle guerre fra bande perché sanno di poter contare sul proprio lavoro per andare avanti. Ma mi stai facendo dire un sacco di cose serissime. Chiedimi qualcosa a cui possa rispondere con cazzi e vagine.

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Ma io in parte non so cosa dirti perchè scrivo per hobby (e quindi spesso gratis), in parte sono d’accordo con te, in parte mi preoccupo anche di più per questa cosa. C’è un sacco di gente che conosco, davvero parecchia, per la quale questa dinamica al ribasso è l’ambiente naturale in cui vivere. Per certi versi è anche strano star qui a darti ragione per una roba che quando ne parlo a chiunque altro vengo preso per un cretino o un comunista da operetta, che peraltro sono (da operetta, dico). 

La mia idea comunque è che la gente ci sguazza, in questa mentalità. Che la maggior parte della gente non si stia davvero auto-sabotando la prosa in cambio della pagnotta a fine mese, ma che semplicemente non abbiano voglia di sbattersi a fare pezzi di cui sarebbero capaci. È una mentalità tipo “giornalismo di serie A VS giornalismo di serie B”. Se la paga è di serie A, il pezzo dev’essere di serie B. Ben scritto e senza un guizzo. Se è di serie A il pezzo tocca accontarsi di una paga di serie B, tanti guizzi, zero contanti. E magari quelli che ce l’hanno fatta sono persone che avevano un blog in cui facevano le fiamme e ora compilano pezzi tutti uguali per chissà chi. Quindi la prossima domanda è se vedi una lucina alla fine del tunnel: cinque testate/siti in Italia che ti diverte leggere e magari pagano? me li sai dire?

Qui continuano a mancare le vagine, eh.  Comunque non sono del tutto d’accordo. Anche il giornalismo cosiddetto “serio”, se fatto bene implica un notevole grado di abilità e di impegno; sono standard e formule comunicative in cui puoi sempre metterci del tuo stando dentro il canone, non significa appiattirsi necessariamente sempre sulle solite tre o quattro formule del cazzo. Io ad esempio ho iniziato (e  scrivo ancora, anche) per giornali insospettabili e lo trovo stimolante. E ad ogni modo all’inizio un periodo in cui guadagni poco ci può stare ma devi usarlo per imparare e dare il meglio di te. E soprattutto, quando diventa chiaro (e fidati, diventa chiaro in fretta) che in un determinato ambiente lavorativo non andrai mai da nessuna parte, devi provare a cambiare. C’è anche un discorso di prospettive: ad oggi le assunzioni nei giornali stanno quasi a zero, e se qualcuno ti dovesse assumere non lo farà mai perché gli hai scritto 200 pezzi l’anno a 20 euro lordi per dieci anni (riconoscenza? Ahah), ma perché vede in te un valore aggiunto. Lo so per esperienza personale: anche io ho scritto per quelle cifre per un periodo mentre facevo altro, ma appena ho capito come girava il fumo ero sinceramente pronto a tornare a fare solo altro, i miei amici ricordano ancora bene quel periodo. Poi le cose sono andate diversamente, ma il punto è che in quel tempo morivo dentro ogni volta scrivevo un pezzo per cifre esigue (e comunque non ho mai toccato i vertici al ribasso della categoria), mi sentivo umiliato e mi vergognavo come un ladro. Un numero spropositato di persone invece trova perfettamente sensato prendere due noccioline e un calcio in culo  per scrivere semi-gratis su una testata che può giocarsi per fare il figo agli aperitivi, sai a tutti piace scopare con qualche ragazza che subisce il fascino di un principio di autorità aggiornato sugli standard salariali del 1988.

Siamo una generazione che ha abbandonato la dignità per abbracciare le velleità. Un misto di fashion decadente e autoassolutorio e retorica tardo-comunista per cui i soldi fanno schifo e tutti possono fare tutto fa lo stesso se ne nessuno ti paga. Finché ne hai di soldi, ovviamente.

