L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 12-18 dicembre 2011

Marco Fiorito conosciuto come Kaos One, Don Kaos, Dottor K o più semplicemente Kaos (Caserta, 1971) è un rapper, beatmaker, writer e breaker italiano, ha cominciato la propria carriera già nel 1985, dapprima come ballerino di breakdance e writer, poi come MC, in inglese ed in italiano.

 
Se rientrate nella cerchia dei maniaci degli onanisti strumentali con cognoni italiani ridicoli questa è la serata per voi: Al Di Meola al Teatro delle Celebrazioni, e via andare. Per tutti gli altri il poppettaro doityourself canadese Pat Jordache al Clandestino (gratis dalle 22.30). Martedì se anche a voi come a me manca mone per il Soweto Gospel Choir al Teatro EuropAuditorium, ma anche se il grano invece ce l’avete, date retta a me: Burial Hex all’Elastico (dalle 20, gratis), e i neuroni diventeranno qualcosa di non più necessario. Mercoledì ultimo fumettistico MeryXM per il 2011, altrimenti Thrashfest all’Estragon con Mortal Sin, Heathen, Destruction, Exodus e tre brasiliani e un negro che si ostinano ad andare in giro pretendendo di chiamarsi Sepultura (però a ‘sto giro fanno solo pezzi da Beneath The Remains, Arise e Chaos A.D.); il massacro inizia alle 18.30 e costa trenta euri. Giovedì Musica Da Cucina all’Elastico oppure se vi sentite introspettivi Damon & Naomi con Richard Youngs di spalla al Bronson (21.30, dodici euro). Venerdì c’è Kaos al Sottotetto (più altri rapper inutili – vedi flyer – dalle 22, dieci euro più tessera del locale che dovrebbe essere altri cinque euro, ma potrei sbagliarmi), altrimenti prima serata della Festa Pagana all’XM24 solo concerti, headliner i blackster transilvani Negura Bunget (dalle 22, quattro euro, flyer da urlo, più del solito), o ancora Z’EV e gli amici al Bartleby (per il flyer vedi sotto). Sabato Festa Pagana però con anche djset, celebrazione di matrimoni, mangiafuoco, gnomi, tizi che si appendono e tutto il resto; se ci siete rimasti sotto venerdì, Z’EV replica al Clandestino (22, gratis). Domenica Paolo Fresu in solo al Teatro delle Celebrazioni. Consigli? Critiche? Pacchi bomba? Minacce di morte? lagendinadeiconcerti(at)gmail(dot)com

 