Tu mi dirai “beh ma se uno sente che vuole fare quello altrimenti si farà di psicofarmaci?”. OK. Considera però due cose: 1. fare il giornalista non significa mica solo occuparsi di cose stra-interessanti. Nella maggior parte dei casi ti troverai ad intervistare un consigliere comunale semianalfabeta del movimento 5 stelle che ti dirà che le scie chimiche sono emanazione del fidanzato della Boldrini. Peggio, potresti trovarti ad inseguirlo. Peggio ancora questa storia farà sbavare il tuo caporedattore, che già visualizza la gente con profili lombrosiani che condivide migliaia di volte il pezzo sui social generando 5 euro di introito sui google ads. A questo non ci pensa mai nessuno perché sono tutti in modalità Watergate. Allora piuttosto che scrivere per quelle cifre e occuparsi di stronzate meglio farsi il proprio sito e prodursi le cose da soli. Tanto comunque dovrai fare un altro lavoro o (se puoi) farti dare i soldi dai tuoi, in entrambi i casi non vedo perché usare queste risorse per lavorare semi-gratis per qualcun’altro occupandosi del nulla. Oppure scrivi solo per divertimento ma allora è inutile stazionare per anni nel limbo inquinando il mercato. Oppure ancora hai veramente la vocazione e senti che sei disposto ad accettare qualsiasi cosa pur di fare quel mestiere lì, perché ti senti vivo solo se fai cronaca, ma quanti sono veramente le persone come queste? Esistono ma sono una minoranza sparuta. Quante sono quelle solo parcheggiate in attesa che passi la bufera  (spoiler allert: non passerà)? Molte di più.

Purtroppo questi sono discorsi che da fuori possono sembrare snobistici ma ti posso garantire che si vede subito se uno ha la stoffa, se sta copiando qualcuno o se ha qualcosa di interessante da dire, alle volte ci vuole tempo perché questo emerga ma in genere prima o poi succede. Per dire non è che se fai dei pezzi con gli screenshot di twitter allora vuol dire che sei Leonardo Bianchi, che è un mio amico e so il tipo di lavoro che fa e che si accollerebbero in pochi.  Oppure se dei miei pezzi vedi solo la battuta o la bottiglia di vodka che appare ogni tanto, beh, mi dispiace ma ti stai prendendo per il culo da solo e dovresti lavorare a costruirti uno stile tuo. Se vuoi posso dirti chi -dei giovani giornalisti web- fra dieci anni farà ancora questo mestiere,quando cioè i giornalisti professionisti saranno un quarto di quelli che ci sono oggi. Non ci vuole molto a capirlo. Altri ne emergeranno, altri invece staranno in una bottiglieria con un Mac aperto sperando che li veda più gente possibile. Questo al netto del fatto che se non godi almeno un po’ quando scrivi ci sono un sacco di altri lavori in giro per il mondo. Giornali che pagano, tutti bene o male pagano, ma bisogna vedere quanto riesci a farti dare, non sono un sindacalista e non ho un tariffario completo. In media però in ogni testata cartacea c’è gente che guadagna cifre che ti spaventerebbero e un sottoproletariato a mantenimento famigliare. Non sto dicendo che non sia dura perchè là fuori è durissima, ma anche la nostra generazione ha le sue responsabilità. Tipo intervistare gente come me.

Dicevo, INTERVISTARE gente come te lo faccio per tre motivi fondamentali che secondo me mi mettono al riparo dalle critiche. il primo motivo fondamentale è che di solito i posti come il mio fanno le INTERVISTE ai musicisti (gente che non ha cose da dire o dovrebbe dirle nei pezzi), il secondo è che -se non intervistassi la gente come te- l’unica altra scelta per me sarebbe intervistare qualche web-guru di merda che mi spiega come fare a migliorare un sito, cioè tipo questo (per dire un esempio di roba leggibile in un panorama di roba illeggibile). Il terzo motivo è che i motivi sono sempre tre, o in alternativa che la parola intervista in inglese si usa anche per dire colloquio, di lavoro intendo, e quindi di base questo scambio di mail è esplorativo e ha un’utilità personale che potrebbe esulare dal pubblicare o meno il pezzo che ne esce. La domanda logica in ogni caso è che sì, tu potresti dirmi quali e quindi dimmelo. Chi dei giovani giornalisti web farà questo lavoro tra dieci anni?

Era una battuta (ride)

Non voglio portare sfiga a gente che si fa un culo così tutti i giorni, per cui non posso fare nomi.

Per quanto riguarda quella cosa tremenda che hai linkato, il web è pieno di gente che si spaccia per esperta e fa di tutto tutto per ignorare palesemente che quello che fa la differenza è sempre il contenuto e prova a giustificare a tutti i costi ogni stortura della contemporaneità. La realtà è che se non hai contenuti non vai da nessuna parte, puoi mettere il titolo catchy che ti pare ma non ti si incula nessuno. Questa è gente che sarebbe in grado di sostenere che uno come Zero Calcare fa fantastiliardi di pagine visualizzate perché il suo blog ha un bella impaginazione. Sono fattori non irrilevanti ma molto meno importanti di quello che si crede normalmente, questo perchè secondo alcuni studi recenti l’essere umano, al contrario di alcuni social media manager, ha un cervello.