Tanto se ribeccamo (speciale crossover): BIOHAZARD

i cornas

Nel ’96 esce il capolavoro dei Biohazard: si chiama Mata Leao ed è inciso per la prima volta da una formazione a tre. Il disco precedente era poco meno bello, giusto un po’ più figlio dei suoi tempi: State of the World Address, un milione di copie vendute, i video girati in mezzo alla loro ballotta con i membri della band in canotta che urlavano contro la telecamera. I Biohazard per certi versi sono l’acme artistico di una tutta una sottocultura di fetenti in canotta che cantano canzoni sul non farsi mettere i piedi in testa anche se ogni sera i poliziotti ti fermano e cercano una scusa per pestarti. La loro musica è un ibrido rap-metal-hardcore che nel ’96 è già vecchio stampo. Il gruppo ha già subito un grosso trauma: il chitarrista Bobby Hambel ha mollato prima delle sessions, da cui l’esigenza di tornare a un suono più asciutto e scarno. La band assumerà poi Rob Echeverria (Rest In Pieces e persino Helmet, dopo la defezione di Peter Mengede) come secondo chitarrista. Il tour europeo va benissimo: in mezzo c’è una data in Germania: un fonico si offre per registrare la performance e il disco verrà pubblicato senza metterci mano con il titolo No Holds Barred (per Roadrunner, l’etichetta che aveva pubblicato Urban Discipline). Dice che quando uno di questi gruppi pubblica il live significa che è finita: non fanno eccezione i Biohazard. Il disco successivo si chiama New World Disorder ed esce su Mercury nel 1999. Puro pilota automatico: recupera le sonorità più cafone e heavy metal di State of the World Address, le affoga in un bagno di violenza e tira come un treno dall’inizio alla fine. Il crossover in questo periodo vive una fase di stravolgimenti continui e continue ibridazioni che cercano d’incrociare ogni genere musicale esistente quanto più alla cazzo di cane sia possibile (gli scempi più divertenti sono quelli etno-metal di Puya, Soulfly etc e le sedicimila declinazioni tecno, tutte da dare alle fiamme a parte i Pitchshifter): l’opinione comune vuole i Biohazard come una sorta di fascisti sonori, reazionari del rapmetal di dodici anni prima che cercano di tirare a campare; il disco tuttavia ci fa la figura di una ventata d’aria fresca e ancora oggi passa nel lettore che è un piacere. Mentre la band lo incide, tuttavia, Evan Seinfeld è sulla rampa di lancio di una carriera da attore. In realtà l’unico ruolo di rilievo è quello di un carcerato di nome Jayz Hoyt in Oz. Non sono ancora arrivato al suo ingresso, ma credo di aver capito che interpreti il capo di una gang di biker nazisti (Evan Seinfeld è ebreo, c’ha pure una stella di David tatuata addosso). In quel ruolo viene notato da Tera Patrick, che lo contatta e diventa la sua fidanzata. Con lei al fianco diventerà una sorta di celebrità del porno USA: attore, regista e sceneggiatore di film di buon successo sotto lo pseudonimo Spyder Jonez e a nome proprio. Nel frattempo la band è arrivata al capolinea, ma fa finta di no. Mercury li molla a brevissimo e il gruppo firma con Sanctuary (USA) e SPV/Steamhammer (Europa). Le label degli ex-grandi gruppi in disuso per eccellenza, se servissero conferme sullo stato di salute del gruppo. Billy Graziadei e Danny Schuler approfittano della pausa del gruppo per ristrutturare la loro sala prove e renderla uno studio di registrazione professionale, nel quale incideranno il successivo Uncivilization. L’andamento del mercato impone di realizzare il loro disco più “crossover” ed eterogeneo, un pasticciaccio brutto senza identità che in mancanza di materiale su cui lavorare (i Biohazard sono quelli di State of the World Address e Mata Leao, punto e basta) cede alla moda imperante dei guest-starring chiamando a raccolta un artista diverso in ogni pezzo, a partire dall’amico di sempre Peter Steele per arrivare ad Agnostic Front, Phil Anselmo, Jamey Jasta, Skarhead eccetera. Il disco non impressiona nessuno, il gruppo ne esce con le ossa rotte. Si rifarà vivo un paio d’anni dopo con Kill Or Be Killed, roba che solo a vedere la tracklist si capisce come suona (basta il titolo, in effetti, che tra l’altro era stato annunciato essere Never Forgive Never Forget, e magari cambiato per non suggerire ai fan cosa pensare degli ultimi due anni di attività della band). Un mea culpa grande come una casa, totalmente fuori tempo massimo e bruciato dalla prima all’ultima nota (sempre meglio che il disco prima, in ogni caso). A questo punto è davvero finito tutto. La band perde il master di un disco chiamato Means to an End, lo ri-registra e lo fa uscire dichiarando che sarà l’ultimo disco a nome Biohazard. Danny Schuler esce dal gruppo, il quale dichiara lo scioglimento prima di imbarcarsi per il tour. È l’inizio del 2006 e la triste fine di un gruppo che a metà degli anni novanta poteva essere tranquillamente la tua vita.

Due anni dopo c’è un reunion tour per celebrare il ventennale della band, seguito da un giro per i festival estivi l’anno successivo in formazione storica al gran completo (Bobby Hambel alla seconda chitarra). La band ha anche registrato un disco nuovo, che dovrebbe –prima o poi- uscire e di cui per ora sappiamo solo essere dedicato a Peter Steele. Considerato che nel 2007 è uscito un live, la percezione generale è che i Biohazard non si siano mai tolti veramente dalle palle. Evan Seinfeld e Tera Patrick hanno divorziato, ma a quanto pare continuano a lavorare insieme. Che credo si dica scopamici.

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 18-24 aprile 2011

ebbene sì, è giunto il momento

ATTENZIONE: il concerto di Soilent Green + Today Is The Day previsto per oggi al Sottotetto è stato ANNULLATO. Bestemmie a iosa, oltre allo sgomento di chi già si pregustava un buon cilotto sdruso di bella con la colonna sonora appropriata anche in un fiacco lunedì sera dove di solito non c’è un cazzo, e infatti non c’è un cazzo. Se non altro si arriverà meno poveri a martedì per gli Obituary (o meglio, 3/5 degli Obituary) in data unica all’Estragon con Grave e Pathology di spalla (dalle 21.30, ventotto euro); ce la si cava con meno euri al Nuovo Lazzaretto (che in attesa della nuova sede rimane aperto ad oltranza) con gli Atlas Losing Grip del baffuto Rodrigo Alfaro, di spalla Linterno, Altre di B e Protection Zero. Dalle 22.
Mercoledì gran macello, peraltro gratis, all’XM24 (potete leggere tutto il bendidio Qui); giovedì thrash metal revival fattanza al Nuovo Lazzaretto con i Darkness tedeschi in tour d’addio (aprono gli speculari Eure Erben, oltre a War-Head, Reanimaniacs e Carlos Dunga. Dalle 22). Venerdì si recupera la cillata persa ai Soilent Green con Weedeater + Zoroaster al Bronson (dalle 21.30, dodici euro). Sabato a parte Busta Rhymes al Vox di Nonantola per ora la vedo grigia; domenica si festeggia la resurrezione di Cristo con un bel concertino spaccaorecchie all’XM24, o con i Master all’Onirica a Parma.

Quella volta che mi son visto gli Slayer al cine

Beh, niente. Arrivo che gli Anthrax hanno già finito, perché io HO UNA VITA e qua iniziava tutto alle sette. Naturalmente sono solo: delle due persone a cui l’ho chiesto una è una conoscenza casualissima e l’altro è sposato con figli. Sono vestito come un diciassettenne, ovviamente un diciassettenne dell’anno in cui avevo diciassette anni: pantaloncini militareggianti larghissimi, felpa con cappuccio, un paio di Adidas bianche. Se avessi senso dell’umorismo mi piacerebbe notare che in realtà mi vesto così praticamente SEMPRE, quando inizia a essere abbastanza caldo per i pantaloncini. Alla cassa chiedono quindici euro. Mi chiedono se ho meno di venticinque anni. No, tra l’altro non sembra nemmeno –almeno credo. La cassiera è attempata. Ora tocca ai Megadeth, poi agli Slayer e infine ai Metallica. Quindici euro sarebbe una bazza assoluta, ma il concerto in realtà è a Sofia e qui siamo al cinema Eliseo di Cesena FC. La serata è parte di una serie di proiezioni in tempo reale in tutta Italia (i cinema aderenti) e probabilmente la prima volta in cui è possibile spararsi il concerto di quattro gruppi fighi via satellite in una sala con il dolby e i volumi sparati a manetta. Può starci, dico. Quindici euro in cambio di essere il primo uomo (insieme ad altri tot-mila, suppongo) a varcare la cazzo di ultima frontiera. Abbozzo, entro in sala, ho portato una moretti da casa perché in fin dei conti dio cristo è UN FESTIVAL e non voglio comprarmi la budweiser 33cl a settemila euro del bar del cine. O sì, dipende da quanto mi dura la moretti, giustappunto.
I Megadeth fanno schifo, o forse è solo che fanno schifo a me. Mai cagati i Megadeth, mi piacciono certe cose tipo Rust In Peace perché l’ho ascoltato in tempi non sospetti. Poi Mustaine ha un camicione bianco terribile e l’audio è equalizzato di merda, si sentono solo le chitarre altissime con la voce totalmente affogata e il basso che per quanto si sente l’avrei potuto suonare io davanti allo schermo. Un po’ di batteria. Non saprei dire se è colpa del cine o di chi trasmette o di chi altri. Di Megadeth non c’è più di mezzoretta, btw, poi uno spot e salgono sul palco gli Slayer. Tu immaginati cosa possono essere gli Slayer con le chitarre che coprono tutto il resto a parte un briciolo di batteria. La gente è DEVASTATA, un paio di metallari con addosso gli anni che ho io (e vestiti ancora più ridicoli di me) iniziano a fare mosh e salire sulle sedie e prendersi benissimo. Jeff Hanneman è il più grande chitarrista della storia. La situazione svacca totalmente quando si arriva a cose ingestibili tipo Raining Blood, poi il concerto finisce. Sono combattuto in merito al fatto di vedere i Metallica o meno, sai i Metallica etc. Decido di rimanere perché ho pagato quindici euro e nel giro di due pezzi son contento. Sul finale c’è un jammone allucinante con tutti che salgono e suonano una roba. È divertente. La gente s’è presa bene, i fan dei Metallica han fatto i fan dei Metallica e tutti s’abbracciano. Esco dal cine a un orario abbastanza decente per andare a spararmi una birra in solitaria –sfigato per sfigato, tanto vale andare a letto sbronzi.