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Parliamo di figa, ora. Nella tua roba che ho letto c’è uno schema che mi piace: vai in un posto, descrivi un certo tipo di comportamenti, trai conclusioni. Da una parte c’è questo bisogno di realtà empirica che mi piace molto, dall’altra appunto l’idea che i comportamenti in generale denotano una forma mentis (che arriva alla fine del pezzo, magari). e quasi tutto ha un punto di vista inedito, o comunque sembra che ti scomodi solo se c’è da dire qualcosa che non puoi trovare negli altri pezzi che trovi in giro. è corretta l’analisi? è una cosa voluta?

Certo. Diciamo che io assieme alle testate per cui lavoro cerco di raccontare quello che normalmente rimane fuori dall’occhio dei media classici, o almeno quelli italiani che -come dicono gli stessi manuali dell’ordine dei giornalisti- sono ossessionati dalla politica interna e dai suoi retroscena. È una cosa interessante questa passione dei giornalisti italiani per gli arcana imperii, per molti vedi chiaramente che quello che li attrae nel gioco cinico del potere, più che la sua fondazione e I meccanismi del suo funzionamento è lo stargli vicini. Se io avessi una simile fascinazione per il potere politico punterei a fare il politico, non il giornalista, questo è un meccanismo mi ricoda un po’ chi non avendo alcun talento artistico finisce a fare l’agente di spettacolo. Non che il problema del potere politico non mi interessi, mi interessa eccome ma voglio vederlo sempre nel contesto della società in cui si inserisce e si sostanzia, non come rito chiuso e autosufficente, a meno che non stia sceneggiando “House of cards”, ma allora è un altro discorso. Quando un quotidiano che costa un euro e trenta fa dieci pagine di retroscena parlamentari in un’epoca come la nostra, sta voltando la schiena ai lettori. Due pagine sarebbero più che sufficenti e aiuterebbero i politici italiani a non sentirsi il centro del mondo ma una parte, in realtà sempre meno importante, di esso. Per il resto se mi mettessi anche io a fare retroscena politici andrei incontro a 3 problemi 1. non ne sarei capace, 2. c’è un sacco di gente che li farebbe comunque meglio di me, 3. capisco che entro certi limiti sia un servizio necessario ma a me interessa poco.  C’era e c’è, invece, tutto un enorme territorio pressoché vergine da esplorare, tutta quella parte d’Italia che abitiamo ogni giorno e che non viene mai fuori nei media a meno che qualcuno non getti una bambina in un pozzo e un carabiniere non stermini la sua famiglia perchè sua moglie Nunzia lo aveva lasciato per il salumiere. A me interessa tutto quello che sta nella terra di mezzo fra le dichiarazioni tutte uguali dei sottosegretari e i casi di cronaca morbosi. La vita umana, fondamentalmente. I periodici che fanno reportage li fanno brevissimi e non ritengono quasi mai interessanti cose che per me lo sono, e molto. Vent’anni di Berlusconismo e antiberlusconismo ci hanno consegnato l’assieme pregiudiziale che “la gente non capisce un cazzo” e quindi devi fare testi a prova di analfabeta di ritorno, anche quando hai delle professionalità notevoli a stipendio. Ovviamente è un cane che si morde la coda, a forza di trattare il pubblico come avesse la freschezza intellettuale di un distributore di merendine, questo incomincia effettivamente a rincoglionirsi. Sul long-form journalism la stampa italiana è tendenzialmente imbarazzante e forse l’unica cosa di cui sono effettivamente orgoglioso, parlando del mio lavoro, è di aver dimostrato che è possibile far leggere anche agli italiani testi semi-giornalistici lunghi, e ti dirò di più: testi lunghi su internet, che un anno fa era una cosa che nelle redazioni ti ridevano in faccia.

Lo so perché la faccia era la mia.

Al giornalismo comunque ho sempre preferito la letteratura, la filosofia e la comicità, e questo anche credo che traspaia dal mio lavoro, io infatti mi considero un giornalista per sbaglio e fino a un certo punto. Sono un autore prestato part-time ai reportage e alle opinioni giornalistiche e infatti nella parte del mio lavoro sotto la linea del web scrivo anche cose che non hanno nulla a che fare con il giornalismo. Non voglio in alcun modo far passare l’idea che tutto il giornalismo dovrebbe diventare una forma ibrida come quella che pratico io, ma sicuramente il giornalismo narrativo è una forma che in italia non ha avuto recentemente lo spazio che merita. Così come d’altro canto la narrativa pura ma basata su ricerche rigorose non trova grande spazio in una tradizione letteraria che ha sempre visto “il pensiero del genio autosufficente” come punto di riferimento con risultati sotto gli occhi di tutti. Qualcuno parlando del mio lavoro ha citato il Gonzo Journalism: mi fa ovviamente molto piacere, Hunter S. Thompson è un grandissimo scrittore, ma la verità è che io fino a quest’estate avevo letto solo Paura e Delirio a Las Vegas  e quasi una decina di anni fa. Il paragone per quanto lunsinghiero è la classica semplificazione giornalistica. Le mie vere ispirazioni sono altre, comici come Bill Hicks, George Carlin, Steven Wright, Charlie Brooker, autori poliedrici come Flaiano e Aaron Sorkin, o ancora il realismo a più voci di Irvine Welsh e David Simon. Inoltre sono laureato in filosofia e mi è sempre parso naturale fondere le mie conoscenze in questo campo con il giornalismo.  All’inizio del mio primo taccuino di lavoro avevo scritto una frase  di Foucault che da lì in poi ho sempre posto come stella polare del mio lavoro: “in un certo senso, noi non siamo altro che ciò che è stato detto detto da secoli, da mesi, da settimane“. Foucault praticava quello che è stato definito una sorta di “giornalismo filosofico”, indagava gli aspetti apparentemente insignificanti della storia per farli parlare, senza mai calare la soluzione dall’alto a priori. Nessuno prima di lui aveva pensato di studiare i regolamenti interni alle caserme o ai carceri, ma in realtà sono documenti che possono risultare più importanti di mille simposi di filosofia metafisica. Allo stesso modo io sono interessato alle piccole pratiche quotidiane di potere, all’ utilizzo delle parole e della lingua, ai metodi di aggregazione, agli universi simbolici che faccio interagire con un tessuto comico, una sottotrama che dialoga con gli assunti interpretativi del pezzo e genera uno storytelling dove la soggettività autorale risuona empaticamente con le forze emozionali che incontra. O almeno questo è quello che racconto agli editor per farmi dare dei soldi per la droga.

È strana questa percezione di internet come un posto che detesta il testo lungo, considerando anche il fatto che è l’unico posto dove lo spazio per un articolo non è un problema. Ma anche le gallerie a scorrimento con dieci foto uguali che hanno senso nella generazione degli ad e tutta quella roba lì, vabbè. Non so, c’è un modo per evitare il rincoglionimento magari? Io sono abbastanza intrigato dalla campagna abbonamenti ad elemosina del Manifesto, che vuol rimanere tutto bianco e formale e senza ad. Però insomma, non è un modello sostenibile. Tu che dici?

Gli auguro tutta la fortuna del mondo. Le persone devono capire che l’informazione e in generale i prodotti culturali vanno pagati. Anche su internet, per questo consiglio tra l’altro di sottoscrivere l’abbonamento volontario a Linkiesta che fa uno sforzo enorme per produrre giornalismo di qualità. Se non paghi o il prodotto sei tu o qualcun’altro sta pagando per te e allora è facile che prima o poi ti veicoli delle informazioni appositamente per i suoi scopi. Che poi è il motivo per cui i giganti monopolisti del web stanno investendo nell’editoria, stanno chiudendo il cerchio (per usare l’immagine di Dave Eggers in The Circle), e si apprestano a diventare la narrazione univoca del pianeta. Al netto delle gravi manchevolezze dei giornali italiani di cui parlavo qui sopra,  se tu consumatore non paghi, stai vendendo il tuo futuro ai grandi gruppi industriali e stai facendo ripiegare l’economia su se stessa, affamando chi contribuisce a rendere il mondo un posto un po’ più sopportabile -scrittori, artisti, musicisti, attori, registi eccetera. Certo c’è la crisi, ma un certo tipo di persona non ha alcun problema a spendere 4 o 5 euro per una birra, ma si guarda bene dal comprare i giornali o dei libri. È il modello di consumo ad essere cambiato, la wal-martizzazione della cultura. Ehi visto i dieci orsetti lavatori più buffi del mondo gratis su Facebook, questo appaga il mio bisogno di indagare il grande mistero dell’uomo e delle sue contraddizioni!Uno aveva degli occhiali da sole!