Il 6 luglio i Big 4 (non è quel che penso, è proprio il nome del tour) suoneranno a Milano per la non imbarazzantissima cifra di 65 euro. Troverò una scusa per non andare, ma costano meno loro quattro insieme della reunion dei System of a Down, per dire.

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 13-19 dicembre

Le vacanze di Natale si avvicinano per tutti e di conseguenza anche i concerti diminuiscono. Questa sera per esempio c’è soltanto il pornesco Ludovico Einaudi all’Arena del Sole, per i più facoltosi; tutti gli altri si attaccano al cazzo. Domani chi non sarà a Roma a farsi massacrare di legnate dagli sbirri potrà scegliere tra una rosa di alternative: i Nomadi all’Europauditorium (non ho neanche controllato prezzi e orari perché il rischio di trovarci un esercito di baciapile lobotomizzati agghiaccianti è più alto che a un intero tour dei Gen Rosso, quindi personalmente preferisco evitare), sbronzarsi da qualche parte a caso fino al coma etilico, emigrare o togliersi la vita direttamente in maniera rocambolesca.
Mercoledì serata indimenticabile per le teste metal ricche: all’Estragon dalle 19.30 uno dopo l’altro Suicidal Angels, Death Angel, Exodus e Kreator in trip revivalistico spinto dei magici anni ottanta thrash metal a base di cascate di riff taglienti e pulitissimi, cambi di tempo a strafottere, latrati da bastardino con la raucedine, scarpe da ginnastica bianche, jeans strizzapalle e giubbetti con tante tante tante toppe di gruppi impresentabili. All’entrata vi verrà chiesto di recitare a memoria un testo a caso dal primo dei D.R.I., e se non lo sapete cazzi vostri. Alla faccia della crisi, il biglietto costa trentotto euro. C’è anche un’installazione muy muy intellettuale al Raum, nel caso non ve ne fregasse nulla di ascelle puzzolenti, rutti, bestemmie e gnomi tedeschi vecchi e incazzati.
Giovedì allo Scalo San Donato ci sarà la cena elettorale di Willie Sindaco (tutte le informazioni cliccando sul link); mentre per i più ardimentosi e in generale i veri rockers che settimana scorsa non hanno ritenuto opportuno cacciare la lira per vederli in mezzo a una pletora di fiacchi che ossequiavano Joe Strummer, Lilith and the Sinnersaints a Piacenza (tutte le informazioni nel link). Venerdì 17 (grattata di coglioni di prammatica) l’overdose: Lydia Lunch al Velvet, Ufomammut + Morkobot + OvO al Bronson, OTR semi-reunion (manca più di metà della crew originaria) al Sottotetto, e per gli sbarazzini della notte Dave Clarke al Kindergarten, Ralf al Cassero (ingresso otto euro!) e i PastaBoys al Suono, oltre all’obbligatorio Decadence pre-natalizio. Comunque vada cercate di conservare energie per la Festa Pagana di sabato 18 all’XM24, perché sarà lì il carnevale vero. Tanto più che domenica doveva esserci Lydia Lunch al Nuovo Lazzaretto (potevano metterla in uno sgabuzzino già che c’erano) ma il concerto è stato saggiamente dirottato a Treviso, e di andare a morire di caldo nella sauna del Locomotiv per i Mahjongg non ne abbiamo voglia un cazzo.

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 4-10 ottobre

Celebrate.