Senza informazioni  di qualità non puoi ambire ad altro che ad essere una pedina influente qualsiasi cosa tu faccia per vivere,  e senza intrattenimento ed arte di alto livello la vita è una landa ancora più triste e desolata di quello che già è. Internet ha portato la mentalità che tutto deve essere gratis e ha sostanzialmente ucciso l’industria culturale creando una generazione di schiavi che, come si diceva prima, spesso non combattono neppure contro questa condizione. Pagare un prodotto culturale significa non solo consentire standard qualtitativi più alti ma anche permettere a chi non è ricco di famiglia di esprimere le proprie capacità. È una questione di equità. Una buona idea è frutto di ricerca, anni di studio, tanto tanto lavoro, un po’ di talento e anche il tempo di lasciarla maturare, ma mentre pensi devi anche pagare le bollette. Ci sono tutta una serie di pregiudizi molto diffusi sul lavoro intellettuale (che non sarebbe “vero lavoro”, o la dannosissima retorica del talento vs etica del lavoro), che hanno contribuito a fissare i criteri della produttività intellettuale in termini puramente quantitativi. Anche la retorica del non professionista come regola è un disastro, non solo eticamente ma anche pragmaticamente perché non tiene presente che più fai una cosa più migliori nel farla, e comunque già in partenza devi avere una serie di competenze la cui acquisizione costa denaro. Il problema è che il tempo stesso oggi è denaro e di denaro grazie soprattutto a internet ce n’è sempre di meno. Il risultato è che si va a grandi passi verso una società acefala, con tecnici prestati part-time ai problemi culturali, persone che ovviamente non avranno le competenze necessarie per affrontarli tenendo conto di secoli e secoli di cultura umanistica. Siamo nel mezzo di un cambiamento epocale che dovrebbe essere oggetto di grande riflessione e invece è lasciato alla libertà di azione delle aziende del web, che agiscono seguendo i principi dell’anarco-capitalismo radicale. Non accettano altre regole se non le loro. Qui deve essere molto chiaro che una società costruita ad immagine e somiglianza degli ingegneri è un incubo distopico.

Pikkio Music Awards 2k13 (parte 1)

CIAO IO SONO DJ PIKKIO E BENVENUTI ALLA PRIMA EDIZIONE DEI PIKKIO MUSIC AWARDS! SONO ONORATO CHE FRANCIKEKKOBEGOLI DI BASTONATE HA VOLUTO PUBBLICARE I MIEI AWARDS QUI SU BASTONATE !!!

per leggere questo articolo si consiglia questo sottofondo musicale
 

Prima di spararvi banali classifiche ripercorriamo quest’anno 2k13 in musica, che ne vale proprio la pena! Voi penserete sicuramente “anno banale/le solite canzoni/ma che è/la mia giovinezza/bloating” invece è stato un anno specialissimo. Un anno di musica tipo cazzo all’indietro che si insticchia, cioè un cazzo che torna indietro e si rificca nello sticchio da dove era nato, forse per far morire tutti non riproducendosi più, oppure per generare una nuova vita nel mondo pre-vita che abbiamo sempre snobbato, ma che necessita ancora di tante scoperte e ascolti come dimostrano le tante troppe ristampe di cazzate tipo “mizzìo il prog cantautore italiano sconosicuto”. Attenzione questo cazzo insticchio2k13 non è retromaniaco piuttosto vuole rifugiarsi nel luogo della mente (che non ha spazio e tempo ma solamente KEK), questo si può anche evincere dalla forma caratteriale di 2013 che è molto “<==3” tipo aerodinamicità al contrario nel senso “sono aerodinamico solo dentro la mia mente non vi inculo de pezza CIAONE DOMANI” quindi si è proiettati verso il DOMANI da tanti ormai tragicamente disprezzato.

Guardatelo bene! <==3 è proprio lo specchio magico del più banale e volgare cazzo dritto 8==D  che invece va stupidamente diritto contro il muro dell’ottusità dell’oggi!!!!!

Il 2k13 musikale è un 2k13 che ci ha rivelato i segreti dell’HDLIFE, del post-apocalittico quello non sgothico orendo (che però non cessa di morire e condannandoci al living with sgothic, ma d’altronde la purezza e il bello assoluto non esistono e lo sgoth ce lo ricorda saggiamente), dello sgrattare la superficie del grattino, dell’esseri liberi da vincoli tipo “la glossa”, del potere mental, degli eccessi e irregolarità racchiusi in album pesanti (o leggeri) ma piuttosto megalomani e consapevoli del loro concetto di album dall’inizio alla fine. Questo avviene dopo anni in cui tutti si erano fissati con il “pop” o il formato “canzone singola” (compresi molti che leggono e scrivono qui dentro) o addirittura “la musica di genere” (tipo la famigerata musica AKTION) in un trip sbagliatissimo tutto loro, figlio magari di cacate sul mito dei 45 giri (cheppalle) o di youtube e la musica liquida. Sbagliatissimo perché mentre il 45 giri ti limita  a due canzonette, youtube soundcloud torrentz quel cazzo che vi pare non si limita per niente! il vostro limite è soltanto la banda larga e la vostra faaAntAasiAAA, anzi si presta a quelle operazioni qui già celebrate tipo “rumore di click del mouse per 2 ore in loop” o “la playlist infinita del mio amore gatto! ❤ “. Certo è tosta racchiudere in un album intero (e non in una raccolta canzoni tipo le mie meglio canzoni 2006-13) la propria ispirazione che si diluisce in mille cazzatielle, per questo a fare il DISCO DIO ci sono riusciti in pochi (ma ci sono riusciti al contrario di anni scivolosi tipo il 2011) e gli altri però ci si sono avvicinati con album altrettanto notevoli.

Nothing Is Real

Nothing Is Real

Insomma la prima parte di questo gigantesco e verboso Pikkio Music Awards 2k13 si conclude qui, era solo un intro. La seconda parte vi mostrerà le ben 20 microcategorie che rappresentano la segmentazione del mio cervello (e non del mercato, che è roba che non conosco), mentre la terza vi raccoglierà i veri SETTE+DUE DISCHI DIO DEL 2k13 QUELLI PROPRIO GLI ALBUM DA ASCOLTARE INTERI (e no non ci sarà manco l’ombra di una roba metal o hc, quindi potreste non leggermi più) CIAO A TUTTI !!!!!

Addio vecchio 2013, ciao 2014! Il libro dei fatti 2013: dischi, persone, golosità, stronze, chiesa di † SHAYTAN †

#IOSTOCONSATANA

#IOSTOCONSATANA

Firenze mare/Ridin on a wet night. Il 2013 è l’anno in cui sono diventato padre. È inoltre l’anno in cui ho perso un caro amico, e indossato per la prima volta i vestiti che avevo voglia di indossare, senza sentirmi giudicato. Tutte queste cose rendono il mio punto di vista avveduto e corretto, e a tutte queste cose sono ispirate le considerazioni di fine anno che ho condiviso con gli altri tizi di Bastonate (ho mandato una mail trenta secondi fa a FF dicendo che avrei pubblicato questo pezzo, senza specificarne il contenuto, e poi facendo gli auguri di buon anno), e che ho sviluppato partendo dalla frase

Il depressive black fuso col funeral doom

Che ho letto su Wikipedia oggi pomeriggio.  Considerazioni sull’anno appena trascorso.

 Evento morte-male dell’anno: probabilmente c’è stato di peggio, è vero, ma un po’ per pigrizia, un po’ per sincera indignazione, io voto per la stronza che ha scritto che è ok far male ai gattini per sperimentare le stronze medicine che l’avrebbero salvata, come se le vite umane valessero più di quelle animali, come se quella vita in particolare fosse rilevante, in qualche senso. Ok, ho detto qualcosa di pesante, ho detto che la vita umana non ha valore: ma a parte che

Il depressive black fuso col funeral doom

c’è anche da dire che io sono cattolico, e inoltre ho letto 143 libri dal 1993 a oggi, e quindi certe cose posso permettermi di dirle; voi, che cazz’è, siete comunisti e disprezzate tutto, vi mandate i gattini via facebook tutto il giorno, e d’improvviso vi sentite le lacrime agli occhi per una vita, una vita salvata, e soprattutto vi sentite pronti a prendere parte a un dibattito il cui senso profondo non è altro che

Il depressive black fuso col funeral doom,

o forse sì, c’è dell’altro, ed è il disperato bisogno di esistere in questo bacato mondo social che fa twittare per essere viral anche nel peggiore dei momenti. Esco fuori dalla metafora (perché non la capite; sempre che io abbia fatto una metafora, perché non ne sono certo) e dalla scrittura creativa di alto livello (perché non la meritate; a proposito, ho lasciato per ora a metà Doctor Sleep di Stephen King, se no stavamo a 144) e dichiaro che il punto non è neanche prendere una posizione – la questione è ovviamente controversa, piena di contraddizioni, amo le mucchine ma a mio figlio do gli omogeneizzati e altre banalità -, ma soltanto esprimere disprezzo e valanghe di merda per una sciocca provocazione. La RICERCA. Ma annate affanculo.