 
Oggi è San Petronio. Si potrà festeggiare il patrono della nostra città con una bella gita fuori porta verso sera, magari in direzione Faenza, magari verso il Clandestino, dove intorno alle 22 suonerà (gratis) Liz Green. Comunque in giro non c’è altro. Martedì la scelta è tra farsi triturare i maroni e/o entrare in coma profondo al Covo con le Amiina (dalle 22.30, come consuetudine il prezzo non è dato saperlo ma così a naso sarà sui quindici) oppure spaccare o farsi spaccare le rotule in mezzo al pogo al suono degli arroganti Far From Finished da Boston (dunque menate irlandesi di contorno assicurate) + Kidnappers, Linterno e Le Altre di B (complimenti per il nome ragazzi…): inizio ore 22, prezzi politici. Importante: il concerto avrebbe dovuto tenersi al Blogos ma è stato poi ricollocato al Nuovo Lazzaretto.
Mercoledì dovevano esserci i Uochi Toki gratis all’XM24 ma settimana scorsa è venuto un coccolone al povero Stefano Padovano proprio davanti ai cancelli e il concerto (come del resto tutte le altre iniziative previste nei prossimi 15 giorni) è stato ANNULLATO. Al Nuovo Lazzaretto è ancora tempo di punk rock lercio e malmostoso con i Bulemics; doveva esserci anche quella vecchia scorreggia di Sonny Vincent ma ora non si sa più. Lo scopriremo solo presentandoci in loco dalle 21.30 (il prezzo lo ignoro). Per chi vuole spezzare gli ossicini a qualche moccioso a caro prezzo, all’Estragon per venti euro vi beccate August Burns Red e un altro paio di gruppacci metalcore tutti identici con pettinature orribili e tatuaggi anche nel buco del culo. Dalle 20.
Giovedì calma piatta: potrebbe essere una buona occasione per sconfinare in territorio straniero, per la precisione all’Extra di Recanati, dove suonano gli Shellac accompagnati dai Bellini (dalle 22, diciotto euro). Entrambe le compagini saranno anche venerdì 8 al Locomotiv, stesso orario e stesso prezzo, solo a temperature equatoriali e volume minimo; le medesime condizioni ambientali che si potranno riscontrare, parallelamente, al Nuovo Lazzaretto per Lipstick Vibrators (zozzoni francesi punk rock) e Postalmarket Babies (dalle 22, cinque euro). Comunque vada, poi tutti al SynkLab a drogarsi al suono delle pulsazioni minimal-ignoranti del grande Danilo Vigorito (dalle 24 a oltranza).
Sabato 9 poi ce n’è per tutti i gusti: i nostalgici del post-punk troveranno pane per i loro denti al Farm con i rigidissimi Soviet Soviet (articamente boreali già dal nome), burloni e rednecks tutti all’Estragon per gli Hayseed Dixie (dalle 22, quindici euro), per i thrashers di sedici anni che si vestono come ritardati degli anni ottanta c’è il festival thrash metal a Comacchio, per gli amanti del trash e i rottinculo Immanuel Casto al Locomotiv (dalle 22.30, dodici euro), per i turisti della musica elettronica e i fighetti che la musica elettronica non sanno neanche dove sta di casa Digitalism al Kindergarten.
Domenica si potrebbe pure andare a fare del sano melodic death metal reducismo alla vecchia con i Dark Tranquillity all’Estragon, ma il prezzo un po’ ci blocca: ventisei euro, e ai dischi dopo Damage Done non ho voluto avvicinarmi nemmeno con un palo lungo 30 metri… forse è meglio tenersi i ricordi…

Gruppi con nomi stupidi: HAYAINO DAISUKI

Heilige!!!

 
Letteralmente “hayaino daisuki” significa “io amo la velocità” in giapponese. Ma “amare” non basta per rendere in italiano il termine “daisuki“: Daisuki significa ‘amore’ nel modo in cui una ragazzina di sedici anni ‘ama’ Brad Pitt. A fornire la spiegazione è Jon Chang, ex vocalist degli indimenticati Discordance Axis (una delle formazioni capitali se si vuole tentare di comprendere che cosa è diventato il grindcore nel terzo millennio), ora alla guida dei (se possibile ancora più schizzati) Gridlink; dai Gridlink provengono 3/4 degli Hayaino Daisuki (nello specifico, oltre a Chang, il virtuoso chitarrista Takafumi Matsubara già alla guida dei geniali Mortalized, e Teddy Patterson III, occhialuto bassista a quattrocento corde di Human Remains prima e Burnt By The Sun poi), alla batteria c’è una piovra schizofrenica che risponde al nome di Eric Schnee.  Non esistono foto degli Hayaino Daisuki; gli unici scatti ufficiali in circolazione (sul loro ultraminimale myspace e nella copertina del loro primo EP) ritraggono quattro ragazze che imitano varie pose degli Slayer periodo Show No Mercy-Hell Awaits-Reign In Blood. In quattro anni gli Hayaino Daisuki hanno registrato venticinque minuti scarsi di musica: in tutto otto canzoni distribuite in due EP dai titoli wertmülleriani, Headbanger’s Karaoke Club Dangerous Fire (2008) e il recentissimo Invincible Gate Mind of the Infernal Fire Hell, or Did You Mean Hawaii Daisuki?  Entrambi i dischi vengono pubblicati dalla stilosa HydraHead del grafico Aaron Turner in confezioni DVD superlusso con inclusa manicomiale fanzine (con contributi anche di rinomati disegnatori orientali – parte dell’artwork dell’ultimo è opera di Stan Sakai). Detta così sembra un’irredimibile menata per relitti universitari con gli occhiali fanatici del metallo peNsante e/o avanzi da fumetteria obesi che fregano la pensione alla nonna per andarsi a comprare l’ultima action figure di Todd McFarlane, invece, merda, i dischi degli Hayaino Daisuki sono divertenti, che si sia passata una vita ad ascoltare metal o che si ignori bellamente l’argomento, l’effetto è lo stesso: si esce come dopo aver aspirato dell’elio da un palloncino, bevuto sedici caffè, fatto quaranta giri sulle montagne russe e infine diviso un flacone di amfetamine con la mamma di Requiem for a Dream. Assoli al fulmicotone da guitar hero epilettico in una sala giochi di Tokyo, strilli acutissimi (di Chang e diversi guest più o meno influenti) da maiale bastonato a morte, una sezione ritmica che fa più danni di un carico di rulli compressori su un treno merci senza pilota lanciato a 300 kilometri all’ora contro un asilo nido, il tutto condito da deliranti liriche in giapponese stretto e un senso di frenesia da kamikaze preso bene che è assolutamente impossibile da descrivere. Questa è la nuova droga. Un album sarebbe chiedere troppo (o finire direttamente in una cella imbottita nel manicomio più vicino).

Per l’International Day of Slayer.

Serena ha una chioma di capelli neri ricci e folti, si mette certe paia di Levi’s oversize che le finiscono sotto le Puma nere e ha i fili delle cuffie che s’intravedono a malapena sotto il mento, poco prima del parka scuro che porta come se fosse una seconda casa. La intravedo più o meno quotidianamente alla fermata dell’autobus mentre sto camminando verso la lezione del pomeriggio in facoltà. Qualche anno prima siamo finiti insieme, quelle storielle di bacini e abbraccini che possono capitarti in terza superiore con ragazze delle quali sai poco o niente e che -soprattutto- sanno poco o niente di te. Il sesso è roba da film porno e pippe quotidiane. Lei le superiori le sta ancora finendo, io ho un anno di università sulle spalle. Ho un monte di teorie che mischiano un marxismo-leninismo calligrafico e soporifero di certi testi universitari alle tematiche global di cui mi documento a viva forza leggendo Internazionale. Sono pieno di stronzate, molte delle quali assorbite e rese innocue dal fatto che non parlo con nessuno. Sospetto che Serena non mi riconoscerebbe nemmeno se mi presentassi, fantastico perfino di finire in qualche occasione casuale nella quale le rivelo che anni prima ci eravamo amati teneramente, con lei che d’improvviso ricorda e sospira cose tipo “ma che ci è successo?”. A diciott’anni.

Una domenica sera la incontro in un locale. Lei è in giro con i suoi amici, io sono in giro con i miei. I miei sanno che abbiamo flirtato da giovani, in effetti a suo tempo non hanno mancato di prendermi per il culo. Serena è obesa. Le ragazze obese mi eccitano, ma i miei amici non hanno gli strumenti concettuali per capirlo. Tra i venti e i venticinque sei ancora in balia di quello che gli altri pensano di te. Ci incontriamo e parliamo. I suoi amici sghignazzano, i miei sghignazzano di più. Qualche mio amico tenta un approccio con qualche sua amica. Marco avrà persino successo, finirà assieme ad una di loro per un paio di settimane (finire assieme uguale limonare, questa non è New York). Serena mi chiede come mai passo davanti alla fermata del tram tutti i giorni e la guardo senza andare a salutarla. Mi sento un cretino, chiacchieriamo. Ho un fidanzato, dice lei. Io non ho nessuno, dico. La sua non è una storia seria, la mia sì. Forse ci sta provando un po’, forse sono solo io a voler pensare che ci provi. Il locale in cui siamo brilla di luci artificiali riflesse sulle camicie bianche degli avventori in cerca di un pezzo di figa, e dei capelli troppo stirati di certi pezzi di figa in cerca di camicie bianche a cui non darla. Ho bevuto troppo, come ogni sera che non passo in casa. Probabilmente indosso una felpa nera col cappuccio e un paio di jeans bucherellati che sembrano raccontare la storia di uno skater valoroso che non ha paura di cadere e rialzarsi. L’ultima volta che sono salito su uno skateboard è stato in terza media, e non sono mai andato oltre la prima sbucciatura. Serena mi rivela di essere passata all’accacì, ascolta roba Fat Wreck e qualche disco vecchio stile Bad Religion. Odio i Bad Religion e non riesco a non dirglielo. Abbozza. Le prometto di passare a salutarla la prossima volta che la vedo alla fermata dell’autobus. Qualche giorno dopo dopo passo davvero, ma lei sta limonando con qualcuno -probabilmente il suo fidanzato non-troppo-serio. Li vedo in lontananza e passo oltre. Io sto ascoltando sul walkman la cassetta di Undisputed Attitude che mi ha doppiato Alberto un paio di mesi prima. Alzo il volume ad un livello indecoroso e non spengo finchè non è ora di iniziare la lezione. Il walkman con cui vado in giro suona i nastri ad una velocità un po’ più alta di quanto non siano supposti girare in realtà: per i dischi rock è una cosa talmente figa che riascoltarli a velocità normale diventa praticamente impossibile. Due giorni dopo ripasso dalla fermata dell’autobus. Lei mi viene incontro, dice di avermi visto l’altro ieri, mi chiede scusa. Parliamo due minuti. Mi sorride, mi chiede cosa sto ascoltando. Un disco di cover accacì fatto dagli Slayer, le dico. Le passo le cuffie e le faccio ascoltare la cover di Guilty Of Being White. Non è molto il mio genere, risponde. Tra qualche giorno finirà il semestre. La rivedrò altre due volte: cinque anni dopo compro dischi in un centro commerciale e lei sta guardando nel reparto videogame con il suo fidanzato. Un paio d’anni dopo ancora, quasi la investo con l’auto mentre attraversa la strada vicino ad un semaforo in centro. Ha un paio di infradito, sembra incinta. Non sono il padre, e probabilmente Serena non è mai esistita. Il locale dove ci siamo incontrati è diventato un emporio di cibi e attrezzature per cani.