(Il depressive black fuso col funeral doom)

Insulto dell’anno: “cane fascista” detto al povero FF/kekko per aver scritto che il Criber è “brutto e stupido come suo padre” (cioè come il Faber). TROLOL dell’anno: l’avevo scritto io.

Genere musicale morte-male dell’anno: non so se è propriamente “dell’anno”, ma sto faticando a venire a patti con questa storia che il black metal sta diventando pian piano un genere per ragazze, prendi i Liturgy, prendi i Deafheaven che spopolano nelle classifiche di fine anno e osano addirittura una copertina rosa, con la parola “SOLE” dentro. La cosa che mi turba non è tanto il fatto in sé – la moda prima o poi si porta via tutto -, quanto il fatto che, così facendo, il black metal ne beneficia grandemente, così come il post-rock, così come lo shoegaze, tutti generi morti e senza speranza da dieci anni almeno, che adesso messi tutti insieme tutto sommato fanno dei bei dischi. Lo so, i veri duri non lo ammetteranno mai, black metal ist krieg ecc., e pure a me piacciono le bottone tranvatone tipo i grandiosi Black Faith che – lo ricordo, perché ai più giustamente è sfuggito, mi hanno sfanculato su queste pagine perché volevo scriverne bene (avevano ragione loro: io sono un cazzone coi chinos che abbina i colori, e bestemmiare la Madonna non mi renderà una persona migliore) -, ma in fin dei conti, questa è grande musica, nonostante i tagli di capelli, nonostante

Il depressive black fuso col funeral doom.

Altri dischi dell’anno (tutti grossomodo ascoltati tra Santo Stefano e oggi): il disco dei Lumbar, dummone così dummone che non credevo nemmeno esistesse più; Castevet, una cafonata black/hardcore; Power Trip, un’altra cafonata; direi anche The Underground Resistance dei Darkthrone; e basta, perché tutte queste cose hard-metal le sto dicendo per essere bastonatamente rispettabile, mentre la verità è che amo e adoro, sono pazzo di Muchacho di Phosphorescent, un cazzone hipster che dovrei detestare e invece amo perché, con quest’album, ha abbandonato il pallido country-folk che faceva prima, producendo un capolavoro di synth-stupid pop vendittiano, un album di ballate patetiche e strappalacrime, Ride On/Right On è la sua Comunista al sole e una canzone toccante come Song for Zula non la sentivamo dai tempi di Miraggi. Poi per quell’aria Bret Easton Ellis non mi dispiace neanche l’album di Sky Ferreira, ma non l’ho veramente sentito; e quello di Kanye West, e Lorde, e Josh Ritter, e Vanessa Paradis, e il Criber e Samuele Bersani e

Il depressive black fuso col funeral doom.

Altre categorie:

attività-morte/tristezza dell’anno: l’editoria, soprattutto in Italia, soprattutto dopo l’affermarsi della categoria “prodotto culturale”

momento-mentecatto dell’anno: l’ideazione e la messa in atto (#psicanalisi) di Masterpiece

E, per un momento di benessere e serenità:

canzone dell’anno: Kathleen di Josh Ritter nella particolare versione suonata da me con una vecchia chitarra classica scordata, che il mio figlietto di sette mesi sembra amare molto ❤

PS – No, scherzavo, Bersani non mi piace, Bersani è una mignottopalla come poche altre cose. L’ho sentito da Fazio poco fa. Che palle, ancora con gli antidepressivi, ancora con la psicanalisi. Per il 2014,  non chiedo che poche cose, la fine dei social, la fine de quelli che vanno dallo psicologo e poi dopo un po’ stanno meglio e allora vanno in botta di psicanalisi e vivono tutto psicanalicamente, psicanalizzando tutto, innamorandosi di se stessi. Chiedo cose da nulla, insomma. Magari un tour dei Lumbar.

DISCHI 2013 (Lista)

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Dopo il turno del boss, tocca a noi umili e modesti scribacchini sottoposti piegati su briciole di miseria. Come scriveva nell’articolo, dato per assodato che del bruttissimo Rover ce ne siamo fortunatamente scordati e che pure l’onnipresenza fastidiosa sui social network di Deafheaven e Civati ne avrà per poco più, passiamo al listozzo (ottimizzato per il massimo disagio):

1) Dean Blunt – The Redemeer (Hippos In Tanks)
2) Oneohtrix Point Never – R Plus Seven (Warp)
3) DJ Sprinkles – Queerifications & Ruins (Mule Musiq)
4) Mika Vainio & Joachim Nordwall – Monstrance (Touch)
5) James Ferraro – NYC, Hell 3:00 AM (Hippos In Tanks)
6) Orlando Voorn – Divine Intervention (Subwax Excursions)
7) Call Back The Giants – The Marianne (Kye)
8) Autechre – Exai / L-Event (Warp)
9) Mazzy Star – Seasons Of Your Day (Rhymes Of An Hour)
10) William Basinski – Nocturnes (2062)

Ora io capisco benissimo che la Hippos In Tanks ormai è un simulacro per noi provinciali e che a NY è già una cosa antica da sfigati, che laggiù, dove le cose contano, pure sta cosa che il lo-fi è l’aldilà del HD 1080p si è già consumata, oltretutto sto disco di Dean Blunt ha fatto schifo un po’ a tutti, ma se è vero che nel nostro tempo le ombre valgono più degli oggetti che le riflettono non si può far finta di nulla davanti a Blunt che fa una cosa tipo gli Half Japanese dell’iperrealismo e della pupilla dilatata, o i Tindersticks che sostituiscono l’eleganza col Walmart. Di Ferraro si lamentano tutti da dopo prese quel primo posto su Wire con Far Side Virtual, ha fatto poi un disco carino ma imperfetto come Sushi, una cacata come Cold e quell’altra pure peggio a nome Bodyguard, ora ne fa una simile ma per un qualche motivo bellissima, un grande field recording su tutte le cose che (non) accadono in città, tra spettri di soul magestito e decadenza termoidraulica. Su tinymixtapes.com lo descrivono così: “1) Vaguely misanthropic reflections autotune’d over slo-mo campus-trap elegies; 2) Droning Juno treatments backdropping the distorted groans of an errant sampler processing jazz melodies; 3) Non-sequitur‎ streetlife collage, i.e., found sounds (anxious/aggressive animals; traffic noise; feet, props, and cloth), surveillance audio, 9/11 news reports, cinematic dialogue, soul snippets; 4) Mellow smooth industrial ambient, i.e., the ambient strategy of meshing environment and mood, animated by the industrial insight that scrambled thought patterns, limit states, and broken syntax hold the keys to what Throbbing Gristle once called post-psychedelic trash”. Ok.
Vainio fa forse il suo disco più ROCK di sempre ma che in realtà, fortunatamente, di rock non ha nulla, almeno esteticamente, a parte un feedback psichico lungo una vita. Un disco sanguinoso che pare uscito dal 2002, commovente come poche altre cose in questi anni a patto di sopportare di Vainio la tentazione alla danger music. Sprinkles raccoglie roba, come al solito stanze vuote che si accendono a larghe intermittenze e lacrime lacrime lacrime (3 volte). Call Back The Giants è il progetto di Goss degli Shadow Ring, Marianna più compatta e normcore in senso strettamente droning rispetto alle stranezze neo-kosmische di Rising del 2011. Su Autechre e gli altri è stato detto praticamente tutto, L-Event compensa di giustezza alcune divagazioni un filo troppo narrative di Exai, facendo quadrare tutto alla perfezione con un calcio nello stinco. Mazzy Star disco TUTTO FA PIANGERE dell’anno e Basinski citato per il rispetto massimo, Nocturnes non è ovviamente i Disintegration Loops ma è come leggersi tutto Differenza e ripetizione mentre si dorme accasciati sulla tastiera. Grazie e scusate dell’uso privatistico della pagina.

Compila dell’anno: I Am The Center: Private Issue New Age In America, 1950-1990. Singolo dell’anno: King Of Everything di Boy George. EP dell’anno: Silver Cloud di Actress, sia in versione reale che in quella velocizzata che si trova sui p2p, bello uguale e Voodoo Posse Chronic Illusion manifesto generazionale a partire dal titolo. Fuori di poco: Kanye West che fa il disco CHIAMARSI BOMBER della situazione, grande allucinazione smartphone-mania pure il video di Bound 2 che si prende pure il premio di video dell’anno, davanti ad OPN + Jon Rafman. Dischi semi-moda che non ascolterò mai in vita mia e di cui parlerò male a prescindere: Tim Hecker, Haxan Cloak e Jon Hopkins.