Questa sopra è l’unica cosa detta dallo zio Henry con la quale non sono d’accordo -eccezion fatta forse per la tirata sulla musica elettronica. La storia degli Slayer è la più bella storia metal della storia, in parte perchè la loro musica è la miglior musica mai scritta e suonata e in parte perchè Kerry King e Jeff Hanneman sono dei campioni olimpici di sbrocco. I dischi brutti degli Slayer, tipo Christ Illusion e World Painted Blood, sono “semplici” amarcord di potenza devastante. I dischi belli degli Slayer li abbiamo ascoltati così tanto che la voce di Tom Araya ci è più familiare di quella della mamma.

I gruppi rock sono come le ragazze. Di alcuni ti invaghisci, di altri ti innamori. Alcune sono storie intense che si bruciano in una notte, altre sono successe solo nella tua testa. Solo una manciata diventano compagni sicuri con cui passare degli anni, e ne puoi sposare uno soltanto. Il 6 giugno, come ogni anno, è eletto International Day of Slayer. Stavo dimenticandolo, Matteo me l’ha ricordato nell’agendina di concerti di questa settimana. Per me è un po’ come la festa di compleanno del mio migliore amico. Tutto ciò che ci è richiesto di fare domenica è di prendere in mano QUEI dischi, ripiazzarli nel lettore, alzare il volume e brindare alla salute di chi, come noi, ha sposato la loro musica. Per altri, semplicemente, “non è molto il mio genere”.

Slayer – “World Painted Blood” AKA “Lamponi of the same”

Slayer

Slayer - "World Painted Blood"

L’uscita del nuovo Slayer nel 2009 è l’occasione per parlare dei grandi sottintesi di “pubblico” e “critica” della musica dura -metal, per la precisione- degli ultimi 20 anni, più che parlare del disco. Questo per due ragioni: la prima è che il disco è disponibile in streaming sul loro myspace (alla url di myspace con poi “/slayer” nientemeno, non con quei soliti trucchetti tipo /slayer_us , /slayerofficial , /slayerquelliveri, /slayer_original oppure /slayer_quelli_che_da25anni_non_hanno_imparato_a_suonare) e la seconda è che comunque suona esattamente come quasi tutti i dischi degli Slayer, e quel quasi lo tratteremo dopo. Dunque, gli Slayer nascono nel 1981 e (ve la faccio breve) passano gli anni ’80 come uno dei “quattro grandi” del thrash metal assieme a Megadeth, Metallica (che poi di dischi di Thrash puro ne hanno fatto forse uno, è pure ora che qualcuno lo dica) e Anthrax. Nel loro piccolo ebbero perfino una loro evoluzione, perché “Hell Awaits” non è “Reign in Blood” e “Reign in Blood” non è “South of Heaven”. Arrivano però gli anni ’90, anni in cui certa critica (manco tutta) faceva ancora il proprio dovere. Perché dopo 10 anni che suoni la stessa roba, è pure ora che qualcuno ti dica qualcosa. E così il rompete le righe che ben conosciamo: tra evoluzioni che sembrano sincere e riuscite (Anthrax, Sound of White Noise, classico disco avanti di qualche anno cui nessuno rende merito), altre sincere e meno riuscite (Load e ReLoad dei Metallica), altre addirittura eccezionali a prescindere dalle motivazioni (la triade dei Megadeth da Rust in Peace a Youthanasia), mentre gli unici dei quattro che non sembrano evolversi né in modo sincero né riuscito sono proprio gli Slayer. C’è da aprire una parentesi : quel connubio pubblico/critica per cui una trascina un po’ l’altro e viceversa, in quel momento spingeva sul vento “della novità” e – a dirlo oggi sembra folle – sull’aspetto artistico della vicenda. Su “Divine Intervention” sputarono in molti, anche perché era un periodo (1994) in cui dire “è sempre la stessa roba” era negativo. Fatto sta che pure gli slayer provarono a mescolare (per quello che potevano senza perdere del tutto la loro ragion d’essere, cioè poco) le carte, con “Diabolos in Musica” e “God hates us all” che, a prescindere dal risultato (poteva anche essere non disprezzabile) sembravano far pensare a una prossima uscita degli Slayer dal metal “che conta”. E invece arrivano gli anni 2000, e le carte cambiano per tutti. Improvvisamente le case discografiche -sarà la crisi, boh- puntano solo sul sicuro, e il sicuro in quel momento sono tutti quei metallari rimediati al genere senza spirito critico (e di questi, nel degrado generale , ce n’è a tonnellate) che sembrano volere improvvisamente che il tempo si fermi. O anzi meglio, che torni indietro all’età dell’oro, e che tutto si ripeta nel 2009 completamente decontestualizzato, come fossimo nel 1986, o 1996, o comunque in un’epoca in cui -forse anche purtroppo- non siamo più. E allora s’è visto di tutto, Megadeth che tornano (male) a Rust in Peace, Metallica che tornano a una specie di And Justice For All (e per la verità non gli è riuscito nemmeno malaccio), Anthrax che richiamano il cantante di 20 anni prima, ma non solo, sono state rinnegate almeno parzialmente le evoluzioni (a torto o a ragione, si può discutere) di quasi tutti i gruppi che le avevano proposte, si veda, che so, il ritorno al metal dei Paradise Lost, al growl degli Amorphis, al thrash anni ’80 dei Kreator, e la lista sarebbe sterminata. Gli Slayer sembravano però quelli che potevano trarre maggior vantaggio: loro solo una cosa sapevano fare (bastonare gli strumenti) e un disco come Christ Illusion (un ritorno a Reign in Blood, perfino Seasons in The Abyss sembrava più moderno) alla fine è il prodotto di questi squallidi anni 2000 per eccellenza: perfino carino, due-tre pezzi addirittura eccellenti, tanto mestiere etc.etc. La questione a questo punto diventa un’altra: cosa è diventata questo tipo di musica? Abbiamo ancora la possibilità di esaltarci per gli Slayer ( e il discorso vale per molti altri)? O ormai è qualcosa tipo motoraduno di Harley, in cui sempre le stesse facce sono unite più dall’abitudine e dal ricordo del passato che dall’urgenza espressiva, dalla comunanza di qualche tipo di valore – sempre tenendo conto che di musica si parla, non dico certo “cambieremo il mondo” – o qualcosa del genere? Veramente ormai la sincera esaltazione è sostituita dall’amarcord musicale, e il lavoro della critica resta solo quello di aggiungere un elemento alla discografia, magari aggiungendo che è uguale ai dischi prima? E quando dico “ormai”, andrebbe inteso da una decina d’anni. Perdonatemi il lungo -e forse fine a sé stesso- pistolotto, ma se avete avuto la pazienza di leggermi fino a qui, allora sappiate che WPB non va bene neanche come amarcord, perché manca anche il tiro che aveva reso Christ Illusion adatto agli anni 2000 (notato che si accorcia con ’00 come a dire, anni zero?). Si riprende un po’ a sprazzi, ma un motivo per riascoltare un disco thrash stantio uscito nel 2009 senza un tiro ottimo non lo vedo. Se poi serve per andare in tour è tutto un altro discorso, visto che dal vivo queste band ancora tengono alla grande e anzi non hanno rivali. Ma è veramente l’unico motivo che giustifichi l’esistenza di questo capitolo.